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Conto alla rovescia di un’America intrappolata da falsi sogni di egemonia di lunga data, di Marius Creati

Conto alla rovescia di un’America intrappolata da falsi sogni di egemonia di lunga data

di Marius Creati

Il destino americano è segnato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel cui epilogo la grande potenza d’oltreoceano emerge  trionfante sul mondo antico imponendo l’ascesa del suo incontrastabile regno sovrano, indubbiamente segna un confine temporale nel quale si assiste alla frattura irreparabile del tessuto storico finora conosciuto per dare inizio ad una nuova era moderna attraverso cui distinguere gli Stati Uniti d’America quale nuovo baluardo di democrazie. La fine della guerra del dovere, nella quale milioni di uomini furono chiamati ad adempiere e morire per la sua esaltazione, testimonia senza ombra di dubbio il trionfo imperante della cosiddetta democrazia americana al potere, alla fine della Grande Crociata del XX secolo contro le due grandi potenze Germania e Giappone, in tal modo imponendo la grande resa del vecchio mondo per la supremazia della neo élite americana portavoce di libertà, segnando la sorte delle generazioni successive dell’Occidente. 

Il grande disegno di pace manifestato dall’America sul mondo moderno alla fine dell’ultima grande guerra indubbiamente impone per le future generazioni un riferimento criptico sul mondo libero in marcia verso un domani, semmai incerto. La prova determinante è la natura stessa della nascita della nuova organizzazione per la pace occidentale, la NATO, desiderata e proclamata dalla stessa governance che paventava l’invasione russa dietro l’angolo, movente filologico pressoché inesistente fino ad oggi.

Le due bombe atomiche sul Giappone e la resa incondizionata della Germania segnano incontrovertibilmente la fine delle grandi azioni offensive della guerra, portando a compimento il grande disegno di pace, il “Design for Peace”, che avrebbe dovuto segnare l’inizio di una nuova contemporaneità sviluppata nella grande ricostruzione europea, ma che in realtà segna l’inizio di una longeva era belligerante, perpetrata nel sangue, attraverso cui consolidare l’impero coloniale d’oltreoceano in una scalata a senso unico verso il dominio incontrollato sul mondo. Le popolazioni occidentali avrebbero dovuto continuare a vivere nell’ideologia della ricostruzione per decenni, spettatori incolumi ed incuranti di ciò che sarebbe accaduto sul lato B del pianeta, divenuto costante territorio di scontri, dove tutto, anche l’impossibile, era possibile. Ma questo accadeva fino a ieri.

La corsa agli armamenti atomici diventa il leitmotiv della seconda metà del XX secolo, la supremazia americana costringe tutti gli stati militarmente prestanti a mettersi in linea con il nuovo fenomeno tecnologico, ad equipararsi al potere del nucleare, per non trovarsi in difetto qualora le diplomazie di pace fossero diventate irresolute, approfittando della semantica del famoso disegno di pace americano mediante il quale vengono innescate guerre e scontri di portata colossale, al fine di garantire quella stessa supremazia militare indotta nel potere assoluto di una governance congeniale, per lo più temuta dagli stessi stati militarmente prestanti che, volere o nolere, ne avvertono una necessità di sopravvivenza. Lo sviluppo tecnologico del nucleare usato come “cavallo di Troia”, si paventa un espediente per rendere l’ascesa della supremazia americana in tal senso oppugnabile!

Sta di fatto che la supremazia militare americana della leadership potusiana trova il suo fondamento proprio attraverso l’immaginario collettivo dell’americano medio, il quale ignaro di ciò che accade nel retroscena politico di Washington, nel portare in scena la sua “guerra al terrore globale” che dalla scena iniziale della seconda guerra mondiale, tra alti e bassi si protrae fino al presente, ha assimilato imperativamente il concetto di supremazia americana mediante un continuo bombardamento mediatico prodotto nell’arco dei canonici cinquant’anni americani.

L’establishment della politica estera degli Stati Uniti si è aggrappato al mito secondo cui ciò di cui il mondo ha bisogno è più potenza militare americana?

Indubbiamente, l’establishment della politica estera degli Stati Uniti d’America si è aggrappato alla mitologia della potenza militare americana nel mondo da decenni, cercando in tutti modi di alimentarne il credo. La sua governance si nutre della necessità di far credere al mondo di aver bisogno di maggiore potenza militare americana, nonostante i fallimenti conseguiti negli ultimi vent’anni di guerre che avrebbero dovuto frenare l’escalation belligerante di questi ultimi tempi, fautori delle continue disfatte inflitte su se stessa, piuttosto che favorirne la continuità. Ma evidentemente sembra che i governanti americani nutrano il desiderio di commettere i medesimi errori del passato, giustificando le loro azioni dagli obblighi immaginari della leadership globale.

In effetti la guerra in Ucraina potrebbe rivelarsi una nuova débâcle proprio per voler considerare il conflitto su un piano energicamente moralista, pregnante di quell’ottica obsoleta e visionaria del grandioso potere americano, retoricamente ossessionata dalla visione superata di egemonia eterea, che piace al Presidente Joe Biden. In sintesi gli americani iniziano ad essere stanchi della favola del buon samaritano mentre i loro commilitoni muoiono in guerre di cui nessuno di loro conosce il significato. L’establishment intuisce che il mondo americano, l’opinione pubblica americana, sta cambiando pelle, ragion per cui l’esaltazione del potere militare in Ucraina diventa “si” il crogiolo di una nuova era di dominio, mediante l’ausilio di un’amministrazione politica calibrata nella sua stessa retorica di conquista. E questo potrebbe nuocere alla stabilità di un ritorno alla pace e condurre verso una resa dei conti finale, e sicuramente più disastrosa.

Con o contro

Bisogna proprio ammettere che il documento NSC-68, considerato espressione più autorevole della visione del mondo del dopoguerra americano, redatto nel 1950 dal National Security Council e altamente riservato fino alla metà degli anni 70, segna la prima vera battuta d’arresto della politica di guerra a “stelle e strisce”, 1945-1950, e allo tesso tempo la prima battuta d’inizio del programma globale del Nuovo Ordine Mondiale, fino a pochi anni fa considerato solo una sorta di ordine ideale frutto della fantasia complottista, di tutt’altro espediente al presente. Il NSC-68 con i suoi precetti ne rappresenta il carattere antesignano, il metodo precursore dell’ordine in assenza di ordine… “in un mondo che si restringe, lassenza di ordine tra le nazioni sta diventando sempre meno tollerabile… la responsabilità della leadership mondiale di realizzare lordine e la giustizia con mezzi coerenti con i principi di libertà e democrazia”… il bagliore attraverso cui l’egemonia americana scorgeva i tratti demarcati del proprio diktat tracciante le basi della supremazia US sul resto del pianeta. Questo passaggio segna la linea di demarcazione tra oriente e occidente, edifica l’impalcatura dei due blocchi contrapposti, USA e URSS, segnando l’inizio della famosa Guerra Fredda! 

L’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (NATO) nasce proprio a cavallo dell’elaborazione del summenzionato documento, inizialmente segretato, probabilmente non a caso, come non a caso entrambi sposavano la medesima tematica militare interdisciplinare focalizzata sulla presunta difesa dalla minaccia orientale, in primis sovietica, ove il capitalismo, precursore dell’odierno neoliberismo, si contrappone al comunismo, lentamente sospinto nel federalismo attuale. La NATO, sotto l’egida del NSC-68, si arroga quindi il diritto, la capacità e la volontà di costringere una barriera difensiva a tutela della presunta incolumità dei paesi occidentali impegnando se stessa nel predisporre, seguendone la linea dei suoi principi inesorabili, un esercito dominante configurato come forza di polizia militare globale al servizio dei potenti d’oltreoceano.

Ragion per cui la lotta cosmica tra democrazia e autocrazia rappresenta l’antigone necessaria per definire la supremazia militare degli USA sul mondo circostante attraverso una massiccia presenza constante sui territori e l’uso della forza dura,  strumentalizzando l’ideologia della globalizzazione come espediente di conquista ideologica attraverso cui i diritti individuali possono essere lesi in nome di un processo simbiotico più elevato nel quale l’adesione stessa allo stato di diritto traspare come speranza universale piuttosto che come fine reale, ma intesa come preciso atto di fede verso se stessa che giustifica qualunque azione intrapresa nel nome della liberazione di quei popoli che, secondo la logica della ricerca della pace universale, sarebbero scampati alla tirannide nonostante la triste eredità di morte trascinante alle sue spalle.

Dopotutto il fine giustifica i mezzi e le innumerevoli guerre evase nel nome della logica liberale americana sposano la sua machiavellica interpretazione nel documento NSC-68 nel constatare che, nonostante le inutili débàcle collezionate negli anni, in ogni caso le scelte effettuate sono da considerare espressioni concrete di ciò che la leadership globale americana sembrava aver deciso in quel preciso istante.

Cosa preferisci?

È assolutamente comprensibile che la fine della Seconda Guerra Mondiale segna una linea di demarcazione tra la fine di un conflitto appena concluso, dopo lunghi anni di premeditazione e programmazione, e l’inizio di un nuovo conflitto da pianificare nei suoi dettagli. Senza ombra di dubbio, l’obiettivo principale sarebbe stato quello di progettare nuovamente una nuova grande vittoria, nella sua spettacolarizzazione, tale da rendere l’ultima grande guerra un ricordo immemore. Il benessere, la prosperità, la sicurezza, la libertà erano diventati elementi cardine indispensabili affinché l’ideologia della democrazia fosse il fondamento di un obiettivo esemplare attraverso cui edificare l’impalcatura della politica espansionistica statunitense.

Sotto la profilassi ideologica di questo principio gli Stati Uniti d’America collezionano una serie di vittorie epocali riportate dagli anni 50 fino alla fine degli anni 80 che nell’insieme, anche se per entità meno significative della grande guerra conclusa nel ’45, definiscono la base di un ordine unipolare incentrato nella proclamazione indispensabile di un’unica superpotenza mondiale.

Con il progredire del tempo, questa definizione di organismo indispensabile svilupperà la necessità di realizzare i presupposti di una “guerra finale che racchiuda l’insieme definitivo di tutte le guerre”, sottolineando l’indispensabile ideologia classista del “fardello dell’uomo bianco” che si fa carico della piena responsabilità gestionale del mondo nelle varie etnie conclamate.

Diciamo che il periodo della candidatura di Trump alla presidenza della Casa Bianca, segna un periodo di stasi per l’incremento della politica estera dell’establishment americano; la sua politica di rottura con le vecchie guardie, la diffusione di una governance innovativa che mette a dura prova l’ideologia unipolare finora conclamata nel silenzio, in qualche modo la fine vertiginosa dell’era espansionista fortemente contestata dall’operato nazionalista del presidente diverso, diventa un forte campanello d’allarme che spinge paradossalmente a riformulare i piani di ascesa dell’Élite anticipandone i tempi di realizzazione. Negli ultimi trent’anni l’organismo unipolare organi-plasmato all’interno degli organi di governo internazionali dell’Occidente rischia di implodere nella Trump mania di voler ricondurre l’America al primo posto, nel fatidico epitaffio “American First”, un trattato di guerra implicito che la politica di Donald Trump impone sull’egemonia finanziaria delle lobby statunitensi, dal quale avvertono la minaccia di una possibile detronizzazione dal potere assoluto. Questo implicherà la disfatta assoluta della carriera presidenziale del presidente Trump, evidentemente non allineato secondo una linea politica ben strutturata negli anni, e la conseguente accelerazione della scaletta degli eventi.

L’ascesa iniziale di Trump, l’aumento dei consensi elettorali nonostante la sconfitta successiva, una politica presidenziale di contrasto identificano la piena consapevolezza di un radicale cambiamento della sicurezza dei principi dell’organo unipolare, per la prima volta minacciato proprio dal cuore pulsante della governance che, secondo un’ottica prefigurata, dovrebbe invece nascondere e proliferare.

Creatori di miti

Purtroppo la didascalia degli ultimi eventi evidenzia che l’ascesa presidenziale di Biden non è stato un caso, ma fortemente incentivata nel perseguire una precisa scaletta degli avvenimenti, incluso il conflitto in Ucraina. L’opinione pubblica americana  è stata conservata in una bolla di sapone per diverso tempo, mentre le varie governance, una dopo l’altra, perseguivano i loro intenti di espansione. Il presidente Joe Biden ha semplicemente sollevato il drappo di cui l’America era cinta per farla ripiombare improvvisamente in un groviglio di contraddizioni, nel quale gli americani non si riconoscono pienamente, anche se  indirettamente assuefatti, considerata la politica militare di slancio democratico finora perseguita dai suoi governanti. Oggi più che mai il modello di leadership globale militarizzato è stato nuovamente riconsiderato, fortemente concepito, dalla leadership americana, promosso, imposto in chiave meno melodrammatica, e irreparabilmente perseguito nella prospettiva di preservare il privilegio di ubiquità, unicità, uniformità del paese privilegiato per antonomasia rispetto agli altri, nonostante il tipico modello unico americano sia fortemente in declino.

Possiamo asserire che la guerra in Ucraina sia l’apoteosi del NSC-68. Questa constatazione evince direttamente dal discorso introduttivo di Biden sulla necessità di piena responsabilità del decorso della storia contemporanea: “Ora è lora. Il nostro momento di responsabilità, la nostra prova di risolutezza e di coscienza della storia stessa”, rimarcando in termini radicali il riecheggio della retorica contendente di epoche precedenti, sottoponendo l’opinione pubblica  alla consapevolezza dello sforzo collettivo, “E salveremo la democrazia”, costi quel che costi e comunque vada…”.

La guerra per procura di Biden è soltanto uno specchio per le allodole, nella quale la presunta posta in un gioco esistenziale sia la salvaguardia della democrazia, Anche all’inizio della seconda guerra mondiale l’America ebbe un ruolo prettamente secondario, ma primario, limitando i suoi interventi sul piano economico e logistico, proprio come al presente accade in Ucraina. Fino a quando in seguito, nel momento in cui i tempi sembravano maturi, si catapultò nel vivo delle operazioni militari. Lo scenario è in una fase di ripetizione. E non si può essere sicuri che egli non decida di usare gli eserciti regolari per combattere una guerra contro la Russia: “nessuna truppa statunitense combatterà per conto dellUcraina”, un segnale lampante di ciò che il presidente americano potrebbe essere esposto a mettere in atto. 

Il modo Kennan

Al momento non immagino cosa possa proporre la leadership americana successivamente al documento NSC-68. Ma è chiaro che quanto prima la governance degli Stati Uniti d’America attuerà un aggiornamento dei suoi intenti strategici. 

Il modello proposto da George Frost Kennan alla fine degli anni 40, 1948, proprio alla vigilia della Guerra Fredda, con l’obiettivo di preservare la sicurezza economica nonché migliorare l’abbondanza delle materie prime al fine di rendere invidiabile il modello statunitense nel mondo, fu sostanzialmente il precetto originario attraverso cui le varie leadership al potere, una dopo l’altra, adottarono come cardine della politica di espansione della nazione.

– secondo Kennan bisognava “fare a meno di ogni sentimentalismo e sogno ad occhi aperti”, al fine di concentrarsi “sugli obiettivi nazionali immediati”, tanto che “il paese non poteva permettersi il lusso dellaltruismo e del benefattore del mondo”.

La sua strategia era: “elaborare un modello di relazioni che permetta di mantenere la posizione di disparità (negli anni 50 gli Stati Uniti in quel momento possedevano “circa il 50% della ricchezza mondiale ma solo il 6,3% della sua popolazione) senza danno positivo per la sicurezza nazionale”

Questo spiega l’inizio di una politica internazionale concentrata sulla preservazione del territorio autoctono a discapito di tutti quelli esterni ad esso nell’affermazione costante dello stile di vita americano, immedesimazione pubblica ufficiale del suo diktat.

Ciò che la governance americana avrebbe dovuto intuire è che la dinamica espansionistica deliberata dal modo Kennan, secondo un preciso canone di valutazione della concentrazione della ricchezza subordinata alla percentuale del potere acquisito, è ormai storia antica. Nonostante si cerchi di portare avanti una politica di espansione concentrata sulla linea controllo della sua deterrenza  mondiale, il debito nazionale ottemperato per il proponimento di tali intenti è aumentato a dismisura fino a rasentare la bancarotta mondiale delle stesse società bancarie che hanno scommesso su tali propositi di guadagno. Gli ultimi dati statistici ne confermano la realtà, oggi supera i 31 trilioni di dollari con un deficit federale di oltre mille miliardi di dollari dal 2010.

In definitiva, per riuscire a salvare se stessa, dovrebbe concentrare meno interesse nelle sue aspettative che guardano al di là degli oceani e tornare ad occuparsi prevalentemente delle politiche, soprattutto economiche, interne al fine di consolidare lo stesso assetto economico verso una riqualificazione più democratica, oggi oscurata dall’autocrazia,  altresì riconsolidando la sua leadership prima di esporla a livello globale. Gli Stati Uniti d’America dovrebbero concludere le terribili guerre innescate anno dopo anno, tornare alle promesse della fondazione, riconfigurare le forze armate come strumento di protezione al fine di garantire una vita migliore in prospettiva di un futuro dell’umanità sempre più instabile.

Difficile stabilire su due piedi il modo migliore di mettere in pratica una riconfigurazione emblematica del potere americano sul mondo, senza che un tale potere non alimenti sconvolgimenti che vadano ben oltre i confini dei suoi oceani.

Indubbiamente l’obbligo di eliminare le armi nucleari sancito dal “Trattato di Non Proliferazione Nucleare” sarebbe il primo passo verso una riqualificazione strutturale della sua governance. A cui dovrebbe far seguito una riduzione sostanziale delle basi militari internazionali e quartieri generali sui territori al fine di ridurne la pressione egemone sia all’interno che all’esterno del tessuto americano. Non meno importante sarebbe la riduzione della spesa pubblica al 2% del PIL a sostegno del complesso militare industriale riducendo emolumenti governativi verso gli appaltatori militari. Infine rimodulare i poteri di guerra del Congresso che consentire una gestione più solidale del Pentagono nei confronti del mondo.

Facile a dirsi, ma difficile a farsi! Il dover riconvertire radicalmente la propria politica espansionistica potrebbe indurre ad effetti collaterali inaspettati, poiché la domanda successiva sarebbe lecita, come reagirebbero le grandi nazioni ampiamente ferite negli anni, i grandi imperi oscurati dal gigantismo americano per oltre cinquant’anni, se gli Stati Uniti d’America arrivassero a convertirne I propri precetti di democrazia secondo un nuovo concetto di identità nazionale slittato internazionalmente? Quali reazioni scaturirebbe nel mondo circostante? E quali effetti potrebbero ripercuotersi su di essa?

Il grande paese americano ha perso gran parte delle proprie tradizioni storiche, riconducibili a qualche sparuta manifestazione religiosa o pagana d’antan; ma indubbiamente il sentimento di preservazione dell’ideologia della grande nazione rimane invariato. 

Come d’altronde nel 1947 lo stesso Kennan definì nel saggio riportato su Foreign Affairs, sottotitolato “X”: “per evitare la distruzione gli Stati Uniti hanno solo bisogno di misurarsi con le proprie migliori tradizioni e dimostrarsi degni di essere preservati come una grande nazione”.

In fine sarà la stessa forma di preservazione ad alimentare il desiderio di un ennesimo trionfo militare virtuoso che possa in qualche modo appagare lo smarrimento esistenziale che affligge gli Stati Uniti d’America, aborrendo dai bisogni effettivi sanciti dalla stessa “cittadinanza attenta e consapevole” di Eisenhower, nella spinta dell’uso improprio del potere americano e dell’abuso dei suoi eserciti militari usati a tal scopo, oggi giorno un tratto indelebile della nostra era, che paradossalmente potrebbe essere definita propriamente “era americana”.

(la foto riportata è protetta da copyright ©)

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