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Lettera personale al Premier Mario Draghi, in risposta alla riunione del Consiglio Europeo del 23 / 24 giugno a Palazzo Chigi, 01 luglio 2022 – di Marius Creati

La presente lettera è stata inviata in data 01 luglio 2022 presso la segreteria personale dell’ufficio della Presidenza del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana.

Prefazione

Gentilissimo prof. Premier Mario Draghi,

in vista di tutti gli accadimenti drammatici che stanno colpendo l’Europa e l’Italia ho deciso di scriverLe una lettera.

Da buon cittadino italiano nutro il bisogno intrinseco di far sentire ciò che penso a riguardo, democraticamente, e in linea sui presupposti che potrebbero avvicendarsi strada facendo. Avrei desiderato scriverle una lettera cartacea, ma la mia calligrafia manierista e i tempi stretti, collimati con la tecnologia, mi hanno indotto ad usare la posta elettronica.

Mi sono domandato più volte se fosse la cosa giusta da fare, ma sarebbe sbagliato non esprimere un proprio concetto. Lei, fondamentalmente, è un uomo lungimirante e penso che, nonostante tutte le avversità in cui si confronta giornalmente, comprenderà il mio gesto umile.

Penso che nella vita privata Lei sia un uomo gentile, di buon senso, deciso ed attento alla forma. Solitamente le trovo caratteristiche di enorme spessore.

Mi auguro che la mia lettera, che non vuole essere un monito sulle vicissitudini perpetrate su scala europea, sia intesa come una semplice e deduttiva constatazione della realtà che circonda ciascuno di noi, un punto di riflessione dislocato completamente dal suo contesto politico finanziario; più semplicemente una voce amica che nella verità afferma un ritorno alla realtà della vita.

Vorrei aprire gli occhi e sentire entropia, il profumo olistico di una speranza, oggi quasi impercettibile se pensiamo al prossimo futuro, e non la fobia di un’incertezza distopica convalescente!

Lei può convincere il Presidente Joseph Robinette Biden Jr. a fermare tutto, a donarci un ritorno alla piena libertà d’espressione.

Sinceramente non è quella che si sta concretizzando, la mia visione personale di NWO! Grazie di aver ascoltato, nel caso, le mie parole.

Le auguro di cuore una buona giornata.

Cordialmente, Marius Creati

Corpo della lettera

Gentilissimo prof. Premier Mario Draghi,

considerando i suoi molteplici impegni, innanzitutto vorrei ringraziarla di cuore nell’eventuale lettura della mia lettera. Il mio intento è quello di esprimere le mie opinioni, consensi e dissensi, sull’operato occidentale di questo ultimo periodo.

Mi esprimerò sempre nel miglior modo possibile e veritiero affinché il mio pensiero, un pensiero al di fuori di ogni pretesto politico ma collimato all’inquietudine degli italiani, possa sopraggiungere come messaggero di pace, da uomo a uomo, Lei che ha molti anni più di me, istigandone una riflessione pacifica da anteporre durante i colloqui internazionali. Il mio unico intento è quello di difendere la pace nel mio paese e nel mondo circostante.

Iniziamo subito nel dire che l’invasione russa in Ucraina è dipesa completamente dall’inserimento di armamenti occidentali nei territori ucraini, di cui la Russia in passato ha più volte reclamato la presenza al parlamento europeo, come d’altronde ha informato il medesimo sui continui omicidi perpetrati ad opera dei soldati Azov nel Donbass. La Nato quindi è corresponsabile in primo piano di tutte le morti che si sono susseguite in questi quattro mesi di guerra correlate alle operazioni occulte ordite contro la Russia. I danni collaterali sopraggiunti in seguito agli scontri armati sono da considerarsi opera di entrambe le fazioni, gli ucraini bombardano postazioni civili, i russi bombardano insediamenti militari ucraini dislocati in centri abitati… Inutile fare mera propaganda!

La strategia dell’Unione Europea in collaborazione con la Nato verte verso un sostegno militare all’esercito ucraino che non ha nulla a che vedere con eventuali trattative di pace. L’invio di armi sicuramente nuoce alla pace. Finora l’Unione Europea e la Nato non hanno mai predisposto azioni diplomatiche pacifiche nei confronti della Russia, usando la parola pace si sono inviate armi di distruzione per consentire all’Ucraina di combattere contro i soldati russi, nell’intento comune di far prolungare il conflitto. Il governo italiano non ha mai optato per azioni di pace per far finire l’operazione militare iniziata dal presidente russo Putin.

Le strategie europee delle sanzioni contro la Russia si sono rivelate un fallimento totale. Tali sanzioni hanno colpito in maniera drastica soltanto l’economia europea danneggiando in maniera particolare quella italiana. Ma si ha l’impressione che questo ardire al governo italiano sembra non interessare.

Il grave errore del presidente ucraino Zelens’kyj è stato quello di affidarsi completamente al governo democratico americano guerrafondaio, sicuramente avrà avuto le sue ricompense esclusive, mettendo a serio rischio il popolo, ignaro di ciò che stava per accadere nel paese dietro accordi specifici tra il governo ucraino rovesciato, mediante la presenza assidua di Victoria Nuland, e quello americano. Il resto è solo un’escalation di eventi, del quale il presidente Joe Biden tesseva la sua trama belligerante. Quando sento parlare di democrazia e libertà per il popolo ucraino, innanzitutto penso alla stessa democrazia e libertà che i soldati ucraini guidati dal loro governo hanno negato ingiustamente agli abitanti filo russi del Donbass. Tutto il mondo conosce perfettamente le motivazioni reali per cui il presidente Vladimir Putin ha invaso l’Ucraina. Tutto il mondo conosce la realtà creatasi nel Donbass a discapito di civili inermi con l’unico scopo di innescare un incidente diplomatico che avrebbe poi messo la Russia in discussione. Quando sento parlare di democrazia e libertà vorrei sentir menzionare anche le atrocità subite dagli abitanti di quelle regioni del sud ucraino, persone che la Nato non ha mai menzionato, persone che il parlamento europeo non ho mai menzionato, persone che sono state dimenticate letteralmente dalla comunità europea e dei suoi parlamentari. Quando sento parlare di democrazia e di libertà per il popolo ucraino, un popolo martoriato per colpa dell’Occidente e dei suoi intrighi folli nei loro territori, devo sentir dire sostegno e giustizia per i filo russi del sud-ucraina, in quanto sono stati evasi i trattati di Minsk e gli accordi di pace tra le due fazioni in discussione: USA e Federazione Russa.

L’unico sostegno che l’Unione Europea e l’Italia possono garantire all’Ucraina, nell’interesse delle popolazioni coinvolte nell’operazione militare iniziata dal governo russo, è l’immediata cessazione dell’invio di armi che possano consentire la continuità dell’ostilità nella quale perderebbero la vita altre migliaia di persone, ucraine e russe. L’unico interesse dell’Italia sarebbe quello di far cessare tali ostilità fermando l’invio delle armi. Il governo ucraino non doveva dare inizio alle azioni ostili iniziate otto anni fa con il massacro di civili filo russi. Il governo ucraino deve rendersi conto, malauguratamente, che tali azioni intraprese hanno un prezzo, ragion per cui la perdita del Donbass e della Crimea sarebbero la giusta punizione per aver perpetrato indisturbatamente azioni di guerra e massacri contro civili indifesi.

Agli occhi di noi italiani sembra che il suo governo e i membri del G7 abbiano l’unica intenzione di far continuare il conflitto, l’operazione militare russa, nell’intento di non consentire uno spiraglio di pace al popolo ucraino, piuttosto alimentare spifferi di guerra prolungati nel tempo indeterminatamente. Il governo italiano, considerando l’enorme crisi che l’Italia sta attraversando grazie all’operato ventennale di governanti incapaci e corrotti che hanno messo il paese in ginocchio, dovrebbe occuparsi piuttosto della ricostruzione del paese, laddove esistono centri abitati e città ancora nel baratro dopo molti anni dagli accadimenti successivi alle catastrofi naturali, laddove esistono zone coinvolte nella povertà e nell’impoverimento economico dovuto al fallimento dell’economia del paese. Il governo italiano dovrebbe occuparsi esclusivamente delle problematiche sociali ed economiche del suo paese poiché gli italiani soffrono sempre più i fallimenti continuativi di politiche sbagliate che hanno agevolato i piani alti al potere, le banche, le multinazionali straniere, ma hanno reso le risorse produttive nazionali sempre più deboli, isolate, abbandonate, deviate al fallimento e quindi alla povertà. In primis il governo italiano deve occuparsi dei bambini italiani che soffrono il malcontento scolastico, il bullismo, la formazione di baby gang alimentate dalla povertà deflagrante; in secundis il governo italiano deve occuparsi del recupero della ripresa economica e sociale dell’Italia. L’unico vostro impegno è quello di far rinascere il nostro paese.

Certamente non si può far rinascere un popolo dilaniato da una guerra istigata per colpa del suo governo sulla decadenza effettiva di un altro popolo che ha sempre vissuto nella pace e nella fratellanza. L’Italia non può morire per far rivivere l’Ucraina! L’Italia deve sopravvivere all’Ucraina! L’Italia non è certamente responsabile della azioni ostili di quei governi occultati, ragion per cui non deve necessariamente pensare alla rinascita di una nazione estranea alla sua realtà.

L’Italia, quella conosciuta dai suoi cittadini che la vivono quotidianamente, non vuole che l’Ucraina entri nella comunità europea a discapito dei cittadini europei. L’Ucraina non ho mai perso la sua sovranità, l’Ucraina è un paese libero che ha scelto di tradire la Russia per accordi segretati, l’Ucraina è un paese che ha tradito i trattati di Minsk ragion per cui non può entrare nel parlamento europeo a causa dei suoi comportamenti inadeguati.

A riguardo di queste decisioni il governo italiano è travisato da altre motivazioni che sono al di fuori dello status quo nazionale, motivazioni che spingono più verso gli interessi americani e meno verso quelli italiani. La posizione assunta dal governo italiano, non corrispondente alla volontà degli italiani, i quali sono nella maggioranza assolutamente contrari a siffatte decisioni, imposizioni che mettono in discussione la stessa incolumità nazionale dinanzi alle sanzioni, che noi italiani riteniamo non conformi alla situazione creatasi nei territori conflittuali, dinnanzi al continuo invio di armi e alla possibilità insensata di inviare militari in territori di guerra, e che possono nel complesso nuocere alla sicurezza nazionale. A mio avviso il governo italiano sta muovendo delle considerazioni non condivise dal suo popolo, nonché non accettate dal medesimo, in prossimità di eventuali ritorsioni che la nazione stessa potrebbe subire sul fronte delle sue posizioni, ripeto non condivise dal popolo. Questa posizione di governo nuoce gravemente alla sicurezza internazionale dello Stato Italiano, nuoce alla sicurezza nazionale dei suoi cittadini, nuoce alla sicurezza nazionale dei territori nazionali coinvolti. Il governo italiano continua a ledere la sicurezza nazionale del paese, continuando nel dire di operare nel giusto sposando la causa di un parlamento europeo che vede l’Italia come nazione da spremere e da prendere letteralmente a calci, tirando la corda che la Nato continua a sottendere con l’unico scopo di valorizzare gli interessi economici americani. Come lo stesso Carlo Messina ha ribadito, l’Italia è un paese sovrano e non uno Stato mendicante! L’Italia non è subordinata dell’America! L’Italia non appartiene né alla Nato, né all’Unione Europea! L’Italia appartiene all’Italia e ai suoi italiani. L’Italia esige la sua piena sovranità, da condividere successivamente nell’Unione Europea.

Asserisce che i paesi limitrofi alla Russia vedono l’Occidente europeo per la propria sicurezza, la propria pace, la propria stabilità. Possiamo definire i nostri stati europei davvero sicuri, davvero in pace, davvero stabili? La sicurezza nelle strade non esiste più, sia per il malcontento della delinquenza organizzata, sia per i continui attentati subiti nel corso degli anni sui territori occidentali; la stessa pace di cui parla viene minata costantemente dalle continue guerre che la Nato affligge anno dopo un anno in molti paesi stranieri, i quali vedono i nostri Stati come una possibile minaccia per la loro sicurezza; la nostra stabilità è a rischio, non siamo stabili, non trasudiamo fermezza, siamo un insieme di nazioni nel baratro, pericolosamente instabili e in procinto di una povertà imminente che renderà le nostre società invivibili, a meno che non si corra ai ripari dosando cultura e responsabilità sociale, elementi radicalmente mancanti nei nostri sistemi di vita sociale. Quindi immagino, anzi asserisco con sicurezza, che quei paesi limitrofi di cui vocifera hanno nei loro intenti tutt’altro che sicurezza, pace e stabilità!

Il percorso da paese candidato a Stato membro è lungo, ma sarà possibile soltanto quando l’Ucraina dimostrerà al mondo intero di essere una nazione pacifica e pronta ad intraprendere azioni di pace con i suoi paesi confinanti, Russia compresa. Ma sicuramente il suo ingresso nella Nato sarà impossibile fino a quando la stessa Nato non cesserà di esistere come tale per creare una nuova organizzazione intergovernativa più contemporanea nella quale poter ospitare, un giorno mi auguro, anche la Russia come Stato membro alla pari degli altri stati. Le sanzioni adottare nei confronti della Russia, alcune delle quali sono per lo più improponibili sotto un profilo della logica, sono assolutamente inutili. Non funzioneranno perché sono illogiche, irrazionali, irresponsabili, insignificanti. Si continuano a fare previsioni scontate che poi risultano essere fallimenti sconcertanti, ma i vostri fallimenti, intendo quelli dell’Unione Europea, sono fallimenti a senso unico che colpiscono in maniera percettibile gli europei. Il tempo rivelerà che queste vostre misure saranno sempre meno efficaci. La Russia per anni ha giocato al gioco delle sanzioni americane pagandone il prezzo soltanto per quieto vivere, eppure quelle famose sanzioni non l’hanno scalfita, tutt’altro l’hanno resa invulnerabile.

Non smetterò mai di ripetere che fino a quando saranno inviate armi che uccideranno ucraini e russi, nonostante asserisca che i nostri canali di dialogo rimangono aperti, le porte della diplomazia internazionale rimarranno inaccessibili, mancheranno i presupposti affinché quegli usci vengano varcati. La pace non si ottiene con le armi nel pugno.

La pace di cui brama l’Ucraina non è un reale segnale di pace. Dopo anni di molteplici azioni corrotte, trattati violati, massacri costipati sotto gli occhi ignari degli europei e l’inadeguata irresponsabilità dell’Europa Unita nei confronti della Russia, che più volte allarmava gli stati membri di ciò che accadeva in terra ucraina, la pace di cui brama il presidente Volodymyr Zelens’kyj è una richiesta improponibile.

Nel suo discorso menziona che la base del progetto dell’Unione Europea si prodiga nel promuovere nuovi principi che rivalutino i confini, la sicurezza, la pace e la stabilità dai paesi segnati dalla guerra; importanti sono i presupposti per la salvaguardia della salute, dello studio, del lavoro, dell’economia di mercato funzionale, delle tutele sul lavoro, del potente incentivo allo sviluppo della vita democratica, del rispetto della dignità umana e dello stato di diritto. Mi domando opportunamente in quale remota posizione si colloca l’Italia se, in tutto questo marasma di riforme europee e attuazioni prolifiche del benessere collettivo, la nostra nazione oggigiorno sembra mancare di tutti questi proponimenti ridondanti. Mi auguro che Essa rientri in tutto ciò dato che, al momento, gran parte di queste riforme risultino assenti nel nostro paese o per lo meno, oserei dire, on vacancy! – un pizzico di sano americanismo non guasta!

Oltremodo mi spaventa il suo discorso sulla riflessione profonda sulle regole da rispettare che disciplinano il suo funzionamento in politica estera, di sicurezza, in politica economica, in politica sociale. Conosciamo le regole imposte in Italia durante la pandemia, le quali piuttosto che disciplinare i contenuti summenzionati sono state evidenziate come tra le più coercitive al mondo in mancanza di rispettabilità e di dignità violando tutte le norme della nostra costituzione, non che i precetti del codice di Norimberga e le norme della Dichiarazione dei Diritti Umani.

La sfida di cui vocifera viene presentata con aria minacciosa per la stabilità delle nostre libertà d’espressione e di movimento. Vedremo quel che accadrà!

Nel frattempo il governo italiano non ha ancora pagato il debito per i crimini costituzionali perpetrati contro l’umanità!

“Il conflitto in atto rischia di creare una crisi umanitaria di dimensioni straordinarie”… devo ribadire che il conflitto in atto è solo frutto di molteplici linee guida anti russe escogitate in territorio ucraino negli anni posteriori al 2014, postumi alla rivoluzione massacro di piazza Maidan. Se quelle linee guida prestabilite fossero state evitate oggi non avremmo subito alcun conflitto. Ragion per cui la crisi umanitaria in questione ha una correlazione con tutti gli accadimenti esterni al normale svolgimento della scena pubblica e privata ucraina. In breve la crisi umanitaria è una triste conseguenza di ciò che è stato progettato logisticamente dall’Occidente, in barba allo stato federale russo, e si sussegue che il parlamento Nato ne è pienamente corresponsabile!

Ha perfettamente ragione nel dire che la situazione della guerra peggiorerà nei prossimi mesi, sottolineerei piuttosto che gli accadimenti deterioreranno radicalmente già alla fine dell’estate, se non finire per collidere alle porte dell’autunno. Tutto questo deve finire subito!

È difficile poter ipotizzare sui vari tentativi falliti, quando finora avete giocato al gioco del rubamazzo con il presidente russo, uscendone perdenti su tutti i fronti! Non evince dal suo discorso di quale alternativa stiano proponendo l’ONU e gli USA quando in realtà, non avendo considerato i fatti reali, il parlamento Nato ha più volte istigato dissapori internazionali con pressioni economiche e logistico militari piuttosto che inoltrare veri messaggi di pace. Non esistono ulteriori alternative alla pace, se non la cessazione dell’invio di armi che consenta la fine delle ostilità belliche e l’inizio di azioni diplomatiche che aiutino una rappacificazione sostanziale con lo stato federale russo. L’Ucraina conserverà la sua sovranità fuori dai giochi militari occidentali; le regioni del sud diverranno indipendenti dal governo ucraino che le ha devastate. Le decisioni di come desiderano vivere appartengono ai suoi abitanti, agli abitanti del Donbass e della Crimea.

Per quel che concerne il gas russo… c’era da aspettarselo! Eravate convinti che il presidente Putin avrebbe accettato le sanzioni, avrebbe abbassato i prezzi delle sue materie prime, avrebbe permesso di colpire l’economia del suo stato? Magari lo toglierà del tutto se continuerete ad adottare strategie strampalate. E la strategia di ricerca di altri fornitori consentiranno al nostro paese di pagare le forniture di gas molto più del corrispettivo pagato alla Russia fino ad oggi. Potrei definire la vostra è una mera strategia fallimentare, che nella peggiore delle ipotesi potrebbe portare benefici all’America o ai paesi stranieri, direttamente o indirettamente, alleati di BRICS. Quindi trattasi di strategia fallimentare in senso stretto! Per gli investimenti rinnovabili, il popolo italiano non è sufficientemente pronto al cambiamento, né all’esubero economico che siffatto cambio effettivo graverebbe sui risparmi, già fortemente compromessi dalle lacunose bollette e dal rialzo del carovita rispetto al mediocre tenore di vita italiano. La totale indipendenza dal gas russo entro il 2023 porterà ad un crollo dell’economia europea, in particolare modo quella italiana, in quanto ancora sprovvisti di piani strategici efficienti per contenere il cambiamento radicale dello sviluppo sostenibile.

Purtroppo la pace in Europa è stata violata da una serie di accadimenti predisposti accuratamente dal partito democratico americano sotto l’egida dell’attuale presidente Joe Biden, il quale non ha badato a spese nell’operabilità dei suoi intenti, ma si è tenuto ben lontano dal constatare che i suoi interessi personali avrebbero leso i nostri interessi comuni, messo in grave crisi umanitaria gli stati europei, preposto un incidente diplomatico contro la Russia che potrebbe indurre in un’escalation di eventi pericolosi, annientata brutalmente l’identità di una nazione incolume ai traffici transnazionali occidentali, realizzare una nuova guerra di enorme portata… Si presuppone che dagli operati dei vari parlamenti dei paesi europei, stiate alimentando un dissenso, un voto controcorrente alle volontà dei cittadini europei, che spinga l’Europa verso un conflitto europeo contro la Russia, di cui l’unico paese che ne trarrebbe beneficio sarebbe l’America, oserei aggiungere, un piano strategico ben ordito di cui il governo italiano sembra ignorare completamente. Nei vostri intenti si prelude la volontà di spingere la nostra civiltà occidentale verso la distruzione di se stessa, devastazione che segnerà la fine dell’impero americano e l’annientamento del vecchio continente.

Come superare la crisi? Far finire il conflitto nell’unico modo possibile. Stop alle armi! Tutto il resto è solo dangerous, pericolo di morte, insieme per il futuro verso la fine del mondo che conosciamo.

Tornerò a scrivere se necessario.

Grazie per aver ascoltato la mia voce sotto forma epistolare, una voce assolutamente amica e notevolmente allarmata.

Nell’espressione dei miei intenti, i quali ribadisco sono solo intenti di pace, le auguro una buona giornata.

Cordialmente, Marius Creati

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Lo scenario del giorno del giudizio di Putin, di Marius Creati

Possiamo noi respingere l’idea di una remota possibilità che Putin possa alla fine coinvolgere il nucleare?

A circa un anno di distanza dall’inizio del conflitto in Ucraina, oggi più che mai sentiamo di aver raggiunto un livello di allarme elevato che rischia di innescare il fatidico Armageddon, di cui chiunque finora avrebbe temuto nella remota possibilità di una quasi impossibile guerra nucleare. Ma nella posizione attuale dei vari stati coinvolti, in questo vento millenario di morte, l’escalation belligerante che potrebbe coinvolgere le armi nucleari in territorio ucraino sono avvertite all’apice del nostro vissuto più prossime che nel nostro passato. L’ideologia di un punto di non ritorno è lì che attente ascosa dietro l’angolo e, secondo una diversa logica degli eventi conclamati, alcuni uomini lungimiranti possono addirittura scorgerne la coda.

Tuttavia ciò diventa possibile quando si vocifera allo stato di guerra, nulla è lasciato al caso! L’America e la Russia si lanciano reciproche accuse, presentandole come uniche e veritiere, lamentano l’offensiva mentre si contendono un vasto territorio, ciascuno per le proprie motivazioni, e nel caos della propaganda e della disinformazione ai comuni mortali tocca trarre conclusioni affrettate rinchiusi negli anfratti della propria lucidità. 

Chi potrebbe realmente giustificare la deflagrazione di una bomba atomica? 

Chi potrebbe definire se la pianificazione di una “bomba nucleare sporca” ripiegata sulle responsabilità di Mosca sia contestualmente notizia vera o falsa? 

Chi potrebbe stabilire l’esatta pianificazione delle forze ucraine nei confronti degli antagonisti russi?

E chi, in contropartita, potrebbe giustificarne il lancio se le ragioni della preoccupazione del Pentagono sulle falsità russe fossero infondate, ragion per cui le motivazioni della controparte russa ipotizzerebbero un grado di verità? 

Quindi in tal caso come potrebbe la Russia non coinvolgere il nucleare se l’Ucraina armata dall’America, probabilmente anch’essa con il nucleare, si appresti a farne un uso illecito su se stessa ripiegandone la detonazione su Vladimir Putin! 

Chi potrebbe in tal caso biasimarlo? Chi potrebbe esortarlo dal desistere, per quale motivo? 

Ciò che potrebbe distogliere dalla mente da una definita e corretta situazione strategica sul campo di battaglia in Ucraina é l’idea che la Russia possa aver sofferto una battuta d’arresto con il ritiro delle truppe della città di Kherson. Questa voce propagandata a lungo in questi ultimi due mesi è solo un espediente per accentuare la speme occidentale secondo la quale l’esercito russo abbia risentito il colpo del mantenere il territorio conquistato durante le prime settimane di invasione. Niente di più erroneo!

C’è un gran vociferare sugli eccessi dei calcoli errati del presidente Vladimir Putin. Il suo processo decisionale mutevole e impulsivo che rende, come scrivono, pericoloso l’evolversi della situazione ucraina dipende solo dall’effettiva continuità degli eventi concatenati al conflitto. Ormai è palese che l’annessione della Crimea del 2014, successivamente conclamata dietro regolare referendum proclamato nella penisola, assume un significato totemico, non che strategico, al fine di garantire un adeguato finale alla contesa che tuttora sembra non assurgere verso una pace tra le due fazioni. In effetti il leader russo è realmente convinto che il conflitto iniziato abbia una posta in gioco esistenziale per il suo paese, il suo regime e il suo governo, quindi diventa consapevole di non potersi permettere una disfatta, poiché perdere significherebbe sacrificare la Russia e il suo popolo al regime americano attualmente al potere degli Stati Uniti d’America.

Pochi crederebbero che in nessuna condizione il tintinnio delle sciabole nucleari del Cremlino tuonerebbe sui territori ucraini, ma nessuno vieta che possa essere addirittura Washington a poter far tuonare, direttamente o indirettamente, i primi afflati delle sue trombe mortali. In verità siamo di fronte al momento in cui non esiste alcuna forza rassicurante che desti dal pensare il contrario. L’unica assicurazione si comprime nella speranza di un ritorno alla normalità, perlomeno apparente.

E questo è un fatto altamente allarmante!

C’è inoltre un gran vociferare sulle possibilità che la Russia possa usare l’artiglieria nucleare su una potenza non nucleare nel caso in cui l’incolumità dello Stato russo possa essere a rischio di attacco, ma lo stesso Putin non ne farebbe uso per difendere i territori che, secondo il diritto internazionale, fanno parte dell’Ucraina. L’impiego di armi nucleari in territorio ucraino potrebbe nuocere alle forze russe, alle popolazioni civili della Crimea e dei recenti territori annessi del Donbass. 

Che tipo di impatto potrebbe avere nei confronti dei partner economici dello Stato russo qualora il presidente Vladimir Putin dovesse dare l’ordine di far esplodere un ordigno nucleare, anche se di bassa frequenza? Credo che in un momento di pura follia qualunque alleato o partner economico sarebbe travolto da una reazione negativa, quindi anche Cina India e Turchia in tal caso, ma noi siamo consapevoli che quello che sta accadendo non è uno stato di follia pura, piuttosto l’inizio di qualcosa che va ben oltre la razionalità. E nel momento in cui la stessa razionalità viene colpita dalla follia degli eventi, tutto ciò che convenzionalmente è impossibile diventa possibile… Ragion per cui credo che questa remota possibilità sia stata già ampiamente discussa e che Putin abbia pieno titolo delle sue azioni, a seconda di quelle che risulteranno avverse all’incolumità della sovranità della Russia.

Finora i leader ucraini hanno ipotizzato che la presenza americana di contrasto alla minaccia russa possa in qualche modo escludere l’uso delle armi nucleari, d’altronde sono sicuri che la deterrenza dell’America possa influenzare i calcoli del Cremlino, ma in realtà credo che i generali russi abbiano una precisa strategia tattica mirata a colpire la resistenza militare ostile presente sui territori invasi piuttosto che infierire direttamente sulle popolazioni civili; sta di fatto che l’uso di una forza convenzionale da parte degli Stati Uniti d’America, secondo loro, possa risultare schiacciante contro le risorse militari russe in Ucraina, al fine di evitare la minaccia di un attacco nucleare, inoltre essere di slancio per garantire la disfatta russa e quindi farlo desistere dal continuare.

Il primo errore commesso dai vari interlocutori occidentali è stato quello di dichiarare illegale l’annessione dei territori del sud-est ucraino nei quali, in realtà, è stato istituito un regolare referendum popolare controfirmato dai vari rappresentanti locali, desiderato e votato dal popolo autoctono la cui quasi totalità ha espresso, mediante un voto, la scissione definitiva dall’Ucraina in seguito alle crudeli barbarie inflitte senza motivo dalle milizie naziste ucraine e dagli eserciti nazionali minacciandone la loro stessa sopravvivenza. 

Nonostante la propaganda negativa e la disinformazione mediatica stiano cercando di dipingere l’avanzata russa come una continua disfatta senza pari, dalla realtà dei fatti evince che Vladimir Putin non vede l’annessione di questi territori – che per tradizione erano già appartenenti alla sua patria in seguito lasciati progredire singolarmente – come aspetto determinante della sua eredità, quanto piuttosto avverte la possibilità che la Russia possa rimanere preservata dall’ottemperanza occidentale transatlantica, in primis l’America, facendosi scudo esistenziale attraverso quei territori limitrofi, garantendone a sua volta la sicurezza, che ne garantirebbero l’incolumità nello spazio e nel tempo. 

Sul territorio di Crimea è un gran discutere, molti opinionisti ed esperti sono convinti che egli, il Presidente Putin, non sia in grado di difenderne i suoi confini sul piano di uno scontro di tipo convenzionale, a tal punto che l’impiego dell’arma nucleare possa diventare l’espediente che eviti di dipingerlo come debole agli occhi del Cremlino, minacciandone la stessa sopravvivenza politica interna. Ma ciò che sfugge quando si disserta sulle capacità del presidente russo è l’attendibilità. Il più delle volte si tralascia un elemento fondamentale per comprendere il suo eventuale stato di debolezza, il che potrebbe risultare solo apparente, quindi intendo la piena credibilità che il popolo russo attribuisce al suo leader politico e alle azioni ad esso confacenti per la difesa della sovranità culturale politica e religiosa del loro enorme paese. Il presidente Vladimir Putin non permetterebbe che il prossimo presidente russo sia un nuovo ulteriore Zelens’kyj! Il popolo russo è consapevole che il loro presidente  abbia difeso per anni i confini dello Stato, nonostante ci siano stati momenti di perplessità generati dalle false lusinghe occidentali, consapevole della sua visibilità agli occhi del mondo, consapevole che la sua eredità nel futuro, il dopo Putin, venga conclamata verso qualcuno che ne possa seguire le sue orme. Il popolo russo è consapevole che il regime imposto dal Cremlino è un sistema politico autoritario ma, in definitiva, molto più liberale di quello che subirebbe se fosse sopraffatto da un regime neoliberista di tipo occidentale. Il nostro sistema economico basato sul neoliberismo finanziario, avvertito come sinonimo di falsa democrazia, è molto più temuto dalle popolazioni e dai governi non affiliati alla Nato, in quanto l’adesione viene percepita come morte della sovranità di uno Stato, la morte di quella sovranità avvertita ormai da anni in quasi tutti gli stati membri della stessa organizzazione. 

Ragion per cui, nonostante sia convinto che l’impiego del nucleare rimanga solo un deterrente in extremis, nulla vieti che in caso di pericolo l’uso di armi nucleari, anche di bassa frequenza, diventi un modo come altri per difendere il territorio russo da un eventuale aggressione convenzionale e non.

Dal punto di vista di Mosca, i territori annessi dopo l’effettivo referendum legale, a differenza dell’opinione occidentale, appartengono di fatto alla Russia. Perderli a causa di un esercito invasore potenzialmente aggressore rappresenterebbe un anello di debolezza che potrebbe risultare indispensabile, secondo la convinzione di Putin, alla realizzazione dell’obiettivo dell’Occidente, nel sostenere l’Ucraina nel conflitto, di distruzione del paese optando per un cambio di regime al Cremlino. 

Di conseguenza la Cina non ritratterebbe i suoi rapporti con la Russia nel caso in cui la situazione dovesse precipitare, né lascerebbe che la sua influenza economica fosse di slancio per uno scoraggiamento. La Cina è consapevole che la problematica attuale ha un origine americana, ragion per cui il mantenimento dei rapporti con il regime russo sarebbe di scudo anche per se stessa, dopotutto anche i suoi rapporti con il governo americano, al momento congelati da calma apparente, è risaputo che non siano idilliaci, anzi piuttosto tesi e prossimi a terribili coinvolgimenti. La Cina conosce gli intenti della governance americana di voler destabilizzare la grandi potenze antagoniste per essere nuovamente artefice di un potere assoluto nel mondo. 

Per quel che concerne l’utilizzo della bomba atomica sui territori ucraini da parte del comando militare russo a nome di Vladimir Putin è un gran parlare in questi ultimi tempi. In Occidente i nomi altisonanti del mondo militare e politico sono quasi convinti che alla fine, pur di non perdere la sua guerra, egli sarebbe indotto a farne uso. Un dato di fatto, un dato per scontato, che implica l’impiego di tutti i mezzi militari bellici, ad opera della Nato in aiuto dell’Ucraina, al fine di destare l’operato del presidente russo costringendolo ad una resa forzata. Si pianificano strategie da applicare contro l’avanzata russa, che definirei piuttosto difesa dei territori finora martoriati dagli eserciti ucraini contro la popolazione civile filorussa, dando per scontato la sconfitta finale dell’esercito russo, senza altresì tenere in considerazione dell’effettiva potenza bellica di Mosca, la quale finora ha tenuto testa all’esercito ucraino nonostante sia aiutato dai mercenari della Nato presenti sul territorio, nonché coadiuvato dell’insieme dei mezzi armati occidentali inviati in soccorso. Questa situazione stabilisce le reali condizioni strategiche e militari del conflitto poiché mentre l’Occidente prospetta e propaganda un comportamento fallace da parte degli eserciti russi presenti nei territori del Donbass, nella realtà l’avanzamento russo ha finora liberato interi territori in precedenza controllati dagli eserciti nazisti ucraini, responsabili di violenze sulle popolazioni presenti sui luoghi dove, per conto di organizzazioni occidentali, essi esercitavano un controllo difensivo sulle basi militari strategiche e sui centri di ricerca biologici.

Dinnanzi allo sterminato silenzio incomprensibile, in contropartita, vorrei mettere in luce un aspetto che, alla luce dei fatti, non viene assolutamente considerato da coloro che hanno assunto la responsabilità di diffondere concetti e presupposti su questo conflitto. Siamo consapevoli di essere in presenza di due colossali potenze mondiali altamente belligeranti, entrambi contendenti un primato di supremazia militare, l’una non meno importante dell’altra, che vantano la presenza operativa di un coinvolgimento del tipo nucleare. 

Dunque, vorrei asserire che non sento palesare altro che cercare proseliti sulla possibilità che la Russia possa sganciare la prima bomba atomica del nuovo millennio contro un paese ad essa ostile, suggellando l’inizio di una nuova epopea di guerre che potrebbero assurgere a nuovi livelli di stragi di massa mai visti finora dalla fine della seconda guerra mondiale. Ma siamo egualmente consapevoli che anche gli Stati Uniti d’America possiedono un armamento nucleare degno di ampia considerazione, una nazione non meno pericolosa della sua antagonista russa, e vorrei aggiungere non meno predisposta a farne uso qualora ne fosse costretta o autorizzata. Siamo consapevoli che le azioni belligeranti del presidente Joe Biden non siano meno contraddittorie di quel che noi europei ci aspetteremmo da un presidente alleato. Anche la governance americana non ha escluso l’impiego del nucleare in caso di bisogno o di difesa, ragion per cui non escluderei che possa essere l’America a detonare la prima bomba atomica, in qualsivoglia stile prediliga, e quindi tornare ad essere nuovamente artefice di un genocidio di massa di portata colossale, come nel passato … ed aprire “les nouvelle dances macabres” in uno scenario di morte globale, difatti già reduce di aver compiuto una duplice detonazione nucleare nel Giappone segnante l’inizio della civiltà moderna alle spalle della dipartita di una civiltà vetusta di poco precedente, che rasenti l’ouverture di una nuova epopea, dalla governance stessa definita “the great reset”, che di gran lunga potremmo definire terza guerra mondiale.

Mi domando se questa guerra pianificata in Ucraina possa essere realmente fermata! Ebbene sì, sarebbe possibile, sarebbe una strategia lungimirante anche per il nuovo ordine mondiale… di quell’ordine delle cose che risiede nella mia mente ovviamente, e sarebbe possibile, seppur improbabile, soltanto se la governance degli Stati Uniti d’America decidesse di sedersi a tavolino con la Russia per varare le sorti delle popolazioni afflitte del Donbass e della rimanente nazione Ucraina, cresciuta negli ultimi anni in uno stato confusionale prettamente instabile! 

In fil di logica, sarebbe utile ricordare che l’America farebbe l’impossibile nel prevenire che la guerra nucleare raggiunga le sue soglie. Ciò che la sua governance teme è una possibile espansione conflittuale che possa giungere sulle coste americane, ragion per cui eviterebbe un conflitto diretto contro la Russia. Joe Biden conosce il suo antagonista russo e sa perfettamente che Vladimir Putin è un uomo di parola, un uomo che non scherza di fronte alla difesa della sua madre patria. Quindi immagino che la deterrenza nucleare valga per entrambi i paesi in contestazione come ultima risorsa effettiva, anche se purtuttavia non ne potremo essere certi!

È un gran ripetere che il presidente russo potrebbe agire d’impulso se gli accadimenti del conflitto dovessero scivolare rapidamente nell’ipotesi di veder deteriorare la situazione militare, rendendo qualunque azione diplomatica successiva pressoché impossibile. Ma sulla scia delle perplessità delle sorti del conflitto, nessuno evidenzia le eventuali reazioni avverse qualora la situazione militare ucraina, coadiuvata dalla presenza militare occidentale, dovesse prendere una piega negativa e costringere la nazione stessa alla resa. Sarebbe sensato porsi per lo meno il medesimo quesito, qualora il presidente americano Joe Biden dovesse imbattersi nella medesima situazione avversa e quindi poter agire anch’egli d’impulso, o meno!

Perché Vladimir Putin dovrebbe usare il nucleare in caso di bisogno e non invece Joe Biden, messo eventualmente alle strette dalla situazione ucraina che potrebbe, inverosimilmente, far insorgere contro di lui anche alcuni membri della sua alleanza in NATO, ad esempio? Entrambe artefici di potenza nucleare, perché si riversa qualunque responsabilità soltanto verso la Russia e non verso l’America?

In molti sperano che la Casa Bianca e il Cremlino possano alla fine raggiungere un accordo sul piano delle trattative… Mosca sembra disposta al dialogo anche se non cederà di un passo ciò che ha conquistato, in quanto la sua conquista compensa il martirio di intere popolazioni filorusse nel Donbass e il mantenimento degli stati cuscinetto finora conservati; Washington d’altra parte non sembra al momento interessata ad un accordo poiché su quel piano nella trattativa ne uscirebbe perdente con un pugno di mosche tra le mani, senza considerare la magra figura internazionale dinanzi alle potenze alleate della NATO, in tal caso segnerebbe un punto di sfavore nella sua altisonante presenza al suo interno. 

Per quel che concerne la situazione energetica, l’attacco alle infrastrutture ucraine in seguito all’esplosione del ponte di Crimea, rendendo quindi impossibili l’utilizzo di centrali elettriche e l’approvvigionamento idrico in Ucraina, segna un punto a favore per la Russia che in siffatta strategia piega di fatto l’avanzamento degli eserciti ucraini, costringendo la stessa popolazione all’esodo forzato in mancanza di acqua ed elettricità; d’altronde nelle nazioni occidentali la stessa strategia mira a ridurre l’approvvigionamento di gas naturale che, alle soglie di un clima invernale rigido, rende meno efficienti i depositi di gas, allorché si faranno i conti con il gelo e gli aumenti eccessivi per l’eventuale acquisto di gas liquefatto altamente costoso, la situazione prenderebbe una piega nefasta. 

Cosa accadrebbe qualora l’intendo di Vladimir Putin, ossia fermare l’avanzamento occidentale sfruttando la crisi energetica, dovesse ripiegare verso altre forme di approvvigionamento da parte dell’occidente e quindi porre l’America in vantaggio strategico rispetto alla Russia? Quale sarebbe la reazione del presidente russo? Controvertibilmente, cosa accadrebbe qualora la crisi energetica indotta dall’impossibilità di impiego delle fonti di approvvigionamento russe dovesse far crollare definitivamente il sostentamento finanziario occidentale? Quale sarebbe la ripercussione di Joe Biden in svantaggio strategico rispetto alla Russia? Come reagirebbe l’America in tal caso?

di Marius Creati 

“Traggo il mio punto di ispirazione dall’articolo del The Atlantic di Alexander Gabuev, da cui ho estrapolato la foto di copertina”

Putin’s doomsday scenario, by Marius Creati

Can we dismiss the notion of a remote possibility that Putin could finally involve nuclear power?

About a year after the start of the conflict in Ukraine, today more than ever we feel that we have reached a high level of alarm that threatens to trigger the fateful Armageddon, which anyone until now would have feared in the remote possibility of an almost impossible nuclear war. But in the current position of the various states involved, in this millennial wind of death, the belligerent escalation that could involve nuclear weapons on Ukrainian territory are felt at the peak of our experience more close than in our past. The ideology of a point of no return is there waiting around the corner and, according to a different logic of the full-blown events, some far-sighted men can even see its tail.

However this becomes possible when a state of war is rumored, nothing is left to chance! America and Russia launch accusations against each other, presenting them as unique and true, they lament the offensive while contending for a vast territory, each for their own reasons, and in the chaos of propaganda and disinformation mere mortals have to draw hasty conclusions locked up in the ravines of one’s own lucidity.

Who could really justify the explosion of an atomic bomb?

Who could define whether the planning of a “dirty nuclear bomb” folded on Moscow’s responsibilities is contextually true or false news?

Who could establish the exact planning of the Ukrainian forces against the Russian antagonists?

And who, in return, could justify its launch if the reasons for the Pentagon’s concern about Russian falsehoods were unfounded, which is why the motivations of the Russian counterpart would assume a degree of truth?

So in that case how could Russia not involve nuclear if the Ukraine armed by America, probably also with nuclear power, is preparing to make an illicit use of it on itself by folding its detonation on Vladimir Putin!

Who could blame him then? Who could exhort him to desist, for what reason?

What might distract one’s mind from a definite and correct strategic situation on the battlefield in Ukraine is the idea that Russia may have suffered a setback with the withdrawal of troops from the city of Kherson. This rumor that has been touted for a long time in the last two months is just a ploy to accentuate the Western hope that the Russian army felt the blow of holding the territory conquered during the first weeks of the invasion. Nothing more wrong!

There is a lot of talk about the excesses of President Vladimir Putin’s miscalculations. Its changeable and impulsive decision-making process which, as they write, makes the evolution of the Ukrainian situation dangerous depends only on the effective continuity of the events linked to the conflict. By now it is clear that the annexation of Crimea in 2014, subsequently confirmed after a regular referendum proclaimed in the peninsula, takes on a totemic meaning, as well as strategic, in order to guarantee an adequate ending to the dispute which still does not seem to lead to a peace between the two factions. In fact, the Russian leader is truly convinced that the conflict started has an existential stake for his country, his regime and his government, therefore he becomes aware that he cannot afford a defeat, since losing would mean sacrificing Russia and its people to the American regime currently in power of the United States of America.

Few would believe that under any conditions the jingle of the Kremlin’s nuclear sabers would thunder over the Ukrainian territories, but no one forbids that even Washington could be able to thunder, directly or indirectly, the first blasts of its deadly trumpets. In truth, we are facing the moment in which there is no reassuring force that arouses us from thinking otherwise. The only insurance is compressed in the hope of a return to normality, at least apparent.

And this is a highly alarming fact!

There is also a lot of talk about the possibility that Russia could use nuclear artillery on a non-nuclear power in the event that the safety of the Russian state could be at risk of attack, but Putin himself would not use it to defend the territories which, according to international law, are part of Ukraine. The use of nuclear weapons on Ukrainian territory could harm Russian forces and the civilian populations of Crimea and the recently annexed territories of Donbass.

What kind of impact could it have on the economic partners of the Russian state if President Vladimir Putin should give the order to detonate a nuclear device, even a low-frequency one? I believe that in a moment of pure madness any ally or economic partner would be overwhelmed by a negative reaction, therefore also China, India and Turkey in the case, but we are aware that what is happening is not a state of pure madness, rather the beginning of something that goes far beyond rationality. And when the same rationality is hit by the madness of events, everything that is conventionally impossible becomes possible… Which is why I believe that this remote possibility has already been widely discussed and that Putin has full rights for his actions, depending on those which will prove adverse to the safety of Russia’s sovereignty.

So far, Ukrainian leaders have hypothesized that the American presence to counter the Russian threat could somehow exclude the use of nuclear weapons, on the other hand they are sure that America’s deterrence could influence the Kremlin’s calculations, but in reality I believe that the Russian generals have a precise tactical strategy aimed at striking the hostile military resistance present on the invaded territories rather than directly inflicting violence on the civilian populations; the fact remains that the use of a conventional force by the United States of America, according to them, could be overwhelming against Russian military resources in Ukraine, in order to avoid the threat of a nuclear attack, furthermore be a stimulus to ensure the Russian defeat and thus make it desist from continuing.

The first mistake made by the various Western interlocutors has been that of declaring illegal the annexation of the territories of south-eastern Ukraine in which, in reality, a regular popular referendum was instituted, countersigned by the various local representatives, desired and voted for by the indigenous people who almost all expressed, by a vote, the definitive split from Ukraine following the cruel barbarism inflicted without reason by the Ukrainian Nazi militias and by the national armies threatening their own survival.

Although the negative propaganda and media disinformation are trying to paint the Russian advance as a continuous defeat without equal, the reality of the facts shows that Vladimir Putin does not see the annexation of these territories – which traditionally already belonged to his homeland then let them to progress individually – as a determining aspect of his legacy, but rather warns the possibility that Russia could remain preserved from transatlantic Western compliance, America first and foremost, making itself an existential shield through those neighboring territories, guaranteeing in turn their security, which would guarantee the safety in space and time.

On the territory of Crimea is a great discussion, many commentators and experts are convinced that he, President Putin, is unable to defend his borders on the level of a conventional type clash, such that the use of the weapon nuclear power could become the expedient that avoids portraying him as weak in the eyes of the Kremlin, threatening his internal political survival. But what escapes when discussing the capabilities of the Russian president is reliability. Most of the time a fundamental element is left out to understand his possible state of weakness, which could only be apparent, I therefore mean the full credibility that the Russian people attribute to their political leader and to the actions suited to him for the defense of cultural political and religious sovereignty of their huge country. President Vladimir Putin would not allow that the next Russian president is another additional Zelensky! The Russian people are aware that their president has defended the borders of the state for years, despite there having been moments of perplexity generated by false Western flattery, aware of his visibility in the eyes of the world, aware that his legacy in the future, the aftermath Putin, is acclaimed to someone who can follow in his footsteps. The Russian people are aware that the regime imposed by the Kremlin is an authoritarian political system but, ultimately, much more liberal than what it would suffer if it were overwhelmed by a Western type neoliberal regime. Our economic system based on financial neoliberalism, perceived as synonymous of false democracy, is much more feared by populations and governments not affiliated with NATO, as membership is perceived as the death of a state’s sovereignty, the death of that sovereignty felt for years by now in almost all member states of the same organization.

Which is why, although I am convinced that the use of nuclear power remains only a deterrent in extremis, nothing forbids that in case of danger the use of nuclear weapons, even of low frequency, becomes a way like any other to defend Russian territory from any conventional or non-conventional aggression.

From Moscow’s point of view, the territories annexed after the actual legal referendum, unlike Western opinion, actually belong to Russia. Losing them to a potentially aggressive invading army would represent a weak link that could result indispensable, according to Putin’s conviction, to the realization of the West’s goal of supporting Ukraine in the conflict, of destroying the country by opting for a regime change in the Kremlin.

Consequentially, China would not retract its relationship with Russia should the situation escalate, nor it would let its economic influence was the impetus for a discouragement. China is aware that the current problem has an American origin, which is why maintaining relations with the Russian regime would also be a shield for itself, after all, even its relations with the American government, currently frozen by apparent calm, it is well known that are not idyllic, indeed rather tense and close to terrible entanglements. China knows the intentions of American governance to want to destabilize the great antagonistic powers to be once again the architect of absolute power in the world.

As for the use of the atomic bomb on the Ukrainian territories by the Russian military command in the name of Vladimir Putin is a lot of talk in recent times. In the West, the high-sounding names of the military and political world are almost convinced that in the end, in order not to lose his war, he would be induced to make use of it. A fact, a fact taken for granted, which implies the use of all military means of war, by NATO in aid of Ukraine, in order to arouse the action of the Russian president forcing him into a forced surrender. Strategies are planned to be applied against the Russian advance, which I would rather define as defense of the territories until now martyred by the Ukrainian armies against the pro-Russian civilian population, taking for granted the final defeat of the Russian army, without also taking into consideration the effective war power of Moscow, which so far has stood up to the Ukrainian army despite being helped by NATO mercenaries present in the area, as well as assisted by all the Western armed means sent to the rescue. This situation establishes the real strategic and military conditions of the conflict since while the West envisages and propagandizes a fallacious behavior by the Russian armies present in the territories of Donbass, in reality the Russian advance has up to now liberated entire territories previously controlled by the Nazi Ukrainians armies, responsible for violence against the populations present in places where, on behalf of Western organizations, they exercised defensive control over strategic military bases and biological research centres.

In the face of the endless incomprehensible silence, in counterpart, I would like to highlight an aspect which, in the light of the facts, is absolutely not considered by those who have assumed the responsibility of disseminating concepts and assumptions about this conflict. We are aware that we are in the presence of two colossal highly belligerent world powers, both contending for a primacy of military supremacy, one no less important than the other, which boast the operational presence of an involvement of the nuclear type.

Therefore, I would like to assert that I hear nothing but seek proselytes about the possibility that Russia could drop the first atomic bomb of the new millennium against a country hostile to it, sealing the beginning of a new epic of wars that could rise to new levels of mass massacres never seen since the end of the Second World War. But we are equally aware that the United States of America also possesses a nuclear weapon worthy of wide consideration, a nation no less dangerous than its Russian antagonist, and I would add no less arranged to use it if forced or authorized to do so. We are aware that President Joe Biden’s belligerent actions are no less contradictory than what we Europeans would expect from an allied president. Even American governance has not ruled out the use of nuclear power in case of need or for defence, which is why I would not exclude the possibility that America may detonate the first atomic bomb, in whatever style it prefers, and then go back to being the creator again of a mass genocide of colossal scope, as in the past … and to open “les nouvelle dances macabres” in a scenario of global death, in fact already veteran of having carried out a double nuclear detonation in Japan marking the beginning of modern civilization behind the departure of a slightly previous antiquated civilization, which borders on the overture of a new epic, defined by the same governance as “the great reset”, which by far we could define as the third world war.

I wonder if this planned war in Ukraine can actually be stopped! Well yes, it would be possible, it would be a forward-looking strategy also for the new world order… of that order of things that obviously resides in my mind, and it would be possible, albeit unlikely, only if the governance of the United States of America decided to sit down at the table with Russia to decide the fate of the afflicted populations of Donbass and of the remaining Ukrainian nation, which has grown in recent years in a purely unstable state of confusion!

Logically, it would be useful to remember that America would do everything possible to prevent nuclear war from reaching its threshold. What its governance fears is a possible conflict expansion that could reach American shores, which is why it would avoid a direct conflict against Russia. Joe Biden knows his Russian antagonist and knows perfectly well that Vladimir Putin is a man of his word, a man who does not joke in the defense of his mother country. So I guess nuclear deterrence applies to both contesting countries as an effective last resort, though still we can’t be sure!

It is a great repetition that the Russian president could act on impulse if the events of the conflict were to slip rapidly into the hypothesis of seeing the military situation deteriorate, making any subsequent diplomatic action almost impossible. But in the wake of the perplexities of the fate of the conflict, no one highlights any adverse reactions if the Ukrainian military situation, assisted by the Western military presence, should take a negative turn and force the nation itself to surrender. It would make sense to ask at least the same question, if should US President Joe Biden encounter the same adverse situation and therefore be able to act on impulse too, or not!

Why should Vladimir Putin use nuclear energy in case of need and not Joe Biden instead, possibly cornered by the Ukrainian situation which could, improbably, also make some members of his NATO alliance rise up against him, for example? Both architects of nuclear power, why is any responsibility directed only towards Russia and not towards America?

Many hope that the White House and the Kremlin can eventually reach an agreement on the level of negotiations … Moscow seems willing to dialogue even if it will not give up a step what he has conquered, as its conquest compensates for the martyrdom of entire pro-Russian populations in the Donbass and the maintenance of the hitherto preserved buffer states; Washington on the other hand does not seem interested in an agreement at the moment since on that level in the negotiation it would lose out with a fistful of flies in its hands, without considering the meager international figure vis-à-vis the allied powers of NATO, in which case it would score a point unfavorable in its high-sounding presence within it.

In regards to the energy situation, the attack on Ukrainian infrastructure following the explosion of the Crimean bridge, thus making it impossible to use power plants and water supply in Ukraine, marks a point in favor for Russia which in such a strategy it effectively bends the advance of the Ukrainian armies, forcing the same population into a forced exodus due to lack of water and electricity; on the other hand, in western nations the same strategy aims to reduce the supply of natural gas which, on the threshold of a harsh winter climate, makes gas deposits less efficient, when they come to terms with frost and excessive increases for the eventual purchase of highly expensive liquefied gas, the situation would take a nefarious turn.

What would happen if Vladimir Putin’s intention, that is stopping Western progress by exploiting the energy crisis, were to refold on other forms of supply from the West and therefore put America at a strategic advantage over Russia? What would be the reaction of the Russian president? Controversially, what would happen if the energy crisis induced by the impossibility of using Russian sources of supply were to permanently collapse Western financial livelihoods? What would be the repercussion of Joe Biden at a strategic disadvantage behind Russia? How would America react in that case?

by Marius Creati

“I take my point of inspiration from the article in The Atlantic by Alexander Gabuev, from which I extrapolated the cover photo”

Nuova Emergenza: Morti e Malori Improvvisi, incontro a Pescara

February 23, 2023 Leave a comment

Un incontro-dibattito sulla questione dei malori e delle morti improvvise è in programma lunedì 27 febbraio alle ore 18:30 nella sala consiliare del Comune di Pescara.

Tra gli altri saranno presenti tra gli altri il professor Giovanni Frajese, endocrinologo delòl’università di Roma “Foro Italico”, il giornalista Francesco Borgonovo, vicedirettore del quotidiano La Verità, il promotore della commissione d’inchiesta covid Galeazzo Bignami, deputato e viceministro alle Infrastrutture e Trasporti.

Introduce Carola Profeta, responsabile dipartimento Famiglia di Fratelli d’Italia Provincia di Pescara, saluti di Nicoletta Di Santo, vicepresidente del circolo di Pianella di Fratelli d’Italia. Modera il giornalista Paolo Sinibaldi.

«Ma il dibattito sull’emergenza malori improvvisi parte dall’Abruzzo con la proposta di un registro malori e screening cardiovascolari con particolare attenzione alla fascia 0-14», dicono gli organizzatori.

#fratelliditalia #maloriimprovvisi #difesadeiminori# politichediconfine

MALORI IMPROVVISI chiediamo giustizia

February 23, 2023 Leave a comment
Categories: Cultura News, Warning

Qatargate, lacrime di coccodrillo nello scandalo UE

December 15, 2022 Leave a comment

In queste ore, con lo scandalo del cosiddetto “Qatargate”, c’è chi a Bruxelles, come la Presidente maltese dell’Europarlamento, Roberta Metsola, manifesta il proprio disappunto su quanto accaduto affermando che: “la democrazia europea è sotto attacco”, come se la favola dell’Unione Europea, raccontataci per anni nelle scuole e dalla quasi totalità degli organi d’informazione, non si fosse trasformata nell’incubo che ormai tutti i cittadini ben conoscono e della quale hanno contezza anche i bambini più innocenti.

C’è chi, poi, è fuori di sé, come il francese e deputato dei verdi, David Cormand: ”perché”, come ha affermato egli stesso: “quando si fa correttamente il proprio lavoro al parlamento europeo, vedere queste attitudini che portano discredito a tutti, fa male.”

A questo punto, quasi, quasi, ci verrebbe da dirgli … “povera stellina!

Ma davvero costui è in buona fede? Non sa forse che la democrazia europea, fino a prova contraria, non è mai esistita e, in merito, poi, al cosiddetto corretto lavoro dell’europarlamento, in che cosa mai sarebbe consistito e cosa c’è mai stato di corretto?

È infatti notorio all’universo mondo che quasi tutte le grandi multinazionali, le organizzazioni, e anche le Ong, hanno almeno un ufficio nella capitale europea, e tra i corridoi e i bar dei “Palazzi”, non è difficile notare i rappresentanti di queste organizzazioni, sono infatti più di 15 mila, registrati presso il Parlamento Europeo, riconoscibili dai loro badge color marrone portati al collo, intenti nel loro lavoro di lobbista: influenzare, cioè, le decisioni delle istituzioni europee, e che, come da regolamento comunitario, non possono essere respinti dagli eurodeputati.

Ed è proprio questo il peccato originale dell’UE, croce e delizia di tutti i burocrati comunitari, essere cioè parte, non di un Super Stato come forse anelava Altiero Spinelli o di una qualsivoglia Istituzione Politica, ma, di un aggregato di mercanti, di faccendieri, di apolidi, di voltagabbana. Roba, insomma, che, la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, a confronto, oggi risulterebbe essere “La Città del Sole” di Tommaso Campanella.

Questi politici comunitari, in altre parole, si venderebbero anche la madre per una valigia carica di soldi, altro che ideali e diritti inalienabili dell’umanità.

Nello specifico, infatti, non è per me scandaloso che taluni deputati abbiano potuto sposare o promuovere, la visione del mondo proposta dalla monarchia qatarina se questa visione avesse un’impostazione di tipo  ideologica e quindi sincera.

Personalmente io non sono un estimatore del Regno del Qatar, non ne condivido le politiche, ma non per questo non rispetto chi, invece, ha un’opinione diametralmente opposta alla mia.

Altra cosa, invece, è sposare la visione di un Paese non perché si è estimatori dello stesso ma molto più semplicemente perché si è attratti dai denari che, personalmente, ci si potrebbe ritrovare elargiti da quest’ultimo qualora se ne decanti le lodi.

Ad esempio, se questo giornale è apertamente filorusso, come lo è, non lo è certo perché si è mai ricevuto il ben che minimo piacere da parte del Cremlino, ma molto più semplicemente perché la Russia di Putin rappresenta, per noi, l’ultimo baluardo di un mondo tradizionale e sovranista.

D’altronde se non fosse così non si capirebbe il perché – benché nessuno Stato occidentale, a parole, non abbia mai condiviso le politiche sessiste, omofobe, religiose e lavorative, di Doha – la FIFA abbia assegnato nel 2010 i mondiali di calcio, attualmente in corso, proprio al Qatar.

Allo stesso modo, se la Russia è stata sanzionata, per l’invasione dell’Ucraina, anche con l’esclusione da ogni competizione calcistica internazionale sia dalla FIFA che dalla UEFA, non si capisce perché un simile trattamento non sia stato riservato a Paesi come il Qatar, piuttosto che l’Iran o la Cina.

Semplice! 

Perché, in realtà, l’Occidente non ha più il boccino tra le mani per decidere, in modo unilaterale, chi fa chi e chi fa cosa, e, ancor più francamente, perché la nostra supremazia culturale, o meglio gli sviluppi di essa, non è più tale rispetto a quella del cosiddetto mondo emergente.

Vige, in altri termini, in questo particolare momento storico, il più fervido relativismo culturale per il quale ciò che è giusto per noi non è detto che lo sia altrettanto per gli altri. 

Siamo quindi in presenza di un pensiero debole e quando il pensiero è debole l’argent può tutto.

Capita così che una bella donna come la greca Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento Europeo, venga arrestata, nonostante l’immunità parlamentare, perché colta in flagranza di reato. Infatti nella sua abitazione sono stati ritrovati letteralmente “sacchi di banconote”.

Questa è l’icona di una degenerazione politica che coinvolge principalmente la sinistra europea perché essa è fondamentalmente permeata, più di altre forze, dalla setta di Davos, e quindi da George Soros & Co., che sono notoriamente interessati a orientare le istituzioni internazionali ed i governi.

Non a caso sono coinvolte anche delle Ong quali, ad esempio “No Peace Without Justice”, fondata da Emma Bonino, e che tradotto in italiano significa “Non c’è pace senza giustizia”, così come la “Fight impunity” che tradotto significa “Combatti l’impunità” e il cui Presidente è l’ex eurodeputato del Pd e di Articolo 1, Antonio Panzeri. 

Nomi di organizzazioni, quindi, coscientemente altisonanti e nobilitanti, ma che, nella realtà, stando all’inchiesta belga, sarebbero solo servite a nascondere operazioni di riciclaggio in favore di una penetrazione qatarina nel vecchio continente, e, a questo punto, la situazione si fa più delicata.

Infatti dietro questa monarchia del Golfo ci sarebbe la Cina che, attraverso Doha, cercherebbe di aggirare lo stop americano alla Via della seta in Europa.

Ora gli interessi sino-qatarini, negli ultimi, anni sono cresciuti a dismisura e la Guerra in Ucraina non ha fatto altro che rafforzarli.

D’altronde lo scopo di Pechino, in questo frangente, è proprio quello di diversificare le proprie fonti di approvvigionamento energetico ed essere meno vulnerabile alle turbolenze della guerra in corso che, si badi bene, non si sta combattendo apertamente solo in Ucraina ma, in maniera sotterranea, anche nel Pacifico e Taiwan, in questo caso, altro non è che la punta dell’iceberg.

Per Pechino l’internazionalizzazione dello yuan è un chiodo fisso e nel 2015 a Doha è stato aperto il primo centro di compensazione delle transazioni in valuta cinese per potenziare la presenza economica della Repubblica Popolare nei Paesi del Golfo”; ma non solo, la Terra del Celeste Impero è il Paese che importa la maggiore quantità di GNL a livello mondiale e i suoi principali fornitori sono l’Australia, il Qatar e gli Stati Uniti. 

Ora però, i rapporti con l’Australia sono divenuti difficili e con gli Usa sono pessimi, pertanto la fonte qatarina è diventa strategicamente essenziale per Pechino, ed è in quest’ottica che va inquadrato l’accordo tra Pechino e Doha che prevede una fornitura di gas naturale liquefatto (GNL) di 4 milioni di tonnellate l’anno per i prossimi 27 anni, a partire dal 2026.

Dunque, non è un caso che le aziende cinesi abbiano sponsorizzato il Mondiale per quasi 1,4 miliardi di dollari, superando quelle degli Stati Uniti, che hanno investito 1,1 miliardi. Inoltre, è stata la China Railway construction corp international, a costruire, per un costo totale di 770 milioni di dollari, Lusail, il più grande stadio del Qatar.

Ma prima che accadesse ciò il Qatar faceva comodo agli Stati Uniti.

Infatti la monarchia qatarina da sempre accoglie e protegge la diaspora della Fratellanza Musulmana, un movimento integralista giudicato sovversivo e pericoloso da molti paesi arabi e islamici, ma che, si badi bene, è stata protagonista delle primavere arabe e, conseguentemente, assai interessante per gli occidentali nell’ottica del dividi ed impera in Magreb.

Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, non è detto che le ciambelle escano sempre con il buco. Testimonianza ne è che tra le fila della Fratellanza sono cresciuti i leader di Hamas prima e di Al Qaida poi.

A Doha, invece, è vissuto in esilio, fino alla morte sopraggiunta, lo scorso settembre, Yusouf Al Qaradawi, il predicatore simbolo della Fratellanza Musulmana autore di una fatwa in cui pronosticava la riconquista di Roma “attraverso la predicazione e le idee”.

Ma tutto questo la bella Alessandra Moretti, così impegnata a spalare letame sul Cremlino e la Russia, non lo sa, ed è forse  per questo che in un post su Facebook nel febbraio del 2020 scrisse: << Sono di rientro da Doha dove sono stata relatrice al convegno “Social Media, challenges and ways to promote freedom”. Ho parlato di hate speech e fake news. Ho incontrato tante giovani che si battono per la parità di genere. Qui in Qatar >>, ecco, << stanno facendo passi in avanti nella tutela dei diritti anche delle donne e dei lavoratori. Siamo andati a visitare uno degli 8 stadi che stanno costruendo in vista dei Mondiali di calcio 2022 e abbiamo verificato le condizioni di vita di chi sta offrendo manodopera per la realizzazione degli impianti (…) >>.

Chissà, invece, cosa sapevano o pensavano personaggi come il segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc), Luca Visentini, ex Segretario Generale dell’Unione Regionale UIL del Friuli Venezia Giulia e membro del consiglio generale del comitato esecutivo della UIL, nonché Segretario Generale della Camera Confederale del Lavoro di Trieste, Nicolò Figà -Talamanca, segretario generale della Ong fondata da Emma Bonino “No Peace Without Justice” e il compagno della vicepresidente del Parlamento Europeo Francesco Giorgi, già assistente di Antonio Panzeri e ora assitente di Andrea Cozzolino, deputato europeo del Pd, quest’ultimo, come la Moretti, non coinvolto nell’inchiesta?

Vedendo tutti questi nomi ci si rende conto di come l’Italia sia nell’occhio del ciclone e di come, siamo franchi, chi oggi vuole rovesciare il tavolo, cioè gli Stati Uniti, abbiano acconsentito affinché il nostro Paese si impelagasse con i qatarini, giacché, sempre per correttezza, è inutile ricordare che in Italia non c’è foglia che si muova che l’Amerika non voglia.

Così, nel “Bel Paese” sono arrivati, dopo il 2013, circa 25 milioni di euro della «Qatar Charity» con cui l’Unione delle Comunità Islamiche in Italia (Ucoii) conta di realizzare ben 45 progetti per la costruzione di moschee, luoghi di preghiera e centri culturali islamici. Il tutto mentre Al Qaradawi suggerisce di destinare qualche spicciolo anche al Caim, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza. 

Un’intuizione a dir poco geniale visto che, subito dopo, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, fece eleggere nelle liste Pd e accogliere in Consiglio Comunale, la militante islamica Sumaya Abdel Qader. 

Una militante orgogliosamente velata formatasi, guarda caso, tra le fila del Forum Europeo delle Donne Musulmane, braccio operativo della Fratellanza Musulmana a Bruxelles. 

Una mossa che alla luce delle attuali cronache la dice lunga sui rapporti intessuti dal Pd con l’Ucoii e i suoi referenti internazionali. 

Legami confermati dalle scelte dell’ex-ministro della giustizia Andrea Orlando firmatario, nel 2016, della convenzione che affida proprio agli imam dell’Ucoii il compito di prevenire la penetrazione nelle carceri dell’Islam radicale. 

Una mossa che equivale a mettere la volpe nel pollaio.

Mah, all’epoca, a Washington ciò andava bene perché il Qatar era funzionale alla lotta contro l’Iran e la Siria degli Assad.

Ecco perché, l’azione attuale di un altro spregiudicato come Massimo D’Alema, intento ad accompagnare i qatarini in Sicilia per l’acquisto degli stabilimenti della Russa Lukoil viene vista dagli Stati Uniti con grande sospetto, perché potrebbe aprire le porte non tanto a Doha, quanto a Pechino.

Insomma, l’Italia e l’Europa, si confermano, anche in questo frangente, terra di conquista e di guerre per procura dove gli Usa, ad esempio, con lo scoppio della guerra in Ucraina, hanno messo economicamente in ginocchio la Germania (la Nazione più coinvolta con il “Dragone”) e hanno riallineato Paesi come il nostro alle logiche stringenti della Nato, mentre dovremmo essere noi, e solo noi italiani, a scegliere liberamente, secondo un impianto mentale ideologico, strategico ed economico con chi rapportarci, siano essi qatarini, cinesi, piuttosto che americani o russi … e non certo per la vile convenienza del singolo individuo quanto per il benessere della Nazione!

Lorenzo Valloreja

Fonte: L’Ortis

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Lettera personale ai Giudici della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana – dichiarazione di intenti / richiesta di abolizione delle vaccinazioni anti-Covid – 30 novembre 2022 – di Marius Creati

November 30, 2022 Leave a comment

Lettera personale ai

Giudici della Corte Costituzionale

della Repubblica Italiana

– dichiarazione di intenti /

richiesta di abolizione delle vaccinazioni anti-Covid –

30 novembre 2022

Lettera ai Giudici della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana – dichiarazione di intenti/ richiesta di abolizione definitiva delle vaccinazioni anti-Covid del 30 novembre 2022

Esimi Giudici della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, 

in considerazione dei Vostri molteplici impegni vorrei dapprima ringraziare nell’eventualità che possiate leggere la mia lettera. Le mie nobili intenzioni sono pressoché modulate dall’insieme degli accadimenti drammatici che, in questi ultimi quasi tre anni, hanno investito clamorosamente, seppur drammaticamente, il nostro ben amato paese, l’Italia, una nazione che amo nell’immensurabile e che ho imparato ad amare nel perdurare dei miei anni di vita, nonostante nel mio passato, durante la mia giovinezza, abbia preferito spesso volgere il mio sguardo altrove, verso l’estero, perché non era coeva l’intersezione tra le sue bellezze naturali e la dimensione del suo benessere, un paese per il quale, in via della sua amabile virtù nonostante le barriere del tempo e dello spazio e la comprensione degli atti pressoché avvicendati nei vari accadimenti dell’ultimo trentennio, ho scelto di dimensionare nella politica attuale a difesa della nostra incolumità fisica, morale ed intellettuale.

Sono figlio di un’Italia oggi minore, ma fiera di essere stata una potenza mondiale, a cavallo tra due secoli importanti, seppur drammatici nel complesso, avendo vissuto la fine dell’era industriale del novecento e l’avvento della neo era tecnologica, oggi dominio nascente della robotica e dell’ingegneria genetica. L’umanità farà passi da gigante di qui a poco. A noi spetta il compito esimio di sostenere le nuove generazioni vittime di un’era multitasking e confusionaria nella quale si sono imbattute improvvisamente ancora prive di quel bagaglio cognitivo di ben più ampio prospetto e ridimensionato oltretutto da molteplici disavventure di enorme complessità.

Scrivo questa missiva solenne, indirizzandomi a Voi, Esimi Signori Giudici, e mi rimetto al vostro giudizio di uomini eruditi e ampiamente evoluti nel pensiero lungimirante e traslitterato verso un futuro sempre più dinamico e dispersivo, quale figlio devoto di una nazione sofferente e mal nutrita nell’animo, ferita da continui contraccolpi epocali che la sospingono lentamente verso un degrado viscerale irrefrenabile, quello della povertà silenziosa che, dapprima uccide il pensiero, ed in secondo luogo lascia i suoi figli, i nostri cittadini italiani, nell’ombra dell’incertezza del domani.

A Voi, Esimi Giudici della Consulta, che dovete riunirvi per decidere sulle sorti di vita e di morte del futuro italiano, un compito assai arduo affidato nelle vostre caute mani di giudici esperti e giuristi coscienziosi, mi rimetto al Vostro giudizio e Chiedo quale portavoce di un’Italia che teme e soffre e ha intimamente paura dinanzi alla possibilità che le vaccinazioni, di cui dovrete discutere, possano diventare terrore che scorre nelle arterie obbligandone l’inoculazione involontaria, a Voi che dovete prendere una decisione epocale, assurgere ad un fardello da dover gravare sulle spalle senza scampo alcuno, Chiedo nella piena umiltà delle mie facoltà di giudizio di rendere il mio popolo, il nostro popolo, il popolo italiano, finalmente libero di dover decidere volontariamente della propria vita affinché ogni traslitterazione sanitaria torni all’origine, ad essere quello che è sempre stato, un sistema al servizio dell’umanità per l’umanità e non uno scopo di diversa natura.

Esimi Signori Giudici della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, in nome di un Dio pantocratore che ci rende simili dinanzi ad esso, e liberi di vivere una vita dinanzi al diritto di scelta, oggi vi Chiedo pertanto di non lasciarci cadere nell’omertà della disconoscenza di un Dio minore, il quale non riconosce nella sua grandezza che l’integrità degli uomini risiede innanzitutto nella sua sovranità individuale.

Nel pieno rispetto che nutro nelle Vostre autorevoli figure giuridiche, siate una guida encomiabile di spirito, in prossimità di un Natale che non sia esecrabile, ma che possa essere d’esempio per una rinascita solidale e sentita, in nome dello spirito di quello stesso Natale per cui tutti noi ci poniamo di fronte al creatore in nome di un suo figlio che si è lasciato flagellare ed uccidere per la nostra salvezza. A Voi miei sentiti Signori Giudici, Chiedo pertanto di essere giusti nell’intimo di Voi stessi, ed in secondo luogo di essere probiviri nella legalità.  Un giusto vi saluta di cuore. In fede.

Cordialmente,

Marius Creati

Pescara 30, novembre 2022

Dissertazione sulla guerra nucleare nel conflitto in Ucraina con Morgan Williams / Central Station Records in Australia, di Marius Creati (parte 2)

November 4, 2022 Leave a comment

Morgan Williams è un ex segretario privato al Parlamento della Nuova Zelanda, ora co-proprietario della grande azienda australiana Central Station Pty Ltd.

Si occupa di transazioni internazionali nel settore della distribuzione finanziaria, della distribuzione commerciale, della discografia, dell’immobiliare, dell’esportazione di materie prime. 

Gode di enorme influenza commerciale nel continente australiano, la cui società è conosciuta a livello internazionale.

MORGAN: Vorrei che lei commentasse l’articolo di Eric Schlosser sulle condizioni del conflitto in Ucraina

E se la Russia usasse armi nucleari in Ucraina?

Uno sguardo agli scenari cupi e al playbook degli Stati Uniti per ciascuno di Eric Schlosser

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La dodicesima direzione principale del Ministero della Difesa russo gestisce una dozzina di strutture centrali di stoccaggio per armi nucleari. Conosciuti come siti “Oggetto S” e sparsi in tutta la Federazione Russa, contengono migliaia di testate nucleari e bombe all’idrogeno con un’ampia varietà di rendimenti esplosivi. Negli ultimi tre mesi, il presidente Vladimir Putin e altri funzionari russi hanno minacciosamente minacciato di usare armi nucleari nella guerra contro l’Ucraina. Secondo Pavel Podvig, direttore del Russian Nuclear Forces Project ed ex ricercatore presso l’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca, ora con sede a Ginevra, i missili balistici a lungo raggio schierati a terra e sui sottomarini sono le uniche armi nucleari russe disponibili per un uso immediato. Se Putin decide di attaccare l’Ucraina con armi nucleari “tattiche” a corto raggio, dovranno essere rimosse da un sito Object S, come Belgorod-22, a sole 25 miglia dal confine ucraino, e trasportate in basi militari. Ci vorranno ore per preparare le armi al combattimento, per accoppiare le testate con missili da crociera o missili balistici, per caricare bombe all’idrogeno sugli aerei. Gli Stati Uniti molto probabilmente osserveranno il movimento di queste armi in tempo reale: per mezzo di sorveglianza satellitare, telecamere nascoste lungo la strada, agenti locali con un binocolo. E questo solleverà una questione di importanza esistenziale: cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti?

Il presidente Joe Biden ha chiarito che qualsiasi uso di armi nucleari in Ucraina sarebbe “completamente inaccettabile” e “comporterebbe gravi conseguenze”. Ma la sua amministrazione è rimasta pubblicamente ambigua su quali sarebbero state queste conseguenze. Questa ambiguità è la politica corretta. Tuttavia, devono esserci discussioni e dibattiti aperti anche al di fuori dell’amministrazione su ciò che è veramente in gioco. Durante l’ultimo mese, ho parlato con molti esperti di sicurezza nazionale ed ex funzionari del governo della probabilità che la Russia usi armi nucleari contro l’Ucraina, i probabili obiettivi e la corretta risposta americana. Sebbene fossero in disaccordo su alcune questioni, ho sentito ripetutamente lo stesso punto: il rischio di una guerra nucleare è maggiore oggi che in qualsiasi altro momento dalla crisi dei missili cubani. E le decisioni che dovrebbero essere prese dopo un attacco nucleare russo contro l’Ucraina sono senza precedenti. Nel 1945, quando gli Stati Uniti distrussero due città giapponesi con le bombe atomiche, era l’unica potenza nucleare del mondo. Nove paesi ora possiedono armi nucleari, altri potrebbero presto ottenerle e il potenziale che le cose vadano terribilmente male è notevolmente aumentato.

Sembrano possibili diversi scenari su come la Russia potrebbe presto utilizzare un’arma nucleare: (1) una detonazione sul Mar Nero, che non ha causato vittime ma dimostrando la determinazione a varcare la soglia nucleare e segnalando che il peggio potrebbe arrivare, (2) un attacco di decapitazione contro la leadership ucraina, tentando di uccidere il presidente Volodymyr Zelensky e i suoi consiglieri nei loro bunker sotterranei, (3) un assalto nucleare a un obiettivo militare ucraino, forse una base aerea o un deposito di rifornimenti, che non ha lo scopo di danneggiare i civili, e (4 ) la distruzione di una città ucraina, causando ingenti vittime civili e creando terrore per accelerare una rapida resa, gli stessi obiettivi che hanno motivato gli attacchi nucleari a Hiroshima e Nagasaki.

Qualsiasi risposta dell’amministrazione Biden sarebbe basata non solo su come la Russia utilizza un’arma nucleare contro l’Ucraina ma anche, cosa più importante, su come il comportamento futuro della Russia potrebbe essere influenzato dalla risposta americana. Incoraggerebbe Putin a fare marcia indietro o a raddoppiare? I dibattiti della Guerra Fredda sulla strategia nucleare si sono concentrati sui modi per anticipare e gestire l’escalation di un conflitto. All’inizio degli anni ’60, Herman Kahn, un importante stratega della Rand Corporation e dell’Hudson Institute, inventò una metafora visiva per il problema: “la scala dell’escalation“. Kahn è stata una delle principali ispirazioni per il personaggio del dottor Stranamore nel classico film di Stanley Kubrick del 1964, eppure la scala dell’escalation rimane un concetto centrale nel pensare a come combattere una guerra nucleare. La versione della scala di Kahn aveva 44 gradini. In fondo c’era un’assenza di ostilità; in cima c’era l’annientamento nucleare. Un presidente potrebbe scegliere di passare dal passaggio n. 26, “Attacco dimostrativo alla zona interna”, al passaggio n. 39, “Guerra al rallentatore contro le città”. L’obiettivo di ogni nuovo passo verso l’alto potrebbe variare. Potrebbe essere semplicemente per inviare un messaggio. Oppure potrebbe essere per costringere, controllare o devastare un avversario. Hai scalato la scala per raggiungere di nuovo il fondo un giorno.

Il “vortice di escalation” è una visualizzazione più recente e più complessa di un potenziale conflitto tra stati nucleari. È stato sviluppato da Christopher Yeaw, che ha servito come capo scienziato presso l’US Air Force Global Strike Command dal 2010 al 2015. Oltre agli aspetti verticali della scala dell’escalation, il vortice incorpora il movimento orizzontale tra i vari domini della guerra moderna: spazio, cyber, convenzionale, nucleare. Un vortice di escalation sembra un tornado. Un’illustrazione di uno, presente in una presentazione del Global Strike Command, colloca il peggior risultato nella parte più ampia dell’imbuto: “i livelli più alti in assoluto di distruzione permanente della società”.

Nell’ottobre 1962, Sam Nunn era un neolaureato di 24 anni alla Emory University School of Law che aveva appena ottenuto un nulla osta di sicurezza e un lavoro come membro del personale per il Comitato per i servizi armati della Camera. Quando un collega si ritirò da un tour all’estero delle basi NATO, Nunn prese il suo posto, lasciò gli Stati Uniti per la prima volta e finì alla base aerea di Ramstein, in Germania, al culmine della crisi missilistica cubana. Nunn ricorda di aver visto combattenti della NATO parcheggiati vicino alle piste, ciascuno carico di una singola bomba all’idrogeno, pronti a volare verso l’Unione Sovietica. I piloti sedevano su sedie accanto ai loro aerei, giorno e notte, cercando di dormire un po’ in attesa dell’ordine di decollo. Avevano solo carburante sufficiente per una missione a senso unico e pianificavano di salvarsi da qualche parte, in qualche modo, dopo aver sganciato le bombe. Il comandante dell’aviazione americana in Europa disse a Nunn che se fosse iniziata una guerra, i suoi piloti avrebbero dovuto far decollare i loro aerei entro pochi minuti; La base aerea di Ramstein sarebbe uno dei primi obiettivi della NATO distrutti da un attacco nucleare sovietico. Il comandante teneva sempre con sé un walkie-talkie per dare l’ordine di decollo.

La crisi dei missili cubani ha lasciato una forte impressione su Nunn. Durante i suoi 24 anni come senatore degli Stati Uniti, ha lavorato instancabilmente per ridurre il rischio di guerra nucleare e terrorismo nucleare. In qualità di capo della commissione per i servizi armati del Senato, ha sostenuto una stretta cooperazione con Mosca in materia nucleare. Per continuare questi sforzi, in seguito ha co-fondato un’organizzazione no profit, la Nuclear Threat Initiative, con la quale ho collaborato a numerosi progetti. Tutto questo lavoro rischia ora di essere annullato dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla stridente retorica nucleare che l’accompagna.

Ho sentito lo stesso punto ancora e ancora: il rischio di una guerra nucleare è maggiore oggi che in qualsiasi altro momento dopo la crisi dei missili cubani.

Prima dell’attacco all’Ucraina, le cinque nazioni autorizzate a possedere armi nucleari dal Trattato di non proliferazione (NPT) – Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina e Francia – avevano raggiunto un accordo sul fatto che l’uso di tali armi potesse essere giustificato solo come misura puramente difensiva in risposta a un attacco nucleare o convenzionale su larga scala. Nel gennaio 2022, quei cinque paesi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermava il detto di Ronald Reagan secondo cui “una guerra nucleare non deve mai essere combattuta e non può mai essere vinta”. Un mese dopo, la Russia ha violato le norme che avevano prevalso sotto il TNP per più di mezzo secolo. Ha invaso un paese che aveva rinunciato alle armi nucleari; ha minacciato attacchi nucleari contro chiunque avesse cercato di aiutare quel paese; e ha commesso atti di terrorismo nucleare bombardando i complessi dei reattori di Chernobyl e Zaporizhzhya.

Nunn sostiene la strategia dell’amministrazione Biden di “deliberata ambiguità” su come reagirebbe all’uso da parte della Russia di un’arma nucleare. Ma spera che una qualche forma di diplomazia di back-channel venga segretamente condotta, con una figura ampiamente rispettata come l’ex direttore della CIA Robert Gates che dice ai russi, senza mezzi termini, quanto duramente gli Stati Uniti potrebbero reagire se varcano la soglia del nucleare. Durante la crisi dei missili cubani, il presidente John F. Kennedy e il primo segretario Nikita Khrushchev volevano entrambi evitare una guerra nucleare a tutto campo, e comunque l’hanno quasi ottenuta, a causa di incomprensioni, incomprensioni ed errori. La diplomazia di back-channel ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine a quella crisi in sicurezza.

Nunn descrive le violazioni delle norme di vecchia data da parte della Russia come “la follia nucleare di Putin” e sottolinea che tre cose fondamentali sono essenziali per evitare una catastrofe nucleare: leader razionali, informazioni accurate e nessun grave errore. “E tutti e tre ora sono in un certo grado di dubbio”, dice.

Se la Russia usa un’arma nucleare in Ucraina, Nunn pensa che una rappresaglia nucleare americana dovrebbe essere l’ultima risorsa. Favorisce invece una sorta di escalation orizzontale, facendo tutto il possibile per evitare uno scambio nucleare tra Russia e Stati Uniti. Ad esempio, se la Russia colpisce l’Ucraina con un missile da crociera nucleare lanciato da una nave, Nunn sosterrebbe l’affondamento immediato di quella nave. Il numero di vittime ucraine dovrebbe determinare la gravità della risposta americana e qualsiasi escalation dovrebbe essere condotta esclusivamente con armi convenzionali. La flotta russa del Mar Nero potrebbe essere affondata per rappresaglia e potrebbe essere imposta una no-fly zone sull’Ucraina, anche se ciò significasse distruggere le unità antiaeree sul suolo russo.

Dall’inizio dell’invasione, le minacce nucleari della Russia hanno avuto lo scopo di scoraggiare gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO dal fornire rifornimenti militari all’Ucraina. E le minacce sono supportate dalle capacità della Russia. L’anno scorso, durante un’esercitazione che ha coinvolto circa 200.000 soldati, l’esercito russo si è esercitato a lanciare un assalto nucleare alle forze NATO in Polonia. “La pressione sulla Russia per attaccare le linee di rifornimento dai paesi della NATO all’Ucraina aumenterà, più a lungo continuerà questa guerra”, afferma Nunn. Aumenterà anche il rischio di gravi errori ed errori. Un attacco russo intenzionale o involontario a un paese della NATO potrebbe essere l’inizio della terza guerra mondiale.

Durante l’estate del 2016, i membri della squadra di sicurezza nazionale del presidente Barack Obama hanno organizzato segretamente un gioco di guerra in cui la Russia invade un paese NATO nei Paesi baltici e quindi usa un’arma nucleare tattica a basso rendimento contro le forze NATO per porre fine al conflitto a condizioni favorevoli . Come descritto da Fred Kaplan in The Bomb (2020), due gruppi di funzionari di Obama sono giunti a conclusioni ampiamente divergenti su cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti. Il cosiddetto Comitato dei principali del Consiglio di sicurezza nazionale, inclusi ufficiali di gabinetto e membri dei capi di stato maggiore congiunti, ha deciso che gli Stati Uniti non avevano altra scelta che reagire con le armi nucleari. Qualsiasi altro tipo di risposta, ha affermato il comitato, mostrerebbe una mancanza di determinazione, danneggerebbe la credibilità americana e indebolirebbe l’alleanza della NATO. Tuttavia, la scelta di un bersaglio nucleare adatto si è rivelata difficile. Colpire la forza d’invasione russa ucciderebbe civili innocenti in un paese della NATO. Colpire obiettivi all’interno della Russia potrebbe portare il conflitto a una guerra nucleare totale. Alla fine, il Comitato dei principali dell’NSC ha raccomandato un attacco nucleare alla Bielorussia, una nazione che non aveva avuto alcun ruolo nell’invasione dell’alleato della NATO ma che aveva avuto la sfortuna di essere un alleato russo.

I vice membri dello staff dell’NSC hanno giocato allo stesso gioco di guerra e hanno fornito una risposta diversa. Colin Kahl, che all’epoca era consigliere del vicepresidente Biden, sostenne che reagire con un’arma nucleare sarebbe stato un grosso errore, sacrificando l’altura morale. Kahl pensava che sarebbe stato molto più efficace rispondere con un attacco convenzionale e rivolgere l’opinione pubblica mondiale contro la Russia per aver violato il tabù nucleare. Gli altri erano d’accordo e Avril Haines, un vice consigliere per la sicurezza nazionale, ha suggerito di realizzare magliette con lo slogan che i deputati dovrebbero governare il mondo. Haines è ora il direttore dell’intelligence nazionale del presidente Biden e Kahl è il sottosegretario alla Difesa per la politica.

Nel 2019, la Defense Threat Reduction Agency (DTRA) ha condotto ampi giochi di guerra su come gli Stati Uniti dovrebbero rispondere se la Russia invade l’Ucraina e poi usa un’arma nucleare lì. La DTRA è l’unica agenzia del Pentagono incaricata esclusivamente di contrastare e dissuadere le armi di distruzione di massa. Sebbene i risultati di quei giochi di guerra DTRA siano classificati, uno dei partecipanti mi ha detto: “Non ci sono stati risultati felici”. Gli scenari per l’uso nucleare erano straordinariamente simili a quelli considerati oggi. Quando si tratta di guerra nucleare, il partecipante ha detto, il messaggio centrale del film WarGames del 1983 è ancora valido: “L’unica mossa vincente è non giocare”.

Nessuno degli esperti di sicurezza nazionale che ho intervistato pensava che gli Stati Uniti avrebbero dovuto usare un’arma nucleare in risposta a un attacco nucleare russo contro l’Ucraina. Rose Gottemoeller, che ha servito come capo negoziatore americano del trattato sul controllo degli armamenti New START con la Russia e in seguito come vice segretario generale della NATO, crede che qualsiasi attacco nucleare all’Ucraina ispirerebbe la condanna globale, specialmente da parte dei paesi dell’Africa e del Sud America , continenti che sono zone libere da armi nucleari. Ritiene che la Cina, nonostante il suo tacito sostegno all’invasione dell’Ucraina, si opporrebbe fermamente all’uso di un’arma nucleare da parte di Putin e sosterrebbe le sanzioni contro la Russia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Cina ha a lungo sostenuto “assicurazioni nucleari negative” e ha promesso nel 2016 “di non usare o minacciare incondizionatamente di usare armi nucleari contro stati non dotati di armi nucleari o in zone libere da armi nucleari”.

Le decisioni che dovrebbero essere prese dopo un attacco nucleare russo contro l’Ucraina non hanno precedenti.

Se gli Stati Uniti rilevano la rimozione di armi tattiche dai siti di stoccaggio russi, Gottemoeller ritiene che l’amministrazione Biden dovrebbe inviare un duro avvertimento a Mosca attraverso canali secondari e quindi pubblicizzare il movimento di quelle armi, usando la stessa tattica di condividere apertamente l’intelligence che sembrava contrastare le operazioni sotto falsa bandiera russe che coinvolgono armi chimiche e biologiche in Ucraina. Nel corso degli anni, ha conosciuto molti dei massimi comandanti che sovrintendono all’arsenale nucleare russo e ha sviluppato un grande rispetto per la loro professionalità. Gottemoeller dice che potrebbero resistere all’ordine di usare armi nucleari contro l’Ucraina. E se obbediscono a quell’ordine, la sua opzione preferita sarebbe “una risposta diplomatica muscolare” all’attacco nucleare, non una risposta militare nucleare o convenzionale, combinata con una qualche forma di guerra ibrida. Gli Stati Uniti potrebbero lanciare un attacco informatico paralizzante ai sistemi di comando e controllo russi legati all’assalto nucleare e lasciare aperta la possibilità di successivi attacchi militari.

Scott Sagan, co-direttore del Center for International Security and Cooperation, presso la Stanford University, ritiene che il rischio che la Russia utilizzi un’arma nucleare sia diminuito nell’ultimo mese, poiché i combattimenti si sono spostati nell’Ucraina meridionale. È improbabile che Putin contamini il territorio che spera di impadronirsi con ricadute radioattive. E un colpo di avvertimento, come la detonazione di un’arma nucleare innocua sul Mar Nero, servirebbe a poco, dice Sagan. Sarebbe un segnale di indecisione, non di risolutezza, una conclusione a cui gli Stati Uniti sono giunti mezzo secolo fa sulla potenziale utilità di un attacco dimostrativo della NATO per scoraggiare l’Armata Rossa. Sagan ammette che se la Russia dovesse perdere grandi battaglie nel Donbas, o se una controffensiva ucraina sembrasse sull’orlo di una grande vittoria, Putin potrebbe benissimo ordinare l’uso di un’arma nucleare per ottenere una resa o un cessate il fuoco. In risposta, a seconda della quantità di danni causati dall’esplosione nucleare, Sagan sosterrebbe gli attacchi convenzionali americani contro le forze russe in Ucraina, le navi russe nel Mar Nero o persino obiettivi militari all’interno della Russia, come la base da cui l’attacco nucleare è stato lanciato.

Sagan contesta il modo in cui viene comunemente rappresentato l’avanti e indietro del conflitto militare. Come immagine, una scala di escalation sembra troppo statica. Suggerisce la libertà di decidere se salire o scendere. Sagan pensa che l’escalation nucleare sarebbe più simile a una scala mobile: una volta che inizia a muoversi, ha uno slancio tutto suo ed è davvero difficile scendere. Sarebbe profondamente preoccupato per qualsiasi segno che Putin stia compiendo anche i primi passi verso l’uso nucleare. “Non dovremmo sottovalutare il rischio di una detonazione nucleare accidentale se le armi tattiche vengono rimosse dai loro igloo di deposito e ampiamente disperse tra le forze militari russe”, avverte Sagan.

Di recente ho pranzato con l’ex Segretario alla Difesa William J. Perry nella sua casa di Palo Alto, in California. Perry ha 94 anni, uno degli ultimi importanti strateghi militari attivi oggi che ha assistito in prima persona alla devastazione della seconda guerra mondiale. Prestò servizio nell’esercito di occupazione statunitense del Giappone e nulla di ciò che aveva letto sul bombardamento di Tokyo lo preparò a ciò che vide lì: una grande città rasa al suolo, i sopravvissuti che vivevano tra le macerie fuse, dipendenti dalle razioni militari. A Naha, la capitale di Okinawa, la distruzione sembrava ancora peggiore. Nelle sue memorie, Perry scrive che nessun edificio è stato lasciato in piedi, e include una famosa descrizione: “Il lussureggiante paesaggio tropicale è stato trasformato in un vasto campo di fango, piombo, decomposizione e larve”. Ciò che Perry vide in Giappone lo lasciò profondamente turbato dalla minaccia nucleare. Naha e Tokyo erano state devastate da decine di migliaia di bombe sganciate in centinaia di raid aerei; Hiroshima e Nagasaki, da una singola bomba atomica ciascuno.

Perry in seguito ottenne una laurea in matematica e divenne uno dei primi pionieri della Silicon Valley, specializzandosi nella sorveglianza satellitare e nell’uso della tecnologia digitale per la guerra elettronica. Durante la crisi dei missili cubani, si recò a Washington, DC, su richiesta della CIA, e esaminò le fotografie satellitari di Cuba alla ricerca di armi nucleari sovietiche. Aiutò a preparare i rapporti dell’intelligence mattutina per il presidente Kennedy e si chiedeva ogni notte se il giorno successivo sarebbe stato l’ultimo. In qualità di sottosegretario alla difesa durante l’amministrazione Carter, Perry ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo della tecnologia stealth e, in qualità di segretario alla difesa durante l’amministrazione Clinton, ha guidato gli sforzi per rinchiudere armi nucleari e materiale fissile in località dell’ex Unione Sovietica. Dopo aver lasciato il Pentagono, si è guadagnato una reputazione da colomba, unendosi a Sam Nunn, Henry Kissinger e George Shultz nel 2008 in un appello per l’abolizione delle armi nucleari; opporsi ai piani americani per nuovi missili balistici a terra a lungo raggio; e invitando gli Stati Uniti a fare una dichiarazione formale che non sarebbero mai stati i primi a lanciare un attacco nucleare. Ma le opinioni di Perry sull’invasione russa dell’Ucraina sono tutt’altro che calde e confuse.

“La pressione sulla Russia per attaccare le linee di rifornimento dai paesi della NATO all’Ucraina aumenterà, più a lungo continuerà questa guerra”, afferma Nunn.

Mangiammo i panini che Perry aveva preparato, con il pane che aveva sfornato, seduti su un’ampia terrazza dove le fioriere traboccavano di fiori e colibrì si libravano alle mangiatoie, sotto un cielo azzurro brillante. L’ambientazione non avrebbe potuto essere più bucolica, l’idea di una guerra nucleare più remota. Pochi giorni prima, Perry aveva tenuto un discorso a Stanford, delineando la posta in gioco in Ucraina. La pace che aveva regnato in Europa per quasi otto decenni era stata infranta il 24 febbraio, ha detto, e “se l’invasione della Russia avrà successo, dovremmo aspettarci di vedere altre invasioni”. Putin era ora impegnato in un ricatto, minacciando di usare armi nucleari per scopi offensivi, non difensivi, cercando di dissuadere gli Stati Uniti dal fornire le armi convenzionali di cui l’Ucraina ha un disperato bisogno. “Temo che se cediamo a questa oltraggiosa minaccia”, ha detto Perry, “la affronteremo di nuovo”.

I modi di Perry sono premurosi, calmi e gentili, non per nulla allarmistici o iperemotivi. Lo conosco da più di un decennio e, sebbene la sua voce sia diventata più morbida, la sua mente è straordinariamente immutata e sotto il suo calore e gentilezza c’è l’acciaio. Perry ha incontrato Putin in diverse occasioni, a partire da quando era il vicesindaco di San Pietroburgo, e pensa che Putin utilizzerà armi tattiche in Ucraina se sembra vantaggioso farlo. Sebbene la politica dichiarata della Federazione Russa sia quella di utilizzare armi nucleari solo di fronte a una minaccia esistenziale per lo stato, le dichiarazioni pubbliche di Mosca dovrebbero sempre essere prese con le pinze. L’Unione Sovietica ha negato categoricamente di avere basi missilistiche a Cuba mentre le stava costruendo. Per anni ha pubblicamente promesso di non essere mai stato il primo a usare un’arma nucleare, adottando segretamente piani di guerra iniziati con attacchi nucleari su larga scala alle basi NATO e alle città europee. Il Cremlino ha negato di avere alcuna intenzione di invadere l’Ucraina, fino a quando non ha invaso l’Ucraina. Perry ha sempre trovato Putin competente e disciplinato, ma freddo. Crede che Putin sia razionale al momento, non squilibrato, e userebbe armi nucleari in Ucraina per ottenere la vittoria e quindi garantire la sopravvivenza del suo regime.

Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno basato migliaia di armi nucleari tattiche a basso rendimento nei paesi della NATO e hanno pianificato di usarle sul campo di battaglia in caso di invasione sovietica. Nel settembre 1991, il presidente George HW Bush ordinò unilateralmente che tutte le armi tattiche a terra americane fossero rimosse dal servizio e distrutte. L’ordine di Bush ha inviato un messaggio che la Guerra Fredda era finita e che gli Stati Uniti non consideravano più le armi tattiche utili sul campo di battaglia. Il danno collaterale che avrebbero causato, gli schemi imprevedibili di letali ricadute radioattive, sembravano controproducenti e non necessari. Gli Stati Uniti stavano sviluppando armi convenzionali di precisione in grado di distruggere qualsiasi obiettivo importante senza infrangere il tabù nucleare. Ma la Russia non si è mai sbarazzata delle sue armi nucleari tattiche. E quando la forza delle sue forze militari convenzionali è diminuita, ha sviluppato armi nucleari a bassissimo e ultra basso rendimento che producono relativamente poche ricadute. Nelle parole di un importante progettista russo di armi nucleari, sono “consapevoli dell’ambiente”. Le oltre 100 “pacifiche esplosioni nucleari” condotte dall’Unione Sovietica, apparentemente per acquisire conoscenze sull’utilizzo di dispositivi nucleari per compiti banali, come lo scavo di serbatoi, hanno facilitato la progettazione di armi tattiche a bassissimo rendimento.

In Ucraina sono già avvenute due esplosioni nucleari, nell’ambito del “Programma n. 7 – Esplosioni pacifiche per l’economia nazionale” dell’Unione Sovietica. Nel 1972, un ordigno nucleare fu fatto esplodere presumibilmente per sigillare un pozzo di gas in fuga in una miniera a Krasnograd, a circa 60 miglia a sud-ovest di Kharkiv. Il dispositivo aveva una forza esplosiva grande circa un quarto di quella della bomba atomica che distrusse Hiroshima. Nel 1979, un ordigno nucleare è stato fatto esplodere con il presunto scopo di eliminare il gas metano in una miniera di carbone vicino alla città di Yunokommunarsk, nel Donbas. Aveva una forza esplosiva circa un quarantacinquesimo grande quanto quella della bomba di Hiroshima. Né i lavoratori della miniera né gli 8.000 residenti di Yunokommunarsk sono stati informati dell’esplosione nucleare. Ai minatori di carbone è stato concesso il giorno libero per un “esercitazione di protezione civile”, poi rimandati a lavorare nella miniera.

La debolezza delle forze convenzionali russe rispetto a quelle degli Stati Uniti, suggerisce Perry, e il relativo vantaggio della Russia nelle armi tattiche sono fattori che potrebbero portare Putin a lanciare un attacco nucleare in Ucraina. Sarebbe un grande vantaggio per la Russia stabilire la legittimità dell’uso di armi nucleari tattiche. Per farlo, Putin deve scegliere il bersaglio giusto. Perry crede che un attacco dimostrativo sopra il Mar Nero guadagnerebbe poco Putin; la distruzione di una città ucraina, con grandi vittime civili, sarebbe un tremendo errore. Ma se la Russia può distruggere un obiettivo militare senza molte ricadute radioattive, senza vittime civili e senza suscitare una forte risposta da parte degli Stati Uniti, Perry dice: “Non credo che ci sia un grande svantaggio”. La Russia ha più armi nucleari di qualsiasi altra nazione al mondo. Il suo orgoglio nazionale è fortemente legato alle sue armi nucleari. I suoi propagandisti celebrano il possibile uso di armi nucleari – contro l’Ucraina, così come contro gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO – su base quasi quotidiana, nel tentativo di normalizzarne l’uso. I suoi militari hanno già distrutto città ucraine, preso di mira ospedali deliberatamente, ucciso migliaia di civili, tollerato saccheggi e stupri. L’uso di un’arma nucleare a bassissimo rendimento contro un obiettivo puramente militare potrebbe non sembrare troppo controverso. “Penso che ci sarebbe un clamore internazionale, ma non credo che durerà a lungo”, dice Perry. “Potrebbe esplodere in una o due settimane.”

Se gli Stati Uniti ottengono informazioni sul fatto che la Russia si sta preparando a utilizzare un’arma nucleare, Perry ritiene che le informazioni dovrebbero essere rese pubbliche immediatamente. E se la Russia ne usa uno, gli Stati Uniti dovrebbero chiedere la condanna internazionale, creare il più grande putiferio possibile – sottolineando la parola nucleare – e intraprendere un’azione militare, con o senza alleati della NATO. La rappresaglia dovrebbe essere forte, mirata e convenzionale, non nucleare. Dovrebbe essere confinato in Ucraina, idealmente con obiettivi legati all’attacco nucleare. “Vuoi salire il meno possibile nella scala dell’escalation e avere comunque un effetto profondo e rilevante”, afferma Perry. Ma se Putin risponde usando un’altra arma nucleare, “ti togli i guanti la seconda volta” e forse distruggi le forze militari russe in Ucraina, cosa che gli Stati Uniti potrebbero facilmente fare con le armi convenzionali. Perry si rende conto che queste escalation si sarebbero avvicinate al tipo di scenari del dottor Stranamore di cui ha scritto Herman Kahn. Ma se finissimo per combattere una guerra con la Russia, quella sarebbe una scelta di Putin, non nostra.

Perry avverte da molti anni che il pericolo nucleare sta crescendo. L’invasione dell’Ucraina ha purtroppo confermato la sua previsione. Crede che le probabilità di una guerra nucleare su vasta scala fossero molto più alte durante la crisi dei missili cubani, ma che le probabilità che un’arma nucleare venga usata ora sono più alte. Perry non si aspetta che la Russia distruggerà una base aerea ucraina con un’arma tattica. Ma non sarebbe sorpreso. E spera che gli Stati Uniti non si facciano scoraggiare dal ricatto nucleare. Ciò incoraggerebbe altri paesi a ottenere armi nucleari e a minacciare i loro vicini.

Mentre ascoltavo la registrazione della mia conversazione con Bill Perry, era piena dei suoni incongrui dei campanelli del vento e del canto degli uccelli. Vladimir Putin può determinare se, quando e dove si verifica un attacco nucleare in Ucraina. Ma non può controllare cosa succede dopo. Le conseguenze di quella scelta, la serie di eventi che si sarebbero presto svolti, sono inconoscibili. Secondo il New York Times, l’amministrazione Biden ha formato un Tiger Team di funzionari della sicurezza nazionale per condurre giochi di guerra su cosa fare se la Russia usa un’arma nucleare. Una cosa è chiara, dopo tutte le mie discussioni con esperti del settore: dobbiamo essere pronti a decisioni difficili, con esiti incerti, che nessuno dovrebbe mai prendere.

Questo articolo è stato modificato per riflettere un chiarimento di Sam Nunn in merito alle sue opinioni sulla possibile risposta nucleare dell’America all’uso russo di armi nucleari in Ucraina.

Eric Schlosser è un ex redattore collaboratore di The Atlantic. È autore di Command and Control: Nuclear Weapons, Damasco Accident e Illusion of Safety e Fast Food Nation.

MARIUS: Sinceramente non mi sarei mai aspettato di lasciare commenti inerente un conflitto che nella peggiore delle ipotesi potrebbe diventare una guerra mondiale su suolo europeo. 

Questo, di per sé, dovrebbe essere già un monito su cui dover riflettere, un fallimento epocale per quello che oggi potremmo definire Europa Unita e dei suoi leaders parlamentari, che sembrano pendere completamente dal sistema americano.

La necessità di un contrattacco da parte del presidente Vladimir Putin dopo le continue provocazioni subite in questi ultimi mesi, considerando inoltre il sabotaggio ai gasdotti russi Nord Stream 1 e 2 e l’ultimo attentato al ponte di Crimea, è praticamente scontato. Mi sembra ovvio che ad ogni attacco ci sia un contrattacco!

Gli Stati Uniti d’America hanno fatto anche molto per non fare nulla di sensato! Dovrei dire che per tutto quello che è accaduto in questi ultimi 10 anni,  la governance americana  piuttosto che operare nel bene comune ha disfatto! Ormai le carte sono in tavola e il mondo politico internazionale conosce i presupposti dell’America, che usando la Nato, ha programmato e istigato l’inizio di un conflitto tra l’Ucraina e la Russia, mettono in condizione l’Europa di entrare in un gioco subdolo e distruttivo. L’unica cosa che potrebbe realmente eseguire per non peggiorare le cose sarebbe quella di rimanere all’interno dei suoi territori autoctoni e finirla di intromettersi in quelli d’oltreoceano, ma purtroppo le sue circostanze non lo prevedono… perché il rimanere inermi sarebbe supporre la fine dell’impero americano. E l’intera situazione inizia proprio da questo scomodo presupposto. Quindi sì la domanda è lecita: non cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti d’America, ma cosa potrebbero fare ancora gli Stati Uniti d’America?

Credo che, allo stato attuale, il problema fondamentale non risieda nella probabile certezza/incertezza dell’impiego di armi nucleari di bassa frequenza da parte del governo russo nei confronti dell’avversario ucraino. Innanzitutto bisogna essere specifici quando si parla di conflitti. In tal caso, anche se da molti anni le masse ucraine sono state indotte all’odio mediante una grande propaganda russofoba, non sono le popolazioni ad essere in guerra tra di loro; piuttosto è una guerra di governi nella quale le masse vengono assoggettate involontariamente! 

Detto ciò, conoscendo a fondo ormai quali siano i principali e probabili obiettivi di entrambe le fazioni in contrasto, la questione risiede soltanto nel considerare la corretta risposta americana, non solo nell’eventualità dell’impiego di armi nucleari, ma nell’intera continuità del conflitto. A quasi ottant’anni dall’esplosione delle prime ed uniche bombe atomiche sganciate dall’essere umano durante un conflitto tra stati, l’eventuale detonazione di un nuovo ordigno nucleare, aldilà dello scenario catastrofico possibile, segnerà un cambiamento epocale della società mondiale senza precedenti, in quanto cambierebbe radicalmente l’ideologia del pensiero comune dinnanzi alla figura emblematica della guerra, finora considerata un’immagine stereotipo decadente sulla fine del mondo che in qualche modo potrebbe assumere una visione collettiva influenzabile più presente e allo stesso tempo, anche se imprescindibile, di enorme suscettibilità emotiva. Fino a ieri  nel mondo occidentale la nostra visione di guerra era soltanto una parvenza di stile, puro “entertainment” come sarebbe definita dagli americani, mentre oggi la guerra rende timorosi anche gli scettici!

Finora la Russia non ha mai considerato il lancio di un missile atomico come unica possibile risposta alla minaccia occidentale, focalizzata sul governo di Volodymyr Zelens’kyj. Il presidente Putin ha dichiarato in maniera esplicita che sarebbe un’arma di difesa soltanto se fosse costretto da una minaccia diretta contro il suo paese. Penso che questa sua affermazione sia piuttosto diretta verso quei paesi occidentali ostili alla Federazione Russa che, avendo in dotazione la tecnologia nucleare, possono diventare una seria minaccia per la loro incolumità.

Dobbiamo inoltre considerare che l’Ucraina è stata fortemente americanizzata negli ultimi dieci anni, sottolineerei in maniera negativa, ed in qualche modo strumentalizzata dalla governance atlantista al fine di farla diventare, volutamente, un’arma vivente e possibilmente minacciosa nei confronti delle popolazioni russe e di quei popoli dell’est europeo vicini alla Russia.

Secondo la mia personale considerazione sui possibili scenari elencati non credo che il presidente Putin possa provocare una detonazione sul Mar Nero con il solo intento di spaventare l’Occidente, in quanto quest’ultimo è già consapevole delle sue azioni e delle sue decisioni militari; come dovrebbe essere altrettanto improbabile che possa distruggere improvvisamente una città ucraina, provocando un enorme massacro di civili. Penso piuttosto che, in uno scenario distruttivo, potrebbe arrivare a detonare un’area militare estesa cercando di limitare i danni umani come avvertimento ulteriore per un possibile aggravamento della situazione conflittuale, anche se la volontà di effettuare un attacco improvviso contro la leadership ucraina, cercando di attentare alla vita del presidente Volodymyr Zelens’kyj o, perlomeno, detronizzarlo dalla sua posizione egemone di comando al fine di riportare una posizione più stabile all’interno del governo ucraino, possa risultare la più fattibile, nonostante possa avere un costo di vite umane russe non esigue, prima di raggiungere la cosiddetta posizione estrema. 

In tal caso la mia domanda sorge spontanea: perché il presidente Vladimir Putin dovrebbe gettare una bomba atomica sul suolo ucraino, in considerazione del fatto che siano stati gli americani a rendere l’Ucraina quella che oggi appare al mondo, guidati dal presidente Joe Biden, spinto da acredine personale verso il suo antagonista russo e da una profonda convinzione che gli Stati Uniti d’America debbano essere assolutamente gli artefici del potere assoluto mondiale, piuttosto che gettare una bomba atomica direttamente sul suolo americano, in considerazione del fatto che il governo russo ha da sempre sostenuto di essere il bersaglio principale della governance americana sin dai tempi della guerra fredda, sempre in considerazione del fatto che non lascerà mai in pace la Russia fino a quando una delle due avrà sconfitto definitivamente l’altra. Le dichiarazioni del consigliere del Cremlino, il filosofo politologo Aleksandr Gelʹevič Dugin, amico del presidente, sono ormai palesi agli occhi del mondo intellettuale e politico, per le quali egli stesso ha perso sua figlia. 

Anche se il conflitto ucraino dovesse finire in breve, ma non credo che possa avvenire nel minor tempo possibile, come farebbe un presidente di una nazione, una popolazione coeva alla stessa governance russa, a progredire trascurando un aspetto saliente del prossimo futuro dal sapore nefasto, d’altronde ostile alla propria incolumità. 

Dagli anni della guerra fredda, per tutte le guerre protratte fino ad oggi, attraverso cui le due grandi potenze mondiali si sono spesso trovate in collisione accusando l’un l’altra di essere artefici di morte e distruzione, prima o poi la verità salterà fuori perché esistono documenti segretati e persone che tramandano storie inedite nel corso delle generazioni al fine che essa diventi animo di rivalsa. A quel punto lo scontro sarebbe inevitabile! 

Quindi il problema non è come, ma quando! Su questa domanda sono state costruite teorie e affrontati dibattiti agguerriti per formulare una tabella di marcia sul come poter affrontare una guerra nucleare. “La scala delle intensificazioni” ideato dello stesso Herman Kahn, abile studioso di strategia e futurologo, è un labile esempio di come l’uomo cerchi di rappresentare la propria sopravvivenza varcando la soglia del verosimile affrontando tematiche futuribili in vista del fatidico grande ripristino, il Grande Reset, che all’inizio degli anni 60 era solo una possibile utopia politica. “La scala delle intensificazioni”, o meglio conosciuta come “La scala dell’escalation”, nella sua lungimiranza rappresenta l’emblema della programmazione ad interim della governance americana e di come prenda in considerazione lo sviluppo emblematico della propria supremazia, atto di dovuta sopravvivenza. Nel frattempo, dagli anni 60 ad oggi, il mondo ha continuato la sua progressione e la tecnologia militare ha calpestato sentieri inconsueti suscitando stupore e preoccupazione, ragion per cui se nei periodi della guerra fredda i 44 gradini della scala di Kahn rappresentavano la giusta sovrapposizione temporale della diatriba mortale di una guerra nucleare, oggigiorno alle soglie del nuovo millennio, quasi ad un quarto di nuovo secolo, la disamina dei suoi passaggi da un gradino all’altro, in collusione con i tempi attuali, rasenta una vorticosa riduzione temporale dei singoli che da anni potrebbero diventare mesi, e da svariati mesi anche poche settimane, proprio in vista del repentino sviluppo della tecnologia che ne riduce drasticamente l’esito. 

In definitiva è proprio ciò che intendo, il “vortice delle intensificazioni”, o “vortice dell’escalation”, per la sua progressiva e complessa visualizzazione di un potenziale conflitto tra i due stati nucleari, in linea con i vari domini della guerra moderna rappresentati dalla tecnologia attuale – spaziale, informatica, robotica, cyber e nucleare – ridurrebbe gli effetti temporali della scala producendo un assoluto innalzamento dei livelli catastrofici di una permanente distruzione societaria. E sottolineo che il rischio di una guerra nucleare nel nostro tempo è superiore a qualsiasi altro momento della storia dell’uomo moderno, sin dai tempi della crisi missilistica cubana.

Il trattato di non proliferazione nucleare (NPT) attualmente è l’unico strumento di portata globale in materia di disarmo e non-proliferazione nucleari, le cui cinque nazioni autorizzate a possedere armi nucleari – Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti d’America – hanno volutamente sancito un accordo come misura cautelare e preventiva nei confronti di un possibile scontro nucleare, alla quale hanno aggiunto la dichiarazione congiunta, nel voler evitare assolutamente una guerra combattuta e mai vinta, nel gennaio 2022. Per quanto riguarda l’informazione propagandistica che gira intorno al nucleare tra est e ovest, sostengo che entrambe le parti abbiano usato il termine nucleare come minaccia preventiva. Non dobbiamo dimenticare che Volodymyr Zelens’kyj abbia recentemente chiesto al presidente americano Joe Biden di bombardare con il nucleare la Russia, prima ancora che il presidente Vladimir Putin abbia usato l’atomica per primo. Il trattato stabilisce l’impossibilità che nuovi Stati entrino in possesso di armi nucleari (non proliferazione) e smantellare definitivamente gli arsenali esistenti (disarmo), garantendo nel contempo il diritto di utilizzare l’energia nucleare per scopi pacifici (uso pacifico).

A guisa di ciò, Vladimir Putin non ha violato le norme del NPT usando le sue truppe di invasione all’inizio della sua operazione antinazista in territorio ucraino, nel desiderio di voler aiutare le popolazioni vessate del DonBass. Indipendentemente dalle sue motivazioni, egli ha invaso un paese reo per aver violato un trattato sancito nel 2014, il Protocollo di Minsk, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), trattato che gli Stati Uniti d’America hanno volutamente trascurato, come ha trascurato gli accordi con la NATO nel voler discutere sull’invio iniziale di armi pesanti in Ucraina, molto prima dell’invasione russa, consapevole che sarebbe bastato un solo dissenso nel voto per evitarne l’invio strategico. In definitiva l’Ucraina e gli USA hanno sottovalutato il Protocollo di Minsk e gli stessi accordi NATO, mentre la Russia non ha violato, perlomeno non ancora, gli accordi del NPT. Il presidente Vladimir Putin ha semplicemente attaccato un paese, che aveva rinunciato alle armi nucleari, ma non ha bombardato con l’atomica; la sua è una minaccia di risposta alla minaccia occidentale in seguito a pressioni nelle quali la parola “nucleare” sia stata già usata in maniera minacciosa, alle quali egli stesso ha risposto con termini altrettanto minacciosi. 

Per quello che riguarda il terrorismo nucleare, esiste una propaganda diversa tra quello che viene diffuso tra est e ovest dell’Europa, e di conseguenza nel resto del mondo. Dall’ambasciata russa in Italia arrivano notizie in cui i bombardamenti ai complessi nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhya non sono stati rivendicati dall’esercito russo, piuttosto sono stati classificati come azione terroristica occidentale, usando missili balistici tattici occidentali non nuclearizzati, da parte dello stato ucraino.

Il Presidente della Commissione per le Forze Armate del Senato, Sam Nunn, che sicuramente conosce le strategie militari americane dell’amministrazione Biden più degli occidentali a est dell’Atlantico, in seguito alle sue molteplici collaborazioni con diverse amministrazioni presidenziali, può sicuramente definire “ambigua” la posizione del presidente Joe Biden rispetto all’uso da parte della Russia di un’arma nucleare. La sua speranza, quella che possa esistere una sorta di diplomazia di canale posteriore a supporto di una possibile pacificazione immediata tra le due grandi potenze, è una speranza che tutto il mondo attende ansiosamente.

Ciò che egli descrive come violazioni delle norme di vecchia data da parte della Russia, potremmo definire allo stesso tempo come violazioni di vecchia data degli stessi Stati Uniti d’America, il caso Turchia/Cuba potrebbe essere un valido esempio di come vengono evase le norme, e in questa diatriba epocale tra l’America e la Russia potremmo sottolineare “follia nucleare di Putin” allo stesso modo di “follia nucleare di Biden”, perché entrambi i paesi detengono enormi quantità di testate nucleari ed entrambi potrebbero farne uso secondo le necessità dei rispettivi paesi. Quello che non riesco a comprendere negli atteggiamenti diplomatici americani è la profonda sicurezza, che in più di un’occasione diventa una scomoda presunzione verso la stessa diplomazia, nel voler considerare se stessi immancabilmente più audaci rispetto ai rispettivi avversari, pur sapendo di avere un’inferiorità numerica rispetto alla posizione geopolitica dei continenti, una minore quantità di armi tecnologiche nucleari, una struttura armata convenzionale alla pari! L’impiego di armi convenzionali, come risposta americana alla probabile detonazione atomica su suolo ucraino da parte del governo russo, sarebbe soltanto un modo per evitare che l’America venga bombardata con armi nucleari. Quando Sam Nunn afferma che una possibile risposta americana al lancio di missili nucleari russi sarebbe quella di dover affondare navi o postazioni di provenienza, sottovaluta con estrema superficialità la risposta antagonista che porterebbe ad affondare o distruggere una nave contro un’altra nave, una postazione contro un’altra postazione, un aereo contro un altro aereo, innescando così una serie di avvenimenti belligeranti da entrambe le parti che sicuramente farebbero ledere quell’attesa speranza di pace, di cui attualmente il mondo necessità. Come d’altronde impostare una no fly-zone sull’Ucraina sarebbe come dire innescare una serie di combattimenti aerei non indifferenti che coinvolgerebbero sicuramente più di un paese tra NATO e CSTO/BRICS. Immagino che questa prerogativa sia stata già presa in considerazione dal Presidente della Commissione delle Forze Armate del Senato. 

Quello che vorrei definire è che una risposta americana sul conflitto ucraino non lascerebbe il governo russo inerme! Anzi, a mio avviso, qualunque intervento americano o europeo sul suolo ucraino, durante i coinvolgimenti bellici tra i due paesi in guerra, sarebbe un comportamento assolutamente sbagliato. La Nato e specialmente gli Stati Uniti d’America dovrebbero rimanere impassibili al fine di preservare la pace mondiale. D’altro canto l’invio di armi all’Ucraina risulta essere l’ennesimo errore occidentale poiché ne strumentalizza l’esito. 

È difficile stabilire se dall’inizio dell’invasione le minacce nucleari della Russia hanno avuto semplicemente lo scopo di scoraggiare gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato dal fornire i rifornimenti militari per l’Ucraina, perlomeno dal mio punto di vista. 

Da una parte penso che l’approssimazione del nucleare sia uno dei motivi che abbiano spinto il presidente russo a mettere in discussione l’atomica. Noi siamo consapevoli di ricevere solo una parte delle informazioni propagate dei media occidentali, mentre esiste un’altra informazione attestante che anche gli americani non sono stati da meno, e ribadisco che proprio recentemente lo stesso presidente ucraino ha richiesto all’America di usare il nucleare contro i territori russi. 

Noi siamo di fronte a due grandi potenze militari che hanno numerose testate nucleari e che non hanno alcun problema a farlo sapere al mondo, con la consapevolezza di poterne fare uso in caso di bisogno. La stessa storia ci racconta che gli Stati Uniti d’America lanciarono due bombe atomiche su due città inermi giapponesi radendole completamente al suolo senza chiedere permesso o dare un preallarme per garantirne l’evacuazione. Nessuno può dire con certezza che il presidente americano non possa comportarsi allo stesso modo una seconda volta! Sono in molti a pensarlo in occidente, e quindi immagino anche più a est dell’Europa!

Dall’altra parte invece presumo che quando un presidente di una nazione potente decide di mettere in discussione l’utilizzo di armi atomiche, bisogna capire profondamente perché sia arrivato a tal punto, considerando che mai si sognerebbe di ordire argomentazioni così drammatiche, in un contesto ordinario, se non esistessero i presupposti per farlo.

Nella mia imparzialità penso che entrambi i due grandi presidenti delle due grandi nazioni abbiano raggiunto il punto di non ritorno, ciascuno nelle proprie convinzioni e strategia… Sì, perché qui stiamo parlando di strategie che mettono in discussione la geopolitica, le risorse minerarie, il potere economico finanziario, il potere temporale ora classificato come potere politico ed infine l’incolumità civile. Bisogna invece considerare chi dei due abbia intenzione, detonazione o non detonazione, a varcare la soglia… ma non nell’impiego del nucleare, piuttosto nell’iterazione dell’orizzonte degli eventi laddove non sia possibile influenzare un ritorno alla normalità in nessun modo. Questa è la domanda che attanaglia la mente o il sonno di circa 8 miliardi di persone, cifra più cifra meno, nel mondo.

Nel rispondere alle considerazioni del giornalista Fred Kaplan, e Colin Kahn, sottosegretario alla difesa per la politica, e Avril Haines, vice consigliere per la sicurezza nazionale, entrambi appartenenti alla squadra della sicurezza nazionale americana, qualora non vi fosse alcun attacco diretto contro gli USA o membri della Nato senza una ragione motivata da azioni efferate precedenti, sostengo che un’azione belligerante consequenziale non sarebbe la giusta via da seguire, non sarebbe sicuramente una mancanza di determinazione o di credibilità americana che andrebbe ad indebolire l’alleanza della Nato, già di fatto flebile di per sé, né l’accanirsi con un attacco nucleare contro la Bielorussia, come suggerisce il comitato della sicurezza nazionale (NSC), sarebbe una mossa strategica considerevole poiché favorirebbe l’introduzione in guerra dei membri dell’organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva OTSC / CSTO, a difesa della nazione alleata, che in un certo senso favorirebbe l’introduzione in guerra anche dei membri di BRICS, come stretti alleati della Russia, che si presenta come un’organizzazione di tipo economico, non che di fatto potrebbe eludere adesioni di tipo militare, ascose apparentemente, ma che di fatto raccoglie sempre più consensi internazionali. Penso che una risposta con armi del tipo convenzionale sia la mossa più facile da intraprendere per farsi che la guerra possa avere un seguito temporale prolungato con un’escalation di maggiore entità bellica, ma non credo che possa rivolgersi all’opinione pubblica mondiale con impatto positivo, perché in effetti al di là di quello che raccontano i media, il pensiero della società collettiva é assolutamente contrario alla guerra. E non credo che una maglietta come slogan, oltre il gusto ironico, possa risultare una risposta immediata al problema del conflitto.

Effettivamente, il messaggio centrale del film WarGames del 1983 è assolutamente valido: “L’unica mossa vincente è non giocare”. E corrisponde esattamente al messaggio che ho trascritto in alto.

Sinceramente dissento dalle considerazioni della ex vice segretario generale della Nato, Rose Gottemoeller, inerenti la forte opposizione da parte della Cina, nonostante il suo tacito sostegno all’invasione dell’Ucraina, all’uso del nucleare da parte di Vladimir Putin e, qualora fosse impiegato, al sostegno alle sanzioni contro la Russia da parte del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 

Nonostante la Cina abbia sostenuto a lungo con assicurazioni nucleari negative una campagna sensibile contro l’uso sistematico o la minaccia incondizionata dell’impiego del nucleare nella risoluzione dei conflitti contro Stati non dotati di armi atomiche o in zone libere da armi nucleari, sono convinto che il presidente russo abbia già discusso ampiamente con i suoi alleati internazionali sulla remota possibilità di utilizzare la forza del nucleare come espediente di difesa per l’incolumità del suo paese, come immagino farebbero gli stessi paesi membri delle sue alleanze strategiche se avvertissero una minaccia dall’esterno da parte di nazioni potenti come gli Stati Uniti d’America e alcune nazioni membri della NATO. Anzi credo piuttosto che abbiano già formulato un preciso accordo di tacito consenso effettivo all’uso dell’atomica, come ultima possibilità ovviamente, in visione di quel timore collettivo che come antagonisti scomodi possano diventare il prossimo bersaglio una volta sfiancata la grande potenza militare russa. Questo è il più grande timore che avvertono tutte le potenze mondiali antagoniste della NATO, organizzazione occidentale che fa capo esclusivamente all’America, nazioni che non vorrebbero sottostare all’egida americana nel suo dispotico intento di voler controllare globalmente il mondo. Senza considerare le stesse nazioni oggi alleate della NATO che potrebbero a breve, immancabilmente, lasciare l’organizzazione per spingersi altrove proprio per quella forma di dissenso ai programmi globalisti neoliberisti americani che hanno come scopo quello di neutralizzare la sovranità nazionale e monetaria degli stati associati. 

Rose Gottemoeller, giustamente deve supporre possibili controffensive di risposta ad una eventuale mossa tattica della Russia, ma come spesso accade per gli americani, emeriti della loro grandezza militare e tecnologica, sottolineare “una risposta diplomatica muscolare” all’attacco nucleare russo contro l’Ucraina mediante l’inizio di un Cyber attacco combinato ad azioni militari sia nucleari sia convenzionali, innescando così l’inizio di una guerra ibrida, potrebbe risultare non molto rilevante considerando la controffensiva ibrida dei russi, i quali sicuramente sarebbero già pronti a difendersi da ogni possibile attacco. Ciò che la governance americana dovrebbe capire fondamentalmente è che non si tratterebbe di una guerra combattuta con estrema facilità, non sarebbe una guerra di potere o di prestigio, in quanto le due fazioni in contrasto detengono un potere bellico paritetico. Diverrebbe una guerra accanita, distorta, combattuta su tutti i fronti in maniera non convenzionale e perché sarebbero impiegate le stesse modalità di attacco, di difesa e di sopravvivenza. Ciò che Rose Gottemoeller non ha detto è che l’America potrebbe essere soggetta allo stesso tipo di guerra ibrida da parte della Russia nelle stesse modalità da lei menzionate, come potrebbe addirittura subire un cyber attacco paralizzante ai sistemi di comando e controllo dei punti strategici del nucleare nello stesso momento in cui la governance russa decidesse di lanciare un ordine atomico per ottenere una resa incondizionata dell’Ucraina, e di lì a poco attaccare ad invadere gli Stati Uniti d’America. In vista di due potenze mondiali paritetiche non si possono fare previsioni esatte sugli esiti di un conflitto. 

La sostanziale differenza tra le due nazioni è trasparente. La Russia ha sempre sostenuto di essere un bersaglio scomodo da eliminare degli Stati Uniti d’America perché la sua forza militare, oggi anche tecnologica e finanziaria, è sempre stata considerata una minaccia vivente per la sopravvivenza americana e il controllo globale del pianeta, al momento più vacillante che mai; l’America, in contropartita, non si è mai sentita un bersaglio effettivo, finora sicura di poter contare sulla piena efficienza militare, fortemente alleata della tecnologia e della finanza. Quindi, obiettivo principale del presidente americano è quello di preservare l’incolumità nazionale innanzitutto, preservando la bicentenaria certezza di non essere mai stata invasa né attaccata militarmente, un evento inconsueto che farebbe crollare in maniera considerevole l’egemonia sovranazionale che da oltre 200 anni impone sui mercati finanziari, militari ed economici del resto del mondo.

Mi trovo concorde con le parole di Scott Sagan, co-direttore del Center for International Security and Cooperation, presso la Stanford University, quando definisce un attacco atomico russo sul suolo ucraino un’azione potenzialmente nefasta e dannosa per i territori che vorrebbe annettere definitivamente, ragion per cui sarebbe piuttosto predisposto a colpire i territori a nord del paese piuttosto che a sud, legittimando un’esplosione nucleare solo nell’eventualità di uscirne perdente, in seguito ai continui aiuti strategici, strutturali e militari della NATO. Assolutamente la risposta convenzionale americana successiva comporterebbe una contro risposta russa immediata e… scontri tra forze armate russe e americane sul suolo ucraino, affondamento di navi russe e navi americane nel Mar Nero, bombardamenti di obiettivi militari all’interno del suolo russo e bombardamenti di obiettivi militari americani sul suolo europeo. Le conseguenze sarebbero devastanti per l’Europa, ma questa alternativa nefasta sembra non interessare la governance americana, piuttosto impegnata ad ideare un sistema efficace per poter attaccare la Russia, con la scusa di difendere il territorio ucraino che essi stessi hanno armato fino ai denti, senza considerare le ripercussioni belligeranti sul suolo europeo… probabilmente un elemento considerato fortuito e fortunato per la nuova recessione americana. 

Sembrano proverbiali le parole di William J. Perry, ex Segretario alla Difesa, immaginando che nei suoi 94 anni di vita la sua presenza militare abbia avuto per l’America un peso sostanziale, fermo restante che è stato testimone del più terribile fenomeno di guerra che l’umanità abbia mai assistito, la seconda guerra mondiale e la guerra nucleare contro il Giappone. Dalla fine del secondo conflitto mondiale l’Europa ha subito altre micro guerre dolorose e sanguinarie, ma per quasi ottant’anni la pace globale non era mai stata seriamente compromessa fino al 24 febbraio. 

Egli sostiene che: “Se l’invasione della Russia avrà successo, dovremmo aspettarci di vedere altre invasioni”. 

Al contrario formulo una domanda opposta: “Perché il presidente Vladimir Putin dovrebbe sentirsi obbligato ad iniziare altre invasioni? Perché dover invadere altre nazioni sovrane?”, la cui sovranità oggi è altamente discutibile. Inoltre, “Per quale motivo il presidente russo dovrebbe nutrire la necessità di fare piazza pulita di un nazismo estremo e pericoloso chi stia cercando di radicalizzare negativamente l’Europa?” 

Forse è questo che si cela dietro le affermazioni dell’ex Segretario alla Difesa! Il timore che Vladimir Putin possa continuare la sua invasione mistico militare per liberare l’Europa dal peso specifico spirituale di un’organizzazione nazista che vuole trarre a se il controllo sistematico delle masse europee. E questo potrebbe dar fastidio a qualcuno o a qualcosa.

Egli sostiene inoltre che Vladimir Putin si è impegnato in un ricatto di rivalità minacciando l’impiego di armi nucleari per scopi offensivi, non difensivi, nella speranza di dissuadere gli Stati Uniti d’America e la Nato dal fornire armi pesanti convenzionali allo Stato ucraino. 

Si arriva a parlare di ricatto, di scopi offensivi e non difensivi, di intenti di dissuasione nel fornire armi. La mia domanda viene spontanea: “Ma non è stata la governance americana del presidente Joe Biden a fornire i presupposti di un ricatto entrando nei territori ucraini in violazione dei trattati internazionali, ad istigare scopi offensivi non difensivi fomentando la russofobia, ad armare pericolosamente l’esercito ucraino con armi convenzionali senza neppure consigliarsi con i membri della NATO?”… Queste non sono solo supposizioni, ma informazioni ormai note.

Egli sostiene infine di temere che il cedere all’oltraggiosa minaccia della Russia condurrà a un nuovo scontro nel prossimo futuro! 

E su questa sua affermazione teorizzo un’altra supposizione: “La governance americana attuale pensa di dover affrontare nuovamente la governance russa? Potrebbero o dovrebbero evolvere nuovi scontri in vista di futuri scenari di guerra nel perseguire pianificazioni programmate? Come vede il futuro del mondo l’amministrazione governativa americana e in quale maniera la Russia si incastona nel suo disegno di sviluppo globale?”… In definitiva, “Come si dovrebbe considerare questo conflitto? Dovrebbe preparare il campo per uno scontro ancora più minaccioso per l’incolumità mondiale?” … “Cosa fare per evitare il peggio?”, a meno che non ci sia l’intenzione di evitarlo! 

Quando sento dissertare gli americani al potere, nonostante siano ottimi oratori, perlopiù democratici, penso alle considerazioni della loro programmazione neoliberista globale di cui sono molto fieri, e non trovo una posizione pienamente liberale senza considerare la loro visione di parte. Essi non fanno altro che puntare il dito senza rimarcare le reali motivazioni nel bene o nel male, evidenziando le azioni ostili o subdole dei possibili avversari fuorviando dalle proprie, come se l’America fosse costantemente vittima delle circostanze, e quindi costretta a rispondere o intervenire. Anche se il più delle volte la realtà è ben diversa. E quindi si ribadisce il caso Turchia Cuba negli anni 60 come il caso Ucraina Donbass al presente.

William J. Perry, come gli altri colleghi al servizio diretto o indiretto della Casa Bianca, peccano spesso di una sottile loquace presunzione nel voler semplificare qualunque azione militare o propagandare sulle informazioni al fine di farne uno strumento di vantaggio. Anche un eventuale scontro contro la Russia sembra per loro non essere più pericolosa di una tediosa passeggiata in piena tempesta invernale. Di solito la presunzione di sentirsi immancabilmente più forti finisce con il diventare una debolezza nella forma che decreta una fuoriuscita di scena negativa. E anche in tal caso egli presume azioni militari convenzionali relegate in una sorta di parodia drammatica americanizzata laddove l’esercito russo sembri rappresentare il ruolo di comparsa in una scena già contestualizzata a prescindere. 

Nel corso degli ultimi cento anni il governo americano è diventato abile nel gettare la pietra e nascondere il braccio, nel saper salire e scendere dai gradini della scala delle intensificazioni (scala dell’escalation) di Herman Kahn, come se le sorti di un conflitto mondiale dipendano dall’andirivieni tattici di uno schema predisposto nel secolo scorso. L’America vuole colpire in superficie per evitare di essere colpita nel suo profondo confinando sempre i suoi colpi di spada in territori distanti, in tal caso l’Ucraina, riversando le responsabilità sugli antagonisti tralasciando le proprie, senza considerare che in tali scontri periscono persone ogni giorno, da loro stessi considerati vittime calcolate previste dal protocollo, ma pur sempre comunque esseri umani. E se Vladimir Putin dovesse gettare una seconda bomba atomica di basso rendimento? Secondo William J. Perry, non servirebbe altro che sfilare i guanti una seconda volta e fare più male del previsto, mentre per i civili coinvolti il sacrificio sarebbe sancito nella carta della nuova costituzione. E se Vladimir Putin dovesse gettare più bombe atomiche del previsto e non sul suolo ucraino? Quante volte l’America sfilerebbe i suoi guanti prima di rendersi conto di non avere più le dita? E se non fosse così facile bacchettare il presidente russo come vorrebbero far credere i membri del Consiglio Nazionale delle Nazioni Unite? 

William J. Perry infine, sostiene che se finiamo per combattere una guerra con la Russia sarebbe una scelta del presidente russo. Controbatto nel dire che se, invece, finissimo per combattere una guerra contro la Russia non per scelta del presidente Vladimir Putin, bensì per scelta del presidente Joe Biden?

Le sorti dell’Europa sono in bilico tra i continui appelli russofobi del presidente Volodymyr Zelens’kyj, tra i reclami alle sanzioni del presidente Joe Biden con i continui comportamenti ambigui della NATO, ed infine tra le considerazioni del presidente Vladimir Putin.

Il 24 febbraio l’esercito russo varcava il confine del suolo ucraino; si vociferava che di lì a poco il presidente ucraino sarebbe dovuto andare a firmare accordi pericolosi con l’Occidente a Bruxelles. Le mie previsioni erano esatte, Vladimir Putin avrebbe attaccato l’Ucraina per sgominare l’inizio della terza guerra mondiale dando inizio alla FASE 1, “operazione militare antinazista ucraina su suolo ucraino”, come salvaguardia delle vittime dei territori meridionali. 

L’intensificarsi delle incomprensioni, con l’estendersi delle sanzioni economiche e l’invio continuo di armi per osteggiare una pace repentina, tra provocazioni offese e omicidi, già a metà maggio mi fecero presagire che all’inizio dell’autunno saremmo passati nella FASE 2, “operazione militare antinazista occidentale su suolo ucraino”, nel quale sarebbero compromessi i paesi NATO più esposti negli sviluppi del progetto ucraino iniziato già da alcuni anni. La Fase 2 verterà una serie di scontri sui vasti territori dell’Ucraina sotto gli occhi dei suoi abitanti ormai stremati da una guerra che vige da otto anni. 

Sarebbe savio finirla qui! Questo conflitto prevede un escalation totale di 4 fasi, al momento siamo all’inizio della seconda fase. Non posso ancora dare una previsione concreta sull’eventuale inizio della FASE 3, “operazione militare antinazista occidentale su suolo europeo”, che implicherebbe una serie di scontri su postazioni militari, e possibilmente anche civili, tra le diverse nazioni europee, persino in Russia, compreso l’impiego di ordigni atomici di basso rendimento, senza escludere che possa compromettere anche il suolo americano. 

La FASE 4 sarebbe l’ultima fase, quella infine nucleare ad alto rendimento, nella quale dapprima entrerebbero in contrasto le varie alleanze strategiche delle parti in conflitto, con una serie di azioni ostili estese a tutto il pianeta tra bombardamenti, scontri aerei navali e terrestri, per poi confluire nel lancio di testate atomiche. Non escludo che possa essere l’America a lanciare per prima la bomba atomica in visione di molteplici tradimenti all’interno della NATO. Lo scenario sarebbe apocalittico!

Il pericolo nucleare non è mai stato evidente fino a questo preciso istante del nostro tempo. L’invasione ucraina ha solo decretato l’evidenza, ma non può trattarsi di una previsione in quanto l’epilogo ucraino era stato già ampiamente predisposto. Era solo questione di tempo. E’ solo questione di tempo nel quale decidere se far finire un conflitto nel breve periodo possibile o se dirigere il nostro mondo alla deriva nella ricerca di un grande ripristino, il Grande Reset, che risulterebbe un passo in avanti nella sfera epocale ma un salto quantico all’indietro di oltre duecento anni di storia.

Per molto tempo sono stato affascinato dalle ideologie neoliberiste del voler rivoluzionare la collettività mondiale nel desiderio di realizzare un unico agglomerato planetario, pacifico e scientifico, culla della nuova tecnologia, era della scienza medica all’avanguardia, proiettato in una visione globale cosmopolita vissuta in piena armonia con tutte le sue parti liberamente associate del pianeta, ma non mi sarei mai aspettato che potesse infondere nuove guerre per il predominio territoriale, neo governi dittatoriali sanitari, controlli demografici per la cieca sopravvivenza e la cruda morte per l’atomica. La mia visione globale è sempre stata per una pacifica convivenza tra i popoli del mondo. 

di Marius Creati

Nuclear war dissertation about the conflict in Ukraine with Morgan Williams / Central Station Records – Australia, by Marius Creati (part 2)

November 4, 2022 Leave a comment

Morgan Williams is a former Private Secretary at New Zealand Parlament, now co-owner of the great Australian company Central Station Pty Ltd.

He deals with international transactions in the financial distribution, commercial distribution, discography, real estate, export of raw materials sectors.

He enjoys enormous commercial influence on the Australian continent, whose company is internationally known.

MORGAN: I would like you to comment on Eric Schlosser’s article on the conditions of the conflict in Ukraine

What if Russia uses nuclear weapons in Ukraine?

A look at the grim scenarios—and the U.S. playbook for each By Eric Schlosser

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The 12th main directorate of the Russian Ministry of Defense operates a dozen central storage facilities for nuclear weapons. Known as “Object S” sites and scattered across the Russian Federation, they contain thousands of nuclear warheads and hydrogen bombs with a wide variety of explosive yields. For the past three months, President Vladimir Putin and other Russian officials have been ominously threatening to use nuclear weapons in the war against Ukraine. According to Pavel Podvig, the director of the Russian Nuclear Forces Project and a former research fellow at the Moscow Institute of Physics and Technology, now based in Geneva, the long-range ballistic missiles deployed on land and on submarines are Russia’s only nuclear weapons available for immediate use. If Putin decides to attack Ukraine with shorter-range, “tactical” nuclear weapons, they will have to be removed from an Object S site—such as Belgorod-22, just 25 miles from the Ukrainian border—and transported to military bases. It will take hours for the weapons to be made combat-ready, for warheads to be mated with cruise missiles or ballistic missiles, for hydrogen bombs to be loaded on planes. The United States will most likely observe the movement of these weapons in real time: by means of satellite surveillance, cameras hidden beside the road, local agents with binoculars. And that will raise a question of existential importance: What should the United States do?

President Joe Biden has made clear that any use of nuclear weapons in Ukraine would be “completely unacceptable” and “entail severe consequences.” But his administration has remained publicly ambiguous about what those consequences would be. That ambiguity is the correct policy. Nevertheless, there must also be open discussion and debate outside the administration about what is really at stake. During the past month, I’ve spoken with many national-security experts and former government officials about the likelihood of Russia using nuclear weapons against Ukraine, the probable targets, and the proper American response. Although they disagreed on some issues, I heard the same point again and again: The risk of nuclear war is greater today than at any other time since the Cuban missile crisis. And the decisions that would have to be made after a Russian nuclear strike on Ukraine are unprecedented. In 1945, when the United States destroyed two Japanese cities with atomic bombs, it was the world’s sole nuclear power. Nine countries now possess nuclear weapons, others may soon obtain them, and the potential for things going terribly wrong has vastly increased.

Several scenarios for how Russia might soon use a nuclear weapon seem possible: (1) a detonation over the Black Sea, causing no casualties but demonstrating a resolve to cross the nuclear threshold and signaling that worse may come, (2) a decapitation strike against the Ukrainian leadership, attempting to kill President Volodymyr Zelensky and his advisers in their underground bunkers, (3) a nuclear assault on a Ukrainian military target, perhaps an air base or a supply depot, that is not intended to harm civilians, and (4) the destruction of a Ukrainian city, causing mass civilian casualties and creating terror to precipitate a swift surrender—the same aims that motivated the nuclear attacks on Hiroshima and Nagasaki.

Any response by the Biden administration would be based not only on how Russia uses a nuclear weapon against Ukraine but also, more important, on how Russia’s future behavior might be affected by the American response. Would it encourage Putin to back down—or to double down? Cold War debates about nuclear strategy focused on ways to anticipate and manage the escalation of a conflict. During the early 1960s, Herman Kahn, a prominent strategist at the Rand Corporation and the Hudson Institute, came up with a visual metaphor for the problem: “the escalation ladder.” Kahn was one of the primary inspirations for the character Dr. Strangelove in Stanley Kubrick’s classic 1964 film, and yet the escalation ladder remains a central concept in thinking about how to fight a nuclear war. Kahn’s version of the ladder had 44 steps. At the bottom was an absence of hostilities; at the top was nuclear annihilation. A president might choose to escalate from step No. 26, “Demonstration Attack on Zone of Interior,” to step No. 39, “Slow-Motion Countercity War.” The goal of each new step upward might vary. It might simply be to send a message. Or it could be to coerce, control, or devastate an adversary. You climbed the ladder to reach the bottom again someday.

The “escalation vortex” is a more recent and more complex visualization of a potential conflict between nuclear states. It was developed by Christopher Yeaw, who served as chief scientist at the U.S. Air Force Global Strike Command from 2010 to 2015. In addition to the vertical aspects of the escalation ladder, the vortex incorporates horizontal movement among various domains of modern warfare—space, cyber, conventional, nuclear. An escalation vortex looks like a tornado. An illustration of one, featured in a Global Strike Command slideshow, places the worst outcome at the widest part of the funnel: “the absolute highest levels of permanent societal destruction.”

in october 1962, Sam Nunn was a 24-year-old recent graduate from Emory University School of Law who’d just gotten a security clearance and a job as a staff member for the House Armed Services Committee. When a colleague backed out of an overseas tour of NATO bases, Nunn took his place, left the United States for the first time—and wound up at Ramstein Air Base, in Germany, at the height of the Cuban missile crisis. Nunn remembers seeing NATO fighters parked near runways, each loaded with a single hydrogen bomb, ready to fly toward the Soviet Union. Pilots sat in chairs beside their planes, day and night, trying to get some sleep while awaiting the order to take off. They had only enough fuel for a one-way mission and planned to bail out somewhere, somehow, after dropping their bombs. The commander of the U.S. Air Force in Europe told Nunn that if a war began, his pilots would have to get their planes off the ground within a few minutes; Ramstein Air Base would be one of the first NATO targets destroyed by a Soviet nuclear attack. The commander kept a walkie-talkie with him at all times to give the takeoff order.

The Cuban missile crisis left a strong impression on Nunn. During his 24 years as a United States senator, he worked tirelessly to reduce the risk of nuclear war and nuclear terrorism. As the head of the Senate Armed Services Committee, he championed close cooperation with Moscow on nuclear matters. To continue those efforts, he later co-founded a nonprofit, the Nuclear Threat Initiative, with which I have collaborated on a number of projects. All of that work is now at risk of being undone by Russia’s invasion of Ukraine and the strident nuclear rhetoric accompanying it.

I heard the same point again and again: The risk of nuclear war is greater today than at any other time since the Cuban missile crisis.

Before the attack on Ukraine, the five nations allowed to have nuclear weapons by the Non-Proliferation Treaty (NPT)—the United States, the United Kingdom, Russia, China, and France—had reached agreement that the use of such weapons could be justified only as a purely defensive measure in response to a nuclear or large-scale conventional attack. In January 2022, those five countries issued a joint statement affirming Ronald Reagan’s dictum that “a nuclear war must never be fought and can never be won.” A month later, Russia violated norms that had prevailed under the NPT for more than half a century. It invaded a country that had given up nuclear weapons; threatened nuclear attacks against anyone who tried to help that country; and committed acts of nuclear terrorism by shelling the reactor complexes at Chernobyl and Zaporizhzhya.

Nunn supports the Biden administration’s strategy of “deliberate ambiguity” about how it would respond to Russia’s use of a nuclear weapon. But he hopes that some form of back-channel diplomacy is secretly being conducted, with a widely respected figure like former CIA Director Robert Gates telling the Russians, bluntly, how harshly the United States might retaliate if they cross the nuclear threshold. During the Cuban missile crisis, President John F. Kennedy and First Secretary Nikita Khrushchev both wanted to avoid an all-out nuclear war—and still almost got one, because of misunderstandings, miscommunications, and mistakes. Back-channel diplomacy played a crucial role in ending that crisis safely.

Nunn describes Russia’s violations of long-standing norms as “Putin’s nuclear folly” and stresses that three fundamental things are essential for avoiding a nuclear catastrophe: rational leaders, accurate information, and no major blunders. “And all three are now in some degree of doubt,” he says.

If Russia uses a nuclear weapon in Ukraine, Nunn thinks that an American nuclear retaliation should be the last resort. He favors some sort of horizontal escalation instead, doing everything possible to avoid a nuclear exchange between Russia and the United States. For example, if Russia hits Ukraine with a nuclear cruise missile launched from a ship, Nunn would advocate immediately sinking that ship. The number of Ukrainian casualties should determine the severity of the American response—and any escalation should be conducted solely with conventional weapons. Russia’s Black Sea fleet might be sunk in retaliation, and a no-fly zone could be imposed over Ukraine, even if it meant destroying anti-aircraft units on Russian soil.  

Since the beginning of the invasion, Russia’s nuclear threats have been aimed at discouraging the United States and its NATO allies from providing military supplies to Ukraine. And the threats are backed by Russia’s capabilities. Last year, during a training exercise involving about 200,000 troops, the Russian army practiced launching a nuclear assault on NATO forces in Poland. “The pressure on Russia to attack the supply lines from NATO countries to Ukraine will increase, the longer this war continues,” Nunn says. It will also increase the risk of serious blunders and mistakes. An intentional or inadvertent Russian attack on a NATO country could be the beginning of World War III.

during the summer of 2016, members of President Barack Obama’s national-security team secretly staged a war game in which Russia invades a NATO country in the Baltics and then uses a low-yield tactical nuclear weapon against NATO forces to end the conflict on favorable terms. As described by Fred Kaplan in The Bomb (2020), two groups of Obama officials reached widely divergent conclusions about what the United States should do. The National Security Council’s so-called Principals Committee—including Cabinet officers and members of the Joint Chiefs of Staff—decided that the United States had no choice but to retaliate with nuclear weapons. Any other type of response, the committee argued, would show a lack of resolve, damage American credibility, and weaken the NATO alliance. Choosing a suitable nuclear target proved difficult, however. Hitting Russia’s invading force would kill innocent civilians in a NATO country. Striking targets inside Russia might escalate the conflict to an all-out nuclear war. In the end, the NSC Principals Committee recommended a nuclear attack on Belarus—a nation that had played no role whatsoever in the invasion of the NATO ally but had the misfortune of being a Russian ally.

Deputy staff members at the NSC played the same war game and came up with a different response. Colin Kahl, who at the time was an adviser to Vice President Biden, argued that retaliating with a nuclear weapon would be a huge mistake, sacrificing the moral high ground. Kahl thought it would be far more effective to respond with a conventional attack and turn world opinion against Russia for violating the nuclear taboo. The others agreed, and Avril Haines, a deputy national security adviser, suggested making T-shirts with the slogan deputies should run the world. Haines is now President Biden’s Director of National Intelligence, and Kahl is the Under Secretary of Defense for Policy. 

In 2019, the Defense Threat Reduction Agency (DTRA) ran extensive war games on how the United States should respond if Russia invades Ukraine and then uses a nuclear weapon there. DTRA is the only Pentagon agency tasked exclusively with countering and deterring weapons of mass destruction. Although the results of those DTRA war games are classified, one of the participants told me, “There were no happy outcomes.” The scenarios for nuclear use were uncannily similar to the ones being considered today. When it comes to nuclear warfare, the participant said, the central message of the 1983 film WarGames still applies: “The only winning move is not to play.”

None of the national-security experts I interviewed thought the United States should use a nuclear weapon in response to a Russian nuclear attack on Ukraine. Rose Gottemoeller—who served as the chief American negotiator of the New START arms-control treaty with Russia and later as the deputy secretary general of NATO—believes that any nuclear attack on Ukraine would inspire global condemnation, especially from countries in Africa and South America, continents that are nuclear-weapon-free zones. She thinks that China, despite its tacit support for the invasion of Ukraine, would strongly oppose Putin’s use of a nuclear weapon and would back sanctions against Russia at the United Nations Security Council. China has long supported “negative nuclear assurances” and promised in 2016 “unconditionally not [to] use or threaten to use nuclear weapons against non-nuclear-weapon states or in nuclear-weapon-free zones.”

The decisions that would have to be made after a Russian nuclear strike on Ukraine are unprecedented.

If the United States detects tactical weapons being removed from Russian storage sites, Gottemoeller thinks the Biden administration should send a tough warning to Moscow through back channels—and then publicize the movement of those weapons, using the same tactic of openly sharing intelligence that seemed to thwart Russian false-flag operations involving chemical and biological weapons in Ukraine. Over the years, she’s gotten to know many of the top commanders who oversee Russia’s nuclear arsenal and developed great respect for their professionalism. Gottemoeller says they might resist an order to use nuclear weapons against Ukraine. And if they obey that order, her preferred option would be “a muscular diplomatic response” to the nuclear strike, not a nuclear or conventional military response, combined with some form of hybrid warfare. The United States could launch a crippling cyberattack on the Russian command-and-control systems tied to the nuclear assault and leave open the possibility of subsequent military attacks.

Scott Sagan, a co-director of the Center for International Security and Cooperation, at Stanford University, believes that the risk of Russia using a nuclear weapon has declined in the past month, as the fighting has shifted to southern Ukraine. Putin is unlikely to contaminate territory he’s hoping to seize with radioactive fallout. And a warning shot, such as the detonation of a nuclear weapon harmlessly over the Black Sea, would serve little purpose, Sagan says. It would signal irresolution, not resolve—a conclusion that the United States reached half a century ago about the potential utility of a NATO demonstration strike to deter the Red Army. Sagan concedes that if Russia were to lose major battles in the Donbas, or if a Ukrainian counteroffensive seemed on the verge of a great victory, Putin might well order the use of a nuclear weapon to obtain a surrender or a cease-fire. In response, depending on the amount of damage caused by the nuclear explosion, Sagan would advocate American conventional attacks on Russian forces in Ukraine, Russian ships in the Black Sea, or even military targets inside Russia, such as the base from which the nuclear strike was launched.

Sagan takes issue with how the back-and-forth of military conflict is commonly depicted. As an image, an escalation ladder seems too static. It suggests the freedom to decide whether you should go up or down. Sagan thinks nuclear escalation would be more like an escalator: Once it starts moving, it has a momentum of its own, and it’s really hard to get off. He would be deeply concerned by any sign that Putin is taking even the initial steps toward nuclear use. “We should not underestimate the risk of an accidental nuclear detonation if tactical weapons are removed from their storage igloos and dispersed widely among Russian military forces,” Sagan warns.

I recently had lunch with former Secretary of Defense William J. Perry at his home in Palo Alto, California. Perry is 94 years old, one of the last prominent military strategists active today who witnessed firsthand the devastation of the Second World War. He served in the U.S. Army of Occupation of Japan, and nothing that he had read about the firebombing of Tokyo prepared him for what he saw there—a great city burned to the ground, the survivors living amid fused rubble, dependent on military rations. In Naha, the capital of Okinawa, the destruction seemed even worse. In his memoir, Perry writes that not a building was left standing, and includes a famous description: “The lush tropical landscape was turned into a vast field of mud, lead, decay, and maggots.” What Perry saw in Japan left him profoundly unsettled by the nuclear threat. Naha and Tokyo had been devastated by tens of thousands of bombs dropped in hundreds of air raids; Hiroshima and Nagasaki, by a single atomic bomb each.

Perry later earned advanced degrees in mathematics and became an early Silicon Valley pioneer, specializing in satellite surveillance and the use of digital technology for electronic warfare. During the Cuban missile crisis, he traveled to Washington, D.C., at the request of the CIA, and scrutinized satellite photographs of Cuba for evidence of Soviet nuclear weapons. He helped prepare the morning intelligence reports for President Kennedy and wondered every night whether the next day would be his last. As an undersecretary of defense during the Carter administration, Perry played a crucial role in developing stealth technology, and as secretary of defense during the Clinton administration, he led the effort to lock up nuclear weapons and fissile material at locations throughout the former Soviet Union. After leaving the Pentagon, he earned a dovish reputation, joining Sam Nunn, Henry Kissinger, and George Shultz in 2008 in a plea for the abolition of nuclear weapons; opposing American plans for new ground-based, long-range ballistic missiles; and calling upon the United States to make a formal declaration that it would never be the first to launch a nuclear attack. But Perry’s views on the Russian invasion of Ukraine are anything but warm and fuzzy. 

“The pressure on Russia to attack the supply lines from NATO countries to Ukraine will increase, the longer this war continues,” Nunn says.

We ate sandwiches that Perry had prepared, with bread he’d baked, sitting on a large terrace where the planters overflowed with flowers and hummingbirds hovered at feeders, beneath a brilliant blue sky. The setting could not have been more bucolic, the idea of nuclear war more remote. A few days earlier, Perry had given a speech at Stanford, outlining what was at stake in Ukraine. The peace that had reigned in Europe for almost eight decades had been shattered on February 24, he said, and “if Russia’s invasion is successful, we should expect to see other invasions.” Putin was now engaging in blackmail, threatening to use nuclear weapons for offensive, not defensive, purposes, trying to deter the United States from providing the conventional weapons that Ukraine badly needs. “I fear that if we give in to this outrageous threat,” Perry said, “we will face it again.” 

Perry’s manner is thoughtful, calm, and gentle, not the least bit alarmist or overemotional. I’ve known him for more than a decade, and though his voice has grown softer, his mind is remarkably undimmed, and beneath his warmth and kindness lies steel. Perry has met Putin on a number of occasions, dating back to when he was the deputy mayor of St. Petersburg—and thinks Putin will use tactical weapons in Ukraine if it seems advantageous to do so. Although the Russian Federation’s declared policy is to use nuclear weapons only when confronted with an existential threat to the state, public declarations from Moscow should always be taken with a grain of salt. The Soviet Union adamantly denied having any missile bases in Cuba as it was building them. It publicly vowed for years never to be the first to use a nuclear weapon, while secretly adopting war plans that began with large-scale nuclear attacks on NATO bases and European cities. The Kremlin denied having any intention to invade Ukraine, right up until it invaded Ukraine. Perry always found Putin to be competent and disciplined, but cold. He believes that Putin is rational at the moment, not deranged, and would use nuclear weapons in Ukraine to achieve victory and thereby ensure the survival of his regime.

During the Cold War, the United States based thousands of low-yield tactical nuclear weapons in NATO countries and planned to use them on the battlefield in the event of a Soviet invasion. In September 1991, President George H. W. Bush unilaterally ordered all of America’s ground-based tactical weapons to be removed from service and destroyed. Bush’s order sent a message that the Cold War was over—and that the United States no longer considered tactical weapons to be useful on the battlefield. The collateral damage they would cause, the unpredictable patterns of lethal radioactive fallout, seemed counterproductive and unnecessary. The United States was developing precision conventional weapons that could destroy any important target without breaking the nuclear taboo. But Russia never got rid of its tactical nuclear weapons. And as the strength of its conventional military forces waned, it developed very low-yield and ultra low-yield nuclear weapons that produce relatively little fallout. In the words of a leading Russian nuclear-weapons designer, they are “environmentally conscious.” The more than 100 “peaceful nuclear explosions” conducted by the Soviet Union—ostensibly to obtain knowledge about using nuclear devices for mundane tasks, like the excavation of reservoirs—facilitated the design of very low-yield tactical weapons.

Two nuclear detonations have already occurred in Ukraine, as part of the Soviet Union’s “Program No. 7—Peaceful Explosions for the National Economy.” In 1972, a nuclear device was detonated supposedly to seal a runaway gas well at a mine in Krasnograd, about 60 miles southwest of Kharkiv. The device had an explosive force about one-quarter as large as that of the atomic bomb that destroyed Hiroshima. In 1979, a nuclear device was detonated for the alleged purpose of eliminating methane gas at a coal mine near the town of Yunokommunarsk, in the Donbas. It had an explosive force about one-45th as large as that of the Hiroshima bomb. Neither the workers at the mine nor the 8,000 residents of Yunokommunarsk were informed about the nuclear blast. The coal miners were given the day off for a “civil-defense drill,” then sent back to work in the mine.

The weakness of Russia’s conventional forces compared with those of the United States, Perry suggests, and Russia’s relative advantage in tactical weapons are factors that might lead Putin to launch a nuclear attack in Ukraine. It would greatly benefit Russia to establish the legitimacy of using tactical nuclear weapons. To do so, Putin must choose the right target. Perry believes that a demonstration strike above the Black Sea would gain Putin little; the destruction of a Ukrainian city, with large civilian casualties, would be a tremendous mistake. But if Russia can destroy a military target without much radioactive fallout, without civilian casualties, and without prompting a strong response from the United States, Perry says, “I don’t think there’s a big downside.” Russia has more nuclear weapons than any other nation in the world. Its national pride is strongly linked to its nuclear weapons. Its propagandists celebrate the possible use of nuclear weapons—against Ukraine, as well as against the United States and its NATO allies—on an almost daily basis, in an attempt to normalize their use. Its military has already destroyed Ukrainian cities, deliberately targeted hospitals, killed thousands of civilians, countenanced looting and rape. The use of an ultra low-yield nuclear weapon against a purely military target might not seem too controversial. “I think there would be an international uproar, but I don’t think it would last long,” Perry says. “It might blow over in a week or two.”

If the United States gets intelligence that Russia is preparing to use a nuclear weapon, Perry believes that the information should be publicized immediately. And if Russia uses one, the United States should call for international condemnation, create as big a ruckus as possible—stressing the word nuclear—and take military action, with or without NATO allies. The reprisal should be strong and focused and conventional, not nuclear. It should be confined to Ukraine, ideally with targets linked to the nuclear attack. “You want to go as little up the escalation ladder as you can get away with doing and still have a profound and relevant effect,” Perry says. But if Putin responds by using another nuclear weapon, “you take off the gloves the second time around” and perhaps destroy Russia’s military forces in Ukraine, which the United States could readily do with conventional weapons. Perry realizes that these escalations would be approaching the kind of Dr. Strangelove scenarios that Herman Kahn wrote about. But if we end up fighting a war with Russia, that would be Putin’s choice, not ours.

Perry has been warning for many years that the nuclear danger is growing. The invasion of Ukraine has unfortunately confirmed his prediction. He believes that the odds of a full-scale nuclear war were much higher during the Cuban missile crisis, but that the odds of a nuclear weapon being used are higher now. Perry doesn’t expect that Russia will destroy a Ukrainian air base with a tactical weapon. But he wouldn’t be surprised. And he hopes the United States will not be self-deterred by nuclear blackmail. That would encourage other countries to get nuclear weapons and threaten their neighbors.

As I listened to the recording of my conversation with Bill Perry, it was filled with the incongruous sounds of wind chimes and birds singing. Vladimir Putin can determine if, when, and where a nuclear attack occurs in Ukraine. But he cannot control what happens after that. The consequences of that choice, the series of events that would soon unfold, are unknowable. According to The New York Times, the Biden administration has formed a Tiger Team of national-security officials to run war games on what to do if Russia uses a nuclear weapon. One thing is clear, after all my discussions with experts in the field: We must be ready for hard decisions, with uncertain outcomes, that nobody should ever have to make.

This article has been modified to reflect a clarification by Sam Nunn regarding his views on America’s possible nuclear response to Russian use of nuclear weapons in Ukraine.

Eric Schlosser is a former contributing editor at The Atlantic. He is the author of Command and Control: Nuclear Weapons, the Damascus Accident, and the Illusion of Safety and Fast Food Nation.

MARIUS:  I honestly never expected to leave comments on a conflict that at worst could become a world war on European soil.

This, in itself, should already be a warning to reflect on, an epochal failure for what today we could define a United Europe and its parliamentary leaders, who seem to hang completely from the American system.

The need for a counterattack by President Vladimir Putin after the continuous provocations suffered in recent months, also considering the sabotage of the Russian Nord Stream 1 and 2 gas pipelines and the latest attack on the Crimean bridge, is practically taken for granted. It seems obvious to me that with every attack there is a counterattack!

The United States of America has also done a lot to do nothing sensible! I should say that for all that has happened in the past 10 years, American governance rather than operating in the common good has undone! By now the cards are on the table and the international political world knows the assumptions of America, which using NATO, has planned and instigated the beginning of a conflict between Ukraine and Russia, enable Europe to enter into a sneaky and destructive game. The only thing he could really do to not make things worse would be to remain within its native territories and stop meddling in those overseas, but unfortunately its circumstances do not provide for it … because remaining helpless would be to suppose the end of the American empire. And the whole situation starts from this uncomfortable assumption. So yes the question is legitimate: not what should the United States of America do, but what could the United States of America still do?

I believe that, at present, the fundamental problem does not reside in the probable certainty / uncertainty of the use of low frequency nuclear weapons by the Russian government against the Ukrainian opponent. First of all, you need to be specific when we talk about conflicts. In this case, even if for many years the Ukrainian masses have been induced to hatred through of a great russophobic propaganda, it is not the populations to be at war with each other; rather it is a war of governments in which the masses are involuntarily subjected!

Having said that, knowing in depth by now what are the main and probable objectives of both opposing factions, the question lies only in considering the correct American answer, not only in the eventuality of the use of nuclear weapons, but in the entire continuity of the conflict. Almost eighty years after the explosion of the first and only atomic bombs dropped by human being during a conflict between states, the possible detonation of a new nuclear device, beyond the possible catastrophic scenario, will mark an unprecedented epochal change in world society, as it would radically change the ideology of common thought in the face of the emblematic figure of war, till now considered a decadent stereotypical image on the end of the world which in some way could assume an influenceable collective vision more present and at the same time, even if unavoidable, of enormous emotional susceptibility. Until yesterday in the Western world our vision of war was only a semblance of style, pure “entertainment” as it would be defined by the Americans, while today war makes even skeptics fearful!

Until now, Russia has never considered the launch of an atomic missile as the only possible response to the Western threat, focused on the government of Volodymyr Zelens’kyj. President Putin has explicitly declared that it would only be a defense weapon if he were forced by a direct threat against his country. I think this statement of yours is rather directed towards those Western countries hostile to the Russian Federation which, having nuclear technology at their disposal, can become a serious threat to their safety.

We must also consider that Ukraine has been strongly Americanized in the last ten years, I would emphasize in a negative way, and somehow exploited by the Atlanticist governance in order to make it, deliberately, a living and possibly threatening weapon towards the Russian populations and of those peoples of Eastern Europe close to Russia.

According to my personal consideration of the possible scenarios listed, I do not believe that President Putin can cause a detonation on the Black Sea with the sole intent of frightening the West, as the latter is already aware of his actions and his military decisions; just as it should be equally unlikely that he could suddenly destroy a Ukrainian city, causing a huge massacre of civilians. I think rather that, in a destructive scenario, he could go as far as detonating an extended military area trying to limit human damage as a further warning for a possible aggravation of the conflict situation, even if the will to carry out a sudden attack against the Ukrainian leadership, seeking to attempt the life of President Volodymyr Zelenskyj or, at least, dethrone him from his hegemonic position of command in order to restore a more stable position within the Ukrainian government, may prove to be the most feasible, although it may cost not scant Russian human lives, before reaching the so-called extreme position.

In this case, my question arises spontaneous: why would President Vladimir Putin throw an atomic bomb on Ukrainian soil, given the fact that were the Americans who made Ukraine what appears to the world today, led by President Joe Biden, driven by personal acrimony towards his Russian antagonist and by a deep conviction that the United States of America must absolutely be the architects of absolute world power, rather than throwing an atomic bomb directly on American soil, in consideration of the fact that the Russian government has always claimed to be the main target of American governance since the time of the Cold War, always in consideration of the fact that it will never leave Russia alone until one of the two will have definitively defeated the other. The statements of the Kremlin adviser, the political philosopher Aleksandr Gelʹevič Dugin, a friend of the president, are now evident in the eyes of the intellectual and political world, for which he himself has lost his daughter.

Even if the Ukrainian conflict were to end soon, but I do not think it can happen in the shortest possible time, as a president of a nation, a population coeval with Russian governance itself, would progress by neglecting a salient aspect of the near future with a nefarious flavor, after all hostile to their own safety.

From the years of the cold war, for all the wars protracted until today, through which the two great world powers have often found themselves in collision, accusing each other of being architects of death and destruction, sooner or later the truth will emerge because there are secret documents and people who pass on unpublished stories over the generations in order for it to become a spirit of revenge. At that point the clash would be inevitable!

So the question is not how, but when! Theories have been built and fierce debates have been addressed to formulate a roadmap on how to deal with a nuclear war. “The scale of intensifications” ideated by Herman Kahn himself, a skilled strategist and futurologist, is a fleeting example of how man tries to represent his own survival by crossing the threshold of the probable by addressing futuristic issues in view of the fateful great restoration, the so called The Great Reset, which in the early 1960s it was only a possible political utopia. “The scale of intensifications”, or better known as “The escalation scale”, in its far-sightedness represents the emblem of the ad interim programming of American governance and how it takes into consideration the emblematic development of its own supremacy, an act of due survival. In the meantime, from the 1960s to today, the world has continued its progression and military technology has trampled on unusual paths, arousing astonishment and concern, which is why if in the periods of the Cold War the 44 steps of the Kahn ladder represented the right temporal overlap of the deadly diatribe of a nuclear war, today on the threshold of the new millennium, almost a quarter of a new century, the examination of its passage from one step to another, in collusion with the present times, borders on a whirlwind time reduction of singles that from years it could become months, and from several months even a few weeks, precisely in view of the sudden development of technology that drastically reduces its outcome.

Ultimately this is precisely what I mean, the “whirlwind of intensifications”, or “vortex of escalation”, for its progressive and complex visualization of a potential conflict between the two nuclear states, in line with the various domains of modern warfare represented from current technology – space, information technology, robotics, cyber and nuclear – would reduce the temporal effects of the scale, producing an absolute increase of the catastrophic levels of a permanent corporate destruction. And I underline that the risk of a nuclear war in our time is greater than any other moment in the history of modern man, since the time of the Cuban missile crisis.

The Nuclear Non-Proliferation Treaty (NPT) is currently the only global instrument on nuclear disarmament and non-proliferation, whose five nations authorized to possess nuclear weapons – China, France, the United Kingdom, Russia, the United States of America – have deliberately sanctioned an agreement as a precautionary and preventive measure against a possible nuclear confrontation, to which they added the joint declaration, in wanting to absolutely avoid a war fought and never won, in January 2022. As regards propaganda information which revolves around the nuclear power between east and west, I argue that both sides have used the nuclear term as a preemptive threat. We must not forget that Volodymyr Zelens’kyj recently asked US President Joe Biden to nuclear bomb Russia, even before President Vladimir Putin used the atomic bomb first. The treaty establishes the impossibility for new states to take possession of nuclear weapons (non-proliferation) and definitively dismantle existing arsenals (disarmament), while guaranteeing the right to use nuclear energy for peaceful purposes (peaceful use).

As such, Vladimir Putin did not violate the rules of the NPT by using his invasion troops at the start of his anti-Nazi operation on Ukrainian territory, in the desire to help the oppressed DonBass populations. Regardless of his motives, he invaded a country guilty of violating a treaty established in 2014, the Minsk Protocol, composed of the representatives of Ukraine, Russia, the Donetsk People’s Republic (DNR) and the Lugansk People’s Republic (LNR), treaty that the United States of America deliberately neglected, as it neglected the agreements with NATO in wanting to discuss the initial shipment of heavy weapons to Ukraine, long before the Russian invasion, aware that only one dissent in the vote would be enough to avoid strategic sending. Ultimately, Ukraine and the US have underestimated the Minsk Protocol and the NATO agreements themselves, while Russia has not violated, at least not yet, the NPT agreements. President Vladimir Putin simply attacked a country, which had renounced nuclear weapons, but did not bomb it with atomic bombs; his is a threat of response to the Western threatment following pressures in which the word “nuclear” has already been used in a threatening manner, to which he himself has responded with equally threatening terms.

As far as nuclear terrorism is concerned, there is a different propaganda between what is spread between east and west of Europe, and consequently in the rest of the world. From the Russian embassy in Italy there are reports in which the bombings of the nuclear complexes of Chernobyl and Zaporizhzhya were not claimed by the Russian army, rather they were classified as a Western terrorist action, using non-nuclear Western tactical ballistic missiles, by the Ukrainian state.

The President of the Senate Armed Forces Commission, Sam Nunn, who certainly knows the American military strategies of the Biden administration more than Westerners in east of the Atlantic, following his multiple collaborations with various presidential administrations, can certainly define “ambiguous” the position of President Joe Biden regarding Russia’s use of a nuclear weapon. His hope, that may exist a sort of back channel diplomacy in support of a possible immediate pacification between the two great powers, is a hope that the whole world anxiously awaits.

What he describes as longstanding violations of the rules by Russia, we could define at the same time as longstanding violations by the United States of America itself, the Turkey / Cuba case could be a valid example of how the rules are evaded, and in this epochal diatribe between America and Russia we could emphasize “Putin’s nuclear madness” in the same way as “Biden’s nuclear madness”, because both countries hold huge quantities of nuclear warheads and both could use them according to the needs of the respective countries. What I cannot understand in American diplomatic attitudes is the profound security, which on more than one occasion becomes an uncomfortable presumption towards diplomacy itself, in wanting to consider oneself inevitably more daring than their respective adversaries, even knowing that they have a numerical inferiority compared to the geopolitical position of the continents, a smaller amount of nuclear technological weapons, a conventional armed structure on par! The use of conventional weapons, as an American response to the probable atomic detonation on Ukrainian soil by the Russian government, would be only one way to prevent America from being bombed with nuclear weapons. When Sam Nunn affirms that a possible American response to the launch of Russian nuclear missiles would be to have to sink ships or stationings of origin, he underestimates with extreme superficiality the antagonistic response that would lead to sinking or destroying a ship against another ship, a placement against another placement, a plane against another plane, thus triggering a series of belligerent events on both sides that would surely undermine that awaited hope of peace, which the world currently needs. As indeed, setting a no fly-zone over Ukraine would be like triggering a series of not indifferent air combat that would certainly involve more than one country between NATO and CSTO / BRICS. I imagine that this prerogative has already been taken into consideration by the President of the Senate Armed Forces Commission.

What I would like to define is that an American response to the Ukrainian conflict would not leave the Russian government helpless! On the contrary, in my opinion, any American or European intervention on Ukrainian soil, during the war involvement between the two warring countries, would be absolutely a wrong behavior. NATO and especially the United States of America should remain unmoved in order to preserve world peace. On the other hand, the sending of weapons to Ukraine turns out to be yet another Western mistake since it exploits the outcome.

It is difficult to say whether Russia’s nuclear threats since the invasion have simply been intended to discourage the United States and its NATO allies from providing military supplies for Ukraine, at least from my point of view. 

On the one hand, I think that the approximation of nuclear power is one of the reasons that prompted the Russian president to question the atomic bomb. We are aware to receive only part of the information propagated by the Western media, while exists another information attesting that the Americans have also been no less, and I repeat that just recently the same Ukrainian president has asked America to use nuclear power against the Russian territories.

We are faced with two great military powers that have numerous nuclear warheads and that have no problem letting the world know, with the knowledge that they can use them in case of need. The same story tells us that the United States of America dropped two atomic bombs on two unarmed Japanese cities, completely razing them to the ground without asking for permission or giving an early warning to guarantee their evacuation. No one can say for sure that the American president cannot behave the same way a second time! Many people think this in the West, and therefore I imagine even more to the east of Europe!

On the other hand, I assume that when a president of a powerful nation decides to question the use of atomic weapons, it is necessary to deeply understand why he has come to this point, considering that one would never dream of hatching such dramatic arguments, in an ordinary context, if the prerequisites for doing so did not exist.

In my impartiality I think that both the two great presidents of the two great nations have reached the point of no return, each in their own convictions and strategy … Yes, because here we are talking about strategies that question geopolitics, mineral resources, financial economic power, temporal power now classified as political power and finally civil safety. Instead, it is necessary to consider which of the two intends, detonation or non-detonation, to cross the threshold … but not in the use of nuclear power, rather of the iteration of the event horizon where it is not possible to influence a return to normality in any way. This is the question that grips the mind or sleep of about 8 billion people, more and less, in the world.

In responding to remarks by journalist Fred Kaplan and Colin Kahn, Undersecretary of Defense for Policy, and Avril Haines, Deputy National Security Advisor, both of them members of the US National Security Team, if there is no direct attack against the US or NATO members without a reason motivated by previous heinous actions, 

I argue that a consequential belligerent action would not be the right way to go, it would certainly not be a lack of determination or American credibility that would weaken the NATO alliance, already in fact feeble in itself, nor a relentless with a nuclear attack on Belarus, as the National Security Committee (NSC) suggests, would be a considerable strategic move as it would favor the introduction of members of the Collective Security Treaty organization OTSC / CSTO into warfare, in defense of the allied nation, which in a certain sense would favor the introduction into the war also of the members of BRICS, as close allies of Russia, which apparently appears to be an economic organization, as well as it could evade military-type membership, apparently hides, but which in fact collects more and more international acclaim. I think that a response with conventional weapons is the easiest move to take to ensure that the war can have a prolonged sequel with an escalation of greater war entity, but I do not think it can address the world public opinion with a positive impact, because effectively beyond what the media say, the thought of the collective society is absolutely opposed to war. And I don’t think that a T-shirt as a slogan, beyond the ironic taste, can result an immediate answer to the problem of conflict.

Essentially, the central message of the 1983 WarGames film is absolutely valid: “The only winning move is not to play”. And it exactly matches the message I transcribed above.

I sincerely disagree with the considerations of former NATO Deputy Secretary General, Rose Gottemoeller, regarding the strong opposition from China, despite its tacit support for the invasion of Ukraine, on Vladimir Putin’s use of nuclear power and, if it were employed, to support the sanctions against Russia by the United Nations Security Council.

Although China has long supported with negative nuclear assurances a sensitive campaign against the systematic use or the unconditional threat of the use of nuclear power in the resolution of conflicts against states without nuclear weapons or in nuclear-weapon-free zones, I am convinced that the Russian president has already discussed extensively with his international allies on the remote possibility of using nuclear force as a defense expedient for the safety of his country, as I imagine the same countries members of his strategic alliances would do if they sensed an external threat from powerful nations like the United States of America and some NATO member nations. On the contrary, I believe that they have already formulated a precise agreement of tacit effective consent to the use of the atomic bomb, as a last resort of course, in view of that collective fear that as uncomfortable antagonists they could become the next target once the great Russian military power is exhausted. This is the greatest fear felt by all the antagonistic world powers of NATO, a Western organization that belongs exclusively to America, nations that would not want to submit to the American aegis in its despotic intention of wanting to control globally the world. Without considering the same nations today allies of NATO that could shortly, inevitably, leave the organization to go elsewhere precisely because of that form of dissent to the American neoliberal globalist programs which aim to neutralize the national and monetary sovereignty of the associated states.

Rose Gottemoeller, rightly must suppose possible counter-offensive in response to a possible tactical move by Russia, but as often happens for the Americans, emeritus of their military and technological greatness, even if this in the technological case, underline “a muscular diplomatic response” to the Russian nuclear attack against Ukraine through the initiation of a Cyber ​​attack combined with both nuclear and conventional military actions, thus triggering the beginning of a hybrid war, could not be very relevant considering the hybrid counteroffensive of the Russians, who would surely be ready to defend themselves from every possible attack. What American governance should fundamentally understand is that it would not be a war fought with extreme ease, it would not be a war of power or prestige, as the two opposing factions hold equal war power. It would become a fierce, distorted war, fought on all fronts in an unconventional way and because the same methods of attack, defense and survival would be employed. What Rose Gottemoeller did not say is that America could be subjected to the same kind of hybrid warfare by Russia in the same ways she mentioned, as it could even suffer a crippling cyber attack on the command and control systems of strategic points of the nuclear at the same time that the Russian governance decided to launch an atomic order to obtain an unconditional surrender of Ukraine, and shortly thereafter attack to invade the United States of America. In view of two equal world powers, it is not possible to make exact predictions about the outcomes of a conflict. 

The substantial difference between the two nations is transparent. Russia has always claimed to be a troublesome target to be eliminated by the United States of America because its military strength, today also technological and financial, has always been considered a living threat to American survival and global control of the planet, at the moment, more shaky than ever; America, in compensation, has never felt like an effective target until now sure of being able to count on full military efficiency, a strong ally of technology and finance. Therefore, the main objective of the American president is to preserve national safety first of all, preserving the bicentennial certainty of never having been invaded or attacked militarily, an unusual event that would considerably collapse the supranational hegemony that for over 200 years has imposed on financial, military and economic markets of the rest of the world.

I agree with the words of Scott Sagan, co-director of the Center for International Security and Cooperation, at Stanford University, when he defines a Russian atomic attack on Ukrainian soil as a potentially harmful and nefarious action for the territories he would like to annex definitively, reason for which would rather be predisposed to strike the territories to the north of the country rather than to the south, legitimizing a nuclear explosion only in the eventuality to get out loser, following the continuous strategic, structural and military aid of NATO. Absolutely the subsequent American conventional response would involve an immediate Russian counter-response and … clashes between Russian and American armed forces on Ukrainian soil, sinking of Russian ships and American ships in the Black Sea, bombing of military targets inside Russian soil and bombing of American military targets on European soil. The consequences would be devastating for Europe, but this nefarious alternative does not seem to interest American governance, rather committed to devising an effective system to be able to attack Russia, with the excuse of defending the Ukrainian territory that they themselves have armed to the teeth , without considering the belligerent repercussions on European soil … probably an element considered fortuitous and fortunate for the new American recession.

The words of William J. Perry, former Defense Secretary, seem proverbial, imagining that in his 94 years of life his military presence had a substantial weight for America, firm remaining that he was witness of the most terrible war phenomenon that humanity has ever witnessed, World War II and the nuclear war against Japan. Since the end of the Second World War, Europe has suffered other painful and bloody micro wars, but for almost eighty years global peace had never been seriously compromised until 24 February.

He argues that: “If the invasion of Russia is successful, we should expect to see more invasions.”

On the contrary, I ask the opposite question: “Why should President Vladimir Putin feel compelled to initiate more invasions? Why should he invade other sovereign nations?”, whose sovereignty today is highly questionable. Furthermore, “Why should the Russian president nourish the need to clean up an extreme and dangerous Nazism who is trying to radicalise Europe negatively?”.

Perhaps this is what lies behind the claims of the former Defense Secretary! The fear that Vladimir Putin could continue his military mystical invasion to free Europe from the specific spiritual weight of a Nazi organization that wants to gain systematic control of the European masses. And that might bother someone or something.

He also claims that Vladimir Putin has engaged in a blackmail of rivalry by threatening the use of nuclear weapons for offensive purposes, not defensive, in the hope of dissuading the United States of America and NATO from supplying conventional heavy weapons to the Ukrainian state.

We get to talk of blackmail, of offensive and non-defensive purposes, of dissuasive intentions in supplying weapons. My question comes spontaneously: “But was it not the American governance of President Joe Biden that provided the prerequisites for blackmail by entering the Ukrainian territories in violation of international treaties, to instigate offensive non-defensive purposes by fomenting Russophobia, to dangerously arm the Ukrainian army with conventional weapons without even consulting with NATO members? ”… These are not just assumptions, but already well-known information.

Finally, he claims to fear that yielding to the outrageous threat of Russia will lead to a new confrontation in the near future!

And on this statement, I theorize another supposition: “Does the current American governance think of having to face Russian governance again? Could or should new clashes evolve in view of future war scenarios in pursuing planned planning? How does the American government administration see the future of the world and how does Russia fit into its global development plan?”… Ultimately, “How should this conflict be considered? Should it set the field for an even more threatening confrontation for world safety? “ … “What to do to avoid the worst?”, unless there is an intention to avoid it!

When I hear Americans in power disserting, despite are excellent speakers, mostly Democrats, I think about the considerations of their global neoliberal programming of which they are very proud of, and I don’t find a fully liberal position without considering their biased view. They do nothing but point the finger without remark the real motivations for good or evil, highlighting the hostile or devious actions of possible adversaries by misleading their own, as if America were constantly a victim of circumstances, and therefore forced to respond or to intervene. Even if most of the time the reality is quite different. And then the case of Turkey Cuba in the 60s is reiterated as the case of Ukraine Donbass at the present time.

William J. Perry, like other colleagues at the direct or indirect service of the White House, often sin on a subtle loquacious presumption in wanting to simplify any military action or to propagandize information in order to make it a tool of advantage. Even an eventual confrontation with Russia seems to them no more dangerous than a tedious walk in the middle of a winter storm. Usually the presumption of feeling invariably stronger ends up becoming a weakness in the form that decrees a negative exit from the scene. And even in this case he assumes conventional military actions relegated to a sort of Americanized dramatic parody where the Russian army seems to represent the role of extra in a scene already contextualized regardless.

Over the past hundred years the US government has become adept at throwing the stone and hiding the arm, in knowing how to climb and descend the steps of Herman Kahn’s escalation ladder, as if the fate of a world conflict depend on the tactical comings and goings of a scheme predisposed in the last century. America wants to strike on the surface to avoid being hit in its depth always confining its blows of the sword to distant territories, in this case Ukraine, pouring the responsibilities on the antagonists leaving their own, without considering that in such clashes people perish every day, considered by themselves as calculated victims foreseen by the protocol, but still human beings anyway. What if Vladimir Putin were to drop a second low-yield atomic bomb? According to William J. Perry, it would do nothing more than take off the gloves a second time and do more harm than expected, while for the civilians involved the sacrifice would be enshrined in the charter of the new constitution. What if Vladimir Putin were to drop more atomic bombs than expected and not on Ukrainian soil? How many times would America take off its gloves before realizing to have not more its fingers? What if it was not as easy to beat up the Russian president as the members of the National Council of the United States would have you believe?

Finally, William J. Perry argues that if we end up fighting a war with Russia that would be a choice of the Russian president. I bite back to saying that if, instead, we end up fighting a war against Russia not by President Vladimir Putin’s choice, but rather by President Joe Biden’s choice?

The fate of Europe hangs in the balance between the continuous Russophobic appeals of President Volodymyr Zelens’kyj, between President Joe Biden’s complaints about sanctions with the continuing ambiguous behavior of NATO, and finally between the considerations of President Vladimir Putin.

On February 24, the Russian army crossed the border of Ukrainian soil; it was rumored that soon the Ukrainian president would have to go and sign dangerous agreements with the West in Brussels. My predictions were correct, Vladimir Putin would attack Ukraine to vanquish the start of World War III by starting PHASE 1, “Ukrainian anti-Nazi military operation on Ukrainian soil”, as a safeguard for the victims of the southern territories.

The intensification of misunderstandings, with the extension of economic sanctions and the continuous dispatch of weapons to oppose a sudden peace, amidst provocations, offenses and murders, already in mid-May made me foresee that at the beginning of the autumn we would pass into the PHASE 2, “Western anti-Nazi military operation on Ukrainian soil”, in which the NATO countries most exposed in the developments of the Ukrainian project started some years ago would be compromised. Phase 2 will focus on a series of clashes over the vast territories of Ukraine under the eyes of its inhabitants now exhausted by a war that is effective for eight years.

It would be wise to end it here! This conflict involves a total escalation of 4 phases, at the moment we are at the beginning of the second phase. I cannot yet give a concrete forecast on the possible start of PHASE 3, “Western anti-Nazi military operation on European soil”, which would involve a series of clashes on military placements, and possibly also civilians, between the various European nations, even in Russia, including the use of low-yield atomic bombs, without excluding that it could also compromise American soil.

PHASE 4 would be the last phase, that finally the high-yield nuclear one, in which the various strategic alliances of the warring parties would first come into conflict, with a series of hostile actions extended to the whole planet between bombings, air sea and land clashes, then to converge in the launch of atomic warheads. I do not exclude that America may be the first to launch the atomic bomb in view of multiple betrayals within NATO. The scenario would be apocalyptic!

The nuclear danger has never been evident until this precise moment in our time. The Ukrainian invasion has only decreed the evidence, but it cannot treat a prediction as the Ukrainian epilogue had already been largely prepared. It was just a matter of time. It is only a matter of time in which to decide whether to end a conflict in the short term possible or whether to direct our world adrift in the search for a great restoration, the Great Reset, that would result a step forward in the epochal sphere but a quantum leap backwards of over two hundred years of history.

For a long time I have been fascinated by the neoliberal ideologies of wanting to revolutionize the world collectivity in the desire to create a single planetary agglomeration, peaceful and scientific, the cradle of new technology, the era of cutting-edge medical science, projected into a cosmopolitan global vision lived in full harmony with all its freely associated parts of the planet, but I never expected that it could instill new wars for territorial dominance, new dictatorial health governments, demographic controls for blind survival and cruel death from the atomic bomb. My global vision has always been for a peaceful coexistence among the peoples of the world.

by Marius Creati

Dissertazione politica sul nuovo vertice italiano 2022 con Morgan Williams / Central Station Records in Australia, di Marius Creati (parte 1)

October 21, 2022 Leave a comment

Morgan Williams è un ex segretario privato al Parlamento della Nuova Zelanda, ora co-proprietario della grande azienda australiana Central Station Pty Ltd.

Si occupa di transazioni internazionali nel settore della distribuzione finanziaria, della distribuzione commerciale, della discografia, dell’immobiliare, dell’esportazione di materie prime.

Gode di enorme influenza commerciale nel continente australiano, la cui società è conosciuta a livello internazionale.

MORGAN: Vorrei iniziare consigliando di leggere questo articolo…

Il “prossimo PM” italiano Giorgia Meloni è un leader di estrema destra che si è mobilitato contro le “lobby LGBT”

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La leader di estrema destra Giorgia Meloni, che si è mobilitata contro le “lobbies della LBGT” e la cosiddetta “ideologia di genere”, è destinata a diventare la prima donna premier italiana.

Le proiezioni basate sul conteggio quasi definitivo dei voti hanno mostrato una vittoria per una coalizione di destra, guidata dal partito Fratelli d’Italia (Fratelli d’Italia) di Meloni, dovrebbe avere una solida maggioranza in entrambe le camere del parlamento. In caso di vittoria, Meloni dovrebbe formare il governo italiano di estrema destra dalla seconda guerra mondiale.

Meloni ha affermato che il voto ha mostrato che gli italiani sostengono un governo di destra guidato dal suo partito, ma ha affermato che il suo partito “governerà per tutti“.

“Gli italiani hanno inviato un chiaro messaggio a favore di un governo di destra guidato da Brothers of Italy”, ha affermato.

Ha detto a Euronews che la sua elezione sarebbe “un passo avanti” in termini di rottura del soffitto di vetro che “impedisce alle donne di ottenere importanti ruoli pubblici nella società”.

“Sarebbe un onore per me essere la prima a rompere questo tabù nel mio paese”, ha aggiunto.

Nel suo dibattito come leader dei Fratelli d’Italia, Meloni ha sposato posizioni di estrema destra, rendendo estremamente preoccupante la sua ascesa alla carica di premier in Italia.

Si è scagliata contro la “deriva antidemocratica” dell’Unione Europea, ha sostenuto lo scioglimento dell’eurozona e ha affermato che forze anonime stavano guidando gli immigrati in Italia in nome della “sostituzione etnica”.

Giorgia Meloni è rimasta una figura polarizzante poiché si è allineata strettamente con il leader nazionalista ungherese Viktor Orbán, che ha reso famose le sue posizioni anti-LGBTQ+ durante la sua leadership.

Ha anche mostrato a lungo intolleranza nei confronti della comunità queer mentre si è mobilitata contro quella che è stata descritta come la “lobby LGBT” e ha denunciato la cosiddetta “ideologia di genere”.

Meloni ha precedentemente delineato le sue priorità e le sue posizioni anti-LGBTQ+ durante un discorso al partito spagnolo di estrema destra Vox.

“Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT, sì all’identità sessuale, no all’ideologia di genere… no alla violenza islamista, sì alla sicurezza dei confini, no alla migrazione di massa… no alla grande finanza internazionale… no ai burocrati di Bruxelles ,” lei disse.

Meloni si è pubblicamente opposta alla maternità surrogata e all’adozione da parte di coppie omosessuali durante la sua campagna elettorale. Ha ripetutamente affermato di non essere omofoba, ma crede che sia meglio che un bambino venga cresciuto da una madre e da un padre.

Alessia Crocini, presidente di Rainbow Families, ha dichiarato al New York Times che l’associazione delle famiglie LGBTQ+ “spera che il Paese vada avanti”, ma teme che ci sia un “periodo buio davanti”.

Il suo partito è stato anche esaminato dopo che Federico Mollicone, portavoce culturale di Fratelli d’Italia, ha esortato l’emittente statale italiana RAI a non mandare in onda un episodio di Peppa Pig che presenta un orso con due mamme, definendolo “indottrinamento di genere”.

Ha anche affermato che i bambini piccoli non dovrebbero vedere i genitori omosessuali amorevoli dei bambini piccoli presentati come qualcosa di “naturale” o “normale, perché non lo è”.

Ha anche affermato che “le coppie omosessuali non sono legali” e “non consentite” in Italia. Questo nonostante il paese abbia legalizzato le unioni civili tra persone dello stesso sesso nel 2016, una riforma a cui il partito Fratelli d’Italia si è opposto in parlamento.

Mollicone ha poi chiarito che si riferiva solo alle coppie omosessuali che adottano. Ha anche affermato che il partito è “contro ogni discriminazione” e sostiene le unioni civili.

Oria Gargano, presidente di un’organizzazione che aiuta le vittime di violenza domestica, ha detto a  Euronews prima delle elezioni che è stato estremamente preoccupante vedere l’ascesa del partito di Meloni e potenzialmente la vittoria alle prossime elezioni.

“Questo è un partito politico [Fratelli d’Italia] che ha sempre negato i diritti delle donne”, ha detto. “È stato contro l’aborto”.

Ha continuato: “È contro tutta la comunità LGBTQ+.

“Considera l’aborto una tragedia. E vuole creare un cimitero per i feti abortiti con i nomi delle madri ovunque in Italia».

Difficilmente il governo di coalizione di Giorgia Meloni salirà al potere prima della fine di ottobre, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi consegnerà le redini al prossimo leader.

MARIUS: Sì, lo so che è contraria alle lobby LGBT. E questo è sbagliato.

Sempre gli stessi diktat delle separazioni… gli stessi difetti dei partiti… creano separazione per distrarre le persone dal vero problema… il controllo globale!

MORGAN: Nulla cambierà. Più bunga bunga è certo.

MARIUS: Sì lo so… ma per l’Italia le cose vanno peggio!

MORGAN: Qual è la sua opinione in merito alle considerazioni riportate da Christopher Warren nei suoi articoli?

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Il governo neofascista del premier Giorgia Meloni prenderà di mira i soliti sospetti: immigrati, rifugiati e comunità LGBTIQA+.

Un secolo dopo che la Marcia su Roma ha lanciato il fascismo nel mondo, l’Italia torna indietro dov’era quando i postfascisti Fratelli d’Italia (Fratelli d’Italia) guidano la coalizione di destra del paese a una comoda maggioranza in entrambe le camere del Parlamento , facendo del suo capo, Giorgia Meloni, il primo presidente del Consiglio fascista dalla deposizione di Mussolini nel 1943.

Meloni sembra avere un mandato. Ma per cosa? È quello che ha detto prima? O cosa dice adesso?

Durante la campagna, Meloni ha parlato della sua retorica anti-europea (e pro-Putin) del passato. Si è allontanata da idee che, almeno in Italia, erano ritenute troppo radicali, come un blocco navale per fermare la migrazione africana in barca. Ha combattuto le elezioni sulla tradizionale retorica del suo partito – “Dio, patria e famiglia” (“Dio, patria e famiglia”) – in un’affermazione dell’identità italiana e della prevedibile “guerra sveglia”. Suggerisce un governo che sarà più guerre culturali che riforme economiche, con i soliti obiettivi: immigrati e LGBTIQA+.

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È meno un voto per il cambiamento quanto una vittoria per la politica di opposizione del paese che fa appello all’autoidentificarsi della sinistra. I Fratelli sono stati l’unico partito significativo a rimanere fuori dal governo tecnocratico di unità nazionale di Mario Draghi, lasciandolo in una buona posizione per sfruttare l’infelicità per l’interruzione del COVID e la continua stagnazione economica in cui la disoccupazione è di circa il 7,9% e circa il 24% tra i giovani.

L’impennata dei voti — dal 4,4% del 2018 al 26,2% provvisorio di questa settimana — è derivata dal dimezzamento dei voti dei due partner di destra di Meloni (Forza Italia e Lega Nord) e del Movimento 5 Stelle populista anti-élite, il tre partiti che hanno dominato le elezioni del 2018.

I partiti italiani sono fluidi. Nessuna sorpresa, quindi, se la Meloni consolida il potere ripetendo lo stratagemma del suo attuale partner, Silvio Berlusconi di Forza Italia, e cerca di assorbire tutti o parte dei suoi partner.

Sono due delle grandi tendenze politiche globali in luce: gli elettori conservatori stanno diventando più conservatori – molto di più – mentre i populisti antipolitici post-2008 stanno offrendo un ponte dal centro sinistra verso destra. Sebbene il principale partito di sinistra, i Democratici, abbia in gran parte mantenuto il proprio voto, hanno subito una ripetizione del crollo del “muro rosso” dell’Inghilterra settentrionale del 2019 dei laburisti britannici (e del muro del Midwest dei Democratici statunitensi del 2016) in alcune parti del loro storico “muro zona rossa” in Emilia-Romagna e Toscana.

Il commentatore centrista si conforta dal fatto che i (post-)fascisti saranno vincolati dalle istituzioni del Paese, in particolare dalla presidenza (attualmente detenuta dal rigorosamente centrista Sergio Mattarella, a otto mesi dal suo secondo mandato di sette anni) e dalla corte costituzionale. La destra non ha raggiunto la necessaria maggioranza dei due terzi per portare avanti le modifiche alla costituzione, almeno, non senza il sostegno dei populisti politicamente eccentrici a 5 stelle.

Il principale vincolo resta l’Unione Europea. L’Italia si trova al centro, parte sia della zona senza visti Schengen che della zona euro a moneta comune. Meloni parla della retorica di estrema destra di una “Europa delle nazioni sovrane” e in passato ha parlato di far cadere l’euro.

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Almeno per il momento, stabilità economica significherà continuare il “piano di ripresa e resilienza” post-COVID concordato lo scorso anno con la Commissione europea. Ciò include i fondi europei per la “transizione verde” per costruire l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. (A parte le attuali energie rinnovabili nel settore idroelettrico e solare, l’Italia è un importatore di energia.) La destra italiana parla delle stesse chiacchiere dei conservatori australiani sul dumping delle rinnovabili per il nucleare, ma è improbabile che sia in grado di finanziare lo sviluppo.

Meloni ha sostenuto l’Ucraina, almeno ultimamente. Il suo alleato di destra radicale, il primo ministro polacco antirusso Mateusz Morawiecki, è stato uno dei primi a congratularsi con lei per la sua vittoria. I suoi partner di coalizione sono stati meno affidabili. Berlusconi ha rotto i ranghi la scorsa settimana per difendere il presidente russo Vladimir Putin e criticare il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.

L’Europa dovrebbe limitare anche il nuovo governo sull’immigrazione. Aspettatevi invece l’alto teatro di crudeltà che fa esempi dei singoli migranti. L’Australia può fornire un modello: Meloni ha promesso di espellere i cittadini stranieri condannati per reati.

Meloni ha criticato la “lobby LGBT” e la “ideologia di genere”. Si oppone all’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. È probabile che le elezioni lascino l’Italia come l’unico paese dell’Europa occidentale a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche se, vincolato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il nuovo governo dovrebbe mantenere le unioni civili legalizzate nel 2016.

La dipendenza dell’Italia dalle istituzioni europee significa che il rischio è meno di una rottura con l’Europa di quanto lo sia che l’elezione di Meloni cambi la politica del continente. Insieme al recente successo dei Democratici svedesi, significa che l’estrema destra ha superato il tradizionale centrodestra come principale voce conservatrice del continente.

Mentre trascina dietro di sé i vecchi conservatori, la destra postfascista minaccia di minare l’Europa democratica da cui dipende l’ordine globale.

MARIUS: Italia… non tutto il mal vien per nuocere

Presto Italia si renderà conto che il successo di un partito diverrà l’insuccesso di una nazione! Un popolo contaminato dalla paura e dal servilismo precario, quello del voto “dato di fatto”, che ha preferito rivolgere la testa a ovest con un’inclinazione di 90 gradi dallo Zenit, probabilmente fiero di accendere la fiammella del gas, magari soffregando le piastrine dei fondi bassi, financo in perlustrazione tra cespugli ed anfratti, mentre la corporazione delle spine e delle ortiche accentuerà la metastasi delle piaghe sull’epidermide di un corpo, l’Italia che soffre indistintamente, devastato dalla compattezza dei rovi. 

L’Italia del decubito ha detto “si” senza battere cenno di dissenso mentre a breve si renderà conto, anche e soprattutto a sue spese, che le lacerazioni provocate dal suo capezzale diverranno lesioni accentuate dal dolore dell’annuire con riserbo fino a rasentare, suo malgrado, il tormento del flagello delle sue ossa.

Saranno mesi difficoltosi per tutti, anche per gli scaltri illuminati del voto solidale, soprattutto per gli emeriti astenuti seguaci del qualunquismo indefettibile, il male estremo, e per coloro che dal dissenso comune hanno realizzato una barriera ingente che richiama al cielo, fortificazione ragguardevole di mani barricate, voci e parole, urla e pianti che da oltre due anni richiama all’ordine delle cose. Saranno mesi difficili, insormontabili, nefasti! Ma non tutto il mal vien per nuocere… e dalla sventura si ergerà nuovamente un sibilo edificante gli estremi di una nuova parodia, al di fuori delle costrizioni … dicasi ugola d’oro, sinonimo di piena libertà!

MORGAN: Quindi è un no?

MARIUS: In teoria quel che riporta l’articolo è vero!

La politica della estrema destra non vede di buon occhio l’immigrazione, nel senso che dovrebbe essere gestita con più rigore.

E sicuramente Giorgia Meloni non ha ideologie favorevoli ai matrimoni gay, alle adozioni per coppie omosessuali, quindi di contro è contraria alla politica della lobby LGBT. In realtà non è favorevole nemmeno alla legge sull’aborto.

Nel recente passato è stata in opposizione al governo, ma alla fine ha sempre accettato il programma di Mario Draghi pur di non perdere la posizione. Dal suo ritorno dall’America, all’inizio di quest’estate, ha iniziato a cambiare strategia politica… e da un discorso di opposizione è passata in breve tempo ad assecondare le direttive della politica atlantista. 

Ella mantiene le sue convinzioni contro gli immigrati, le classi omosessuali, ma si è pronunciata a favore delle sanzioni alla Russia che stanno devastando l’economia europea, e specie quella italiana, anche a favore del prosieguo dell’invio di armi in Ucraina e considerando i continui fastidi degli Stati Uniti d’America, governati da Joe Biden e i suoi democratici, come l’ultimo attacco ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, non sembra favorire un ritorno alle azioni diplomatiche, piuttosto tenere il paese in stato di agitazione, che presto subirà una stagflazione, se non corriamo ai ripari! 

Dicono che il Governo durerà con Silvio Berlusconi che detiene il controllo della coalizione, ma credo che qualcuno abbia intenzione di farlo fallire nuovamente entro i prossimi sei mesi, per favorire l’ingresso di un nuovo governo tecnico. 

MORGAN: Per l’Italia è meglio un governo tecnico, privo di ideologia; troppa politica! Ho letto che l’Abruzzo è storicamente molto fascista.

La paura più grande che la maggior parte degli italiani ha è quella di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Come altri politici di destra, Meloni prende di mira l’immigrazione come una delle cause dei mali dell’Italia. Mentre ha cercato di ammorbidire la sua posizione pubblica rispetto a quella del suo alleato, Matteo Salvini, leader del Partito della Lega, la sua insistenza nel collegare l’immigrazione alla criminalità e alla sicurezza nazionale gioca con i timori di molti italiani comuni che temono che il loro paese venga invaso.

Ironia della sorte, l’Italia potrebbe a malapena funzionare senza un’immigrazione su larga scala. Il suo basso tasso di natalità significa semplicemente che non sta producendo abbastanza giovani per reintegrare la forza lavoro. Ho chiesto a un amico di questo fenomeno. Era un motivo di preoccupazione per il futuro dell’Italia? Non ne era così sicuro, ma mi parlò della figlia più piccola e del suo compagno, che gli avevano detto che non erano interessati ad avere figli. Erano più impegnati a mantenere uno stile di vita confortevole che a fare i sacrifici necessari per crescere una famiglia.

Questa ribellione compiacente, scegliendo deliberatamente l’apatia anziché l’impegno attivo, si estende anche alla politica. L’affluenza alle urne è diminuita negli ultimi 30 anni da quasi il 90% a poco più del 70%. A queste elezioni, era del 64% e tra le persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni la cifra era ben al di sotto del 50%. La gente alza gli occhi al cielo e mi dice che se solo i giovani uscissero e votassero, potrebbero fermare la destra sul suo cammino.

La mancanza di coinvolgimento è ampiamente riconosciuta. Al telegiornale di recente ho visto uno spezzone di Conte, il leader dei 5 Stelle, che parlava a un comizio elettorale. Con le maniche di camicia e appassionato, esortava le persone a smettere di sdraiarsi in mutande a guardare la TV. Invece dovrebbero uscire e far sentire la loro voce, ha detto. Ma non c’era molto fermento intorno a queste elezioni. Ho visto meno poster e meno persone fare propaganda e ci sono stati meno commenti tra i vicini rispetto all’ultima volta. La mia impressione era che la maggior parte delle persone avesse accettato molto tempo fa che Meloni avrebbe vinto.

Quanto alla sinistra, sembrava a corto di idee e non prometteva nulla di positivo. Un voto per il Partito Democratico è stato semplicemente un voto per tenere fuori la destra, e non è un messaggio molto stimolante. Dopo un dibattito in diretta tra Meloni e il leader del Pd Enrico Letta, quasi tutti i commentatori hanno convenuto che aveva ottenuto una vittoria completa. Anche il quotidiano di sinistra Domani riportava: “Letta ha perso, inequivocabilmente. Ha passato tutto il dibattito, come nelle ultime settimane, a combattere un’immaginaria Giorgia Meloni. Quella degli eccessi del passato… non la versione istituzionale di oggi».

Letta, infatti, ha praticamente ammesso la sconfitta e ha esortato gli elettori indecisi a votare comunque per lui per negare alla destra la maggioranza assoluta che permetterebbe loro di cambiare la costituzione. I miei amici mi hanno detto che avrebbero votato per il partito di Letta, ma senza il minimo briciolo di entusiasmo. Come mi ha detto uno, quasi disperato: “Votiamo negativamente, semplicemente nella speranza di evitare il peggio”.

Il discorso post-elettorale di Letta è stato doloroso. Sembrava esausto e avvilito. Ha annunciato che non si sarebbe più presentato come leader e che era tempo che una nuova generazione prendesse il sopravvento per guidare il partito nel futuro. Poi è arrivato Conte, leader del Partito 5 Stelle, stanco ma esuberante. La sua performance da assalto al fienile, contro le previsioni precedenti, aveva interrotto una scivolata a sostegno e il suo partito era arrivato terzo con il 15% dei voti. La sua forte esibizione, in particolare al sud, potrebbe essere stata il fattore più importante per negare alla destra la maggioranza assoluta.

Infine ci sono state le interviste a Salvini era un portavoce di Berlusconi. Sembravano come se avessero vinto alla lotteria, cosa che in effetti hanno: senza Meloni sarebbero finiti entrambi. Non è un segreto che i tre non si piacciano molto. Sono stati messi insieme per necessità, ma sarà interessante vedere come andranno le cose quando il gioco inizierà a farsi duro.

L’argomento politico in Italia si è ristretto negli ultimi anni. Tutte le parti principali promettono di salvaguardare e migliorare l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’assistenza sociale. La divisione ora riguarda argomenti come la famiglia, la religione, le politiche di genere, l’Europa e, naturalmente, l’immigrazione.

L’aborto diventerà ora una questione controversa. La Meloni ha affermato che l’abolizione della legge del 1978 che legalizza l’aborto non è all’ordine del giorno. Ma l’esempio della regione Marche, dove il suo partito è al potere dal 2020, mostra che le misure ostruttive, combinate con il sostegno vocale e pratico ai gruppi anti-aborto, possono erodere drasticamente l’accesso delle donne ad aborti sicuri e legali. Qualsiasi mossa a livello nazionale in quella direzione provocherà un’opposizione popolare massiccia e ben organizzata. Forse vedremo una rinascita delle Sardine, il movimento di protesta che è salito alla ribalta durante l’ultimo breve periodo in carica di Salvini.

Il giorno dopo le elezioni abbiamo assistito a una carrellata della reazione internazionale. La risposta di Washington e Bruxelles è stata di cauto ottimismo. L’opinione era che l’Italia sarebbe rimasta un membro affidabile sia dell’alleanza occidentale che dell’UE, come ha affermato Meloni. Ci sono stati messaggi di congratulazioni da Viktor Orbán in Ungheria e Mateusz Morawiecki in Polonia. Ho letto articoli che mettono in relazione un’Italia guidata da Meloni con quei due regimi populisti di destra. È un paragone sbagliato.

Sia l’Ungheria che la Polonia sono uscite dal dominio sovietico negli anni ’90 e non sono mai riuscite davvero a respingere una tendenza all’autoritarismo. L’Italia, d’altra parte, è una democrazia funzionante da quasi 80 anni e ha tradizioni democratiche che risalgono al periodo prima del fascismo. È una società avanzata, liberale e pluralistica con istituzioni forti e indipendenti. Un leader democraticamente eletto, anche se aggressivamente di destra, come Meloni, semplicemente non sarà in grado di cambiare le cose.

MARIUS: Sinceramente in Italia i governi tecnici hanno soltanto portato problemi economici… E diciamo che hanno distrutto l’economia italiana negli ultimi trent’anni dove politiche di sinistra, i democratici italiani, si alternavano a governi tecnici spesso gestiti da persone legate alla sinistra democratica italiana, ma sotto il controllo americano.

In Italia l’immigrazione è un problema delicato. In primis perché esiste un sistema subdolo che controlla l’immigrazione clandestina dall’Africa verso l’Europa, rigettata sull’Italia. L’Europa unita non vuole immigrati e li scarica sui paesi del Mediterraneo, tra cui l’Italia, e i politici italiani corrotti prendono il denaro dall’Europa unita creando organizzazioni umanitarie per l’accoglienza, ma in realtà vengono lasciati in disparte… Non tutti gli immigrati sono cattivi o violenti! Solo una parte di essi, che secondo me dovrebbero essere gestiti dalla giustizia e rigettati nel loro paese. Il resto di loro, persone sfortunate strumentalizzati dei poteri occidentali; tranne una minoranza che lavora qui e là, quasi tutti gli altri vivono alle spalle dello Stato, quindi sulle spalle dei cittadini che pagano le tasse per vederli passeggiare per le strade senza far nulla… Quindi tra gli immigrati violenti, che stuprano rubano e a volte uccidono, e gli immigrati disoccupati… diventa un problema insostenibile considerando l’altra criminalità, che non è meno pericolosa.

Gli Italiani non sono fascisti, l’Abruzzo non è fascista. C’è stato un passato italiano in cui il fascismo ha governato perché era un segnale di ribellione alla dittatura monarchica esistente, movimento politico estremo che poi prese il sopravvento governando con la paura delle camice nere. Lo stesso tipo di ribellione per cui, al presente, è stato votato il partito di Giorgia Meloni.

Non credo che l’Italia non possa fare a meno degli immigrati per andare avanti nel futuro. Credo piuttosto che gli immigrati debbano essere aiutati nel loro paese. Il problema dell’Italia ha una doppia matrice: un governo che non tiene conto delle esigenze degli italiani, ma continua a vessare con un aumento di tasse sul lavoro che costringono molte imprese ad assumere meno, con stipendi bassi, davvero bassi rispetto alla media europea, i quali non consentono ai giovani di creare una famiglia sicura. 

La mancanza di coinvolgimento è reale perché la gente è stanca di una politica sporca e dettata dalla corruzione morale ed economica dei vari politici. Le vaccinazioni sono stati un esempio. Anch’io ho notato una minore affluenza della propaganda, un minor numero di poster. La motivazione non è dovuta dalla mancanza di stimoli per la politica. 

È tutto controllato a dovere. Poca propaganda, meno visibilità grafica, meno coinvolgimento. La vecchia politica non esiste più, è morta, è sepolta, è polvere. Ora sta nascendo una nuova forma di politica. Destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia. Fingono di essere antagoniste ma in realtà lavorano per uno stesso padrone, l’alta finanza bancaria mondiale che fa capo all’America.

Quindi non esiste più la sfida destra e sinistra, ma la nuova sfida del basso contro l’alto. Per questo motivo la rivalità tra i partiti è solo uno specchio per quelli che ci credono ancora! Come per le tifoserie delle partite di calcio. Il calcio come vero sport non esiste più… solo calcio mercato, ma la rivalità serve a scatenare i tifosi che credono ancora di vedere due squadre che si sfidano, ma è tutto finto! Tutto è comprato a tavolino!

La vittoria della Meloni è stata strumentalizzata dalla destra… spingere meno i partiti di coalizione, perché avevano meno consensi, per far emergere Fratelli d’Italia.

La perdita della sinistra democratica è dovuta alla politica dei vaccini e dei Green Pass che hanno appoggiato nei due anni di pandemia, fino a oggi, non che seguire la politica americana di inviare armi in Ucraina. Il sostegno alla politica democratica americana è stata la causa principale del fallimento della sinistra democratica italiana. Il programma politico che avrebbero portato avanti, secondo l’agenda Mario Draghi, affiliato dei democratici americani e delle multinazionali americane,  d’altronde lo porterà avanti anche il governo della Meloni in coalizione con Forza Italia e Lega Salvini. 

Quindi torno al discorso precedente nel quel esplico che destra e sinistra sono ormai due ruote della stessa bicicletta, fabbricata in America, della quale Mario Draghi è il ciclista.

Il tuo amico si è sentito costretto a votare a sinistra per non dare un voto a destra soltanto perché ha percepito la presenza di un cambiamento epocale della politica, cioè la fine dell’antagonismo politico, in quanto sono assoggettati dallo stesso potere finanziario europeo, assoggettato al volere americano. Il tuo amico ha sbagliato nel non votare per i nuovi partiti del dissenso, gli unici che desirano riportare l’Italia a migliori livelli economici per salvaguardare gli stessi interessi italiani.

Enrico Letta con il suo partito democratico, quindi l’insieme dei suoi tesserati, hanno tradito l’Italia! Loro lo sanno, ne sono consapevoli! Tradendo l’Italia l’hanno consegnata nelle mani del centrodestra, che per l’Italia sarà un’altra delusione, un ennesimo tradimento! Vedrai nei prossimi mesi!

Il mandato di Enrico Letta come leader è un mandato di morte per gli italiani… i vaccini promossi e obbligati dalla sinistra democratica, ma con la collaborazione di tutti gli altri partiti (tra cui il centrodestra), hanno ucciso più della pandemia – che mi auguro tu abbia capito che è stata solo un’arma biologica progettata da una coalizione americana in Ucraina – stanno uccidendo ancora adesso, provocando molte malattie di vario genere, e uccideranno per molti anni ancora. Per questo motivo egli ha scelto di ritirare la sua nomina. La sua immagine ormai è compromessa. 

Anche la figura politica di Giuseppe Conte risulta molto ambigua, ma posso constatare che il suo rilancio contro i suoi antagonisti, che avrebbero preferito vederlo completamente fuori dai giochi di potere, è stato un colpo di coda esuberante che gli ha permesso, grazie al suo reddito di cittadinanza, di raggiungere quel 15%, specialmente al sud.

Nei suoi mandati, Giuseppe Conte in qualche modo ha tradito gli italiani, ma il suo tradimento non è stato volontario, piuttosto indotto per mantenere la sua posizione al governo.

In effetti per Salvini e Berlusconi è come se avessero vinto una lotteria. Silvio Berlusconi sognava la rivincita, la sua rivalsa per essere stato detronizzato anni fa proprio da un gioco di corridoio ordito dalla sinistra democratica e Mario Draghi… un sogno realizzato tornare a pieno titolo al potere, anche se con l’ausilio di Giorgia Meloni. 

Salvini ha commesso i suoi errori tempo fa dal quale non è più riemerso! Da soli non avrebbero avuto molti consensi, hai ragione! Sarà interessante constatare se insieme riusciranno ad andare d’accordo o meno, quando come scrivi, i giochi diventeranno più duri.

L’argomento politico in Italia si è ristretto negli ultimi anni. Tutte le parti principali promettono, ma non mantengono. Sono solo argomenti su cui costruire ampi discorsi, ma che in realtà rimangono sempre, per lo più, indiscussi o per lo meno rinviati al futuro. Gli argomenti devono necessariamente dividere, altrimenti non ci sarebbe scompiglio. Ma i veri argomenti di discussione sono altri. La discussione ovviamente è fuori dal governo. 

Effettivamente l’aborto al momento non è nell’agenda della Meloni, ma considerando i fatti elencati e tutta una serie di concatenazioni internazionali, legate alle nuove politiche americane sull’abolizione della legge, nulla vieta che potrebbe diventare nell’imminente futuro materia di discussione della sua agenda, che oggi vuole equipararsi a quella di Mario Draghi, che per gli italiani è diventata un programma di morte economica e sociale. In tal caso è possibile che nuovi movimenti potrebbero risorgere, come quello delle Sardine.

Il giorno dopo le elezioni, certo la vittoria del partito della Meloni ha ottenuto consensi in UE e nell’Alleanza Occidentale, ma dobbiamo dire che lei è stata recentemente in America per garantire la continuità dell’operato di Mario Draghi, quando già si prospettava una possibile caduta del governo, e immagino che la candidatura era già in vista, se non addirittura programmata. Credo che le elezioni siano state pilotate sin dall’inizio per fare in modo che Fratelli d’Italia arrivasse in cima alle aspettative. Lo si vede da come sono state programmate le sue uscite televisive, il confronto con gli altri partiti, il programma elettorale presentato rispetto a quello dei suoi antagonisti, ma era frutto di un disegno già scritto a priori, quindi pilotato. 

Non credo che i due regimi populisti di destra ungherese e polacco abbiano una relazione con la linea guida della Meloni, considerando inoltre che dal suo ritorno dagli Stati Uniti d’America la sua politica sia diventata meno estrema, ma più centrista atlantista.

L’Italia ha una tradizione democratica longeva, certo. Ma la nostra democrazia è stata recentemente strangolata da una sinistra che, a distanza di 30 anni, ha perso completamente la sua accezione populista per abbracciare la teoria neoliberista unipolare che sta danneggiando radicalmente il nostro sistema di vita. L’Italia da potenza economica è diventata schiava dell’Europa Unita e della Nato… ovviamente non per colpa della destra Meloniana, ma le previsioni indicano che anche il centrodestra, coalizzato con la sua parte estrema, sia ormai uniformato al nuovo sistema neoliberista che ha barbaramente deciso di metter a ferro e fuoco l’economia italiana e il suo status quo democratico. L’Italia non vive più in una vera democrazia. La nostra democrazia è solo uno facciata per i creduloni. Un esempio sono state le vaccinazioni obbligatorie mediante sospensioni, le restrizioni finanziare dei green pass, la limitazione delle nostre libertà sfruttando una pandemia creata per destabilizzare la nostra tranquillità. Tutto ciò ha provocato morte e i suoi sostenitori sono ancora liberi di governare piuttosto che …

Comunque al momento il nostro incubo peggiore è il conflitto in Ucraina che potrebbe diventare una vera guerra per tutto l’Occidente.

Da Marius Creati