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Elon Musk, bombardare Marte con nucleare per renderlo vivibile
Bombardare il pianeta rosso con testate nucleari per renderlo abitabile
Elon Musk, di SpaceX e Tesla, ha ancora intenzione di lanciare bombe nucleari su Marte per trasformarlo in un pianeta vivibile per gli umani.
Bombardando i poli del pianeta rosso, sarebbe possibile far fondere l’anidride carbonica delle calotte, da cui si sprigionerebbero dei gas capaci di ispessire e riscaldare l’atmosfera e permettere così la presenza di acqua allo stato liquido. Si creerebbe quindi una sorta di effetto serra su Marte.
Una idea che in passato aveva ispirato l’associazione Explore Mars, che voleva bombardare Marte per esplorarne le Sue Profondità per dare conferma che su Marte ci possa essere stata la vita.
L’associazione No Profit, Explore Mars, aveva avviato una raccolta fondi per poter bombardare il pianeta rosso ed andare a visitare le sue profondità. La curiosità dell’uomo non conosce limiti e la voglia di sapere a volte prende il sopravvento facendo venire in mente queste ”pazzie”.
Il progetto nello specifico consiste nello sparare missili sulla crosta marziana, con all’interno strumenti progettati per esaminare le viscere e, naturalmente resistere all’impatto e trasmettere tutto sulla Terra via Radio. Non sappiamo se riusciranno a compiere questo folle gesto ma vi terremo informati a riguardo.
Fonte: Universo7P
Wirtanen, la cometa del Natale 2018
Si avvicina la cometa Wirtanen che sta già donando uno spettacolo unico a tutti gli abitanti del pianeta Terra. Le previsioni la danno luminosa quasi quanto il nostro satellite.
A poco più di una settimana dal suo incontro ravvicinato con la Terra, la cometa di Natale 46P/Wirtanen comincia a dare spettacolo e, nonostante il suo nucleo abbia le dimensioni di appena un chilometro, la sua chioma gassosa appare come la Luna piena. La cometa infatti sta aumentando la sua luminosità, giorno dopo giorno, sia per effetto del suo avvicinamento alla Terra, previsto il 16 dicembre, quando passerà a circa 12 milioni di chilometri, sia per il suo avvicinamento al Sole del 12 dicembre.
Secondo le previsioni, durante la minima distanza dalla Terra la cometa brillerà come una stella di magnitudine 3 o 4, cioè visibile a occhio nudo, ma “le comete sono oggetti molto ‘sfumati’, con poco contrasto con il fondo, cioè il cielo” ha detto all’Ansa Paolo Volpini dell’Unione Astrofili Italiani (Uai). Questo significa che la chioma gassosa appare grande come la Luna piena solo “con un binocolo montato su un cavalletto e nelle foto elaborate, fatte con strumenti adeguati, cioè sommando tante riprese e con esposizioni molto lunghe”.
Durante questo passaggio la cometa si sta rivelando più luminosa del previsto e un ottimo obiettivo fotografico, tanto che la Uai le ha dedicato una galleria con le foto degli astrofili italiani. Tuttavia, secondo gli esperti, il nucleo relativamente piccolo non può produrre abbastanza gas e polvere da creare una coda davvero brillante e fiammeggiante come quella della cometa Hayakutake nel 1996 o della cometa Hale-Bopp nel 1997 “che – ha osservato Volpini – a occhio nudo apparivano davvero come la cometa del presepe”.
Nelle notti del massimo avvicinamento la cometa 46P/Wirtanen sarà visibile nella costellazione del Toro, che sorge a est al tramonto ed è alta nel cielo a mezzanotte e nel corso del mese “attraversa le costellazioni della Balena, l’Eridano e l’Auriga”. Questo, ha spiegato l’astrofilo, “è un buon momento per fotografare la cometa perché non c’è il disturbo della Luna e soprattutto stasera il meteo è buono in molte regioni”. Il consiglio, ha concluso, come sempre in questi casi, “è cercare cieli molto scuri, quindi recarsi in luoghi lontani dall’inquinamento luminoso”.
Fonte: Nibiru 2012
HD 26965b alias Vulcano, esiste il pianeta del signor Spock di Star Trek
Esiste davvero il pianeta Vulcano, del signor Spock il vulcaniano, nel cui cielo brillano tre stelle ed è proprio dove la saga di Star Trek lo aveva immaginato: ruota intorno alla stella 40 Eridani A, che è distante 16 anni luce dalla Terra. Ha una massa otto volte superiore a quella della Terra e potrebbe sostenere forme di vita, perché si trova nella zona abitabile del sistema, dove le temperature consentono la presenza dell’acqua liquida. Descritto sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è stato scoperto dai ricercatori coordinati dall’astronomo Jian Ge, dell’università della Florida, nell’ambito del programma Dharma Planet Survey.
“Questa stella è visibile a occhio nudo. Chiunque può vederla e indicare la casa di Spock”, rileva Bo Ma, dell’università della Florida. Nella saga di Star Trek il pianeta dei Vulcaniani è stato immaginato proprio intorno alla stella 40 Eridani A, nella costellazione meridionale dell’Eridano, che è coetanea del Sole: ha infatti circa 4 miliardi di anni, e “un suo pianeta avrebbe avuto il tempo di evolvere un essere come Spock” scrisse nel 1991 l’inventore della serie, Gene Roddenberry, in una lettera alla rivista Sky and Telescope.
Nel frattempo, una scoperta del 2016 aveva cominciato a confermare l’intuizione: 40 Eridani A fa parte di un sistema di tre stelle, proprio come il sistema stellare del pianeta dei Vulcaniani. Ora, è stato scoperto che la stella più grande del sistema ha davvero un pianeta. Inizialmente indicato con la sigla HD 26965b, il pianeta non ha potuto che essere chiamato Vulcano.
Fonte: Ansa
Archeoastronomia, allineamento astronomico dei megaliti
L’interesse dell’uomo per il cielo è testimoniato fin dal Paleolitico. Nel Neolitico e durante l’Età del bronzo, in molte parti del mondo sono stati eretti numerosi megaliti disposti secondo forme geometriche ben definite, in prevalenza circoli ed ovali, ma anche veri e propri complessi templari allineati con i punti all’orizzonte in cui in quell’epoca sorgevano o tramontavano corpi celesti di particolare importanza. Monoliti e buche in cui in origine erano infissi dei pali, corridoi, pozzi e santuari di varia fattura realizzati tenendo ben presente la direzione del sorgere e del tramontare della Luna, del Sole o delle stelle più luminose visibili ad occhio nudo nel corso delle stagioni. Queste corrispondenze tra le pietre e il cielo oggi sono studiate dall’Archeoastronomia.
Questa scienza fornisce importanti informazioni sugli enigmatici monumenti realizzati prima della nascita della storiografia. Per quelle culture, evidentemente, gli eventi celesti con la loro periodicità inesorabile erano affidabili strumenti per predire le scadenze agricole e pastorali. Attraverso le grandi pietre gli antichi hanno traslato il cielo sul terreno, “fotografando” le levate eliache delle stelle, i solstizi e gli equinozi, le fasi lunari. Già intorno al XVI e XVII secolo alcuni studiosi incominciarono ad intravvedere possibili collegamenti tra i monumenti megalitici e gli astri. Nel XIX secolo Norman Lockyer dimostrò l’orientamento celeste delle piramidi egizie e dei monumenti megalitici europei, ma all’epoca la comunità scientifica non era ancora pronta ad attribuire conoscenze matematiche e astronomiche alle culture preistoriche e protostoriche. Questa disciplina ha trovato legittimazione poco più di una cinquantina di anni fa. La posizione della Stella polare, delle costellazioni e degli allineamenti celesti cambiano nel corso delle epoche per effetto del meccanismo astronomico noto come precessione.
Calcolando i puntamenti degli antichi megaliti è possibile ricostruire l’epoca approssimativa in cui le pietre sono state erette, sistema che può supportare gli archeologi nella ricostruzione del passato, quando i reperti databili rinvenuti nei siti sono scarsi o testimoniano occupazioni sovrapposte che possono confondere le stime. Gli antichi costruttori hanno spesso smontato e rimontato le grandi pietre, riposizionandole per mantenere le corrette corrispondenze celesti, a fronte del lento mutamento della volta celeste alla vista dell’osservatore terrestre. Le tracce dell’interesse dell’uomo per l’astronomia risalgono al Paleolitico superiore, come provano i numerosi calendari lunari ritrovati dagli archeologici. L’entrata della grotta di Lascaux, all’interno della quale si ritiene siano rappresentate alcune costellazioni come il Toro e le Pleiadi, è allineata con il solstizio d’estate. Nel Mesolitico e nel Neolitico le realizzazioni umane si fanno più complesse.
Il tempio di Gobekli Tepe, in Turchia, è il tempio in pietra più antico del mondo, risale a 11.500 anni fa. Le colonne a forma di T che compongono i cerchi megalitici sono decorate con altorilievi dalle forme animali. Secondo un’interpretazione, queste figure rappresentano le costellazioni come immaginate dagli uomini dell’epoca. Giulio Magli, professore ordinario presso la facoltà di Architettura civile del Politecnico di Milano, dove tiene un corso di Archeoastronomia , sostiene che tre degli anelli che costituiscono il tempio sono allineati con i punti dell’orizzonte in cui Sirio sarebbe sorta nel 9100, 8750 e 8300 a.C. Nel sito di Warren Campo, in Scozia, risalente a 10.000 anni fa, è presente una fila di dodici pozzi che rappresentano i mesi dell’anno e le fasi lunari del mese. L’attenzione per il cielo è proseguita anche nei millenni successivi. Le pietre del circolo megalitico di Nabta Playa, in Egitto, un sito che risale a un periodo tra i 6800 e i 5700 anni fa, sono allineate con i solstizi e con gli equinozi. Oltre al circolo di pietre principale, esistono due file di megaliti che continuano per chilometri, una in direzione nord ed una in direzione est. Secondo gli studi, la linea nord all’epoca era allineata con la costellazione dell’Orsa Maggiore, mentre quella a est era allineata con la costellazione di Orione.
I tanti megaliti della Bretagna sono stati eretti tra 6500 e 4000 anni fa e ancora una volta evidenziano un orientato astronomico. A Carnac, in Bretagna, lungo un territorio di una quindicina di chilometri, sono presenti numerosissimi menhir disposti in quattro allineamenti principali: gli studi eseguiti hanno permesso di riscontrare la corrispondenza degli allineamenti dei megaliti alla posizione del Sole nei giorni dei solstizi e con la posizione della Luna al sorgere e al tramonto. Nel sito megalitico di Morbihan, 135 dolmen su 156 sono orientati in base ai solstizi d’estate o d’inverno. Le strutture megalitiche di Malta e Gozo, realizzate prima dell’introduzione del bronzo nell’isola, datate all’incirca tra 6000 e 4500 anni fa, testimoniano la stessa attenzione per gli allineamenti celesti. Per esempio, i templi di Mnajdra e Hagar Qim (1200 anni più vecchi delle piramidi in Egitto e 1000 anni precedenti Stonehenge) vengono attraversati dai raggi del Sole durante i giorni di solstizio ed equinozio. Pure l’accesso al tumulo circolare di Newgrange, in Irlanda, un complesso megalitico risalente a 5200 anni fa, è stato progettato secondo criteri astronomici: nel giorno del solstizio invernale, il Sole al suo sorgere proietta un pennello di luce attraverso un’apposita apertura lasciata sopra l’ingresso.
Allo stesso modo, il vicino tumulo di Dowth è allineato al solstizio invernale, mentre un terzo tumulo, detto di Knowth, più antico di Newgrange di circa 500 anni, presenta due camere dirette rispettivamente ad est e ad ovest che indicano gli equinozi: all’entrata della camera est è anche presente una pietra con funzione di meridiana. Gli esempi sono infiniti: merita ancora ricordare il celebre sito di Stonehenge in Inghilterra, presumibilmente realizzato tra il 3100 e il 1600 a.C., Anche Stonehenge è un osservatorio celeste, già nel 1740 William Stukeley aveva notato gli allineamenti del monumento con il sorgere del Sole il 21 giugno e il tramonto il 21 dicembre. Gli studi hanno poi messo in evidenza i complessi calcoli relativi ai moti della Luna e alla cadenza delle eclissi.
Nelle cartine del megalitismo europeo non vengono adeguatamente considerate alcune zone importantissime, come Norvegia, Carelia e Penisola di Kola. Anche l’Europa centrale è ricca di megaliti, Germania e Svizzera su tutti, e così l’Est europeo, pensiamo a Romania, Bulgaria e Russia caucasica. Purtroppo queste aree restano misconosciute ai più. Ha ottenuto invece una più larga eco il sito di Carahunge in Armenia. Singolarmente o associate alle altre, le stesse tipologie megalitiche – d olmen, menhir, circoli di pietre, stanze scavate nella roccia, corridoi, altari e tumuli – sono presenti anche in tutto il continente americano, dal Canada al Cile, nell’Africa subsahariana, non solo sulla costa magrebina, poi ancora in Asia centrale, in India e in Estremo Oriente, dal Tibet al Giappone, sino all’area insulare del Sud-Est, perfino in Australia e nelle isole polinesiane del Pacifico. Ci troviamo di fronte a strutture con funzione dichiaratamente “sacra”, che rivelano il medesimo culto astronomico e naturalistico.
Fonte: Blog’N’Roll – Il Secolo XIX
Oumuamua, asteroide interstellare proveniente da Vega
Rappresentazione artistica di Oumuamua. La usa forma allungata ha stupito i ricercatori
Per la prima volta nella storia il telescopio Pan-STARSS 1 delle Hawaii ha intercettato un bolide proveniente dallo spazio profondo: Oumuamua proviene da Vega e ha viaggiato 300.000 anni.
Il 19 ottobre 2017, il telescopio Pan-STARSS 1 in Hawai`i ha osservato un puntino di luce che si muoveva in cielo. All’inizio sembrava un tipico asteroide in rapido movimento, ma ulteriori osservazioni nei giorni seguenti hanno permesso di calcolarne l’orbita con precisione. I calcoli hanno mostrato senza possibilità di dubbio che questo corpo celeste non proveniva dall’interno del Sistema Solare, come tutti gli altri asteroidi o comete mai osservati, ma dallo spazio interstellare. Pur se originariamente classificato come cometa, le osservazioni dell’ESO e di altri siti non hanno trovato nessun segno di attività cometaria dopo il passaggio in prossimità del Sole nel settembre 2017. L’oggetto è stato quindi riclassificato come asteroide interstellare e chiamato 1I/2017 U1 (Oumuamua)
L’avvistamento
“Dovevamo muoverci in fretta”, spiega il membro dell’equipe Oliver Hainaut dell’ESO a Garching. Germania. “`Oumuamua aveva già oltrepassato il suo punto di avvicinamento al Sole e stava tornando verso lo spazio interstellare.”
Il VLT (Very Large Telescope) dell’ESO è stato quindi messo subito in moto per misurare l’orbita, la luminosità e il colore dell’oggetto con più precisione dei piccoli telescopi. La rapidità era fondamentale perchè `Oumuamua stava rapidamente svanendo alla vista allontanandosi dal Sole e dall’orbita della Terra, nel suo cammino verso l’esterno del Sistema Solare. Ma c’erano in riserbo altre sorprese.
Combinando le immagini prese dallo strumento FORS sul VLT, usando quattro filtri diversi, con quelli di altri grandi telescopi, l’equipe di astronomi guidata da Karen Meech (Institute for Astronomy, Hawai`i, USA) ha scoperto che `Oumuamua varia di intensità in modo drammatico, di un fattore dieci, mentre ruota sul proprio asse ogni 7,3 ore.
Karen Meech spiega l’importanza della scoperta: “Questa variazione di luminosità insolitamente grande significa che l’oggetto è molto allungato: circa dieci volte più lungo che largo, con una forma complessa e contorta. Abbiamo anche scoperto che ha un colore rosso scuro, simile agli oggetti delle zone esterne del Sistema Solare, e confermato che è completamente inerte, senza la minima traccia di polvere.”
La forma di Oumuamua
Queste proprietà suggeriscono che `Oumuamua sia denso, probabilmente roccioso o con un contenuto elevato di metalli, che non abbia quantità significative di acqua o ghiaccio e che la sua superficie sia scura e arrossata a causa dell’irradiazione da parte dei raggi cosmici nel corso di milioni di anni. SI è stimato che sia lungo almeno 400 metri.
Calcoli preliminari dell’orbita hanno suggerito che l’oggetto sia arrivato dalla direzione approssimativa della stella brillante Vega, nella costellazione settentrionale della Lira. In ogni caso, anche viaggiando alla velocità vertiginosa di circa 95 000 km/h, c’è voluto così tanto tempo per questo viaggio interstellare fino al nostro Sistema Solare, che Vega non era nemmeno in quella posizione quando l’asteroide era là vicino circa 300 000 anni fa. `Oumuamua potrebbe aver vagato per la Via Lattea, senza essere legato a nessun sistema stellare, per centinaia di mliioni di anni prima di aver casualmente incontrato il Sistema Solare.
Un oggetto simile all’anno
Gli astronomi stimano che un asteroide interstellare simile a Oumuamua attraversi il Sistema Solare interno circa una volta all’anno, ma poichè sono deboli e difficili da trovare non sono stati identificati finora. Solo recentemente i telescopi per survey, come Pan-STARSS, sono diventati sufficientemente potenti per avere la possibilità di scovarli.
“Stiamo continuando a osservare questo oggetto, unico nel suo genere,” conlclude Olivier Hainaut, “speriamo di riuscire a identificare con maggior precisione il suo luogo di origine e la prossima destinazione di questo suo viaggio galattico. E ora che abbiamo trovato la prima roccia interstellare, ci stiamo preparando per le prossime!”.
Fonte: Nibiru 2012
Uomo preistorico, astronomia nel Paleolitico superiore
L’uomo ha iniziato a osservare le stelle quasi 40 mila anni fa
L’uomo preistorico era interessato all’astronomia: le tracce iniziano nel Paleolitico superiore. Il cielo stellato ha svelato ai nostri progenitori le scadenze della natura. Sono state le fasi lunari ad avere rivelato all’uomo il concetto stesso di Tempo, ma su un reperto tedesco dell’Aurignaziano compare Orione
L’uomo preistorico era interessato all’astronomia: le tracce iniziano nel Paleolitico superiore. La più antica traccia di osservazione celeste potrebbe essere rappresentata da una scultura trovata in Liguria, a Vara, San Pietro d’Olba, vicino a Savona: è datata al confine tra il Musteriano, quindi alla fine dell’era neanderthaliana, e l’inizio del dominio Sapiens in Europa. Secondo un’interpretazione la faccia scolpita in questa pietra raffigura una mezza luna. Ma naturalmente non c’è ancora astronomia in questo tipo di opera artistica. I primi reperti che lasciano intendere una vera e propria conoscenza del cielo risalgono all’Aurignaziano. Si tratta di reperti che non sempre mettono d’accordo gli esperti, ma certamente è difficile sostenere che in quell’epoca l’uomo non guardasse con continuità la giostra eterna del cielo stellato, i cui moti hanno svelato ai nostri progenitori le scadenze metronomiche della natura e delle stagioni, quindi i ritmi della caccia e della raccolta. Senza dimenticare l’importanza della stella polare che indica il nord vero, grazie alla quale i primi Sapiens hanno potuto orientarsi e conquistare i continenti. Il manufatto astronomico più antico è stato trovato nella valle di Ach in Germania e risulterebbe essere un’antica rappresentazione di Orione, realizzata in avorio di mammut e datata 32-38 mila anni fa. Le 86 tacche sull’altra faccia del reperto indicano il numero di giorni in cui la stella Betelguese è visibile. Secondo le osservazioni è anche un calendario per le gravidanze. In particolare sono state le fasi lunari ad avere rivelato all’uomo il concetto stesso di Tempo.
La venere francese di Laussel, datata circa 28 mila anni fa, tiene nella mano destra un corno di bisonte che sembra una luna crescente e con la mano sinistra indica il suo ampio addome. Sul corno ci sono 13 tacche, che simboleggiano il numero di lune o il numero di cicli mestruali in un anno. Anche la venere di Lespugue, scolpita in bassorilievo su pietra e dipinta di ocra rossa, scoperta nei Pirenei francesi e datata 27 mila anni fa, evidenzia l’interesse per l’astronomia. Dalle sue natiche partono 10 linee che arrivano alla parte posteriore delle ginocchia, suggerendo i dieci mesi lunari della gestazione. L’osso trovato in Dordogna, nell’Abri Blanchard, risalente a circa 32 mila anni fa, su di un lato presenta 69 incisioni, ovvero un periodo di due mesi lunari e un quarto. Sull’altra faccia si vedono altre tacche per un totale di 172 segni, rappresentanti sei mesi lunari. L’osso trovato nell’Abri Lartet, nella stessa regione, indica alcune serie di 29 o 30 tacche: praticamente i giorni contenuti in una lunazione. Tra le evidenze del Paleolitico superiore vanno ricordati anche l’osso proveniente da Kulna in Cecoslovacchia e quello di Gontzi in Ucraina, sui quali sono evidenti ancora riferimenti lunari: il reperto cecoslovacco presenta tre gruppi di 15, 16 e 15 incisioni che indicano la metà del mese lunare, mentre quello ucraino evidenzia sequenze di tacche che rimandano a un periodo di quattro lunazioni.
Molto probabilmente vanno inserite tra i reperti astronomici anche le ruote “solari” di Sungir in Russia, risalenti a 20-29 mila anni fa. Merita menzionare anche il cavallo rinvenuto sempre a Sungir, che presenta una serie di 50 fori considerati un calendario. Valenza astronomica ha pure il ciottolo della Barma Grande al confine italo-francese, datato a 24 mila anni fa. I computi lunari sono proseguiti sino alla fine del Paleolitico come dimostra il bastone di comando della Grotta Placard antico 12 mila anni. Dall’Europa all’Africa: fra i più famosi reperti astronomici del Paleolitico c’è certamente l’osso d’Ishango, risalente a circa 20 mila anni fa. Si ritiene possa rappresentare i sei mesi di un calendario lunare posto in correlazione con il ciclo mestruale femminile. La luna è stata certamente protagonista delle opere artistiche paleolitiche, ma nelle grotte di Lascaux in Dordogna, dipinte intorno ai 15-20 mila anni fa, è possibile cogliere riferimenti ancora più sofisticati, un vero e proprio tesoro di nozioni astronomiche: i 29 punti scuri tracciati sotto la figura di uno dei cavalli rappresentati sulle rocce sono stati interpretati come un computo dei giorni del mese sinodico lunare, mentre i 13 punti tracciati sotto la figura di un grande cervo sono stati interpretati come i mesi dell’anno lunare. Si segnala anche la figura di un toro, rappresentate l’omonima costellazione, con le Pleiadi segnate nella loro posizione celeste dietro le corna dell’animale. A Lascaux, inoltre, compare per la prima volta un chiaro riferimento solare: l’entrata della grotta infatti è allineata con il solstizio d’estate.
G.G.
Fonte: Preistoria Online
Awkward Keystrokes, spartito musicale per captare il suono delle stelle
Anche le stelle possono suonare. Lo dimostra il brano intitolato Awkward Keystrokes of Y Cam nato dall’insieme delle note prodotte dalla stella Y Cam A e da un pianoforte
Una musica stellare è quella composta dallo studioso Burak Ulas dell’Izmir Turk College Planetarium turco attraverso l’utilizzo delle pulsazioni di una stella chiamata Y Cam A. Come specificato nello studio intitolato “The Multiperiodic Pulsating Star Y Cam A as a Musical Instrument”, Ulas fa sapere di aver generato degli accordi musicali dalle frequenze delle oscillazioni emesse da una stella, la Y Cam A appunto, in via di eclissi.
Partendo dal presupposto che un accordo è dato dal suono simultaneo di tre o più note distanziate da un determinato intervallo, lo studioso ha notato che Y Cam A era in grado di vibrare all’interno di un’ampia gamma di frequenze che quindi potevano essere messe in armonia con il suono, ad esempio, di un pianoforte. Per farlo, prima di tutto è stato necessario estrapolare alcuni toni, 4 in particolare, ognuno per ogni frequenza di oscillazione, che potevano essere ‘suonati’ insieme in modo da generare un accordo, all’interno di una scala diminuita-esatonale.
Successivamente, grazie all’utilizzo di un software di produzione e manipolazione di audio, GoldWave, Ulas è riuscito a realizzare un vero e proprio brano composto da un lato da una base di pianoforte e dall’altro dagli accordi formati dal suono della stella.
Per rendere il tutto ancor più realistico, i ricercatori hanno utilizzato il software MuseScore5 per dare vita al primo spartito musicale composto da pianoforte e stella Y Cam A.
Il risultato non è forse il prossimo tormentone estivo, ma è comunque suggestivo e perfetto per accompagnare l’osservazione delle stelle cadenti della prossima Notte di San Lorenzo.
Fonte: Fanpage
ISON, novità dalla vagabonda cosmica dell’anno
Lo scorso 1 Ottobre la cometa ISON ha varcato l’orbita di Marte, dirigendosi a grande velocità verso la nostra stella. Questa vagabonda cosmica, attesa da circa un anno da astronomi e appassionati, sta cominciando a fornire una serie di indicazioni che potrebbero delinearne il futuro. Ma quali sono le possibilità più plausibili? ISON transiterà il prossimo 28 Novembre, data del perielio, a 1,2 milioni di Km dal Sole. Non è ancora chiaro se l’astro chiomato riuscirà a passarne indenne, ma le ultime indicazioni dopo il passaggio lungo la cosiddetta linea di gelo, dicono che C/2012 S1 non sarà sicuramente la cometa del secolo. Ciò non vuol dire che essa sarà un autentico flop, ancora non è dato saperlo, ma le previsioni ottimistiche di qualche mese fa sembrano ormai archiviate. ISON non brillerà come la Luna piena e non sarà visibile in pieno giorno. Gli astronomi sperano, tuttavia, che il suo passaggio indenne possa generare un avvenimento celeste ugualmente interessante. “Uno show spettacolare è certamente possibile, ma non sarà ciò che aspettavamo“, spiegano gli esperti. “E’ molto più probabile che ISON rappresenti una delle comete più brillanti degli ultimi anni, e grazie alla comunità astronomica mondiale, una delle più osservate nella storia“, dicono i ricercatori della campagna di monitoraggio CIOC. Un altro punto a sfavore della cometa, sono le sue dimensioni. Nonostante alcune stime sostengano che il suo diametro sia di 5 Km, le ultime immagini suggeriscono un nucleo compreso tra 0,2 e 2 Km. Dimensioni che metterebbero a dura prova la sua esistenza al passaggio radente. Ciò che è certo, e che si tratta di un corpo ben lontano dalle vagabonde giganti che in passato hanno interessato il sistema solare interno. Un esempio tra questi fu la cometa Hale Bopp, che con i suoi 30 Km di diametro illuminò i cieli notturni della Terra nel 1997.
UNA GRANDE OPPORTUNITA’ PER LA SCIENZA – ISON rappresenterà, a prescindere, una grande opportunità per la ricerca scientifica. La maggior parte delle comete radenti si rende visibile ai radar soltanto poche ore prima di tuffarsi nella calda atmosfera esterna solare, mentre C/2012 S1 permetterà di monitorarne l’evoluzione e conoscere la composizione di questi avanzi ghiacciati del sistema solare. Inoltre, ISON è al suo primo viaggio dalla nube di Oort, rappresentando una cometa radente dinamicamente nuova. Per usufruire di questa opportunità, il CIOC sta coordinando una campagna di osservazione globale che si avvale di una serie di attività sia terrestre che spaziale.
NESSUN PERICOLO PER LA TERRA – La cometa non rappresenta un pericolo per la Terra. La sia distanza dal nostro pianeta sarà di ben 64 milioni di chilometri, e se anche dovesse frammentarsi, i suoi resti continuerebbero il viaggio lungo la linea dell’orbita. “Durante una rottura, i frammenti di una cometa non volano in direzioni diverse, come accade sui set cinematografici“, spiega il video rilasciato dagli operatori del telescopio spaziale Hubble. “Essi si staccano, ma continuano a viaggiare lungo il percorso della cometa madre. Quindi tutti i frammenti rimarrebbero lontano da noi, a milioni di chilometri di distanza“.
In definitiva, ISON potrebbe rendersi visibile già a fine Ottobre attraverso l’ausilio di un binocolo. Un evento comunque interessante, in attesa di conoscerne le sorti al passaggio radente con il Sole. Non è ancora possibile stabilire se l’astro sarà poi visibile anche ad occhio nudo nel mese di Dicembre, ma se riuscisse ad esserlo, sarà visibile nel cielo occidentale subito dopo il tramonto. Gli osservatori dell’emisfero settentrionale avrebbero una visione nettamente migliore di quello australe. Ed è anche per questo che attenderemo con grande trepidazione i prossimi aggiornamenti.
Fonte: MeteoWeb
Gliese 667, esopianeti ospitali nella costellazione dello Scorpione
Gliese 667 è un sistema stellare multiplo situato nella costellazione dello Scorpione, ad una distanza di circa 23 anni luce dal nostro Sistema solare. Da tempo è sotto i riflettori per la possibilità che qualcuno dei suoi pianeti possa ospitare la vita. Le nuove osservazioni di Gliese 667C con dati preesistenti di HARPS, il cacciatore di esopianeti montato sul telescopio da 3,6 metri dell’ESO in Cile, hanno rivelato la presenza di almeno 6 pianeti, tre di questi si troverebbero nella zona abitabile, quella in cui l’acqua allo stato liquido e le temperature non estreme, li renderebbe candidati potenziali per un’evoluzione di forme di vita potenziale. Vediamo i dettagli di questa nuova scoperta e le sue possibili ripercussioni sulla vita aliena.
Alcuni studi precedenti su Gliese 667C avevano confermato che la stella ospitasse tre pianeti giganti, di cui uno nella zona abitabile. Ora un’equipe di astronomi guidata da Guillem Anglada-Escudé dell’Università di Göttingen, Germania, e da Mikko Tuomi dell’Università di Hertfordshire, Regno Unito, ha riesaminato il sistema, con delle novità importanti. Le nuove osservazioni con HARPS e i dati dall’Osservatorio W.M. Keck, dal telescopio Magellano e dal VLT (Very Large Telescope) dell’ESO hanno portato all’individuazione di altri vari pianeti intorno alla stella fino a un massimo di sette.
Tre nuovi pianeti sono tecnicamente delle Super Terre. In generale, la definizione di super Terra si basa esclusivamente sulla massa, (tra 1,9 e 10 Masse terrestri) e non comprende altre caratteristiche, come temperatura, composizione, parametri orbitali o ambiente, affini a quelle della Terra. Ma questi pianeti oltre che come massa sono interessanti per la loro posizione, infatti riempiono completamente la zona abitabile di Gliese 667C, poiché non ci sono altre orbite stabili in cui un pianeta possa restare alla giusta distanza dalla stella.
Questa ultima scoperta non fa che confermare l’enorme bacino potenziale di esopianeti presenti sulla nostra galassia e in generale nell’universo profondo. La missione Kepler ha aperto una prospettiva nuova agli scienziati, dando conto di un’infinità di pianeti che potrebbero essere luoghi ospitali per la vita aliena. Purtroppo le distanze impediscono una vera esplorazione concreta, e le rilevazioni per quanto importanti forniscono solo informazioni di massima, e stime che dovrebbero avere dei riscontri al momento impossibili.
Fonte: Ufoonline
NASA, grande buco coronale sul Sole
Un grande buco coronale si è reso visibile nella giornata di oggi sopra l’emisfero settentrionale del Sole, vomitando vento solare nello spazio. A riprenderlo il Solar Dynamics Observatory della NASA, che ha scattato questa immagine nell’ultravioletto. I buchi coronali sono luoghi in cui il campo magnetico si apre, permettendo al vento solare di fuggire. Un ampio flusso di plasma è diretto verso il campo magnetico della Terra, che raggiungerà tra il 23 ed il 24 Giugno. Alle alte latitudini potrebbero quindi verificarsi eventuali disturbi geomagnetici.
Fonte: MeteoWeb