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Archive for the ‘Storia della moda e del costume’ Category

Gli Egizi (parte IV)

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Il monile più largamente diffuso utilizzato per celebrare la solennità del costume era l’hosckh, un collare concentrico ampiamente vistoso corredato da una serie di file di pietre preziose o di palline colorate di ceramica ornanti la parte sporgente al di sopra del petto, seguendo la linea circolare del collo, e allacciato alla base della nuca. Essi erano lavorati in lamine di metallo, sovente in oro, composte con paste vitree colorate, pietre dure, coralli e smalti. L’hosckh era il tipico accessorio esornativo, usato da entrambi i sessi, indossato al di sopra dei vari indumenti, o altresì sul busto ignudo per gli uomini, e poteva assumente dimensioni diverse, dalle più minute che non superavano l’estremità della spalla alle più ampie che contrariamente ne sormontavano i lembi imitando lo stile di una moderna mantellina. Un’alternativa assai rilevante era costituita da un pettorale di metallo, il più delle volte in oro, di forma rettangolare e lavorato a traforo tempestato di migliaia di pietre preziose o di motivi in ceramica incastonati singolarmente tra loro. Questo accessorio era legato al collo mediante l’uso di una catena decorata e adornava il petto coprendone le fattezze. Su di essi venivano collocati i vari amuleti che servivano a protezione dalle avversità, a ribadire il forte legame con la tradizione e la religione. La fattura era altamente pregiata.

L’ornamento simbolico delle divinità, indossato per privilegio dai faraoni, era l’uraeus, un simbolo che rappresentava gli emblemi del Basso e dell’Alto Egitto, identificato nella testa di un cobra alato affiancato da un avvoltoio, il quale si poteva scorgere su gran parte dei copricapi e diademi reali. Analogo significato simbolico era per la tiara, un copricapo di estrema rinomanza e prestigio suddiviso in due modelli bizzarri a forma di cono o di cuneo, l’una presentava una falda che spuntava dal retro per erigersi verso l’alto mentre l’altra era acuminata sulla cima, la quale a seconda del colore, rosso per il Basso Egitto e bianco per l’Alto Egitto, esprimeva il dominio del monarca sui due regni. In alcuni casi era possibile scorgere una sovrapposizione delle tiare in un solo copricapo simboleggiante il dominio su entrambi i paesi, Nord e Sud. Da ricordare che sulla tiara del Basso Egitto era ben visibile l’insegna del faraone del Nord, il litus, una sorta di ciuffo a spirale che si intraveda sulla sommità del copricapo.

Da menzionare anche il kheperesh, un copricapo cerimonioso di colore blu diffuso, una sorta di casco costituito da minuscoli dischi circolari che si infilava sul capo, anch’esso adornato degli stessi stemmi emblematici delle tiare regali, ugualmente simbolo della regalità.

Un copricapo solenne era il nemes, una sorta di cuffia in lino che avvolgeva il capo aprendosi lateralmente ad esso in due ampie ali per poi ricadere sul petto con due falde, ciascuna per lato, e provvista di una coda serrata sul retro. Realizzato in tessuto decorato a strisce oro e blu, aveva al centro della fronte il tipico uraeus con i simboli dell’avvoltoio e del cobra.  Un esempio di grande rilevanza é la maschera funeraria del faraone Tutankhamon, realizzata sulla base dei connotati del volto del giovane monarca defunto con numerosi strati d’oro massiccio, intarsiato con pietre semi-preziose, tasselli di ceramica e presenze di lapislazzuli sul contorno degli occhi e sulle tempie.

Ma il copricapo per antonomasia era il klaft, indossato da entrambi i sessi, il quale composto da due lembi di stoffa rigata in lino in forma rettangolare che, aderenti sulla fronte e sulle tempie, scendevano sulle spalle, nascondendo o meno le orecchie sui lati, serrato sul capo da un cerchio metallico o un diadema, il cui tessuto pregiato era fornito di sottili lamine d’oro disposte orizzontalmente su linee parallele  che ne arricchivano smisuratamente la foggia.

Esistevano una serie smisurata di tiare, copricapi e diademi, specie femminili, dalle linee e fogge molto particolari che per la  straordinaria bellezza e voluminosità dovevano essere indossate soltanto durante le cerimonie solenni.

Un accessorio prettamente religioso molto particolare di notevole importanza era l’ankh, conosciuto con il sinonimo di croce ansata o croce della vita, considerato un antico simbolo sacro del popolo egizio simboleggiante la stessa vita, indossato come pendente sul petto oppure legato sul gomito o tenuto semplicemente in mano, spesso decorato con effigi di dei, rappresentava un simbolo mistico e sacrale, sovente utilizzato come amuleto poiché capace di infondere salute, benessere e fortuna.

Il popolo egizio, contrariamente, usava berretti dalla linea più semplice realizzati in cuoio o in stoffa più compatta meno pregiata.

Una caratteristica molto importante era l’acconciatura. Il popolo egizio il più delle volte aveva la consuetudine di radere completamente i capelli, a rispetto delle norme di igiene e pulizia verso le quali erano particolarmente legati, indossando al di sopra delle sontuose parrucche sovente adorne di fili d’oro intrecciati a scacchiera. Esse potevano essere addirittura tinte nei colori più disparati. Gli uomini, nonostante usufruissero della capigliatura posticcia corta, preferivano lasciare intravedere il capo rasato, magari indossando l’apposito copricapo. Un taglio particolare era rappresentato da un lungo lembo di capelli lasciato penzolare su un lato dalla testa, il quale veniva legato e adornato con appositi gioielli, paste vitree o smalti.

Nonostante gli uomini prediligevano un viso completamente imberbe e ben terso, la barba posticcia era considerata una caratteristica di elevato privilegio, a punta, ondulata e piuttosto lunga veniva esibita soltanto durante le cerimonie pubbliche solenni e le occasioni festive, collocata al di sotto del mento e trattenuta da un legaccio sottile che veniva legato dietro le orecchie. Anche la regina Hatshepsut ne usufruì, in veste di regnante, esibendo l’accessorio vistoso come emblema di potere poiché insignita del titolo faraonico. Per i dignitari e i monarchi, specie nel Medio Regno, le barbe erano più corte rispetto a quelle mostrate in pubblico dal faraone.

Un aspetto ulteriormente importante era il trucco, sobrio ed evidente per gli uomini, molto elaborato ed accentuato per le donne. Gli occhi erano cerchiati mediante una linea grossolana di color nero che delineava le palpebre sui lato superiore e inferiore, tinteggiate di ombretto verde o blu, allungandosi fino alle tempie; questo procedimento conferiva all’occhio un aspetto più grande. Le labbra venivano colorate di rosso carminio, le gote guarnite di rosso e di bianco. Le unghia delle mani e dei piedi venivano puntualmente colorate in rosso con l’henné.

a cura di Marius Creati

 

Gli Egizi (parte III)

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L’abbigliamento femminile era abbastanza simile a quello maschile, si trovano infatti pochissime variazione nella foggia tra l’uomo e la donna egizia, in tal caso il sesso femminile tendeva piuttosto ad accentuare l’esiguità della silhouette velando il corpo piuttosto che nasconderlo mediante l’uso degli indumenti. Schiave e danzatrici erano spesso nude o al massimo indossavano una semplice gonna di lino fermata in vita da una cintura di corda. La gonna era sovente indossata anche dal sesso femminile di ceto elevato, corredata da una sorta di coprispalla che copriva le spalle e il seno, ma solitamente indossavano la Kalasiris, una tunica lunga a maniche corte, con o senza cintura, a volte impreziosita da un ricco grembiale adornato di preziosi come per gli uomini. La kalasiris era l’indumento principale delle donne egizie, confezionato in lino molto leggero dalla linea sciolta, anche se si sono riscontrate alcune versioni allacciate con nastri molto lunghi cascanti sul corpo, ma a volte poteva assumere fogge diverse dalle linee più semplici o più aderenti e, occasionalmente, anche sorrette da spalline o da minute bretelle, quest’ultima versione tagliata sotto il seno scendeva più o meno sfiancata su tutto il corpo fino alle caviglie. Il tessuto generalmente veniva pieghettato fittamente, oppure a volte impreziosito con applicazioni di pietre, lapislazzuli o perline, addirittura anche dipinto, e quando la fattura era molto leggera presentava una trasparenza eccessiva.

Al di sotto solitamente corredavano il vestiario con sottovesti a guaina, aderenti sul corpo, dalle fogge più semplici come per le inservienti, lavorate ad esempio con intrecci retinati di fili di cuoio, oppure finemente ricamate con preziosi ricami o munite di preziosi e perle.

L’indumento proveniente dal mondo orientale assunse una particolare attenzione anche nell’ambito del vestiario femminile, con la sottile differenza che per le donne il tessuto, dopo essere stato drappeggiato sul corpo, veniva raccolto all’altezza del seno legando i lembi al di sotto delle protuberanze.

Le calzature erano il capo più prezioso dell’abbigliamento, per siffatto motivo entrambi i sessi le portavano in mano durante i tragitti per poi indossarle esclusivamente una volta arrivati a destinazione. In diverse raffigurazioni é curioso constatare appunto che i servi portavano le calzature tra le mani accompagnando i loro signori durante i vari spostamenti. Gli Egizi infatti quando non andavano scalzi, quasi una consuetudine per questo popolo antico, calzavano un sandalo succinto realizzato in cuoio o in papiro intrecciato, fissato con un lembo che separava l’alluce dall’indice, che a sua volta si intersecava con il sottile mascherino disposto sul collo del piede, e provvisto di una minuscola ritorsione verso l’alto sulla punta. Una versione più sofisticata, esclusivamente adornata di vistosi gioielli, veniva indossata per cerimonie e funerali.

L’abbigliamento del popolo egizio, secondo quel che é emerso dai vari reperti rinvenuti, traduceva assolutamente il tono severo delle abitudini, a differenza ad esempio delle civiltà attigue; in effetti siffatta austerità si avvertiva anche nell’uso del colore e delle decorazioni dei tessuti, la quale veniva smussata ricorrendo all’uso di accessori personali e ornamenti elusivi che si assimilavano alle fogge perfettamente divenendo quasi un amalgama con il vestire. C’é da ribadire che gli artigiani avevano un’ottima padronanza delle tecniche di lavorazione dei metalli e delle pietre preziose, nonché si presuppone che l’osservanza rigorosa delle linee prevedeva la realizzazione di accessori ornativi prestabiliti e non occasionali, in funzione dell’importanza assunta rispetto alla foggia.

Gli egizi usavano una svariata molteplicità di accessori ornamentali: anelli per dita e caviglie, bracciali, collari, collane, cinture e diademi.

Un esempio era il diadema reale, realizzato in oro, composto da una fascetta intarsiata a motivi floreali in ceramica blu e munita sul davanti dalla figura del cobra e dell’avvoltoio.

a cura di Marius Creati

 

Gli Egizi (parte II)

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Se oggi abbiamo un lauto riscontro sulla divulgazione del costume egizio lo si deve in gran parte allo studio scrupoloso di attenti studiosi, i quali hanno scandagliato le immagini del passato con estrema accuratezza e meticolosità allo scopo di comprenderne  l’interpretazione del vestiario. Risulta interessante constatare che la riproduzione figurativa delle vesti tendeva a renderne più aderenti i modelli sul corpo rispetto alla vestibilità acquisita nella realtà. Anche per l’artista egizio, come per quello babilonese e assiro, si ripeteva la medesima semplificazione pittorica dei soggetti che spesso prevedeva l’eliminazione delle pieghe e delle balze al fine di dare maggiore risalto al profilo della figura e ai motivi decorativi del tessuto.

Il popolo nilotico, a differenza di quello sumero, abbandonò immantinente l’uso delle pelli per adottare un tessuto più leggero di migliore qualità o praticità, o probabilmente per ragioni legate al credo religioso. L’Egitto era un territorio invaso da un clima molto caldo e secco, attenuante che favoriva l’uso di indumenti piuttosto succinti, nonché spesso copiosamente discinti per la maggior parte del corpo.

L’impiego della lana veniva evitato perché era considerato un prodotto impuro; al massimo era utilizzato per confezionare mantelli pesanti, ma era rigorosamente proibito introdurne vestiario manufatto all’interno dei templi, come pure ne era interdetto l’impiego per la sepoltura dei defunti. In definitiva gli Egizi prediligevano l’uso delle fibre vegetali, impiegate nella tessitura dei materiali più leggeri, quindi più adatti al clima intenso.

All’inizio della civiltà la fibra vegetale largamente diffusa era la palma, la quale venne in seguito soppiantata da altre fibre di migliore qualità, grazie allo sviluppo delle tecniche agricole e del sistema di irrigazione, le quali permisero la diffusione della coltura del cotone e soprattutto del lino, che divenne in breve tempo la fibra più diffusa grazie ai suoi molteplici impieghi. Questo materiale consentiva di essere tessuto finemente rispetto agli altri, per cui risultava idoneo per affrontare le varie giornate assolate e afose alle quali la popolazione era sovente sottoposta; inoltre il colore biancastro ne consentiva un facile lavaggio oltre, all’importanza che il colore bianco assumeva in tema religioso, al quale erano legati diversi significati liturgici di carattere sacro.

Scriveva lo storico greco antico Erodoto sul costume egizio: “Si vestono di tuniche di lino, guarnite di frange pendenti sulle gambe che chiamano calasiris (kalasiris), su di esse gettano mantelli di lana bianca ma… vestiti di lana non entrano nei templi, ne si fanno seppellire che sarebbe sacrilegio… il lino deve essere la veste dei sacerdoti e di papiro i calzari”.

In effetti gli Egizi prediligevano la pulizia del corpo e delle vesti con i quali si adornavano. Conferma nuovamente Erodoto: “Indossano vesti di lino, fresche di bucato e hanno una cura particolare per mantenerle sempre immacolate, poiché danno più importanza alla pulizia che agli ornamenti”.

L’abbigliamento egizio in generale era particolarmente esiguo per entrambi i sessi.

All’inizio della dinastia faraonica bambini e schiavi non indossavano nulla, ma rimanevano praticamente nudi, anche se solitamente nelle pitture tombali non erano raffigurate immagini umane prive di vesti poiché l’indumento rappresentava un simbolo estremamente importante della condizione sociale, ragion per cui la presenza schietta di figure ignude sarebbe stato considerato di cattivo auspico per la casta del defunto nella sua vita ultraterrena. L’abbigliamento infantile infatti era pressoché identico a quello degli adulti, ovviamente in misura più esigua, ma sovente i bambini erano dispensati dal dover indossare indumenti di varia foggia.

Il popolo maschile usualmente indossava il pano, una sorta di perizoma, simile ad un minuto gonnellino, composto da un succinto lembo di stoffa rettangolare di tessuto greggio, spesso cotone, il quale veniva avviluppato intorno al fianco, incrociato sul davanti, in modo da coprire gli organi sessuali.

Gli uomini appartenenti alle classi più agiate indossavano invece lo schenti (schentis), un indumento di lino simile al pano, nel senso che anch’esso inizialmente consisteva in una fascia avvolgente cinta sui fianchi, ma successivamente divenne dall’aspetto più ricercato, soprattutto per le classi più abbienti, in quanto fu arricchita da una minuta pieghettatura. Diversi furono i modi per indossarlo, il più comune era quello di far scivolare diagonalmente il tessuto sui fianchi piegando un capo in vita mentre l’altro veniva lasciato penzolare sul davanti. Lo schentis in breve divenne l’indumento base di faraoni, principi, sacerdoti, alti dignitari e comandanti dell’esercito. Il tessuto di lino indossato dal Faraone era di estrema finezza, facilmente pieghettato e drappeggiato sul corpo; in seguito la parte anteriore fu corredata di un triangolo di stoffa di lino, pieghettata e inamidata, o addirittura di cuoio, mentre i suoi lati venivano trattenuti da giunchi o fili di metallo. Esso veniva indossato da tutti a torso nudo, indistintamente dalla classe sociale di appartenenza.

Giunti quasi alla fine del III millennio a. C., lo schentis venne quasi completamente soppiantato da una gonna, anch’essa composta da un unico rettangolo di lino avvolgente sui fianchi, ma dalla diversa lunghezza, da metà coscia fino al polpaccio, indossata a seconda delle diverse fogge acquisite: la versione più semplice consisteva nel far scendere l’indumento aderente sul dorso per riunirsi davanti in una doppia piega, ma i nobili preferivano indossare una seconda versione più elaborata in cui il tessuto eccedente confluiva in vita, dalla quale poi si apriva un fastello di pieghe disposte accuratamente a ventaglio. La vita veniva spesso corredata di una cintura policroma finemente decorata con applicazioni di preziosi, paste vitree, pendagli d’oro e di smalto, dal quale scendeva una sorta di pannello triangolare, simile a un moderno grembiule, ampiamente ricamato e anch’esso tempestato di pietre preziose. La foggia del presunto grembiale fu adottata anche dalle classi inferiori, ma ovviamente privo delle decorazioni elaborate che distingueva la classe nobiliare e la casta sacerdotale ai piedi della dinastia faraonica.

Durante il Medio Regno fu introdotto un nuovo indumento, una sorta di tunica di varia lunghezza (kalasiris) dal ginocchio alla caviglia simile ad una lunga camicia corredata di maniche corte, confezionata in diversi tessuti, ma le vesti indossate dai faraoni erano spesso talmente sottili da essere addirittura trasparenti, indossato al di sotto di uno schentis o di un grembiale, appena summenzionati. La classe media, nonché quella dei mercanti, indossava un tunica simile a quella descritta, ma confezionata con materiale più grossolano, una tela di lino meno pregiata sovente stretta in vita da una cintura succinta.

Ma l’indumento più elaborato, senza dubbio, proveniva da una linea presa in prestito alle civiltà dell’Asia Minore: la veste si corredava di una voluminosa stoffa rettangolare di tela di lino, mediamente lunga il doppio della statura della persona che doveva indossarla; essa veniva ripiegata su se stessa formando ampie maniche, provvista di una fessura per infilare la testa, e aveva due tagli cuciti sui lati dalla vita fino all’orlo; inoltre veniva bloccata in vita da una cintura.

Una figura alquanto bizzarra nel vestire era quella del sacerdote, il quale per onorare un rito sacrale, indossava una veste coprente tutto il corpo, al di fuori delle spalle, confezionata con pelle di leopardo, munita di coda penzolante, con il quale egli assolveva le sue funzioni religiose.

L’abbigliamento militare era poco dissimile da quello civile, infatti i soldati indossavano una sorta di divisa molto leggera generalmente corredata di uno schentis o, in caso contrario, di una gonna munita di grembiale di cuoio e una piastra pettorale sul torace.

a cura di Marius Creati

 

Gli Egizi (parte I)

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Circa cinquemila anni fa, nel IV millennio a.C., la civiltà del popolo egizio, nato e diffuso sulle sponde del fiume Nilo, raggiunse un elevato livello di sviluppo, pressoché in contemporanea con la crescita delle contigue civiltà dei Sumeri, degli Assiro-Babilonesi, dei Fenici e degli Ebrei, ubicati nelle zone dell’Asia occidentale, le quali erano incrementate in opportune comunità organizzate e indipendenti tra loro, costituite da città-stato come ad esempio per la Sumeria, a differenza dell’Egitto che assumeva invece l’impronta di una vera nazione compatta e ben salda che, pur vantando l’estensione di un vastissimo territorio, preferì rimanere ancorata lungo un esiguo lembo di terreno fertile conteso all’arido deserto grazie all’influenza delle acque del prodigioso fiume, esteso ancora oggi per oltre mille chilometri.

Trentuno dinastie monarchiche, testimoniate da antichi scrittori e vasti ritrovamenti archeologici, si susseguirono durante l’arco di trenta secoli suddividendo l’intera epoca in quattro principali periodi estremamente importanti: Antico Regno (dal 2850 al 2052 a.C. – dalla I alla X dinastia), Medio Regno (dal 2052 al 1570 a.C. – dalla XI alla XVII dinastia), Nuovo Regno (dal 1570 al 525 a.C. – dalla XVIII alla XXVI dinastia), Bassi Tempi ( dal 525 a.C. al 395 d.C. – dalla XXVII alla XXXI dinastia e dominazioni straniere).

Il popolo degli Egizi era suddiviso in una gerarchia strettamente prestabilita, dotato di enorme tenacia nelle abilità tecniche e grande raffinatezza nei costumi, considerando oltre tremila anni di potere gestito esclusivamente, tranne sporadiche interruzioni temporanee, dai Faraoni, i quali imponevano la loro egemonia, incentrata sulle tradizioni ferree, manifestata da rigide imposizioni che, in qualche modo, si riflettevano anche sul costume e sull’abbigliamento. La suddivisione in classi distingueva essenzialmente tre categorie in ordine di importanza sulle quali dominava la figura del monarca, il faraone: la classe elevata dei principi, dei sacerdoti e degli architetti; la classe distinta dei militari; la classe intermedia del popolo composta prevalentemente da operai, artigiani e agricoltori. Ad essi si aggiungeva una numerosa categoria inferiore, denominata degli impuri, costituita prevalentemente da schiavi, spesso asiatici e negri. Il dominio del potere era regolato da due enormi forze paritetiche: la religione, poiché il re faraone era considerato un dio vivente sulla Terra, e la tradizione, inviolabile e insostituibile neppure sotto l’influenza dei traffici e delle sporadiche invasioni occasionali. Infatti dai reperti si riscontrano saltuari cambiamenti del costume durante tutto il periodo faraonico.

Il popolo nilotico era fortemente legato al credo dell’aldilà, convinto che l’onorare i propri defunti con un equipaggiamento appropriato serviva a condurli nel luogo di riposo durante il loro viaggio ultraterreno, ragion per cui le tombe erano gremite di oggetti e arredi di vario genere, generalmente preziosi, tra i quali gioielli, cosmetici, vesti, ma anche utensili e ammennicoli adatti alla vita quotidiana.

Il clima caldo e secco non é dissimile da quello della Mesopotamia, ma fondamentalmente risulta meno umido e quindi più proficuo alla conservazione dei manufatti.

La geometria era una deduzione matematica prevalentemente utilizzata nelle varie raffigurazioni mediante la sistematica rappresentazione delle linee geometriche, spesso visibili nei solchi dell’aratro, nella pianura della terra e nei fusti delle palme, come nel disco del sole, in rappresentanza della somma divinità dal quale si irradiano i raggi di luce vitalizzanti, collocato al vertice del triangolo, considerato un simbolo sacro, il cui lato base simboleggiava la terra, a testimonianza delle varie piramidi dalla tipica forma triangolare.

Lo stile dell’arte egizia é pressoché spontaneo nei movimenti, nonostante conservi una propria caratteristica originale prestabilita a schemi piuttosto fissi, specie all’inizio della civiltà, e scevro da influenze esterne. Il senso estetico era fortemente avvertito e la natura, in tutte le sue forme, specie e caratteristiche, rappresentava un’inesauribile fonte d’ispirazione. L’arte egizia trova la sua completa rivelazione nel mero simbolismo, trasfigurato dalla realtà tradotta in chiave poetica e ideale, ampiamente diffusa nelle iconografie, derivante da un elevato valore della spiritualità, manifestato altresì nell’espressione ideografica. L’uso della scrittura geroglifica risulta oggi un’immensa fonte d’informazione per gli archeologi che ne studiano costantemente la cultura, le tradizioni e le usanze, poiché gli Egizi avevano l’abitudine di trascrivere gli eventi più significativi del loro vissuto che, grazie all’ausilio delle pitture murali, delle sculture, dei manufatti e dei reperti del vestiario, hanno consentito di apprendere tutti gli aspetti salienti della vita condotta nell’antico Egitto faraonico durante quei tremila anni di storia del fantastico periodo dinastico. Ma, come in ogni civiltà intensamente legata alle convenzioni, l’artista delle pitture murali era costretto all’osservanza di taluni regole prestabilite e quindi condotto all’uso di una linea prettamente stilizzata dato che anche la figurazione artistica  tendeva a compiacere il dio piuttosto che a divulgare una mera rappresentazione realistica.

a cura di Marius Creati

 

I Medi ed i Persiani (parte III)

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Questo popolo di origine montanara ha sempre presentato il capo coperto. I primi copricapi a calotta sono in feltro, semplici o tenuti con un’ampia fascia pieghettata o mediante un alto cordone intrecciato a spirale.  In seguito si distinguono nella foggia del costume persiano diversi tipi di cappelli, tra i quali il più rappresentativo è l’antenato del bashljk, un caratteristico berretto rotondo di feltro piuttosto alto con falda avvolta intorno al collo, semplice o pieghettato, accompagnato da un cappuccio a punta cascante sulle spalle posto sulla folta capigliatura ricciuta, tipico della milizia quando non indossava l’elmo, anch’esso proveniente originariamente dalla civiltà dei Medi, dalla forma a casco con calotta alta e munito posteriormente di paracollo e di paramascella su ciascun lato, ma comunque semi-coperto sul viso; inoltre tiare molto particolari, spesso a forma tronco conica, di tessuto o di metallo, leggermente arcuate verso l’alto, o a corona sparate sulla testa, e diademi preziosi. Estremamente riservata era la kindarid, una tiara cilindrica svasata verso l’alto e circondata da una fascia azzurra e bianca, indossata esclusivamente dai re.

Nella calzatura si assiste alla nascita della prima scarpa interamente cucita, spesso in cuoio, che chiudeva il piede all’interno dell’accessorio confezionato, le caratteristiche morbide babbucce, basse con la tomaia che non supera il malleolo o a stivaletto che possono salire dalla caviglia alla coscia, generalmente con triplice allacciatura a stringhe sulla tomaia in prossimità del collo del piede. I Persiani preferiscono il colore azzurro e giallo con forme slanciate, mentre per dare maggiore slancio alla figura in posizione eretta, scoprono il trucco di inserire nel calzare, in corrispondenza del tallone, strati di sughero cuneiformi.

Nelle acconciature si riscontrano molte analogie con il precedente popolo assiro, ma non è possibile definire se si trattasse di pura imitazione o semplice coincidenza. Inizialmente sobri e morigerati, i Persiani perdono con il tempo le buone abitudini mediante i contatti con le popolazioni mesopotamiche più dedite alla corruzione e al vizio, diffondendo infatti la poligamia e i vizi sessuali all’interno degli harem. Questo favorisce l’uso smodato di unguenti e fragranze varie usate durante le abluzioni del corpo per aromatizzare l’odore della pelle. Infatti cosmetici, belletti, profumi, capelli e barba posticci acquistano ampia diffusione. Barbe e capelli sono abilmente intrecciati e arricciati con estrema cura mediante ferri caldi, in linea con la tradizione locale. Come per le precedenti civiltà egemoni, anche i Persiani usano truccare di color nero il contorno degli occhi.

I monili d’oro e preziosi sono indossati con relativa sobrietà da entrambi i sessi, ma assolutamente ben visibili sulle raffigurazioni, specialmente orecchini ad anello e bracciali a maglia o a catena.

Sono scarse le documentazioni pervenute dai ritrovamenti archeologici attestanti lo stile dell’abbigliamento femminile per cui si presume, come in precedenza per altre civiltà, che il vestiario delle donne persiane non fosse dissimile da quello prettamente maschile, che si suppone poteva assumere una caratteristica pressoché simile, tranne che probabilmente per lievi variazioni puramente individuali. Ma non avendo alcuna testimonianza valutabile, in quanto le donne non venivano mai raffigurate nei bassorilievi, non è possibile definire alcuna certezza sull’argomento, ma solo vaghe supposizioni.

In seguito alla sconfitta della Persia ad opera di Alessandro Magno, il costume persiano perse il suo carattere originario per lasciarsi assoggettare alle nuove influenze dei Greci.

a cura di Marius Creati

I Medi ed i Persiani (parte II)

April 9, 2011 2 comments

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Gran parte delle testimonianze rinvenute dal passato sulla civiltà persiana provengono dalle città di Susa e di Persopoli, che al tempo fu il più grande centro dell’impero.

Nel VI secolo a.C., periodo di importanza cruciale per indicare l’inizio dell’impero persiano nascente, la veste risulta estremamente semplice rispetto al costume assiro, ma dalla linea più sciolta e dal movimento delle vesti e dei drappeggi più morbido, consistente in due rettangoli di tessuto cuciti lateralmente dalla vita in giù, verso l’orlo, lunghe maniche voluminose sfruttanti abilmente l’ampiezza del tessuto, solitamente decorate pesantemente, e una fessura lasciata aperta in alto per consentire il passaggio della testa. L’indumento era trattenuto da una cintura allacciata al di sotto del torace. Un tipico esempio è visibile nel fregio di mattoni vetrificati, rinvenuti nella città di Susa (foto parte I), raffiguranti gli arcieri della guardia reale, nel quale è facilmente intuibile il modo di abbigliarsi dell’epoca, ma possibilmente percepibile la vastità dei colori adottati nel vestiario e la magnificenza dei tessuti raffigurati. Si notano inoltre disegni geometrici e rosette nelle decorazioni e la predominanza del giallo, del marrone, dell’ocra, del porpora e del blu nell’uso del colore. Gli indumenti delle classi sociali elevate erano semplicemente ritoccate per apparire più eleganti e raffinate.

In seguito l’abbigliamento di base si evolve diventando piuttosto articolato rispetto al passato. I Persiani adottano la kandis assimilata dal popolo assiro, ma abilmente modellata e cucita in modo da risultare più aderente sul busto, dai colori vivaci e variegati, caratterizzata da ampie maniche lunghe a saio, un’evoluzione anch’esse del precedente indumento assiro, nelle quali solitamente aggiungono un inserto di tessuto a forma di cono sezionato, dal gomito verso il basso, sul lato esterno di ciascun lato. Al di sopra indossano un soprabito talare più semplice lungo fino alla caviglia, una sorta di kandis più elementare, spesso con i lembi gettati sulle spalle e indossato senza infilare le braccia nelle maniche. Una novità assoluta rispetto alle civiltà precedenti era l’uso di calzoni, ovviamente aderenti, chiamati anaxyrides, in realtà particolari brache indossate al di sotto delle due tuniche e  infilate negli stivaletti alti fino alla caviglia o nei semplici calzari chiusi rasoterra.

L’indumento militare rispecchia pienamente la medesima foggia, ma con alcune lievi sfumature. Una lunga e ampia kandis di lana è indossata come sopravveste, con le maniche ampie a saio, dal gomito verso il basso, semplicemente scivolata sul corpo o addirittura ampiamente drappeggiata dalla vita in giù per conferire maggiore ampiezza nei movimenti; una seconda kandis sottostante indossata al di sopra dei calzoni, dalla linea più diritta e sciancrata e con maniche aderenti. Brache a guisa di calze indossate sotto le due tuniche. L’esercito persiano era composto da un miriade immensa di soldati, suddivisi per etnia, dai costumi militari dai colori variopinti: i Medi indossavano tuniche scarlatte di media lunghezza adorne d’oro, gli Arabi preferivano lunghi camici di lana, gli Assiri adottavano una divisa più sobria con tuniche corte al ginocchio protetti da corazze di lino imbottite ed elmo scintillante, gli Etiopi erano coperti di pelli ferine e armati di clava, i Colchi abiti succinti dal casco di legno, i Traci simile divisa militare dal berretto di pelo di volpe. Durante le battaglie i fanti persiani coprivano il petto con corazze di metallo a difesa del torace, le gambe e i piedi protetti dai calzoni di cuoio e combattevano con uno scudo di vimini, un corto giavellotto, un arco con frecce e un pugnale sospeso alla cintura.

Una sottigliezza importante da non dimenticare in riferimento al costume persiano è riscontrabile nel comportamento di estrema raffinatezza dei singoli individui, i quali per primi adottano l’uso di guanti, mutande e calze.

a cura di Marius Creati

 

I Medi e i Persiani (parte I)

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Alla fine del VII secolo a. C. la civiltà assira venne sopraffatta e sconfitta dall’unione di due civiltà assoggettate precedentemente, i Medi e i Babilonesi, i quali a sua volta furono sconfitti cinquant’anni più tardi, nel mezzo del VI secolo a. C., dall’esercito dei Persiani guidati da Ciro il Grande, il medesimo fondatore della famosa dinastia degli Achemenidi.

Si hanno pochissime testimonianze sul periodo di dominazione dei Medi sul territorio mesopotamico nel periodo intermedio tra le due grandi dominazioni, ma è certo che il popolo persiano nutrì un grande rispetto per questa civiltà, ad esso sconosciuto,  assimilando molte delle loro idee e delle loro abitudini.

In origine i Persiani erano un popolo prettamente montanaro proveniente dalla zona dell’odierno Turkestan,  dedito all’agricoltura, alla pastorizia e alla metallurgia. In seguito alla conquista del vasto territorio si resero conto che l’abbigliamento adottato era assolutamente inadeguato in rappresentanza del nuovo dominio, così diedero inizio ad un vertiginoso cambiamento delle fogge, in balìa di uno stile prettamente eclettico, mescolando le caratteristiche peculiari delle varie precedenti civiltà dominanti della Mesopotamia, assimilate mediante la grande vittoria riportata sul popolo medo-babilonese.

Il contributo elargito da parte dei Medi al nuovo popolo presidiante è enorme, basti pensare che la civiltà persiana adottò la veste d’onore, l’abito indossato dal re e dal suo seguito durante le cerimonie, proprio da questa promettente civiltà, la quale contribuì a lungo nell’arricchire la conoscenza e l’ampollosità del popolo persiano, che da popolazione prevalentemente nomade e povera di contenuti riuscì ad evolversi divenendo un grande impero longevo e potente. Ma, in contropartita, il contributo distribuito nei confronti dei popoli assoggettati è egualmente notevole poiché, in quanto montanari e cavallerizzi, i Persiani erano abituati a confezionare vesti aderenti e indumenti in pelle. In realtà essi erano abili nel taglio e nel cucito ed erano in grado di definire i vari contorni del corpo in un modello. Sommariamente furono i primi sarti della storia del costume e questo permise loro di adeguarsi pienamente ai nuovi materiali più leggeri usati in quei luoghi appena conquistati.

Si devono ai Persiani la confezione dei primi pantaloni lunghi e delle prime giacche con maniche inserite, finora sconosciuti.

a cura di Marius Creati

 

Gli Assiri (parte II)

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Il copricapo è una caratteristica predominante nel costume assiro, dalla linea cilindrica prettamente semplice o vagamente elaborata, confezionato in varia forma e materiale da indossare secondo l’esigenza. La tiara reale, il kirbase, si distingue dal modello complementare per la forma diversa a cono tronco, provvisto o meno di tesa risvolta sul davanti, con un puntale in cima. Con il trascorrere del tempo, tuttavia, la forma cilindrica dell’antico cappello assiro viene soppiantato da un morbido berretto di feltro, probabilmente precursore del fez moderno.

Le acconciature sono particolarmente riconoscibili nello stile e nelle pettinature rispetto alle civiltà precedenti, nonostante le varie similitudini nelle conformazioni di base. Le chiome sono lunghe sino alle spalle, spesso arricciate, e la barba anch’essa composta di riccioli, questa un caratteristica fondamentale del modello assiro, per il quale in realtà capelli, barba, e baffi erano finti e finemente intessuti con lana arricciata e fili aurei per conferirne il tipico aspetto visibile in tutte le varie testimonianze rinvenute. Orecchini, collari e bracciali ad anello o braccialetti con rosetta o con stella applicata sono i tipici ornamenti preziosi, simboleggianti l’amore accentuato per la natura, mediante i quali l’uomo assiro preferisce adornare il suo corpo.

Profumi e incensi erano usati assiduamente e spesso venivano importati dai paesi dell’Arabia.

Le calzature rispecchiano l’evoluzione delle fogge e dello stile dell’abbigliamento. Da semplici calzari dei periodi precedenti si trasformano in vere scarpe confezionate, sovente in cuoio, mentre di pelle morbidissima per i dignitari, chiuse a scarponcino con la punta in avanti leggermente ribaltata all’insù o aperte come sandali, traforati o semplici, trattenuti da legacci. Il modello più diffuso, quello delle persiche,  lasciava intravedere il piede nella sua interezza sul davanti, simile ad un moderno infradito, con o senza occhiello per l’alluce, per coprirne completamente il tallone con un copritallone nella parte posteriore, stringato sulla parte del collo o allacciato con passante per consentirne la calzatura. Il simbolo del rango è dato dal colore della pelle, tenue e delicato per i nobili mentre rosso e giallo per la classe media. I motivi stilizzati di fiori e di disegni geometrici, come quadrati, rombi, spirali, semicerchi e righe, disposti singolarmente o alternati tra loro vistosamente visibili sui tessuti preziosi, sono spesso riportati anche sulle calzature arricchendole di colore e fantasie variopinte. Per le milizie i vistosi calzari sono sostituite da alti stivali stringati sino al polpaccio.

Dai ritrovamenti archeologici rinvenuti nel corso dei secoli sono pervenute scarse testimonianze in merito al costume delle donne della civiltà assira, ragion per cui si presuppone che lo stile femminile non era molto dissimile da quello maschile, probabilmente più ricco nei dettagli e nei disegni esornativi dei tessuti, probabilmente ingioiellate con una vasta gamma di pietre preziose e raffinatezze di varia natura, probabilmente adornate con mitre, il copricapo altamente cerimoniale esclusivo delle regine, e tiare incastonate con preziosi di rara bellezza. E’ interessante notare che, in quel periodo, una legge assira obbligava le donne sposate ad indossare pubblicamente il velo, un precetto sopravvissuto in tempi moderni adottante la medesima usanza ancora osservata in molti paesi di origine musulmana.

Dalla statua rinvenuta della regina Ashur-Sharrat, moglie di Assurbanipal, è possibile notare un tipico esempio del modo di vestire prettamente femminile. La regina, appartenente ad un rango prettamente superiore rispetto al popolo, era considerata al di sopra della legge, ragion per cui poteva permettersi il lusso di variare lo stile generico prefigurato dalla consuetudine, riscontrabile nei piccoli cambiamenti delle fogge rispetto al costume tipico. Le lievi differenze sono riscontrabili nelle maniche più lunghe sino a metà avambraccio rispetto alla media e nel presunto mantello sciallato avvolgente l’intero il corpo e cascante sulla spalla destra senza l’ausilio di un fermaglio. L’acconciatura, trattenuta da un diadema finemente ingioiellato, imita le pettinature maschili con capelli lunghi arricciati lasciati cadere sulle spalle.

a cura di Marius Creati

 

Gli Assiri (parte I)

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Il declino della supremazia babilonese nel territorio mesopotamico assiste all’avvento di una nuova civiltà, la quale in breve ne prenderà il posto, mi riferisco al popolo degli Assiri, e in concomitanza di siffatto cambiamento storico si nota il medesimo mutamento anche nel vestiario.

Anche il sovrano babilonese Marduk-nâdin-akhkhê, vissuto nell’ultimo periodo della dominazione del suo popolo, adotta una foggia prettamente assira.

Tuttavia una delle figure più autorevoli da cui attingere una piena visibilità del costume tipico è il re assiro Assurnasirpal II, vissuto nel IX secolo a.C.

Sin dai primordi l’indumento di base è costituito da una tunica aderente lunga fino alle caviglie che lascia completamente visibile il collo del piede, con le maniche corte e anch’esse alquanto aderenti. Era solitamente confezionata con un tessuto prettamente sfarzoso e caratterizzato da un’impronta assolutamente rigida e austera. Il nome generico usato per definire questo indumento è kandis, una veste abilmente cucita con frange e ornamenti vari, disposti in particolar modo sul fondo dell’abito.

Al di sopra, lo stile del momento preferiva l’uso di un drappo particolare, kaunace o kaunakès, usato a guisa di mantello, una sorta di scialle frangiato e riccamente decorato, con decorazioni più evidenti del l’indumento sottostante, avvolgente completamente i fianchi e sostenuto da una fascia ricamata nel quale venivano infilati sul davanti i due pugnali. Inoltre, si riscontra spesso l’utilizzo di più scialli sovrapposti tra loro indossati al di sopra della veste sottostante, forse per protezione o per semplice appariscenza.

Il tessuto impiegato nell’uso delle frangiature cucite sulle vesti o sui drappi come una moderna applicazione di passamaneria è solitamente la lana, che in quel tempo probabilmente era l’unica fibra che, abilmente lavorata, riusciva a conformarsi al modello desiderato. Ma con il trascorrere del tempo, i tessuti in generale impiegati nel confezionare le vesti e gli scialli diventano sempre più lavorati e ricchi di ornamenti, prerogativa che intensifica il consecutivo sviluppo degli accessori complementari.

Tra il IX secolo a.C. e il VI secolo a.C. il costume assiro si divide in tre modelli particolari: cerimoniale, militare e venatorio, ma piuttosto che dare particolare attenzione alla linea, bisogna considerare la  stretta funzionalità.

Il costume militare adotta lo stesso stile delle classi nobili con l’uso della tunica di base sottostante, ma dalle lunghezze ridotte, non oltrepassanti il ginocchio, in modo da permettere maggiore libertà nei movimenti, e maniche corte aderenti. Al posto dello scialle si adottano particolari drappi più grossolani, probabilmente con funzione protettiva.

Durante il regno di Assurbanipal, 668-629 a.C., si assiste ad un cambiamento del vestire tramite una lieve modifica dal modello finora conosciuto: l’innovazione marginale prevede che la tunica principale, rimasta lunga fino alla caviglia, sia indossata privata dell’ostentazione dei vistosi scialli, ma con il conseguente incremento delle ricche decorazioni dei tessuti e della varietà dei colori adoperati nelle tessiture.

Il popolo vestiva possibilmente seguendo la foggia principale, ma con l’impiego di tessuti meno sontuosi e ovviamente meno ricchi di decorazioni sgargianti.

a cura di Marius Creati

 

I Babilonesi (parte II)

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In realtà, nella storia della Mesopotamia sono scarse le informazioni attestanti il tipico costume femminile, che si presume seguisse le fogge dell’abito maschile, ma da una statua risalente al periodo di Gudea è possibile intuire almeno genericamente l’impostazione di base. In effetti per le donne un rettangolo di stoffa veniva sontuosamente drappeggiato in modo aderente sul busto, in modo da avvilupparne doverosamente le forme che, incrociato sul dorso all’altezza delle scapole, in prossimità della base del collo saliva da dietro sopra le spalle rivestendole completamente, appena scivolato sulle braccia semi-scoperte, per poi penzolare mollemente in avanti fino in vita diviso in due lembi e coprenti, ciascuno per lato, il seno. Esiste una seconda versione, forse più ricercata poiché meno convenzionale, rinvenuta attraverso il ritrovamento di una statua di età posteriore ritraente un’antica donna elamita, che prevedeva altresì il drappeggio del rettangolo di tessuto, il quale dopo aver coperto doverosamente il seno, una volta diviso sulle spalle, anch’esse coperte, ricadeva sui due lembi  separatamente, uno liberamente sul schiena e l’altro sul davanti coprente il lato destro. La stoffa era fissata in prossimità della spalla sinistra con una spilla. L’uso del fermaglio per fissare un abito come principale accessorio esornativo anziché piegarlo elegantemente evitando l’impiego dell’apposito gioiello non rientrava nella consuetudine di questo periodo specifico. Un’altra caratteristica essenziale dell’abbigliamento muliebre riscontrato su questa statua era l’uso di un corpetto indossato al di sotto del tessuto avviluppato sul corpo, ma anch’esso di difficile reperibilità storica a causa di insufficienti conferme provenienti da ulteriori ritrovamenti archeologici, nonostante questo modo di abbigliarsi è sopravvissuto nelle zone dell’India dall’antichità fino ad oggi.

Una nota caratteristica dell’abbigliamento babilonese di entrambi i sessi furono le molteplici guarnizioni a frange sviluppate nel pieno della civiltà imperante di Babilonia che, disposte simmetricamente sulle vesti, creavano un gioco di colore divertente e variopinto nei colori spesso alternati nelle tonalità del rosso, dell’oro, del grigio e del bianco. Il colore infatti risulta la caratteristica più appariscente adottata dai babilonesi, riscontrabile nelle varie pitture murali caratterizzanti questo periodo dell’arte parietale antica. Anche in tal caso, secondo le testimonianze di sculture in bassorilievo risalenti al XXII secolo a.C., l’abito maschile spesso si distingueva da quello femminile per la disposizione del tessuto sulle spalle che, come consueto, rimaneva solitamente scoperto sul lato destro per il sesso maschile mentre copriva letteralmente entrambe le parti per quello femminile.

La tipologia dell’abito lungo prettamente talare, drappeggiato o frangiato, era strettamente riservata alla nobiltà babilonese, mentre servi e musicisti indossavano semplici gonne di lino, ampie e mediamente lunghe, prese in prestito dai precedenti sumeri.

Anche per i babilonesi, come per i loro predecessori, la cura del corpo era di fondamentale importanza, infatti essi conservarono gran parte delle caratteristiche peculiari sumere. L’acconciatura maschile era di grande rilevanza e gli uomini amavano particolarmente la barba, indice di nobiltà e quindi di elevata distinzione. Per entrambi i sessi i capelli erano disposti accuratamente sopra il capo, ma ondulati e trattenuti da appositi copricapi, legati da appositi nastri per le donne che lasciavano ciocche cascanti disposte volutamente in risalto rispetto al sesso maschile che li conservava, in modo più accurato, nella zona posteriore del cranio.

L’uso delle tiare indossate sul capo per adornare la propria immagine in rappresentanza del dio glorificante era un lusso permesso soltanto ai principi e alle principesse di elevata estrazione, tra le quali è da summenzionare quella tipica a corne multiple ripiegate all’interno verso l’alto munita di una sorta di palla sferica nella sommità.

Da non dimenticare inoltre l’uso smodato di profumi per le aspersioni del corpo e l’uso ornamentale di vari gioielli di finissimo pregio, tra cui diademi, collane, braccialetti di varia fattura e splendide pietre preziose di vario colore.

a cura di Marius Creati