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L’arte abuso della politica mentre la Russia recede dall’EXPO-2030

L’operazione militare in Ucraina avanza oltre misura e non sembra voler trovare un riscontro immediato che ne decreti la conclusione, gettata a capofitto in una continua escalation di morte a discapito delle migliaia di persone coinvolte, tra militari delle fazioni avverse che combattono in procinto di una guerra inarrendevole e civili inermi che soccombono di conseguenza sotto i continui scontri.
Tra i costanti colpi di scena e le pesanti sanzioni economiche, che perlopiù colpiscono i paesi europei sempre più sfiancati dal carovita incalzante nonostante le misure eccezionali che il parlamento europeo sembra voler edificare continuamente a nostro vantaggio o meno, dipende dal punto di vista, traspare una linea sottile di demarcazione chiamata “cultura” che fa del conflitto una propaganda mediatica e nella propaganda sociale trova una riscontro belligerante, ma tra i continui riverberi dei media contro i filo-russi e le accuse incessanti di categoria, tra giornalisti inarrestabili, opinionisti apolidi, blogger imperterriti, virostar e politici polifunzionali che si avvicendano senza sosta nelle assordanti trasmissioni televisive, si innalza l’eco del ritornello virale che echeggia alle “armi all’Ucraina”, divenuto fastidievole leitmotiv indiscusso che barcamena nella melodia del nucleare mentre nella contropartita dura e irreversibile dei dissidenti partigiani della pace, maldestramente dichiarati pro putiniani, al di là della presunta malaccortezza, ne difendono la quiete.
L’arte diventa abuso della politica, coalizzata nel suo insieme, e nella cultura trova una nuova arma propagandistica strumentalizzata contro l’immagine russa a difesa di una continuità delle azioni ostili nelle frontiera ucraina. La Russia bandita dalle manifestazioni artistiche occidentali, l’EBU-UER ne ha decretato la sospensione rappresentativa, ovviamente si prende in considerazione soltanto l’assolutismo del superfluo, l’arte sovietica diventa improvvisamente pericolosa, per alcuni esponenti politici addirittura deleteria mentre per altri un’arma a doppio taglio da usare contro la stessa civiltà russa ignara di subire il boicottaggio esistenziale della propria libertà d’espressione.
Recentemente una dichiarazione del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa ha reso noto che Mosca ha deciso di ritirare volontariamente la propria candidatura per il diritto di ospitare l’EXPO-2030. La rispettiva notifica è stata presentata all’Ufficio Internazionale delle Esposizioni. “Siamo costretti a constatare che il movimento fieristico internazionale si è rivelato un’altra vittima della grande campagna anti-russa lanciata dall’Occidente collettivo per estromettere il nostro Paese da tutte le aree di cooperazione. In tali condizioni, purtroppo, non è possibile parlare di concorrenza leale per il diritto di ospitare esposizioni universali mondiali. È ovvio che la candidatura di Mosca per ospitare l’EXPO-2030 in competizione con gli altri quattro candidati non può contare su una valutazione equa e imparziale, per quanto possa avere innegabili vantaggi. Non c’è dubbio che la pressione sulla Russia e sui nostri partner sia un altro tentativo senza scrupoli da parte di diversi Paesi di denigrare il nostro Paese. Il mondo intero ha visto il padiglione russo all’EXPO 2020 di Dubai, unico nel suo genere, che includeva una presentazione high-tech di Mosca come città candidata per l’EXPO 2030. A qualcuno è sembrato che, invece di competere ad armi pari, fosse meglio agire spudoratamente, ricorrendo a metodi senza scrupoli.”
La cultura non dovrebbe manifestare un abuso di stato. L’idea che la Russia possa essere stata esclusa dai contesti social e culturali dell’Occidente soltanto perché poco affine al pensiero politico atlantista, per così dire, se non addirittura perché incline al conflitto contro l’Ucraina è un’azione ignobile che collide l’ideologia della civiltà, quale simbolo di pace e condivisione tra i popoli, anche e soprattutto per quelli in contrasto tra di loro. I dissidi di gabinetto tra gli Stati non hanno nulla da condividere con le emozioni dell’animo, ragion per cui penalizzare l’arte e il patrimonio dottrinale che racchiude in se, solo per un’affinità nazionale è un grave insulto alle leggi dell’uomo, nella consapevolezza che un tale misfatto venga amministrato come atto persecutorio, contro un paese che motiva argomentazioni sensate per muoversi contro un pari avversario, che con l’arte, in sé per sé, non ha nulla da spartire!
Il compromesso della partecipazione affettiva degli artisti russi alle rappresentazioni culturali occidentali sarebbe sentito come un primo passo europeo verso una strategia di pace, cui vocifera continuamente il presidente Mario Draghi dal ritorno dal suo viaggio in America, non che spunto di riflessione che spinga verso quei termini di resa dalle armi che, malgrado tutto, continuano ad uccidere uomini donne e bambini senza compromessi di razza, odore e colore di popolo. L’arte e la cultura rappresentano simboli inviolabili della nostra coesione con il mondo.
In sintesi l’Italia, o meglio la politica italiana al potere, dovrebbe arguire la differenza!
di Marius Creati
Aung San Suu Kyi, elezioni storiche in Myanmar
Si è aggiudicata un seggio per la circoscrizione di Kawhmu, arrivando prima in 29 dei 30 villaggi del distretto. Il suo partito è in testa anche nella capitale dei generali Naypyidaw, abitata in gran parte da funzionari del governo.
“Questa deve essere una vittoria del popolo con dignità. Invito tutti i membri e i simpatizzanti della Lega Nazionale per la Democrazia a evitare discorsi o atti aggressivi contro l’altra parte”. Con un invito alla calma la leader dell’opposizione democratica birmana, Aung San Suu Kyi, ha commentato con soddisfazione la vittoria elettorale del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (Nld). Suu Kyi ha vinto un seggio in Parlamento per la circoscrizione di Kawhmu, arrivando prima in 29 dei 30 villaggi del distretto. Era la prima volta che la premio Nobel poteva candidarsi in Myanmar e il voto di oggi, malgrado riguardi soltanto le suppletive per 45 seggi, è considerato un passo importante verso la democratizzazione del Paese. Secondo i primi risultati, l’Nld ha conquistato almeno 30 seggi, ma vi sono indicazioni di una possibile vittoria in tutte le 44 circoscrizioni in cui correvano i suoi candidati.
La Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi si avvia a conquistare anche tre seggi su quattro a Naypyidaw, la remota capitale del Myanamar fatta costruire nella giungla dal regime dei generali. Lo scrive il sito d’informazione indipendente birmano Irrawaddy. Nuova capitale del Myanmar dal 2005, la città è abitata in gran parte dai funzionari del governo e le loro famiglie. La leader dell’opposizione birmana Suu Kyi era venuta anche in questa città per far campagna elettorale.
Circa 6,8 milioni di birmani sono stati chiamati oggi al voto per elezioni suppletive che rappresentano un’importante svolta politica. Per ora non sono stati segnalati incidenti.
Fonte: IGN Adnkronos
India, nessuna censura per le comunicazioni interattive
Il ministro delle Comunicazioni Kabil Sipal assicura: nessun governo indiano avrà mai intenzione di oscurare i social media. Che dovranno però obbedire alle leggi nazionali per la rimozione di contenuti blasfemi
Roma – “Voglio dirlo una volta per tutte, senza alcun dubbio, nessun governo dell’India censurerà mai i social media”. Parola di Kapil Sibal, attuale ministro delle Comunicazioni nel governo di Nuova Delhi. Intervenuto nel corso di un summit sull’IT a Mumbai, Sibal ha negato con fermezza l’intenzione di oscurare le grandi piattaforme del web.
“Non ho mai voluto censurare i social media – ha continuato Sibal – e nessun governo vuole farlo. Ma come accade per la stampa e i media elettronici, devono obbedire alle leggi della nostra nazione”. Il riferimento è alla recente ordinanza con cui un giudice di Nuova Delhi ha costretto società come Google e Facebook a far sparire contenuti ritenuti blasfemi.
Dunque, le autorità indiane non hanno intenzione di oscurare – in stile cinese, come effettivamente ammesso in precedenza – social network e piattaforme di blogging. I responsabili di aziende come Yahoo! e Google hanno già provveduto all’eliminazione di materiale in spregio ai principi religiosi dei vari credo.
Fonte: Punto Informatico
Iran, ondata di arresti in vista delle elezioni
La denuncia arriva direttamente da Amnesty International, i cui attivisti stanno denunciando l’ondata di arresti che sta avvenendo in Iran in questi giorni a causa del regime repressivo del Paese, nei confronti degli oppositori, in particolare blogger e giornalisti, in vista delle prossime elezioni parlamentari del 2 marzo. Nella nota di Amnesty si apprende: “È evidente il tentativo di restringere la libertà di espressione ed impedire le critiche su questioni legati ai diritti umani nel periodo che precede le elezioni parlamentari del 2 marzo”. Nella nota stampa, Amnesty sollecita inoltre le autorità iraniane a rilasciare immediatamente tutte le persone poste in stato d’arresto nelle ultime settimane con eccezione di quelle incriminate per degli effettivi reati penali.
Fonte: AGS Cosmo
Cina, nuove strategie energetiche
Più attenzione alle esigenze delle popolazioni locali, stop al trapianto di lavoratori cinesi nei Paesi ricchi di risorse, meno materie prime che pendono la via di Pechino. Sta cambiando la strategia della Cina per procacciarsi il prezioso carburante da pompare nel motore del proprio sviluppo industriale.
Il cambio di rotta è stato comunicato dai vertici delle principali imprese petrolifere cinesi, CNPC and CNOOC, durante il World Petroleum Congress che si è tenuto la scorsa settimana a Doha, in Qatar.
Zhou Jiping, vice presidente della CNPC, ha per esempio detto: “Impiegheremo più manodopera locale, presteremo maggiore attenzione ai bisogni delle comunità per quanto riguarda educazione, salute, protezione ambientale, e promuoveremo la costruzione di infrastrutture in loco.”
Finora, il modello era piuttosto semplice ed efficiente: il Dragone esportava investimenti, infrastrutture e lavoro nei Paesi ricchi di materie prime senza porsi alcun problema politico o morale.
Trattava direttamente con il governo del luogo, qualunque fosse. Questo garantiva a Pechino un vantaggio competitivo rispetto all’Occidente che, almeno a parole, si fa pregio di non investire laddove i governi non corrispondano a un certo standard democratico (secondo il presunto principio universale di “democrazia liberale”). Così, il Celeste Impero è penetrato con decisione nella competizione per i giacimenti, soprattutto in Africa.
La Cina fa affari con tutti secondo il principio politico di non intromissione negli affari interni altrui e, soprattutto, con un occhio alle proprie esigenze interne: quelle di un’economia energivora, da “fabbrica del mondo”, che deve però recuperare terreno rispetto alla plurisecolare espansione geopolitica ed economica dell’Occidente.
Trattare con tutti significa spesso fare affari con élite locali corrotte o autoritarie, che intercettano gli investimenti cinesi senza ridistribuirne i benefici alle popolazioni.
Aggrava la situazione il fatto che il Dragone esporta anche forza lavoro e i cantieri africani, per esempio, sono pieni di maestranze cinesi più che di manodopera locale.
Da un’iniziale fiducia nell’arrivo della Cina, vista come alternativa all’Occidente, le popolazioni interessate sono così passate gradualmente a criticare il “neocolonialismo” cinese: l’astronave di Pechino atterra da un mondo lontano, fa razzia e poi riparte.
Ovviamente, i media statunitensi e in parte europei hanno gettato benzina sul fuoco, denunciando tutto il modello cinese come un tentativo di espropriare i legittimi possessori di ricchezze naturali (da che pulpito), offrendo in cambio un ulteriore rafforzamento e arricchimento degli oppressori di turno (da che pulpito bis).
Dato che ora la Cina ha deciso di passare alla fase due del proprio divenire superpotenza, vuole cioè esercitare un proprio soft power fatto di export culturale, una correzione di rotta si imponeva. Come conquistare cuori & menti oltre che i portafogli?
Ecco la nuova strategia di Pechino: esportare soprattutto investimenti e know how, diminuire la quota di materie prime importate in Cina, ridurre drasticamente il flusso di forza lavoro cinese verso gli altri Paesi.
È un cambio di rotta che di fatto sancisce una trasformazione della stessa economia cinese.
Pechino punta all’efficienza energetica e ha diversificato le proprie fonti di materie prime. Le grandi imprese a partecipazione statale possono quindi permettersi di diventare un po’ meno “politiche” e di seguire una strategia più commerciale: creazione di industrie locali, con cui condividere i profitti, e di centri di innovazione, non solo nei Paesi di sviluppo.
Zhou Jiping ha per esempio annunciato a Reuters l’apertura di un istituto di ricerca a Houston, Texas, per migliorare le competenze del personale CNPC nella ricerca e nello sfruttamento dei giacimenti.
Inoltre, “i lavoratori cinesi non sono più a buon mercato – dice Chen Weidong della CNOOC – quando li trasferisci da casa loro a una località remota, devi fornirgli tutte le sistemazioni. E i costi si sommano.”
L’aspetto politico si aggiunge al cambiamento economico. Se è vero che Pechino ha una propria agenda per conquistare cuori & menti, non è detto però che questo corrisponda alle politiche dell’Occidente.
La Cina non sembra per esempio intenzionata a ridurre la propria presenza in Myanmar, Siria e Sudan, Paesi in cui multinazionali come Shell e Total non possono investire per ragioni del tutto politiche. Il principio di non intromissione negli affari interni degli altri Paesi per ora non si tocca.
Fonte: Ec Planet
Aung San Suu Kyi, legalizzato il partito del premier Nobel per la pace in Birmania
La Lega Nazionale per la Democrazia, il partito del premier Nobel per la pace boicottato al turno elettorale del 2010, potrà partecipare alle prossime elezioni legislative. Lo rende noto il quotidiano New Light of Myanmar.
La notizia è ufficiale. Il partito guidato da Aung San Suu Kyi è stato finalmente, e in via ufficiale, legalizzato dalla Commissione elettorale. La Lega Nazionale per la Democrazia potrà dunque concorrere alle prossime elezioni che avranno luogo in Birmania tra qualche mese. A rendere nota la decisione della Commissione, che ha accuratamente esaminato la documentazione presentata dal partito per l’iscrizione alle elezioni, è il quotidiano New Light of Myanmar.
Aung San Suu Kyi divenuta un’icona nella lotta per la democrazia era stata liberata il 13 novembre 2010, dopo aver trascorso diversi anni della sua vita agli arresti domiciliari. Figlia del generale Aung San, ucciso dopo aver negoziato l’indipendenza della Birmania dal Regno Unito nel 1947, la donna fondò nel 1988 la Lega Nazionale per la democrazia.
Il premio Nobel per la pace ha dichiarato: “Dobbiamo approfittare di questo momento per accelerare il processo di riforme e portarlo a un punto tale da renderlo irreversibile. I paesi che hanno istituito le sanzioni sono stati molto chiari e hanno detto quali sono le condizioni che il governo deve accettare perché vengano rimosse, ma ci sono ancora prigionieri”. Aung San Suu Kyi aveva incontrato nei primi giorni di dicembre il segretario di Stato USA Hillary Clinton, ricevendo inoltre l’appoggio del presidente statunitense Barack Obama che aveva indirizzato due lettere alla giunta e alla stessa donna: “Ammiro da lungo tempo la sua lotta coraggiosa e senza pause per la democrazia. Siamo pronti a far progredire i vostri sforzi verso la democrazia e promuovere il rispetto dei diritti umani”.
Fonte: CorriereWeb