Archive
Dissertazione sulla guerra nucleare nel conflitto in Ucraina con Morgan Williams / Central Station Records in Australia, di Marius Creati (parte 2)

Morgan Williams è un ex segretario privato al Parlamento della Nuova Zelanda, ora co-proprietario della grande azienda australiana Central Station Pty Ltd.
Si occupa di transazioni internazionali nel settore della distribuzione finanziaria, della distribuzione commerciale, della discografia, dell’immobiliare, dell’esportazione di materie prime.
Gode di enorme influenza commerciale nel continente australiano, la cui società è conosciuta a livello internazionale.
MORGAN: Vorrei che lei commentasse l’articolo di Eric Schlosser sulle condizioni del conflitto in Ucraina
E se la Russia usasse armi nucleari in Ucraina?
Uno sguardo agli scenari cupi e al playbook degli Stati Uniti per ciascuno di Eric Schlosser
Leggi di più >
La dodicesima direzione principale del Ministero della Difesa russo gestisce una dozzina di strutture centrali di stoccaggio per armi nucleari. Conosciuti come siti “Oggetto S” e sparsi in tutta la Federazione Russa, contengono migliaia di testate nucleari e bombe all’idrogeno con un’ampia varietà di rendimenti esplosivi. Negli ultimi tre mesi, il presidente Vladimir Putin e altri funzionari russi hanno minacciosamente minacciato di usare armi nucleari nella guerra contro l’Ucraina. Secondo Pavel Podvig, direttore del Russian Nuclear Forces Project ed ex ricercatore presso l’Istituto di fisica e tecnologia di Mosca, ora con sede a Ginevra, i missili balistici a lungo raggio schierati a terra e sui sottomarini sono le uniche armi nucleari russe disponibili per un uso immediato. Se Putin decide di attaccare l’Ucraina con armi nucleari “tattiche” a corto raggio, dovranno essere rimosse da un sito Object S, come Belgorod-22, a sole 25 miglia dal confine ucraino, e trasportate in basi militari. Ci vorranno ore per preparare le armi al combattimento, per accoppiare le testate con missili da crociera o missili balistici, per caricare bombe all’idrogeno sugli aerei. Gli Stati Uniti molto probabilmente osserveranno il movimento di queste armi in tempo reale: per mezzo di sorveglianza satellitare, telecamere nascoste lungo la strada, agenti locali con un binocolo. E questo solleverà una questione di importanza esistenziale: cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti?
Il presidente Joe Biden ha chiarito che qualsiasi uso di armi nucleari in Ucraina sarebbe “completamente inaccettabile” e “comporterebbe gravi conseguenze”. Ma la sua amministrazione è rimasta pubblicamente ambigua su quali sarebbero state queste conseguenze. Questa ambiguità è la politica corretta. Tuttavia, devono esserci discussioni e dibattiti aperti anche al di fuori dell’amministrazione su ciò che è veramente in gioco. Durante l’ultimo mese, ho parlato con molti esperti di sicurezza nazionale ed ex funzionari del governo della probabilità che la Russia usi armi nucleari contro l’Ucraina, i probabili obiettivi e la corretta risposta americana. Sebbene fossero in disaccordo su alcune questioni, ho sentito ripetutamente lo stesso punto: il rischio di una guerra nucleare è maggiore oggi che in qualsiasi altro momento dalla crisi dei missili cubani. E le decisioni che dovrebbero essere prese dopo un attacco nucleare russo contro l’Ucraina sono senza precedenti. Nel 1945, quando gli Stati Uniti distrussero due città giapponesi con le bombe atomiche, era l’unica potenza nucleare del mondo. Nove paesi ora possiedono armi nucleari, altri potrebbero presto ottenerle e il potenziale che le cose vadano terribilmente male è notevolmente aumentato.
Sembrano possibili diversi scenari su come la Russia potrebbe presto utilizzare un’arma nucleare: (1) una detonazione sul Mar Nero, che non ha causato vittime ma dimostrando la determinazione a varcare la soglia nucleare e segnalando che il peggio potrebbe arrivare, (2) un attacco di decapitazione contro la leadership ucraina, tentando di uccidere il presidente Volodymyr Zelensky e i suoi consiglieri nei loro bunker sotterranei, (3) un assalto nucleare a un obiettivo militare ucraino, forse una base aerea o un deposito di rifornimenti, che non ha lo scopo di danneggiare i civili, e (4 ) la distruzione di una città ucraina, causando ingenti vittime civili e creando terrore per accelerare una rapida resa, gli stessi obiettivi che hanno motivato gli attacchi nucleari a Hiroshima e Nagasaki.
Qualsiasi risposta dell’amministrazione Biden sarebbe basata non solo su come la Russia utilizza un’arma nucleare contro l’Ucraina ma anche, cosa più importante, su come il comportamento futuro della Russia potrebbe essere influenzato dalla risposta americana. Incoraggerebbe Putin a fare marcia indietro o a raddoppiare? I dibattiti della Guerra Fredda sulla strategia nucleare si sono concentrati sui modi per anticipare e gestire l’escalation di un conflitto. All’inizio degli anni ’60, Herman Kahn, un importante stratega della Rand Corporation e dell’Hudson Institute, inventò una metafora visiva per il problema: “la scala dell’escalation“. Kahn è stata una delle principali ispirazioni per il personaggio del dottor Stranamore nel classico film di Stanley Kubrick del 1964, eppure la scala dell’escalation rimane un concetto centrale nel pensare a come combattere una guerra nucleare. La versione della scala di Kahn aveva 44 gradini. In fondo c’era un’assenza di ostilità; in cima c’era l’annientamento nucleare. Un presidente potrebbe scegliere di passare dal passaggio n. 26, “Attacco dimostrativo alla zona interna”, al passaggio n. 39, “Guerra al rallentatore contro le città”. L’obiettivo di ogni nuovo passo verso l’alto potrebbe variare. Potrebbe essere semplicemente per inviare un messaggio. Oppure potrebbe essere per costringere, controllare o devastare un avversario. Hai scalato la scala per raggiungere di nuovo il fondo un giorno.
Il “vortice di escalation” è una visualizzazione più recente e più complessa di un potenziale conflitto tra stati nucleari. È stato sviluppato da Christopher Yeaw, che ha servito come capo scienziato presso l’US Air Force Global Strike Command dal 2010 al 2015. Oltre agli aspetti verticali della scala dell’escalation, il vortice incorpora il movimento orizzontale tra i vari domini della guerra moderna: spazio, cyber, convenzionale, nucleare. Un vortice di escalation sembra un tornado. Un’illustrazione di uno, presente in una presentazione del Global Strike Command, colloca il peggior risultato nella parte più ampia dell’imbuto: “i livelli più alti in assoluto di distruzione permanente della società”.
Nell’ottobre 1962, Sam Nunn era un neolaureato di 24 anni alla Emory University School of Law che aveva appena ottenuto un nulla osta di sicurezza e un lavoro come membro del personale per il Comitato per i servizi armati della Camera. Quando un collega si ritirò da un tour all’estero delle basi NATO, Nunn prese il suo posto, lasciò gli Stati Uniti per la prima volta e finì alla base aerea di Ramstein, in Germania, al culmine della crisi missilistica cubana. Nunn ricorda di aver visto combattenti della NATO parcheggiati vicino alle piste, ciascuno carico di una singola bomba all’idrogeno, pronti a volare verso l’Unione Sovietica. I piloti sedevano su sedie accanto ai loro aerei, giorno e notte, cercando di dormire un po’ in attesa dell’ordine di decollo. Avevano solo carburante sufficiente per una missione a senso unico e pianificavano di salvarsi da qualche parte, in qualche modo, dopo aver sganciato le bombe. Il comandante dell’aviazione americana in Europa disse a Nunn che se fosse iniziata una guerra, i suoi piloti avrebbero dovuto far decollare i loro aerei entro pochi minuti; La base aerea di Ramstein sarebbe uno dei primi obiettivi della NATO distrutti da un attacco nucleare sovietico. Il comandante teneva sempre con sé un walkie-talkie per dare l’ordine di decollo.
La crisi dei missili cubani ha lasciato una forte impressione su Nunn. Durante i suoi 24 anni come senatore degli Stati Uniti, ha lavorato instancabilmente per ridurre il rischio di guerra nucleare e terrorismo nucleare. In qualità di capo della commissione per i servizi armati del Senato, ha sostenuto una stretta cooperazione con Mosca in materia nucleare. Per continuare questi sforzi, in seguito ha co-fondato un’organizzazione no profit, la Nuclear Threat Initiative, con la quale ho collaborato a numerosi progetti. Tutto questo lavoro rischia ora di essere annullato dall’invasione russa dell’Ucraina e dalla stridente retorica nucleare che l’accompagna.
Ho sentito lo stesso punto ancora e ancora: il rischio di una guerra nucleare è maggiore oggi che in qualsiasi altro momento dopo la crisi dei missili cubani.
Prima dell’attacco all’Ucraina, le cinque nazioni autorizzate a possedere armi nucleari dal Trattato di non proliferazione (NPT) – Stati Uniti, Regno Unito, Russia, Cina e Francia – avevano raggiunto un accordo sul fatto che l’uso di tali armi potesse essere giustificato solo come misura puramente difensiva in risposta a un attacco nucleare o convenzionale su larga scala. Nel gennaio 2022, quei cinque paesi hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermava il detto di Ronald Reagan secondo cui “una guerra nucleare non deve mai essere combattuta e non può mai essere vinta”. Un mese dopo, la Russia ha violato le norme che avevano prevalso sotto il TNP per più di mezzo secolo. Ha invaso un paese che aveva rinunciato alle armi nucleari; ha minacciato attacchi nucleari contro chiunque avesse cercato di aiutare quel paese; e ha commesso atti di terrorismo nucleare bombardando i complessi dei reattori di Chernobyl e Zaporizhzhya.
Nunn sostiene la strategia dell’amministrazione Biden di “deliberata ambiguità” su come reagirebbe all’uso da parte della Russia di un’arma nucleare. Ma spera che una qualche forma di diplomazia di back-channel venga segretamente condotta, con una figura ampiamente rispettata come l’ex direttore della CIA Robert Gates che dice ai russi, senza mezzi termini, quanto duramente gli Stati Uniti potrebbero reagire se varcano la soglia del nucleare. Durante la crisi dei missili cubani, il presidente John F. Kennedy e il primo segretario Nikita Khrushchev volevano entrambi evitare una guerra nucleare a tutto campo, e comunque l’hanno quasi ottenuta, a causa di incomprensioni, incomprensioni ed errori. La diplomazia di back-channel ha svolto un ruolo cruciale nel porre fine a quella crisi in sicurezza.
Nunn descrive le violazioni delle norme di vecchia data da parte della Russia come “la follia nucleare di Putin” e sottolinea che tre cose fondamentali sono essenziali per evitare una catastrofe nucleare: leader razionali, informazioni accurate e nessun grave errore. “E tutti e tre ora sono in un certo grado di dubbio”, dice.
Se la Russia usa un’arma nucleare in Ucraina, Nunn pensa che una rappresaglia nucleare americana dovrebbe essere l’ultima risorsa. Favorisce invece una sorta di escalation orizzontale, facendo tutto il possibile per evitare uno scambio nucleare tra Russia e Stati Uniti. Ad esempio, se la Russia colpisce l’Ucraina con un missile da crociera nucleare lanciato da una nave, Nunn sosterrebbe l’affondamento immediato di quella nave. Il numero di vittime ucraine dovrebbe determinare la gravità della risposta americana e qualsiasi escalation dovrebbe essere condotta esclusivamente con armi convenzionali. La flotta russa del Mar Nero potrebbe essere affondata per rappresaglia e potrebbe essere imposta una no-fly zone sull’Ucraina, anche se ciò significasse distruggere le unità antiaeree sul suolo russo.
Dall’inizio dell’invasione, le minacce nucleari della Russia hanno avuto lo scopo di scoraggiare gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO dal fornire rifornimenti militari all’Ucraina. E le minacce sono supportate dalle capacità della Russia. L’anno scorso, durante un’esercitazione che ha coinvolto circa 200.000 soldati, l’esercito russo si è esercitato a lanciare un assalto nucleare alle forze NATO in Polonia. “La pressione sulla Russia per attaccare le linee di rifornimento dai paesi della NATO all’Ucraina aumenterà, più a lungo continuerà questa guerra”, afferma Nunn. Aumenterà anche il rischio di gravi errori ed errori. Un attacco russo intenzionale o involontario a un paese della NATO potrebbe essere l’inizio della terza guerra mondiale.
Durante l’estate del 2016, i membri della squadra di sicurezza nazionale del presidente Barack Obama hanno organizzato segretamente un gioco di guerra in cui la Russia invade un paese NATO nei Paesi baltici e quindi usa un’arma nucleare tattica a basso rendimento contro le forze NATO per porre fine al conflitto a condizioni favorevoli . Come descritto da Fred Kaplan in The Bomb (2020), due gruppi di funzionari di Obama sono giunti a conclusioni ampiamente divergenti su cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti. Il cosiddetto Comitato dei principali del Consiglio di sicurezza nazionale, inclusi ufficiali di gabinetto e membri dei capi di stato maggiore congiunti, ha deciso che gli Stati Uniti non avevano altra scelta che reagire con le armi nucleari. Qualsiasi altro tipo di risposta, ha affermato il comitato, mostrerebbe una mancanza di determinazione, danneggerebbe la credibilità americana e indebolirebbe l’alleanza della NATO. Tuttavia, la scelta di un bersaglio nucleare adatto si è rivelata difficile. Colpire la forza d’invasione russa ucciderebbe civili innocenti in un paese della NATO. Colpire obiettivi all’interno della Russia potrebbe portare il conflitto a una guerra nucleare totale. Alla fine, il Comitato dei principali dell’NSC ha raccomandato un attacco nucleare alla Bielorussia, una nazione che non aveva avuto alcun ruolo nell’invasione dell’alleato della NATO ma che aveva avuto la sfortuna di essere un alleato russo.
I vice membri dello staff dell’NSC hanno giocato allo stesso gioco di guerra e hanno fornito una risposta diversa. Colin Kahl, che all’epoca era consigliere del vicepresidente Biden, sostenne che reagire con un’arma nucleare sarebbe stato un grosso errore, sacrificando l’altura morale. Kahl pensava che sarebbe stato molto più efficace rispondere con un attacco convenzionale e rivolgere l’opinione pubblica mondiale contro la Russia per aver violato il tabù nucleare. Gli altri erano d’accordo e Avril Haines, un vice consigliere per la sicurezza nazionale, ha suggerito di realizzare magliette con lo slogan che i deputati dovrebbero governare il mondo. Haines è ora il direttore dell’intelligence nazionale del presidente Biden e Kahl è il sottosegretario alla Difesa per la politica.
Nel 2019, la Defense Threat Reduction Agency (DTRA) ha condotto ampi giochi di guerra su come gli Stati Uniti dovrebbero rispondere se la Russia invade l’Ucraina e poi usa un’arma nucleare lì. La DTRA è l’unica agenzia del Pentagono incaricata esclusivamente di contrastare e dissuadere le armi di distruzione di massa. Sebbene i risultati di quei giochi di guerra DTRA siano classificati, uno dei partecipanti mi ha detto: “Non ci sono stati risultati felici”. Gli scenari per l’uso nucleare erano straordinariamente simili a quelli considerati oggi. Quando si tratta di guerra nucleare, il partecipante ha detto, il messaggio centrale del film WarGames del 1983 è ancora valido: “L’unica mossa vincente è non giocare”.
Nessuno degli esperti di sicurezza nazionale che ho intervistato pensava che gli Stati Uniti avrebbero dovuto usare un’arma nucleare in risposta a un attacco nucleare russo contro l’Ucraina. Rose Gottemoeller, che ha servito come capo negoziatore americano del trattato sul controllo degli armamenti New START con la Russia e in seguito come vice segretario generale della NATO, crede che qualsiasi attacco nucleare all’Ucraina ispirerebbe la condanna globale, specialmente da parte dei paesi dell’Africa e del Sud America , continenti che sono zone libere da armi nucleari. Ritiene che la Cina, nonostante il suo tacito sostegno all’invasione dell’Ucraina, si opporrebbe fermamente all’uso di un’arma nucleare da parte di Putin e sosterrebbe le sanzioni contro la Russia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La Cina ha a lungo sostenuto “assicurazioni nucleari negative” e ha promesso nel 2016 “di non usare o minacciare incondizionatamente di usare armi nucleari contro stati non dotati di armi nucleari o in zone libere da armi nucleari”.
Le decisioni che dovrebbero essere prese dopo un attacco nucleare russo contro l’Ucraina non hanno precedenti.
Se gli Stati Uniti rilevano la rimozione di armi tattiche dai siti di stoccaggio russi, Gottemoeller ritiene che l’amministrazione Biden dovrebbe inviare un duro avvertimento a Mosca attraverso canali secondari e quindi pubblicizzare il movimento di quelle armi, usando la stessa tattica di condividere apertamente l’intelligence che sembrava contrastare le operazioni sotto falsa bandiera russe che coinvolgono armi chimiche e biologiche in Ucraina. Nel corso degli anni, ha conosciuto molti dei massimi comandanti che sovrintendono all’arsenale nucleare russo e ha sviluppato un grande rispetto per la loro professionalità. Gottemoeller dice che potrebbero resistere all’ordine di usare armi nucleari contro l’Ucraina. E se obbediscono a quell’ordine, la sua opzione preferita sarebbe “una risposta diplomatica muscolare” all’attacco nucleare, non una risposta militare nucleare o convenzionale, combinata con una qualche forma di guerra ibrida. Gli Stati Uniti potrebbero lanciare un attacco informatico paralizzante ai sistemi di comando e controllo russi legati all’assalto nucleare e lasciare aperta la possibilità di successivi attacchi militari.
Scott Sagan, co-direttore del Center for International Security and Cooperation, presso la Stanford University, ritiene che il rischio che la Russia utilizzi un’arma nucleare sia diminuito nell’ultimo mese, poiché i combattimenti si sono spostati nell’Ucraina meridionale. È improbabile che Putin contamini il territorio che spera di impadronirsi con ricadute radioattive. E un colpo di avvertimento, come la detonazione di un’arma nucleare innocua sul Mar Nero, servirebbe a poco, dice Sagan. Sarebbe un segnale di indecisione, non di risolutezza, una conclusione a cui gli Stati Uniti sono giunti mezzo secolo fa sulla potenziale utilità di un attacco dimostrativo della NATO per scoraggiare l’Armata Rossa. Sagan ammette che se la Russia dovesse perdere grandi battaglie nel Donbas, o se una controffensiva ucraina sembrasse sull’orlo di una grande vittoria, Putin potrebbe benissimo ordinare l’uso di un’arma nucleare per ottenere una resa o un cessate il fuoco. In risposta, a seconda della quantità di danni causati dall’esplosione nucleare, Sagan sosterrebbe gli attacchi convenzionali americani contro le forze russe in Ucraina, le navi russe nel Mar Nero o persino obiettivi militari all’interno della Russia, come la base da cui l’attacco nucleare è stato lanciato.
Sagan contesta il modo in cui viene comunemente rappresentato l’avanti e indietro del conflitto militare. Come immagine, una scala di escalation sembra troppo statica. Suggerisce la libertà di decidere se salire o scendere. Sagan pensa che l’escalation nucleare sarebbe più simile a una scala mobile: una volta che inizia a muoversi, ha uno slancio tutto suo ed è davvero difficile scendere. Sarebbe profondamente preoccupato per qualsiasi segno che Putin stia compiendo anche i primi passi verso l’uso nucleare. “Non dovremmo sottovalutare il rischio di una detonazione nucleare accidentale se le armi tattiche vengono rimosse dai loro igloo di deposito e ampiamente disperse tra le forze militari russe”, avverte Sagan.
Di recente ho pranzato con l’ex Segretario alla Difesa William J. Perry nella sua casa di Palo Alto, in California. Perry ha 94 anni, uno degli ultimi importanti strateghi militari attivi oggi che ha assistito in prima persona alla devastazione della seconda guerra mondiale. Prestò servizio nell’esercito di occupazione statunitense del Giappone e nulla di ciò che aveva letto sul bombardamento di Tokyo lo preparò a ciò che vide lì: una grande città rasa al suolo, i sopravvissuti che vivevano tra le macerie fuse, dipendenti dalle razioni militari. A Naha, la capitale di Okinawa, la distruzione sembrava ancora peggiore. Nelle sue memorie, Perry scrive che nessun edificio è stato lasciato in piedi, e include una famosa descrizione: “Il lussureggiante paesaggio tropicale è stato trasformato in un vasto campo di fango, piombo, decomposizione e larve”. Ciò che Perry vide in Giappone lo lasciò profondamente turbato dalla minaccia nucleare. Naha e Tokyo erano state devastate da decine di migliaia di bombe sganciate in centinaia di raid aerei; Hiroshima e Nagasaki, da una singola bomba atomica ciascuno.
Perry in seguito ottenne una laurea in matematica e divenne uno dei primi pionieri della Silicon Valley, specializzandosi nella sorveglianza satellitare e nell’uso della tecnologia digitale per la guerra elettronica. Durante la crisi dei missili cubani, si recò a Washington, DC, su richiesta della CIA, e esaminò le fotografie satellitari di Cuba alla ricerca di armi nucleari sovietiche. Aiutò a preparare i rapporti dell’intelligence mattutina per il presidente Kennedy e si chiedeva ogni notte se il giorno successivo sarebbe stato l’ultimo. In qualità di sottosegretario alla difesa durante l’amministrazione Carter, Perry ha svolto un ruolo cruciale nello sviluppo della tecnologia stealth e, in qualità di segretario alla difesa durante l’amministrazione Clinton, ha guidato gli sforzi per rinchiudere armi nucleari e materiale fissile in località dell’ex Unione Sovietica. Dopo aver lasciato il Pentagono, si è guadagnato una reputazione da colomba, unendosi a Sam Nunn, Henry Kissinger e George Shultz nel 2008 in un appello per l’abolizione delle armi nucleari; opporsi ai piani americani per nuovi missili balistici a terra a lungo raggio; e invitando gli Stati Uniti a fare una dichiarazione formale che non sarebbero mai stati i primi a lanciare un attacco nucleare. Ma le opinioni di Perry sull’invasione russa dell’Ucraina sono tutt’altro che calde e confuse.
“La pressione sulla Russia per attaccare le linee di rifornimento dai paesi della NATO all’Ucraina aumenterà, più a lungo continuerà questa guerra”, afferma Nunn.
Mangiammo i panini che Perry aveva preparato, con il pane che aveva sfornato, seduti su un’ampia terrazza dove le fioriere traboccavano di fiori e colibrì si libravano alle mangiatoie, sotto un cielo azzurro brillante. L’ambientazione non avrebbe potuto essere più bucolica, l’idea di una guerra nucleare più remota. Pochi giorni prima, Perry aveva tenuto un discorso a Stanford, delineando la posta in gioco in Ucraina. La pace che aveva regnato in Europa per quasi otto decenni era stata infranta il 24 febbraio, ha detto, e “se l’invasione della Russia avrà successo, dovremmo aspettarci di vedere altre invasioni”. Putin era ora impegnato in un ricatto, minacciando di usare armi nucleari per scopi offensivi, non difensivi, cercando di dissuadere gli Stati Uniti dal fornire le armi convenzionali di cui l’Ucraina ha un disperato bisogno. “Temo che se cediamo a questa oltraggiosa minaccia”, ha detto Perry, “la affronteremo di nuovo”.
I modi di Perry sono premurosi, calmi e gentili, non per nulla allarmistici o iperemotivi. Lo conosco da più di un decennio e, sebbene la sua voce sia diventata più morbida, la sua mente è straordinariamente immutata e sotto il suo calore e gentilezza c’è l’acciaio. Perry ha incontrato Putin in diverse occasioni, a partire da quando era il vicesindaco di San Pietroburgo, e pensa che Putin utilizzerà armi tattiche in Ucraina se sembra vantaggioso farlo. Sebbene la politica dichiarata della Federazione Russa sia quella di utilizzare armi nucleari solo di fronte a una minaccia esistenziale per lo stato, le dichiarazioni pubbliche di Mosca dovrebbero sempre essere prese con le pinze. L’Unione Sovietica ha negato categoricamente di avere basi missilistiche a Cuba mentre le stava costruendo. Per anni ha pubblicamente promesso di non essere mai stato il primo a usare un’arma nucleare, adottando segretamente piani di guerra iniziati con attacchi nucleari su larga scala alle basi NATO e alle città europee. Il Cremlino ha negato di avere alcuna intenzione di invadere l’Ucraina, fino a quando non ha invaso l’Ucraina. Perry ha sempre trovato Putin competente e disciplinato, ma freddo. Crede che Putin sia razionale al momento, non squilibrato, e userebbe armi nucleari in Ucraina per ottenere la vittoria e quindi garantire la sopravvivenza del suo regime.
Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno basato migliaia di armi nucleari tattiche a basso rendimento nei paesi della NATO e hanno pianificato di usarle sul campo di battaglia in caso di invasione sovietica. Nel settembre 1991, il presidente George HW Bush ordinò unilateralmente che tutte le armi tattiche a terra americane fossero rimosse dal servizio e distrutte. L’ordine di Bush ha inviato un messaggio che la Guerra Fredda era finita e che gli Stati Uniti non consideravano più le armi tattiche utili sul campo di battaglia. Il danno collaterale che avrebbero causato, gli schemi imprevedibili di letali ricadute radioattive, sembravano controproducenti e non necessari. Gli Stati Uniti stavano sviluppando armi convenzionali di precisione in grado di distruggere qualsiasi obiettivo importante senza infrangere il tabù nucleare. Ma la Russia non si è mai sbarazzata delle sue armi nucleari tattiche. E quando la forza delle sue forze militari convenzionali è diminuita, ha sviluppato armi nucleari a bassissimo e ultra basso rendimento che producono relativamente poche ricadute. Nelle parole di un importante progettista russo di armi nucleari, sono “consapevoli dell’ambiente”. Le oltre 100 “pacifiche esplosioni nucleari” condotte dall’Unione Sovietica, apparentemente per acquisire conoscenze sull’utilizzo di dispositivi nucleari per compiti banali, come lo scavo di serbatoi, hanno facilitato la progettazione di armi tattiche a bassissimo rendimento.
In Ucraina sono già avvenute due esplosioni nucleari, nell’ambito del “Programma n. 7 – Esplosioni pacifiche per l’economia nazionale” dell’Unione Sovietica. Nel 1972, un ordigno nucleare fu fatto esplodere presumibilmente per sigillare un pozzo di gas in fuga in una miniera a Krasnograd, a circa 60 miglia a sud-ovest di Kharkiv. Il dispositivo aveva una forza esplosiva grande circa un quarto di quella della bomba atomica che distrusse Hiroshima. Nel 1979, un ordigno nucleare è stato fatto esplodere con il presunto scopo di eliminare il gas metano in una miniera di carbone vicino alla città di Yunokommunarsk, nel Donbas. Aveva una forza esplosiva circa un quarantacinquesimo grande quanto quella della bomba di Hiroshima. Né i lavoratori della miniera né gli 8.000 residenti di Yunokommunarsk sono stati informati dell’esplosione nucleare. Ai minatori di carbone è stato concesso il giorno libero per un “esercitazione di protezione civile”, poi rimandati a lavorare nella miniera.
La debolezza delle forze convenzionali russe rispetto a quelle degli Stati Uniti, suggerisce Perry, e il relativo vantaggio della Russia nelle armi tattiche sono fattori che potrebbero portare Putin a lanciare un attacco nucleare in Ucraina. Sarebbe un grande vantaggio per la Russia stabilire la legittimità dell’uso di armi nucleari tattiche. Per farlo, Putin deve scegliere il bersaglio giusto. Perry crede che un attacco dimostrativo sopra il Mar Nero guadagnerebbe poco Putin; la distruzione di una città ucraina, con grandi vittime civili, sarebbe un tremendo errore. Ma se la Russia può distruggere un obiettivo militare senza molte ricadute radioattive, senza vittime civili e senza suscitare una forte risposta da parte degli Stati Uniti, Perry dice: “Non credo che ci sia un grande svantaggio”. La Russia ha più armi nucleari di qualsiasi altra nazione al mondo. Il suo orgoglio nazionale è fortemente legato alle sue armi nucleari. I suoi propagandisti celebrano il possibile uso di armi nucleari – contro l’Ucraina, così come contro gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO – su base quasi quotidiana, nel tentativo di normalizzarne l’uso. I suoi militari hanno già distrutto città ucraine, preso di mira ospedali deliberatamente, ucciso migliaia di civili, tollerato saccheggi e stupri. L’uso di un’arma nucleare a bassissimo rendimento contro un obiettivo puramente militare potrebbe non sembrare troppo controverso. “Penso che ci sarebbe un clamore internazionale, ma non credo che durerà a lungo”, dice Perry. “Potrebbe esplodere in una o due settimane.”
Se gli Stati Uniti ottengono informazioni sul fatto che la Russia si sta preparando a utilizzare un’arma nucleare, Perry ritiene che le informazioni dovrebbero essere rese pubbliche immediatamente. E se la Russia ne usa uno, gli Stati Uniti dovrebbero chiedere la condanna internazionale, creare il più grande putiferio possibile – sottolineando la parola nucleare – e intraprendere un’azione militare, con o senza alleati della NATO. La rappresaglia dovrebbe essere forte, mirata e convenzionale, non nucleare. Dovrebbe essere confinato in Ucraina, idealmente con obiettivi legati all’attacco nucleare. “Vuoi salire il meno possibile nella scala dell’escalation e avere comunque un effetto profondo e rilevante”, afferma Perry. Ma se Putin risponde usando un’altra arma nucleare, “ti togli i guanti la seconda volta” e forse distruggi le forze militari russe in Ucraina, cosa che gli Stati Uniti potrebbero facilmente fare con le armi convenzionali. Perry si rende conto che queste escalation si sarebbero avvicinate al tipo di scenari del dottor Stranamore di cui ha scritto Herman Kahn. Ma se finissimo per combattere una guerra con la Russia, quella sarebbe una scelta di Putin, non nostra.
Perry avverte da molti anni che il pericolo nucleare sta crescendo. L’invasione dell’Ucraina ha purtroppo confermato la sua previsione. Crede che le probabilità di una guerra nucleare su vasta scala fossero molto più alte durante la crisi dei missili cubani, ma che le probabilità che un’arma nucleare venga usata ora sono più alte. Perry non si aspetta che la Russia distruggerà una base aerea ucraina con un’arma tattica. Ma non sarebbe sorpreso. E spera che gli Stati Uniti non si facciano scoraggiare dal ricatto nucleare. Ciò incoraggerebbe altri paesi a ottenere armi nucleari e a minacciare i loro vicini.
Mentre ascoltavo la registrazione della mia conversazione con Bill Perry, era piena dei suoni incongrui dei campanelli del vento e del canto degli uccelli. Vladimir Putin può determinare se, quando e dove si verifica un attacco nucleare in Ucraina. Ma non può controllare cosa succede dopo. Le conseguenze di quella scelta, la serie di eventi che si sarebbero presto svolti, sono inconoscibili. Secondo il New York Times, l’amministrazione Biden ha formato un Tiger Team di funzionari della sicurezza nazionale per condurre giochi di guerra su cosa fare se la Russia usa un’arma nucleare. Una cosa è chiara, dopo tutte le mie discussioni con esperti del settore: dobbiamo essere pronti a decisioni difficili, con esiti incerti, che nessuno dovrebbe mai prendere.
Questo articolo è stato modificato per riflettere un chiarimento di Sam Nunn in merito alle sue opinioni sulla possibile risposta nucleare dell’America all’uso russo di armi nucleari in Ucraina.
Eric Schlosser è un ex redattore collaboratore di The Atlantic. È autore di Command and Control: Nuclear Weapons, Damasco Accident e Illusion of Safety e Fast Food Nation.
MARIUS: Sinceramente non mi sarei mai aspettato di lasciare commenti inerente un conflitto che nella peggiore delle ipotesi potrebbe diventare una guerra mondiale su suolo europeo.
Questo, di per sé, dovrebbe essere già un monito su cui dover riflettere, un fallimento epocale per quello che oggi potremmo definire Europa Unita e dei suoi leaders parlamentari, che sembrano pendere completamente dal sistema americano.
La necessità di un contrattacco da parte del presidente Vladimir Putin dopo le continue provocazioni subite in questi ultimi mesi, considerando inoltre il sabotaggio ai gasdotti russi Nord Stream 1 e 2 e l’ultimo attentato al ponte di Crimea, è praticamente scontato. Mi sembra ovvio che ad ogni attacco ci sia un contrattacco!
Gli Stati Uniti d’America hanno fatto anche molto per non fare nulla di sensato! Dovrei dire che per tutto quello che è accaduto in questi ultimi 10 anni, la governance americana piuttosto che operare nel bene comune ha disfatto! Ormai le carte sono in tavola e il mondo politico internazionale conosce i presupposti dell’America, che usando la Nato, ha programmato e istigato l’inizio di un conflitto tra l’Ucraina e la Russia, mettono in condizione l’Europa di entrare in un gioco subdolo e distruttivo. L’unica cosa che potrebbe realmente eseguire per non peggiorare le cose sarebbe quella di rimanere all’interno dei suoi territori autoctoni e finirla di intromettersi in quelli d’oltreoceano, ma purtroppo le sue circostanze non lo prevedono… perché il rimanere inermi sarebbe supporre la fine dell’impero americano. E l’intera situazione inizia proprio da questo scomodo presupposto. Quindi sì la domanda è lecita: non cosa dovrebbero fare gli Stati Uniti d’America, ma cosa potrebbero fare ancora gli Stati Uniti d’America?
Credo che, allo stato attuale, il problema fondamentale non risieda nella probabile certezza/incertezza dell’impiego di armi nucleari di bassa frequenza da parte del governo russo nei confronti dell’avversario ucraino. Innanzitutto bisogna essere specifici quando si parla di conflitti. In tal caso, anche se da molti anni le masse ucraine sono state indotte all’odio mediante una grande propaganda russofoba, non sono le popolazioni ad essere in guerra tra di loro; piuttosto è una guerra di governi nella quale le masse vengono assoggettate involontariamente!
Detto ciò, conoscendo a fondo ormai quali siano i principali e probabili obiettivi di entrambe le fazioni in contrasto, la questione risiede soltanto nel considerare la corretta risposta americana, non solo nell’eventualità dell’impiego di armi nucleari, ma nell’intera continuità del conflitto. A quasi ottant’anni dall’esplosione delle prime ed uniche bombe atomiche sganciate dall’essere umano durante un conflitto tra stati, l’eventuale detonazione di un nuovo ordigno nucleare, aldilà dello scenario catastrofico possibile, segnerà un cambiamento epocale della società mondiale senza precedenti, in quanto cambierebbe radicalmente l’ideologia del pensiero comune dinnanzi alla figura emblematica della guerra, finora considerata un’immagine stereotipo decadente sulla fine del mondo che in qualche modo potrebbe assumere una visione collettiva influenzabile più presente e allo stesso tempo, anche se imprescindibile, di enorme suscettibilità emotiva. Fino a ieri nel mondo occidentale la nostra visione di guerra era soltanto una parvenza di stile, puro “entertainment” come sarebbe definita dagli americani, mentre oggi la guerra rende timorosi anche gli scettici!
Finora la Russia non ha mai considerato il lancio di un missile atomico come unica possibile risposta alla minaccia occidentale, focalizzata sul governo di Volodymyr Zelens’kyj. Il presidente Putin ha dichiarato in maniera esplicita che sarebbe un’arma di difesa soltanto se fosse costretto da una minaccia diretta contro il suo paese. Penso che questa sua affermazione sia piuttosto diretta verso quei paesi occidentali ostili alla Federazione Russa che, avendo in dotazione la tecnologia nucleare, possono diventare una seria minaccia per la loro incolumità.
Dobbiamo inoltre considerare che l’Ucraina è stata fortemente americanizzata negli ultimi dieci anni, sottolineerei in maniera negativa, ed in qualche modo strumentalizzata dalla governance atlantista al fine di farla diventare, volutamente, un’arma vivente e possibilmente minacciosa nei confronti delle popolazioni russe e di quei popoli dell’est europeo vicini alla Russia.
Secondo la mia personale considerazione sui possibili scenari elencati non credo che il presidente Putin possa provocare una detonazione sul Mar Nero con il solo intento di spaventare l’Occidente, in quanto quest’ultimo è già consapevole delle sue azioni e delle sue decisioni militari; come dovrebbe essere altrettanto improbabile che possa distruggere improvvisamente una città ucraina, provocando un enorme massacro di civili. Penso piuttosto che, in uno scenario distruttivo, potrebbe arrivare a detonare un’area militare estesa cercando di limitare i danni umani come avvertimento ulteriore per un possibile aggravamento della situazione conflittuale, anche se la volontà di effettuare un attacco improvviso contro la leadership ucraina, cercando di attentare alla vita del presidente Volodymyr Zelens’kyj o, perlomeno, detronizzarlo dalla sua posizione egemone di comando al fine di riportare una posizione più stabile all’interno del governo ucraino, possa risultare la più fattibile, nonostante possa avere un costo di vite umane russe non esigue, prima di raggiungere la cosiddetta posizione estrema.
In tal caso la mia domanda sorge spontanea: perché il presidente Vladimir Putin dovrebbe gettare una bomba atomica sul suolo ucraino, in considerazione del fatto che siano stati gli americani a rendere l’Ucraina quella che oggi appare al mondo, guidati dal presidente Joe Biden, spinto da acredine personale verso il suo antagonista russo e da una profonda convinzione che gli Stati Uniti d’America debbano essere assolutamente gli artefici del potere assoluto mondiale, piuttosto che gettare una bomba atomica direttamente sul suolo americano, in considerazione del fatto che il governo russo ha da sempre sostenuto di essere il bersaglio principale della governance americana sin dai tempi della guerra fredda, sempre in considerazione del fatto che non lascerà mai in pace la Russia fino a quando una delle due avrà sconfitto definitivamente l’altra. Le dichiarazioni del consigliere del Cremlino, il filosofo politologo Aleksandr Gelʹevič Dugin, amico del presidente, sono ormai palesi agli occhi del mondo intellettuale e politico, per le quali egli stesso ha perso sua figlia.
Anche se il conflitto ucraino dovesse finire in breve, ma non credo che possa avvenire nel minor tempo possibile, come farebbe un presidente di una nazione, una popolazione coeva alla stessa governance russa, a progredire trascurando un aspetto saliente del prossimo futuro dal sapore nefasto, d’altronde ostile alla propria incolumità.
Dagli anni della guerra fredda, per tutte le guerre protratte fino ad oggi, attraverso cui le due grandi potenze mondiali si sono spesso trovate in collisione accusando l’un l’altra di essere artefici di morte e distruzione, prima o poi la verità salterà fuori perché esistono documenti segretati e persone che tramandano storie inedite nel corso delle generazioni al fine che essa diventi animo di rivalsa. A quel punto lo scontro sarebbe inevitabile!
Quindi il problema non è come, ma quando! Su questa domanda sono state costruite teorie e affrontati dibattiti agguerriti per formulare una tabella di marcia sul come poter affrontare una guerra nucleare. “La scala delle intensificazioni” ideato dello stesso Herman Kahn, abile studioso di strategia e futurologo, è un labile esempio di come l’uomo cerchi di rappresentare la propria sopravvivenza varcando la soglia del verosimile affrontando tematiche futuribili in vista del fatidico grande ripristino, il Grande Reset, che all’inizio degli anni 60 era solo una possibile utopia politica. “La scala delle intensificazioni”, o meglio conosciuta come “La scala dell’escalation”, nella sua lungimiranza rappresenta l’emblema della programmazione ad interim della governance americana e di come prenda in considerazione lo sviluppo emblematico della propria supremazia, atto di dovuta sopravvivenza. Nel frattempo, dagli anni 60 ad oggi, il mondo ha continuato la sua progressione e la tecnologia militare ha calpestato sentieri inconsueti suscitando stupore e preoccupazione, ragion per cui se nei periodi della guerra fredda i 44 gradini della scala di Kahn rappresentavano la giusta sovrapposizione temporale della diatriba mortale di una guerra nucleare, oggigiorno alle soglie del nuovo millennio, quasi ad un quarto di nuovo secolo, la disamina dei suoi passaggi da un gradino all’altro, in collusione con i tempi attuali, rasenta una vorticosa riduzione temporale dei singoli che da anni potrebbero diventare mesi, e da svariati mesi anche poche settimane, proprio in vista del repentino sviluppo della tecnologia che ne riduce drasticamente l’esito.
In definitiva è proprio ciò che intendo, il “vortice delle intensificazioni”, o “vortice dell’escalation”, per la sua progressiva e complessa visualizzazione di un potenziale conflitto tra i due stati nucleari, in linea con i vari domini della guerra moderna rappresentati dalla tecnologia attuale – spaziale, informatica, robotica, cyber e nucleare – ridurrebbe gli effetti temporali della scala producendo un assoluto innalzamento dei livelli catastrofici di una permanente distruzione societaria. E sottolineo che il rischio di una guerra nucleare nel nostro tempo è superiore a qualsiasi altro momento della storia dell’uomo moderno, sin dai tempi della crisi missilistica cubana.
Il trattato di non proliferazione nucleare (NPT) attualmente è l’unico strumento di portata globale in materia di disarmo e non-proliferazione nucleari, le cui cinque nazioni autorizzate a possedere armi nucleari – Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti d’America – hanno volutamente sancito un accordo come misura cautelare e preventiva nei confronti di un possibile scontro nucleare, alla quale hanno aggiunto la dichiarazione congiunta, nel voler evitare assolutamente una guerra combattuta e mai vinta, nel gennaio 2022. Per quanto riguarda l’informazione propagandistica che gira intorno al nucleare tra est e ovest, sostengo che entrambe le parti abbiano usato il termine nucleare come minaccia preventiva. Non dobbiamo dimenticare che Volodymyr Zelens’kyj abbia recentemente chiesto al presidente americano Joe Biden di bombardare con il nucleare la Russia, prima ancora che il presidente Vladimir Putin abbia usato l’atomica per primo. Il trattato stabilisce l’impossibilità che nuovi Stati entrino in possesso di armi nucleari (non proliferazione) e smantellare definitivamente gli arsenali esistenti (disarmo), garantendo nel contempo il diritto di utilizzare l’energia nucleare per scopi pacifici (uso pacifico).
A guisa di ciò, Vladimir Putin non ha violato le norme del NPT usando le sue truppe di invasione all’inizio della sua operazione antinazista in territorio ucraino, nel desiderio di voler aiutare le popolazioni vessate del DonBass. Indipendentemente dalle sue motivazioni, egli ha invaso un paese reo per aver violato un trattato sancito nel 2014, il Protocollo di Minsk, composto dai rappresentanti di Ucraina, Russia, Repubblica Popolare di Doneck (DNR) e Repubblica Popolare di Lugansk (LNR), trattato che gli Stati Uniti d’America hanno volutamente trascurato, come ha trascurato gli accordi con la NATO nel voler discutere sull’invio iniziale di armi pesanti in Ucraina, molto prima dell’invasione russa, consapevole che sarebbe bastato un solo dissenso nel voto per evitarne l’invio strategico. In definitiva l’Ucraina e gli USA hanno sottovalutato il Protocollo di Minsk e gli stessi accordi NATO, mentre la Russia non ha violato, perlomeno non ancora, gli accordi del NPT. Il presidente Vladimir Putin ha semplicemente attaccato un paese, che aveva rinunciato alle armi nucleari, ma non ha bombardato con l’atomica; la sua è una minaccia di risposta alla minaccia occidentale in seguito a pressioni nelle quali la parola “nucleare” sia stata già usata in maniera minacciosa, alle quali egli stesso ha risposto con termini altrettanto minacciosi.
Per quello che riguarda il terrorismo nucleare, esiste una propaganda diversa tra quello che viene diffuso tra est e ovest dell’Europa, e di conseguenza nel resto del mondo. Dall’ambasciata russa in Italia arrivano notizie in cui i bombardamenti ai complessi nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhya non sono stati rivendicati dall’esercito russo, piuttosto sono stati classificati come azione terroristica occidentale, usando missili balistici tattici occidentali non nuclearizzati, da parte dello stato ucraino.
Il Presidente della Commissione per le Forze Armate del Senato, Sam Nunn, che sicuramente conosce le strategie militari americane dell’amministrazione Biden più degli occidentali a est dell’Atlantico, in seguito alle sue molteplici collaborazioni con diverse amministrazioni presidenziali, può sicuramente definire “ambigua” la posizione del presidente Joe Biden rispetto all’uso da parte della Russia di un’arma nucleare. La sua speranza, quella che possa esistere una sorta di diplomazia di canale posteriore a supporto di una possibile pacificazione immediata tra le due grandi potenze, è una speranza che tutto il mondo attende ansiosamente.
Ciò che egli descrive come violazioni delle norme di vecchia data da parte della Russia, potremmo definire allo stesso tempo come violazioni di vecchia data degli stessi Stati Uniti d’America, il caso Turchia/Cuba potrebbe essere un valido esempio di come vengono evase le norme, e in questa diatriba epocale tra l’America e la Russia potremmo sottolineare “follia nucleare di Putin” allo stesso modo di “follia nucleare di Biden”, perché entrambi i paesi detengono enormi quantità di testate nucleari ed entrambi potrebbero farne uso secondo le necessità dei rispettivi paesi. Quello che non riesco a comprendere negli atteggiamenti diplomatici americani è la profonda sicurezza, che in più di un’occasione diventa una scomoda presunzione verso la stessa diplomazia, nel voler considerare se stessi immancabilmente più audaci rispetto ai rispettivi avversari, pur sapendo di avere un’inferiorità numerica rispetto alla posizione geopolitica dei continenti, una minore quantità di armi tecnologiche nucleari, una struttura armata convenzionale alla pari! L’impiego di armi convenzionali, come risposta americana alla probabile detonazione atomica su suolo ucraino da parte del governo russo, sarebbe soltanto un modo per evitare che l’America venga bombardata con armi nucleari. Quando Sam Nunn afferma che una possibile risposta americana al lancio di missili nucleari russi sarebbe quella di dover affondare navi o postazioni di provenienza, sottovaluta con estrema superficialità la risposta antagonista che porterebbe ad affondare o distruggere una nave contro un’altra nave, una postazione contro un’altra postazione, un aereo contro un altro aereo, innescando così una serie di avvenimenti belligeranti da entrambe le parti che sicuramente farebbero ledere quell’attesa speranza di pace, di cui attualmente il mondo necessità. Come d’altronde impostare una no fly-zone sull’Ucraina sarebbe come dire innescare una serie di combattimenti aerei non indifferenti che coinvolgerebbero sicuramente più di un paese tra NATO e CSTO/BRICS. Immagino che questa prerogativa sia stata già presa in considerazione dal Presidente della Commissione delle Forze Armate del Senato.
Quello che vorrei definire è che una risposta americana sul conflitto ucraino non lascerebbe il governo russo inerme! Anzi, a mio avviso, qualunque intervento americano o europeo sul suolo ucraino, durante i coinvolgimenti bellici tra i due paesi in guerra, sarebbe un comportamento assolutamente sbagliato. La Nato e specialmente gli Stati Uniti d’America dovrebbero rimanere impassibili al fine di preservare la pace mondiale. D’altro canto l’invio di armi all’Ucraina risulta essere l’ennesimo errore occidentale poiché ne strumentalizza l’esito.
È difficile stabilire se dall’inizio dell’invasione le minacce nucleari della Russia hanno avuto semplicemente lo scopo di scoraggiare gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato dal fornire i rifornimenti militari per l’Ucraina, perlomeno dal mio punto di vista.
Da una parte penso che l’approssimazione del nucleare sia uno dei motivi che abbiano spinto il presidente russo a mettere in discussione l’atomica. Noi siamo consapevoli di ricevere solo una parte delle informazioni propagate dei media occidentali, mentre esiste un’altra informazione attestante che anche gli americani non sono stati da meno, e ribadisco che proprio recentemente lo stesso presidente ucraino ha richiesto all’America di usare il nucleare contro i territori russi.
Noi siamo di fronte a due grandi potenze militari che hanno numerose testate nucleari e che non hanno alcun problema a farlo sapere al mondo, con la consapevolezza di poterne fare uso in caso di bisogno. La stessa storia ci racconta che gli Stati Uniti d’America lanciarono due bombe atomiche su due città inermi giapponesi radendole completamente al suolo senza chiedere permesso o dare un preallarme per garantirne l’evacuazione. Nessuno può dire con certezza che il presidente americano non possa comportarsi allo stesso modo una seconda volta! Sono in molti a pensarlo in occidente, e quindi immagino anche più a est dell’Europa!
Dall’altra parte invece presumo che quando un presidente di una nazione potente decide di mettere in discussione l’utilizzo di armi atomiche, bisogna capire profondamente perché sia arrivato a tal punto, considerando che mai si sognerebbe di ordire argomentazioni così drammatiche, in un contesto ordinario, se non esistessero i presupposti per farlo.
Nella mia imparzialità penso che entrambi i due grandi presidenti delle due grandi nazioni abbiano raggiunto il punto di non ritorno, ciascuno nelle proprie convinzioni e strategia… Sì, perché qui stiamo parlando di strategie che mettono in discussione la geopolitica, le risorse minerarie, il potere economico finanziario, il potere temporale ora classificato come potere politico ed infine l’incolumità civile. Bisogna invece considerare chi dei due abbia intenzione, detonazione o non detonazione, a varcare la soglia… ma non nell’impiego del nucleare, piuttosto nell’iterazione dell’orizzonte degli eventi laddove non sia possibile influenzare un ritorno alla normalità in nessun modo. Questa è la domanda che attanaglia la mente o il sonno di circa 8 miliardi di persone, cifra più cifra meno, nel mondo.
Nel rispondere alle considerazioni del giornalista Fred Kaplan, e Colin Kahn, sottosegretario alla difesa per la politica, e Avril Haines, vice consigliere per la sicurezza nazionale, entrambi appartenenti alla squadra della sicurezza nazionale americana, qualora non vi fosse alcun attacco diretto contro gli USA o membri della Nato senza una ragione motivata da azioni efferate precedenti, sostengo che un’azione belligerante consequenziale non sarebbe la giusta via da seguire, non sarebbe sicuramente una mancanza di determinazione o di credibilità americana che andrebbe ad indebolire l’alleanza della Nato, già di fatto flebile di per sé, né l’accanirsi con un attacco nucleare contro la Bielorussia, come suggerisce il comitato della sicurezza nazionale (NSC), sarebbe una mossa strategica considerevole poiché favorirebbe l’introduzione in guerra dei membri dell’organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva OTSC / CSTO, a difesa della nazione alleata, che in un certo senso favorirebbe l’introduzione in guerra anche dei membri di BRICS, come stretti alleati della Russia, che si presenta come un’organizzazione di tipo economico, non che di fatto potrebbe eludere adesioni di tipo militare, ascose apparentemente, ma che di fatto raccoglie sempre più consensi internazionali. Penso che una risposta con armi del tipo convenzionale sia la mossa più facile da intraprendere per farsi che la guerra possa avere un seguito temporale prolungato con un’escalation di maggiore entità bellica, ma non credo che possa rivolgersi all’opinione pubblica mondiale con impatto positivo, perché in effetti al di là di quello che raccontano i media, il pensiero della società collettiva é assolutamente contrario alla guerra. E non credo che una maglietta come slogan, oltre il gusto ironico, possa risultare una risposta immediata al problema del conflitto.
Effettivamente, il messaggio centrale del film WarGames del 1983 è assolutamente valido: “L’unica mossa vincente è non giocare”. E corrisponde esattamente al messaggio che ho trascritto in alto.
Sinceramente dissento dalle considerazioni della ex vice segretario generale della Nato, Rose Gottemoeller, inerenti la forte opposizione da parte della Cina, nonostante il suo tacito sostegno all’invasione dell’Ucraina, all’uso del nucleare da parte di Vladimir Putin e, qualora fosse impiegato, al sostegno alle sanzioni contro la Russia da parte del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Nonostante la Cina abbia sostenuto a lungo con assicurazioni nucleari negative una campagna sensibile contro l’uso sistematico o la minaccia incondizionata dell’impiego del nucleare nella risoluzione dei conflitti contro Stati non dotati di armi atomiche o in zone libere da armi nucleari, sono convinto che il presidente russo abbia già discusso ampiamente con i suoi alleati internazionali sulla remota possibilità di utilizzare la forza del nucleare come espediente di difesa per l’incolumità del suo paese, come immagino farebbero gli stessi paesi membri delle sue alleanze strategiche se avvertissero una minaccia dall’esterno da parte di nazioni potenti come gli Stati Uniti d’America e alcune nazioni membri della NATO. Anzi credo piuttosto che abbiano già formulato un preciso accordo di tacito consenso effettivo all’uso dell’atomica, come ultima possibilità ovviamente, in visione di quel timore collettivo che come antagonisti scomodi possano diventare il prossimo bersaglio una volta sfiancata la grande potenza militare russa. Questo è il più grande timore che avvertono tutte le potenze mondiali antagoniste della NATO, organizzazione occidentale che fa capo esclusivamente all’America, nazioni che non vorrebbero sottostare all’egida americana nel suo dispotico intento di voler controllare globalmente il mondo. Senza considerare le stesse nazioni oggi alleate della NATO che potrebbero a breve, immancabilmente, lasciare l’organizzazione per spingersi altrove proprio per quella forma di dissenso ai programmi globalisti neoliberisti americani che hanno come scopo quello di neutralizzare la sovranità nazionale e monetaria degli stati associati.
Rose Gottemoeller, giustamente deve supporre possibili controffensive di risposta ad una eventuale mossa tattica della Russia, ma come spesso accade per gli americani, emeriti della loro grandezza militare e tecnologica, sottolineare “una risposta diplomatica muscolare” all’attacco nucleare russo contro l’Ucraina mediante l’inizio di un Cyber attacco combinato ad azioni militari sia nucleari sia convenzionali, innescando così l’inizio di una guerra ibrida, potrebbe risultare non molto rilevante considerando la controffensiva ibrida dei russi, i quali sicuramente sarebbero già pronti a difendersi da ogni possibile attacco. Ciò che la governance americana dovrebbe capire fondamentalmente è che non si tratterebbe di una guerra combattuta con estrema facilità, non sarebbe una guerra di potere o di prestigio, in quanto le due fazioni in contrasto detengono un potere bellico paritetico. Diverrebbe una guerra accanita, distorta, combattuta su tutti i fronti in maniera non convenzionale e perché sarebbero impiegate le stesse modalità di attacco, di difesa e di sopravvivenza. Ciò che Rose Gottemoeller non ha detto è che l’America potrebbe essere soggetta allo stesso tipo di guerra ibrida da parte della Russia nelle stesse modalità da lei menzionate, come potrebbe addirittura subire un cyber attacco paralizzante ai sistemi di comando e controllo dei punti strategici del nucleare nello stesso momento in cui la governance russa decidesse di lanciare un ordine atomico per ottenere una resa incondizionata dell’Ucraina, e di lì a poco attaccare ad invadere gli Stati Uniti d’America. In vista di due potenze mondiali paritetiche non si possono fare previsioni esatte sugli esiti di un conflitto.
La sostanziale differenza tra le due nazioni è trasparente. La Russia ha sempre sostenuto di essere un bersaglio scomodo da eliminare degli Stati Uniti d’America perché la sua forza militare, oggi anche tecnologica e finanziaria, è sempre stata considerata una minaccia vivente per la sopravvivenza americana e il controllo globale del pianeta, al momento più vacillante che mai; l’America, in contropartita, non si è mai sentita un bersaglio effettivo, finora sicura di poter contare sulla piena efficienza militare, fortemente alleata della tecnologia e della finanza. Quindi, obiettivo principale del presidente americano è quello di preservare l’incolumità nazionale innanzitutto, preservando la bicentenaria certezza di non essere mai stata invasa né attaccata militarmente, un evento inconsueto che farebbe crollare in maniera considerevole l’egemonia sovranazionale che da oltre 200 anni impone sui mercati finanziari, militari ed economici del resto del mondo.
Mi trovo concorde con le parole di Scott Sagan, co-direttore del Center for International Security and Cooperation, presso la Stanford University, quando definisce un attacco atomico russo sul suolo ucraino un’azione potenzialmente nefasta e dannosa per i territori che vorrebbe annettere definitivamente, ragion per cui sarebbe piuttosto predisposto a colpire i territori a nord del paese piuttosto che a sud, legittimando un’esplosione nucleare solo nell’eventualità di uscirne perdente, in seguito ai continui aiuti strategici, strutturali e militari della NATO. Assolutamente la risposta convenzionale americana successiva comporterebbe una contro risposta russa immediata e… scontri tra forze armate russe e americane sul suolo ucraino, affondamento di navi russe e navi americane nel Mar Nero, bombardamenti di obiettivi militari all’interno del suolo russo e bombardamenti di obiettivi militari americani sul suolo europeo. Le conseguenze sarebbero devastanti per l’Europa, ma questa alternativa nefasta sembra non interessare la governance americana, piuttosto impegnata ad ideare un sistema efficace per poter attaccare la Russia, con la scusa di difendere il territorio ucraino che essi stessi hanno armato fino ai denti, senza considerare le ripercussioni belligeranti sul suolo europeo… probabilmente un elemento considerato fortuito e fortunato per la nuova recessione americana.
Sembrano proverbiali le parole di William J. Perry, ex Segretario alla Difesa, immaginando che nei suoi 94 anni di vita la sua presenza militare abbia avuto per l’America un peso sostanziale, fermo restante che è stato testimone del più terribile fenomeno di guerra che l’umanità abbia mai assistito, la seconda guerra mondiale e la guerra nucleare contro il Giappone. Dalla fine del secondo conflitto mondiale l’Europa ha subito altre micro guerre dolorose e sanguinarie, ma per quasi ottant’anni la pace globale non era mai stata seriamente compromessa fino al 24 febbraio.
Egli sostiene che: “Se l’invasione della Russia avrà successo, dovremmo aspettarci di vedere altre invasioni”.
Al contrario formulo una domanda opposta: “Perché il presidente Vladimir Putin dovrebbe sentirsi obbligato ad iniziare altre invasioni? Perché dover invadere altre nazioni sovrane?”, la cui sovranità oggi è altamente discutibile. Inoltre, “Per quale motivo il presidente russo dovrebbe nutrire la necessità di fare piazza pulita di un nazismo estremo e pericoloso chi stia cercando di radicalizzare negativamente l’Europa?”
Forse è questo che si cela dietro le affermazioni dell’ex Segretario alla Difesa! Il timore che Vladimir Putin possa continuare la sua invasione mistico militare per liberare l’Europa dal peso specifico spirituale di un’organizzazione nazista che vuole trarre a se il controllo sistematico delle masse europee. E questo potrebbe dar fastidio a qualcuno o a qualcosa.
Egli sostiene inoltre che Vladimir Putin si è impegnato in un ricatto di rivalità minacciando l’impiego di armi nucleari per scopi offensivi, non difensivi, nella speranza di dissuadere gli Stati Uniti d’America e la Nato dal fornire armi pesanti convenzionali allo Stato ucraino.
Si arriva a parlare di ricatto, di scopi offensivi e non difensivi, di intenti di dissuasione nel fornire armi. La mia domanda viene spontanea: “Ma non è stata la governance americana del presidente Joe Biden a fornire i presupposti di un ricatto entrando nei territori ucraini in violazione dei trattati internazionali, ad istigare scopi offensivi non difensivi fomentando la russofobia, ad armare pericolosamente l’esercito ucraino con armi convenzionali senza neppure consigliarsi con i membri della NATO?”… Queste non sono solo supposizioni, ma informazioni ormai note.
Egli sostiene infine di temere che il cedere all’oltraggiosa minaccia della Russia condurrà a un nuovo scontro nel prossimo futuro!
E su questa sua affermazione teorizzo un’altra supposizione: “La governance americana attuale pensa di dover affrontare nuovamente la governance russa? Potrebbero o dovrebbero evolvere nuovi scontri in vista di futuri scenari di guerra nel perseguire pianificazioni programmate? Come vede il futuro del mondo l’amministrazione governativa americana e in quale maniera la Russia si incastona nel suo disegno di sviluppo globale?”… In definitiva, “Come si dovrebbe considerare questo conflitto? Dovrebbe preparare il campo per uno scontro ancora più minaccioso per l’incolumità mondiale?” … “Cosa fare per evitare il peggio?”, a meno che non ci sia l’intenzione di evitarlo!
Quando sento dissertare gli americani al potere, nonostante siano ottimi oratori, perlopiù democratici, penso alle considerazioni della loro programmazione neoliberista globale di cui sono molto fieri, e non trovo una posizione pienamente liberale senza considerare la loro visione di parte. Essi non fanno altro che puntare il dito senza rimarcare le reali motivazioni nel bene o nel male, evidenziando le azioni ostili o subdole dei possibili avversari fuorviando dalle proprie, come se l’America fosse costantemente vittima delle circostanze, e quindi costretta a rispondere o intervenire. Anche se il più delle volte la realtà è ben diversa. E quindi si ribadisce il caso Turchia Cuba negli anni 60 come il caso Ucraina Donbass al presente.
William J. Perry, come gli altri colleghi al servizio diretto o indiretto della Casa Bianca, peccano spesso di una sottile loquace presunzione nel voler semplificare qualunque azione militare o propagandare sulle informazioni al fine di farne uno strumento di vantaggio. Anche un eventuale scontro contro la Russia sembra per loro non essere più pericolosa di una tediosa passeggiata in piena tempesta invernale. Di solito la presunzione di sentirsi immancabilmente più forti finisce con il diventare una debolezza nella forma che decreta una fuoriuscita di scena negativa. E anche in tal caso egli presume azioni militari convenzionali relegate in una sorta di parodia drammatica americanizzata laddove l’esercito russo sembri rappresentare il ruolo di comparsa in una scena già contestualizzata a prescindere.
Nel corso degli ultimi cento anni il governo americano è diventato abile nel gettare la pietra e nascondere il braccio, nel saper salire e scendere dai gradini della scala delle intensificazioni (scala dell’escalation) di Herman Kahn, come se le sorti di un conflitto mondiale dipendano dall’andirivieni tattici di uno schema predisposto nel secolo scorso. L’America vuole colpire in superficie per evitare di essere colpita nel suo profondo confinando sempre i suoi colpi di spada in territori distanti, in tal caso l’Ucraina, riversando le responsabilità sugli antagonisti tralasciando le proprie, senza considerare che in tali scontri periscono persone ogni giorno, da loro stessi considerati vittime calcolate previste dal protocollo, ma pur sempre comunque esseri umani. E se Vladimir Putin dovesse gettare una seconda bomba atomica di basso rendimento? Secondo William J. Perry, non servirebbe altro che sfilare i guanti una seconda volta e fare più male del previsto, mentre per i civili coinvolti il sacrificio sarebbe sancito nella carta della nuova costituzione. E se Vladimir Putin dovesse gettare più bombe atomiche del previsto e non sul suolo ucraino? Quante volte l’America sfilerebbe i suoi guanti prima di rendersi conto di non avere più le dita? E se non fosse così facile bacchettare il presidente russo come vorrebbero far credere i membri del Consiglio Nazionale delle Nazioni Unite?
William J. Perry infine, sostiene che se finiamo per combattere una guerra con la Russia sarebbe una scelta del presidente russo. Controbatto nel dire che se, invece, finissimo per combattere una guerra contro la Russia non per scelta del presidente Vladimir Putin, bensì per scelta del presidente Joe Biden?
Le sorti dell’Europa sono in bilico tra i continui appelli russofobi del presidente Volodymyr Zelens’kyj, tra i reclami alle sanzioni del presidente Joe Biden con i continui comportamenti ambigui della NATO, ed infine tra le considerazioni del presidente Vladimir Putin.
Il 24 febbraio l’esercito russo varcava il confine del suolo ucraino; si vociferava che di lì a poco il presidente ucraino sarebbe dovuto andare a firmare accordi pericolosi con l’Occidente a Bruxelles. Le mie previsioni erano esatte, Vladimir Putin avrebbe attaccato l’Ucraina per sgominare l’inizio della terza guerra mondiale dando inizio alla FASE 1, “operazione militare antinazista ucraina su suolo ucraino”, come salvaguardia delle vittime dei territori meridionali.
L’intensificarsi delle incomprensioni, con l’estendersi delle sanzioni economiche e l’invio continuo di armi per osteggiare una pace repentina, tra provocazioni offese e omicidi, già a metà maggio mi fecero presagire che all’inizio dell’autunno saremmo passati nella FASE 2, “operazione militare antinazista occidentale su suolo ucraino”, nel quale sarebbero compromessi i paesi NATO più esposti negli sviluppi del progetto ucraino iniziato già da alcuni anni. La Fase 2 verterà una serie di scontri sui vasti territori dell’Ucraina sotto gli occhi dei suoi abitanti ormai stremati da una guerra che vige da otto anni.
Sarebbe savio finirla qui! Questo conflitto prevede un escalation totale di 4 fasi, al momento siamo all’inizio della seconda fase. Non posso ancora dare una previsione concreta sull’eventuale inizio della FASE 3, “operazione militare antinazista occidentale su suolo europeo”, che implicherebbe una serie di scontri su postazioni militari, e possibilmente anche civili, tra le diverse nazioni europee, persino in Russia, compreso l’impiego di ordigni atomici di basso rendimento, senza escludere che possa compromettere anche il suolo americano.
La FASE 4 sarebbe l’ultima fase, quella infine nucleare ad alto rendimento, nella quale dapprima entrerebbero in contrasto le varie alleanze strategiche delle parti in conflitto, con una serie di azioni ostili estese a tutto il pianeta tra bombardamenti, scontri aerei navali e terrestri, per poi confluire nel lancio di testate atomiche. Non escludo che possa essere l’America a lanciare per prima la bomba atomica in visione di molteplici tradimenti all’interno della NATO. Lo scenario sarebbe apocalittico!
Il pericolo nucleare non è mai stato evidente fino a questo preciso istante del nostro tempo. L’invasione ucraina ha solo decretato l’evidenza, ma non può trattarsi di una previsione in quanto l’epilogo ucraino era stato già ampiamente predisposto. Era solo questione di tempo. E’ solo questione di tempo nel quale decidere se far finire un conflitto nel breve periodo possibile o se dirigere il nostro mondo alla deriva nella ricerca di un grande ripristino, il Grande Reset, che risulterebbe un passo in avanti nella sfera epocale ma un salto quantico all’indietro di oltre duecento anni di storia.
Per molto tempo sono stato affascinato dalle ideologie neoliberiste del voler rivoluzionare la collettività mondiale nel desiderio di realizzare un unico agglomerato planetario, pacifico e scientifico, culla della nuova tecnologia, era della scienza medica all’avanguardia, proiettato in una visione globale cosmopolita vissuta in piena armonia con tutte le sue parti liberamente associate del pianeta, ma non mi sarei mai aspettato che potesse infondere nuove guerre per il predominio territoriale, neo governi dittatoriali sanitari, controlli demografici per la cieca sopravvivenza e la cruda morte per l’atomica. La mia visione globale è sempre stata per una pacifica convivenza tra i popoli del mondo.
di Marius Creati
Nuclear war dissertation about the conflict in Ukraine with Morgan Williams / Central Station Records – Australia, by Marius Creati (part 2)

Morgan Williams is a former Private Secretary at New Zealand Parlament, now co-owner of the great Australian company Central Station Pty Ltd.
He deals with international transactions in the financial distribution, commercial distribution, discography, real estate, export of raw materials sectors.
He enjoys enormous commercial influence on the Australian continent, whose company is internationally known.
MORGAN: I would like you to comment on Eric Schlosser’s article on the conditions of the conflict in Ukraine
What if Russia uses nuclear weapons in Ukraine?
A look at the grim scenarios—and the U.S. playbook for each By Eric Schlosser
Read More >
The 12th main directorate of the Russian Ministry of Defense operates a dozen central storage facilities for nuclear weapons. Known as “Object S” sites and scattered across the Russian Federation, they contain thousands of nuclear warheads and hydrogen bombs with a wide variety of explosive yields. For the past three months, President Vladimir Putin and other Russian officials have been ominously threatening to use nuclear weapons in the war against Ukraine. According to Pavel Podvig, the director of the Russian Nuclear Forces Project and a former research fellow at the Moscow Institute of Physics and Technology, now based in Geneva, the long-range ballistic missiles deployed on land and on submarines are Russia’s only nuclear weapons available for immediate use. If Putin decides to attack Ukraine with shorter-range, “tactical” nuclear weapons, they will have to be removed from an Object S site—such as Belgorod-22, just 25 miles from the Ukrainian border—and transported to military bases. It will take hours for the weapons to be made combat-ready, for warheads to be mated with cruise missiles or ballistic missiles, for hydrogen bombs to be loaded on planes. The United States will most likely observe the movement of these weapons in real time: by means of satellite surveillance, cameras hidden beside the road, local agents with binoculars. And that will raise a question of existential importance: What should the United States do?
President Joe Biden has made clear that any use of nuclear weapons in Ukraine would be “completely unacceptable” and “entail severe consequences.” But his administration has remained publicly ambiguous about what those consequences would be. That ambiguity is the correct policy. Nevertheless, there must also be open discussion and debate outside the administration about what is really at stake. During the past month, I’ve spoken with many national-security experts and former government officials about the likelihood of Russia using nuclear weapons against Ukraine, the probable targets, and the proper American response. Although they disagreed on some issues, I heard the same point again and again: The risk of nuclear war is greater today than at any other time since the Cuban missile crisis. And the decisions that would have to be made after a Russian nuclear strike on Ukraine are unprecedented. In 1945, when the United States destroyed two Japanese cities with atomic bombs, it was the world’s sole nuclear power. Nine countries now possess nuclear weapons, others may soon obtain them, and the potential for things going terribly wrong has vastly increased.
Several scenarios for how Russia might soon use a nuclear weapon seem possible: (1) a detonation over the Black Sea, causing no casualties but demonstrating a resolve to cross the nuclear threshold and signaling that worse may come, (2) a decapitation strike against the Ukrainian leadership, attempting to kill President Volodymyr Zelensky and his advisers in their underground bunkers, (3) a nuclear assault on a Ukrainian military target, perhaps an air base or a supply depot, that is not intended to harm civilians, and (4) the destruction of a Ukrainian city, causing mass civilian casualties and creating terror to precipitate a swift surrender—the same aims that motivated the nuclear attacks on Hiroshima and Nagasaki.
Any response by the Biden administration would be based not only on how Russia uses a nuclear weapon against Ukraine but also, more important, on how Russia’s future behavior might be affected by the American response. Would it encourage Putin to back down—or to double down? Cold War debates about nuclear strategy focused on ways to anticipate and manage the escalation of a conflict. During the early 1960s, Herman Kahn, a prominent strategist at the Rand Corporation and the Hudson Institute, came up with a visual metaphor for the problem: “the escalation ladder.” Kahn was one of the primary inspirations for the character Dr. Strangelove in Stanley Kubrick’s classic 1964 film, and yet the escalation ladder remains a central concept in thinking about how to fight a nuclear war. Kahn’s version of the ladder had 44 steps. At the bottom was an absence of hostilities; at the top was nuclear annihilation. A president might choose to escalate from step No. 26, “Demonstration Attack on Zone of Interior,” to step No. 39, “Slow-Motion Countercity War.” The goal of each new step upward might vary. It might simply be to send a message. Or it could be to coerce, control, or devastate an adversary. You climbed the ladder to reach the bottom again someday.
The “escalation vortex” is a more recent and more complex visualization of a potential conflict between nuclear states. It was developed by Christopher Yeaw, who served as chief scientist at the U.S. Air Force Global Strike Command from 2010 to 2015. In addition to the vertical aspects of the escalation ladder, the vortex incorporates horizontal movement among various domains of modern warfare—space, cyber, conventional, nuclear. An escalation vortex looks like a tornado. An illustration of one, featured in a Global Strike Command slideshow, places the worst outcome at the widest part of the funnel: “the absolute highest levels of permanent societal destruction.”
in october 1962, Sam Nunn was a 24-year-old recent graduate from Emory University School of Law who’d just gotten a security clearance and a job as a staff member for the House Armed Services Committee. When a colleague backed out of an overseas tour of NATO bases, Nunn took his place, left the United States for the first time—and wound up at Ramstein Air Base, in Germany, at the height of the Cuban missile crisis. Nunn remembers seeing NATO fighters parked near runways, each loaded with a single hydrogen bomb, ready to fly toward the Soviet Union. Pilots sat in chairs beside their planes, day and night, trying to get some sleep while awaiting the order to take off. They had only enough fuel for a one-way mission and planned to bail out somewhere, somehow, after dropping their bombs. The commander of the U.S. Air Force in Europe told Nunn that if a war began, his pilots would have to get their planes off the ground within a few minutes; Ramstein Air Base would be one of the first NATO targets destroyed by a Soviet nuclear attack. The commander kept a walkie-talkie with him at all times to give the takeoff order.
The Cuban missile crisis left a strong impression on Nunn. During his 24 years as a United States senator, he worked tirelessly to reduce the risk of nuclear war and nuclear terrorism. As the head of the Senate Armed Services Committee, he championed close cooperation with Moscow on nuclear matters. To continue those efforts, he later co-founded a nonprofit, the Nuclear Threat Initiative, with which I have collaborated on a number of projects. All of that work is now at risk of being undone by Russia’s invasion of Ukraine and the strident nuclear rhetoric accompanying it.
I heard the same point again and again: The risk of nuclear war is greater today than at any other time since the Cuban missile crisis.
Before the attack on Ukraine, the five nations allowed to have nuclear weapons by the Non-Proliferation Treaty (NPT)—the United States, the United Kingdom, Russia, China, and France—had reached agreement that the use of such weapons could be justified only as a purely defensive measure in response to a nuclear or large-scale conventional attack. In January 2022, those five countries issued a joint statement affirming Ronald Reagan’s dictum that “a nuclear war must never be fought and can never be won.” A month later, Russia violated norms that had prevailed under the NPT for more than half a century. It invaded a country that had given up nuclear weapons; threatened nuclear attacks against anyone who tried to help that country; and committed acts of nuclear terrorism by shelling the reactor complexes at Chernobyl and Zaporizhzhya.
Nunn supports the Biden administration’s strategy of “deliberate ambiguity” about how it would respond to Russia’s use of a nuclear weapon. But he hopes that some form of back-channel diplomacy is secretly being conducted, with a widely respected figure like former CIA Director Robert Gates telling the Russians, bluntly, how harshly the United States might retaliate if they cross the nuclear threshold. During the Cuban missile crisis, President John F. Kennedy and First Secretary Nikita Khrushchev both wanted to avoid an all-out nuclear war—and still almost got one, because of misunderstandings, miscommunications, and mistakes. Back-channel diplomacy played a crucial role in ending that crisis safely.
Nunn describes Russia’s violations of long-standing norms as “Putin’s nuclear folly” and stresses that three fundamental things are essential for avoiding a nuclear catastrophe: rational leaders, accurate information, and no major blunders. “And all three are now in some degree of doubt,” he says.
If Russia uses a nuclear weapon in Ukraine, Nunn thinks that an American nuclear retaliation should be the last resort. He favors some sort of horizontal escalation instead, doing everything possible to avoid a nuclear exchange between Russia and the United States. For example, if Russia hits Ukraine with a nuclear cruise missile launched from a ship, Nunn would advocate immediately sinking that ship. The number of Ukrainian casualties should determine the severity of the American response—and any escalation should be conducted solely with conventional weapons. Russia’s Black Sea fleet might be sunk in retaliation, and a no-fly zone could be imposed over Ukraine, even if it meant destroying anti-aircraft units on Russian soil.
Since the beginning of the invasion, Russia’s nuclear threats have been aimed at discouraging the United States and its NATO allies from providing military supplies to Ukraine. And the threats are backed by Russia’s capabilities. Last year, during a training exercise involving about 200,000 troops, the Russian army practiced launching a nuclear assault on NATO forces in Poland. “The pressure on Russia to attack the supply lines from NATO countries to Ukraine will increase, the longer this war continues,” Nunn says. It will also increase the risk of serious blunders and mistakes. An intentional or inadvertent Russian attack on a NATO country could be the beginning of World War III.
during the summer of 2016, members of President Barack Obama’s national-security team secretly staged a war game in which Russia invades a NATO country in the Baltics and then uses a low-yield tactical nuclear weapon against NATO forces to end the conflict on favorable terms. As described by Fred Kaplan in The Bomb (2020), two groups of Obama officials reached widely divergent conclusions about what the United States should do. The National Security Council’s so-called Principals Committee—including Cabinet officers and members of the Joint Chiefs of Staff—decided that the United States had no choice but to retaliate with nuclear weapons. Any other type of response, the committee argued, would show a lack of resolve, damage American credibility, and weaken the NATO alliance. Choosing a suitable nuclear target proved difficult, however. Hitting Russia’s invading force would kill innocent civilians in a NATO country. Striking targets inside Russia might escalate the conflict to an all-out nuclear war. In the end, the NSC Principals Committee recommended a nuclear attack on Belarus—a nation that had played no role whatsoever in the invasion of the NATO ally but had the misfortune of being a Russian ally.
Deputy staff members at the NSC played the same war game and came up with a different response. Colin Kahl, who at the time was an adviser to Vice President Biden, argued that retaliating with a nuclear weapon would be a huge mistake, sacrificing the moral high ground. Kahl thought it would be far more effective to respond with a conventional attack and turn world opinion against Russia for violating the nuclear taboo. The others agreed, and Avril Haines, a deputy national security adviser, suggested making T-shirts with the slogan deputies should run the world. Haines is now President Biden’s Director of National Intelligence, and Kahl is the Under Secretary of Defense for Policy.
In 2019, the Defense Threat Reduction Agency (DTRA) ran extensive war games on how the United States should respond if Russia invades Ukraine and then uses a nuclear weapon there. DTRA is the only Pentagon agency tasked exclusively with countering and deterring weapons of mass destruction. Although the results of those DTRA war games are classified, one of the participants told me, “There were no happy outcomes.” The scenarios for nuclear use were uncannily similar to the ones being considered today. When it comes to nuclear warfare, the participant said, the central message of the 1983 film WarGames still applies: “The only winning move is not to play.”
None of the national-security experts I interviewed thought the United States should use a nuclear weapon in response to a Russian nuclear attack on Ukraine. Rose Gottemoeller—who served as the chief American negotiator of the New START arms-control treaty with Russia and later as the deputy secretary general of NATO—believes that any nuclear attack on Ukraine would inspire global condemnation, especially from countries in Africa and South America, continents that are nuclear-weapon-free zones. She thinks that China, despite its tacit support for the invasion of Ukraine, would strongly oppose Putin’s use of a nuclear weapon and would back sanctions against Russia at the United Nations Security Council. China has long supported “negative nuclear assurances” and promised in 2016 “unconditionally not [to] use or threaten to use nuclear weapons against non-nuclear-weapon states or in nuclear-weapon-free zones.”
The decisions that would have to be made after a Russian nuclear strike on Ukraine are unprecedented.
If the United States detects tactical weapons being removed from Russian storage sites, Gottemoeller thinks the Biden administration should send a tough warning to Moscow through back channels—and then publicize the movement of those weapons, using the same tactic of openly sharing intelligence that seemed to thwart Russian false-flag operations involving chemical and biological weapons in Ukraine. Over the years, she’s gotten to know many of the top commanders who oversee Russia’s nuclear arsenal and developed great respect for their professionalism. Gottemoeller says they might resist an order to use nuclear weapons against Ukraine. And if they obey that order, her preferred option would be “a muscular diplomatic response” to the nuclear strike, not a nuclear or conventional military response, combined with some form of hybrid warfare. The United States could launch a crippling cyberattack on the Russian command-and-control systems tied to the nuclear assault and leave open the possibility of subsequent military attacks.
Scott Sagan, a co-director of the Center for International Security and Cooperation, at Stanford University, believes that the risk of Russia using a nuclear weapon has declined in the past month, as the fighting has shifted to southern Ukraine. Putin is unlikely to contaminate territory he’s hoping to seize with radioactive fallout. And a warning shot, such as the detonation of a nuclear weapon harmlessly over the Black Sea, would serve little purpose, Sagan says. It would signal irresolution, not resolve—a conclusion that the United States reached half a century ago about the potential utility of a NATO demonstration strike to deter the Red Army. Sagan concedes that if Russia were to lose major battles in the Donbas, or if a Ukrainian counteroffensive seemed on the verge of a great victory, Putin might well order the use of a nuclear weapon to obtain a surrender or a cease-fire. In response, depending on the amount of damage caused by the nuclear explosion, Sagan would advocate American conventional attacks on Russian forces in Ukraine, Russian ships in the Black Sea, or even military targets inside Russia, such as the base from which the nuclear strike was launched.
Sagan takes issue with how the back-and-forth of military conflict is commonly depicted. As an image, an escalation ladder seems too static. It suggests the freedom to decide whether you should go up or down. Sagan thinks nuclear escalation would be more like an escalator: Once it starts moving, it has a momentum of its own, and it’s really hard to get off. He would be deeply concerned by any sign that Putin is taking even the initial steps toward nuclear use. “We should not underestimate the risk of an accidental nuclear detonation if tactical weapons are removed from their storage igloos and dispersed widely among Russian military forces,” Sagan warns.
I recently had lunch with former Secretary of Defense William J. Perry at his home in Palo Alto, California. Perry is 94 years old, one of the last prominent military strategists active today who witnessed firsthand the devastation of the Second World War. He served in the U.S. Army of Occupation of Japan, and nothing that he had read about the firebombing of Tokyo prepared him for what he saw there—a great city burned to the ground, the survivors living amid fused rubble, dependent on military rations. In Naha, the capital of Okinawa, the destruction seemed even worse. In his memoir, Perry writes that not a building was left standing, and includes a famous description: “The lush tropical landscape was turned into a vast field of mud, lead, decay, and maggots.” What Perry saw in Japan left him profoundly unsettled by the nuclear threat. Naha and Tokyo had been devastated by tens of thousands of bombs dropped in hundreds of air raids; Hiroshima and Nagasaki, by a single atomic bomb each.
Perry later earned advanced degrees in mathematics and became an early Silicon Valley pioneer, specializing in satellite surveillance and the use of digital technology for electronic warfare. During the Cuban missile crisis, he traveled to Washington, D.C., at the request of the CIA, and scrutinized satellite photographs of Cuba for evidence of Soviet nuclear weapons. He helped prepare the morning intelligence reports for President Kennedy and wondered every night whether the next day would be his last. As an undersecretary of defense during the Carter administration, Perry played a crucial role in developing stealth technology, and as secretary of defense during the Clinton administration, he led the effort to lock up nuclear weapons and fissile material at locations throughout the former Soviet Union. After leaving the Pentagon, he earned a dovish reputation, joining Sam Nunn, Henry Kissinger, and George Shultz in 2008 in a plea for the abolition of nuclear weapons; opposing American plans for new ground-based, long-range ballistic missiles; and calling upon the United States to make a formal declaration that it would never be the first to launch a nuclear attack. But Perry’s views on the Russian invasion of Ukraine are anything but warm and fuzzy.
“The pressure on Russia to attack the supply lines from NATO countries to Ukraine will increase, the longer this war continues,” Nunn says.
We ate sandwiches that Perry had prepared, with bread he’d baked, sitting on a large terrace where the planters overflowed with flowers and hummingbirds hovered at feeders, beneath a brilliant blue sky. The setting could not have been more bucolic, the idea of nuclear war more remote. A few days earlier, Perry had given a speech at Stanford, outlining what was at stake in Ukraine. The peace that had reigned in Europe for almost eight decades had been shattered on February 24, he said, and “if Russia’s invasion is successful, we should expect to see other invasions.” Putin was now engaging in blackmail, threatening to use nuclear weapons for offensive, not defensive, purposes, trying to deter the United States from providing the conventional weapons that Ukraine badly needs. “I fear that if we give in to this outrageous threat,” Perry said, “we will face it again.”
Perry’s manner is thoughtful, calm, and gentle, not the least bit alarmist or overemotional. I’ve known him for more than a decade, and though his voice has grown softer, his mind is remarkably undimmed, and beneath his warmth and kindness lies steel. Perry has met Putin on a number of occasions, dating back to when he was the deputy mayor of St. Petersburg—and thinks Putin will use tactical weapons in Ukraine if it seems advantageous to do so. Although the Russian Federation’s declared policy is to use nuclear weapons only when confronted with an existential threat to the state, public declarations from Moscow should always be taken with a grain of salt. The Soviet Union adamantly denied having any missile bases in Cuba as it was building them. It publicly vowed for years never to be the first to use a nuclear weapon, while secretly adopting war plans that began with large-scale nuclear attacks on NATO bases and European cities. The Kremlin denied having any intention to invade Ukraine, right up until it invaded Ukraine. Perry always found Putin to be competent and disciplined, but cold. He believes that Putin is rational at the moment, not deranged, and would use nuclear weapons in Ukraine to achieve victory and thereby ensure the survival of his regime.
During the Cold War, the United States based thousands of low-yield tactical nuclear weapons in NATO countries and planned to use them on the battlefield in the event of a Soviet invasion. In September 1991, President George H. W. Bush unilaterally ordered all of America’s ground-based tactical weapons to be removed from service and destroyed. Bush’s order sent a message that the Cold War was over—and that the United States no longer considered tactical weapons to be useful on the battlefield. The collateral damage they would cause, the unpredictable patterns of lethal radioactive fallout, seemed counterproductive and unnecessary. The United States was developing precision conventional weapons that could destroy any important target without breaking the nuclear taboo. But Russia never got rid of its tactical nuclear weapons. And as the strength of its conventional military forces waned, it developed very low-yield and ultra low-yield nuclear weapons that produce relatively little fallout. In the words of a leading Russian nuclear-weapons designer, they are “environmentally conscious.” The more than 100 “peaceful nuclear explosions” conducted by the Soviet Union—ostensibly to obtain knowledge about using nuclear devices for mundane tasks, like the excavation of reservoirs—facilitated the design of very low-yield tactical weapons.
Two nuclear detonations have already occurred in Ukraine, as part of the Soviet Union’s “Program No. 7—Peaceful Explosions for the National Economy.” In 1972, a nuclear device was detonated supposedly to seal a runaway gas well at a mine in Krasnograd, about 60 miles southwest of Kharkiv. The device had an explosive force about one-quarter as large as that of the atomic bomb that destroyed Hiroshima. In 1979, a nuclear device was detonated for the alleged purpose of eliminating methane gas at a coal mine near the town of Yunokommunarsk, in the Donbas. It had an explosive force about one-45th as large as that of the Hiroshima bomb. Neither the workers at the mine nor the 8,000 residents of Yunokommunarsk were informed about the nuclear blast. The coal miners were given the day off for a “civil-defense drill,” then sent back to work in the mine.
The weakness of Russia’s conventional forces compared with those of the United States, Perry suggests, and Russia’s relative advantage in tactical weapons are factors that might lead Putin to launch a nuclear attack in Ukraine. It would greatly benefit Russia to establish the legitimacy of using tactical nuclear weapons. To do so, Putin must choose the right target. Perry believes that a demonstration strike above the Black Sea would gain Putin little; the destruction of a Ukrainian city, with large civilian casualties, would be a tremendous mistake. But if Russia can destroy a military target without much radioactive fallout, without civilian casualties, and without prompting a strong response from the United States, Perry says, “I don’t think there’s a big downside.” Russia has more nuclear weapons than any other nation in the world. Its national pride is strongly linked to its nuclear weapons. Its propagandists celebrate the possible use of nuclear weapons—against Ukraine, as well as against the United States and its NATO allies—on an almost daily basis, in an attempt to normalize their use. Its military has already destroyed Ukrainian cities, deliberately targeted hospitals, killed thousands of civilians, countenanced looting and rape. The use of an ultra low-yield nuclear weapon against a purely military target might not seem too controversial. “I think there would be an international uproar, but I don’t think it would last long,” Perry says. “It might blow over in a week or two.”
If the United States gets intelligence that Russia is preparing to use a nuclear weapon, Perry believes that the information should be publicized immediately. And if Russia uses one, the United States should call for international condemnation, create as big a ruckus as possible—stressing the word nuclear—and take military action, with or without NATO allies. The reprisal should be strong and focused and conventional, not nuclear. It should be confined to Ukraine, ideally with targets linked to the nuclear attack. “You want to go as little up the escalation ladder as you can get away with doing and still have a profound and relevant effect,” Perry says. But if Putin responds by using another nuclear weapon, “you take off the gloves the second time around” and perhaps destroy Russia’s military forces in Ukraine, which the United States could readily do with conventional weapons. Perry realizes that these escalations would be approaching the kind of Dr. Strangelove scenarios that Herman Kahn wrote about. But if we end up fighting a war with Russia, that would be Putin’s choice, not ours.
Perry has been warning for many years that the nuclear danger is growing. The invasion of Ukraine has unfortunately confirmed his prediction. He believes that the odds of a full-scale nuclear war were much higher during the Cuban missile crisis, but that the odds of a nuclear weapon being used are higher now. Perry doesn’t expect that Russia will destroy a Ukrainian air base with a tactical weapon. But he wouldn’t be surprised. And he hopes the United States will not be self-deterred by nuclear blackmail. That would encourage other countries to get nuclear weapons and threaten their neighbors.
As I listened to the recording of my conversation with Bill Perry, it was filled with the incongruous sounds of wind chimes and birds singing. Vladimir Putin can determine if, when, and where a nuclear attack occurs in Ukraine. But he cannot control what happens after that. The consequences of that choice, the series of events that would soon unfold, are unknowable. According to The New York Times, the Biden administration has formed a Tiger Team of national-security officials to run war games on what to do if Russia uses a nuclear weapon. One thing is clear, after all my discussions with experts in the field: We must be ready for hard decisions, with uncertain outcomes, that nobody should ever have to make.
This article has been modified to reflect a clarification by Sam Nunn regarding his views on America’s possible nuclear response to Russian use of nuclear weapons in Ukraine.
Eric Schlosser is a former contributing editor at The Atlantic. He is the author of Command and Control: Nuclear Weapons, the Damascus Accident, and the Illusion of Safety and Fast Food Nation.
MARIUS: I honestly never expected to leave comments on a conflict that at worst could become a world war on European soil.
This, in itself, should already be a warning to reflect on, an epochal failure for what today we could define a United Europe and its parliamentary leaders, who seem to hang completely from the American system.
The need for a counterattack by President Vladimir Putin after the continuous provocations suffered in recent months, also considering the sabotage of the Russian Nord Stream 1 and 2 gas pipelines and the latest attack on the Crimean bridge, is practically taken for granted. It seems obvious to me that with every attack there is a counterattack!
The United States of America has also done a lot to do nothing sensible! I should say that for all that has happened in the past 10 years, American governance rather than operating in the common good has undone! By now the cards are on the table and the international political world knows the assumptions of America, which using NATO, has planned and instigated the beginning of a conflict between Ukraine and Russia, enable Europe to enter into a sneaky and destructive game. The only thing he could really do to not make things worse would be to remain within its native territories and stop meddling in those overseas, but unfortunately its circumstances do not provide for it … because remaining helpless would be to suppose the end of the American empire. And the whole situation starts from this uncomfortable assumption. So yes the question is legitimate: not what should the United States of America do, but what could the United States of America still do?
I believe that, at present, the fundamental problem does not reside in the probable certainty / uncertainty of the use of low frequency nuclear weapons by the Russian government against the Ukrainian opponent. First of all, you need to be specific when we talk about conflicts. In this case, even if for many years the Ukrainian masses have been induced to hatred through of a great russophobic propaganda, it is not the populations to be at war with each other; rather it is a war of governments in which the masses are involuntarily subjected!
Having said that, knowing in depth by now what are the main and probable objectives of both opposing factions, the question lies only in considering the correct American answer, not only in the eventuality of the use of nuclear weapons, but in the entire continuity of the conflict. Almost eighty years after the explosion of the first and only atomic bombs dropped by human being during a conflict between states, the possible detonation of a new nuclear device, beyond the possible catastrophic scenario, will mark an unprecedented epochal change in world society, as it would radically change the ideology of common thought in the face of the emblematic figure of war, till now considered a decadent stereotypical image on the end of the world which in some way could assume an influenceable collective vision more present and at the same time, even if unavoidable, of enormous emotional susceptibility. Until yesterday in the Western world our vision of war was only a semblance of style, pure “entertainment” as it would be defined by the Americans, while today war makes even skeptics fearful!
Until now, Russia has never considered the launch of an atomic missile as the only possible response to the Western threat, focused on the government of Volodymyr Zelens’kyj. President Putin has explicitly declared that it would only be a defense weapon if he were forced by a direct threat against his country. I think this statement of yours is rather directed towards those Western countries hostile to the Russian Federation which, having nuclear technology at their disposal, can become a serious threat to their safety.
We must also consider that Ukraine has been strongly Americanized in the last ten years, I would emphasize in a negative way, and somehow exploited by the Atlanticist governance in order to make it, deliberately, a living and possibly threatening weapon towards the Russian populations and of those peoples of Eastern Europe close to Russia.
According to my personal consideration of the possible scenarios listed, I do not believe that President Putin can cause a detonation on the Black Sea with the sole intent of frightening the West, as the latter is already aware of his actions and his military decisions; just as it should be equally unlikely that he could suddenly destroy a Ukrainian city, causing a huge massacre of civilians. I think rather that, in a destructive scenario, he could go as far as detonating an extended military area trying to limit human damage as a further warning for a possible aggravation of the conflict situation, even if the will to carry out a sudden attack against the Ukrainian leadership, seeking to attempt the life of President Volodymyr Zelenskyj or, at least, dethrone him from his hegemonic position of command in order to restore a more stable position within the Ukrainian government, may prove to be the most feasible, although it may cost not scant Russian human lives, before reaching the so-called extreme position.
In this case, my question arises spontaneous: why would President Vladimir Putin throw an atomic bomb on Ukrainian soil, given the fact that were the Americans who made Ukraine what appears to the world today, led by President Joe Biden, driven by personal acrimony towards his Russian antagonist and by a deep conviction that the United States of America must absolutely be the architects of absolute world power, rather than throwing an atomic bomb directly on American soil, in consideration of the fact that the Russian government has always claimed to be the main target of American governance since the time of the Cold War, always in consideration of the fact that it will never leave Russia alone until one of the two will have definitively defeated the other. The statements of the Kremlin adviser, the political philosopher Aleksandr Gelʹevič Dugin, a friend of the president, are now evident in the eyes of the intellectual and political world, for which he himself has lost his daughter.
Even if the Ukrainian conflict were to end soon, but I do not think it can happen in the shortest possible time, as a president of a nation, a population coeval with Russian governance itself, would progress by neglecting a salient aspect of the near future with a nefarious flavor, after all hostile to their own safety.
From the years of the cold war, for all the wars protracted until today, through which the two great world powers have often found themselves in collision, accusing each other of being architects of death and destruction, sooner or later the truth will emerge because there are secret documents and people who pass on unpublished stories over the generations in order for it to become a spirit of revenge. At that point the clash would be inevitable!
So the question is not how, but when! Theories have been built and fierce debates have been addressed to formulate a roadmap on how to deal with a nuclear war. “The scale of intensifications” ideated by Herman Kahn himself, a skilled strategist and futurologist, is a fleeting example of how man tries to represent his own survival by crossing the threshold of the probable by addressing futuristic issues in view of the fateful great restoration, the so called The Great Reset, which in the early 1960s it was only a possible political utopia. “The scale of intensifications”, or better known as “The escalation scale”, in its far-sightedness represents the emblem of the ad interim programming of American governance and how it takes into consideration the emblematic development of its own supremacy, an act of due survival. In the meantime, from the 1960s to today, the world has continued its progression and military technology has trampled on unusual paths, arousing astonishment and concern, which is why if in the periods of the Cold War the 44 steps of the Kahn ladder represented the right temporal overlap of the deadly diatribe of a nuclear war, today on the threshold of the new millennium, almost a quarter of a new century, the examination of its passage from one step to another, in collusion with the present times, borders on a whirlwind time reduction of singles that from years it could become months, and from several months even a few weeks, precisely in view of the sudden development of technology that drastically reduces its outcome.
Ultimately this is precisely what I mean, the “whirlwind of intensifications”, or “vortex of escalation”, for its progressive and complex visualization of a potential conflict between the two nuclear states, in line with the various domains of modern warfare represented from current technology – space, information technology, robotics, cyber and nuclear – would reduce the temporal effects of the scale, producing an absolute increase of the catastrophic levels of a permanent corporate destruction. And I underline that the risk of a nuclear war in our time is greater than any other moment in the history of modern man, since the time of the Cuban missile crisis.
The Nuclear Non-Proliferation Treaty (NPT) is currently the only global instrument on nuclear disarmament and non-proliferation, whose five nations authorized to possess nuclear weapons – China, France, the United Kingdom, Russia, the United States of America – have deliberately sanctioned an agreement as a precautionary and preventive measure against a possible nuclear confrontation, to which they added the joint declaration, in wanting to absolutely avoid a war fought and never won, in January 2022. As regards propaganda information which revolves around the nuclear power between east and west, I argue that both sides have used the nuclear term as a preemptive threat. We must not forget that Volodymyr Zelens’kyj recently asked US President Joe Biden to nuclear bomb Russia, even before President Vladimir Putin used the atomic bomb first. The treaty establishes the impossibility for new states to take possession of nuclear weapons (non-proliferation) and definitively dismantle existing arsenals (disarmament), while guaranteeing the right to use nuclear energy for peaceful purposes (peaceful use).
As such, Vladimir Putin did not violate the rules of the NPT by using his invasion troops at the start of his anti-Nazi operation on Ukrainian territory, in the desire to help the oppressed DonBass populations. Regardless of his motives, he invaded a country guilty of violating a treaty established in 2014, the Minsk Protocol, composed of the representatives of Ukraine, Russia, the Donetsk People’s Republic (DNR) and the Lugansk People’s Republic (LNR), treaty that the United States of America deliberately neglected, as it neglected the agreements with NATO in wanting to discuss the initial shipment of heavy weapons to Ukraine, long before the Russian invasion, aware that only one dissent in the vote would be enough to avoid strategic sending. Ultimately, Ukraine and the US have underestimated the Minsk Protocol and the NATO agreements themselves, while Russia has not violated, at least not yet, the NPT agreements. President Vladimir Putin simply attacked a country, which had renounced nuclear weapons, but did not bomb it with atomic bombs; his is a threat of response to the Western threatment following pressures in which the word “nuclear” has already been used in a threatening manner, to which he himself has responded with equally threatening terms.
As far as nuclear terrorism is concerned, there is a different propaganda between what is spread between east and west of Europe, and consequently in the rest of the world. From the Russian embassy in Italy there are reports in which the bombings of the nuclear complexes of Chernobyl and Zaporizhzhya were not claimed by the Russian army, rather they were classified as a Western terrorist action, using non-nuclear Western tactical ballistic missiles, by the Ukrainian state.
The President of the Senate Armed Forces Commission, Sam Nunn, who certainly knows the American military strategies of the Biden administration more than Westerners in east of the Atlantic, following his multiple collaborations with various presidential administrations, can certainly define “ambiguous” the position of President Joe Biden regarding Russia’s use of a nuclear weapon. His hope, that may exist a sort of back channel diplomacy in support of a possible immediate pacification between the two great powers, is a hope that the whole world anxiously awaits.
What he describes as longstanding violations of the rules by Russia, we could define at the same time as longstanding violations by the United States of America itself, the Turkey / Cuba case could be a valid example of how the rules are evaded, and in this epochal diatribe between America and Russia we could emphasize “Putin’s nuclear madness” in the same way as “Biden’s nuclear madness”, because both countries hold huge quantities of nuclear warheads and both could use them according to the needs of the respective countries. What I cannot understand in American diplomatic attitudes is the profound security, which on more than one occasion becomes an uncomfortable presumption towards diplomacy itself, in wanting to consider oneself inevitably more daring than their respective adversaries, even knowing that they have a numerical inferiority compared to the geopolitical position of the continents, a smaller amount of nuclear technological weapons, a conventional armed structure on par! The use of conventional weapons, as an American response to the probable atomic detonation on Ukrainian soil by the Russian government, would be only one way to prevent America from being bombed with nuclear weapons. When Sam Nunn affirms that a possible American response to the launch of Russian nuclear missiles would be to have to sink ships or stationings of origin, he underestimates with extreme superficiality the antagonistic response that would lead to sinking or destroying a ship against another ship, a placement against another placement, a plane against another plane, thus triggering a series of belligerent events on both sides that would surely undermine that awaited hope of peace, which the world currently needs. As indeed, setting a no fly-zone over Ukraine would be like triggering a series of not indifferent air combat that would certainly involve more than one country between NATO and CSTO / BRICS. I imagine that this prerogative has already been taken into consideration by the President of the Senate Armed Forces Commission.
What I would like to define is that an American response to the Ukrainian conflict would not leave the Russian government helpless! On the contrary, in my opinion, any American or European intervention on Ukrainian soil, during the war involvement between the two warring countries, would be absolutely a wrong behavior. NATO and especially the United States of America should remain unmoved in order to preserve world peace. On the other hand, the sending of weapons to Ukraine turns out to be yet another Western mistake since it exploits the outcome.
It is difficult to say whether Russia’s nuclear threats since the invasion have simply been intended to discourage the United States and its NATO allies from providing military supplies for Ukraine, at least from my point of view.
On the one hand, I think that the approximation of nuclear power is one of the reasons that prompted the Russian president to question the atomic bomb. We are aware to receive only part of the information propagated by the Western media, while exists another information attesting that the Americans have also been no less, and I repeat that just recently the same Ukrainian president has asked America to use nuclear power against the Russian territories.
We are faced with two great military powers that have numerous nuclear warheads and that have no problem letting the world know, with the knowledge that they can use them in case of need. The same story tells us that the United States of America dropped two atomic bombs on two unarmed Japanese cities, completely razing them to the ground without asking for permission or giving an early warning to guarantee their evacuation. No one can say for sure that the American president cannot behave the same way a second time! Many people think this in the West, and therefore I imagine even more to the east of Europe!
On the other hand, I assume that when a president of a powerful nation decides to question the use of atomic weapons, it is necessary to deeply understand why he has come to this point, considering that one would never dream of hatching such dramatic arguments, in an ordinary context, if the prerequisites for doing so did not exist.
In my impartiality I think that both the two great presidents of the two great nations have reached the point of no return, each in their own convictions and strategy … Yes, because here we are talking about strategies that question geopolitics, mineral resources, financial economic power, temporal power now classified as political power and finally civil safety. Instead, it is necessary to consider which of the two intends, detonation or non-detonation, to cross the threshold … but not in the use of nuclear power, rather of the iteration of the event horizon where it is not possible to influence a return to normality in any way. This is the question that grips the mind or sleep of about 8 billion people, more and less, in the world.
In responding to remarks by journalist Fred Kaplan and Colin Kahn, Undersecretary of Defense for Policy, and Avril Haines, Deputy National Security Advisor, both of them members of the US National Security Team, if there is no direct attack against the US or NATO members without a reason motivated by previous heinous actions,
I argue that a consequential belligerent action would not be the right way to go, it would certainly not be a lack of determination or American credibility that would weaken the NATO alliance, already in fact feeble in itself, nor a relentless with a nuclear attack on Belarus, as the National Security Committee (NSC) suggests, would be a considerable strategic move as it would favor the introduction of members of the Collective Security Treaty organization OTSC / CSTO into warfare, in defense of the allied nation, which in a certain sense would favor the introduction into the war also of the members of BRICS, as close allies of Russia, which apparently appears to be an economic organization, as well as it could evade military-type membership, apparently hides, but which in fact collects more and more international acclaim. I think that a response with conventional weapons is the easiest move to take to ensure that the war can have a prolonged sequel with an escalation of greater war entity, but I do not think it can address the world public opinion with a positive impact, because effectively beyond what the media say, the thought of the collective society is absolutely opposed to war. And I don’t think that a T-shirt as a slogan, beyond the ironic taste, can result an immediate answer to the problem of conflict.
Essentially, the central message of the 1983 WarGames film is absolutely valid: “The only winning move is not to play”. And it exactly matches the message I transcribed above.
I sincerely disagree with the considerations of former NATO Deputy Secretary General, Rose Gottemoeller, regarding the strong opposition from China, despite its tacit support for the invasion of Ukraine, on Vladimir Putin’s use of nuclear power and, if it were employed, to support the sanctions against Russia by the United Nations Security Council.
Although China has long supported with negative nuclear assurances a sensitive campaign against the systematic use or the unconditional threat of the use of nuclear power in the resolution of conflicts against states without nuclear weapons or in nuclear-weapon-free zones, I am convinced that the Russian president has already discussed extensively with his international allies on the remote possibility of using nuclear force as a defense expedient for the safety of his country, as I imagine the same countries members of his strategic alliances would do if they sensed an external threat from powerful nations like the United States of America and some NATO member nations. On the contrary, I believe that they have already formulated a precise agreement of tacit effective consent to the use of the atomic bomb, as a last resort of course, in view of that collective fear that as uncomfortable antagonists they could become the next target once the great Russian military power is exhausted. This is the greatest fear felt by all the antagonistic world powers of NATO, a Western organization that belongs exclusively to America, nations that would not want to submit to the American aegis in its despotic intention of wanting to control globally the world. Without considering the same nations today allies of NATO that could shortly, inevitably, leave the organization to go elsewhere precisely because of that form of dissent to the American neoliberal globalist programs which aim to neutralize the national and monetary sovereignty of the associated states.
Rose Gottemoeller, rightly must suppose possible counter-offensive in response to a possible tactical move by Russia, but as often happens for the Americans, emeritus of their military and technological greatness, even if this in the technological case, underline “a muscular diplomatic response” to the Russian nuclear attack against Ukraine through the initiation of a Cyber attack combined with both nuclear and conventional military actions, thus triggering the beginning of a hybrid war, could not be very relevant considering the hybrid counteroffensive of the Russians, who would surely be ready to defend themselves from every possible attack. What American governance should fundamentally understand is that it would not be a war fought with extreme ease, it would not be a war of power or prestige, as the two opposing factions hold equal war power. It would become a fierce, distorted war, fought on all fronts in an unconventional way and because the same methods of attack, defense and survival would be employed. What Rose Gottemoeller did not say is that America could be subjected to the same kind of hybrid warfare by Russia in the same ways she mentioned, as it could even suffer a crippling cyber attack on the command and control systems of strategic points of the nuclear at the same time that the Russian governance decided to launch an atomic order to obtain an unconditional surrender of Ukraine, and shortly thereafter attack to invade the United States of America. In view of two equal world powers, it is not possible to make exact predictions about the outcomes of a conflict.
The substantial difference between the two nations is transparent. Russia has always claimed to be a troublesome target to be eliminated by the United States of America because its military strength, today also technological and financial, has always been considered a living threat to American survival and global control of the planet, at the moment, more shaky than ever; America, in compensation, has never felt like an effective target until now sure of being able to count on full military efficiency, a strong ally of technology and finance. Therefore, the main objective of the American president is to preserve national safety first of all, preserving the bicentennial certainty of never having been invaded or attacked militarily, an unusual event that would considerably collapse the supranational hegemony that for over 200 years has imposed on financial, military and economic markets of the rest of the world.
I agree with the words of Scott Sagan, co-director of the Center for International Security and Cooperation, at Stanford University, when he defines a Russian atomic attack on Ukrainian soil as a potentially harmful and nefarious action for the territories he would like to annex definitively, reason for which would rather be predisposed to strike the territories to the north of the country rather than to the south, legitimizing a nuclear explosion only in the eventuality to get out loser, following the continuous strategic, structural and military aid of NATO. Absolutely the subsequent American conventional response would involve an immediate Russian counter-response and … clashes between Russian and American armed forces on Ukrainian soil, sinking of Russian ships and American ships in the Black Sea, bombing of military targets inside Russian soil and bombing of American military targets on European soil. The consequences would be devastating for Europe, but this nefarious alternative does not seem to interest American governance, rather committed to devising an effective system to be able to attack Russia, with the excuse of defending the Ukrainian territory that they themselves have armed to the teeth , without considering the belligerent repercussions on European soil … probably an element considered fortuitous and fortunate for the new American recession.
The words of William J. Perry, former Defense Secretary, seem proverbial, imagining that in his 94 years of life his military presence had a substantial weight for America, firm remaining that he was witness of the most terrible war phenomenon that humanity has ever witnessed, World War II and the nuclear war against Japan. Since the end of the Second World War, Europe has suffered other painful and bloody micro wars, but for almost eighty years global peace had never been seriously compromised until 24 February.
He argues that: “If the invasion of Russia is successful, we should expect to see more invasions.”
On the contrary, I ask the opposite question: “Why should President Vladimir Putin feel compelled to initiate more invasions? Why should he invade other sovereign nations?”, whose sovereignty today is highly questionable. Furthermore, “Why should the Russian president nourish the need to clean up an extreme and dangerous Nazism who is trying to radicalise Europe negatively?”.
Perhaps this is what lies behind the claims of the former Defense Secretary! The fear that Vladimir Putin could continue his military mystical invasion to free Europe from the specific spiritual weight of a Nazi organization that wants to gain systematic control of the European masses. And that might bother someone or something.
He also claims that Vladimir Putin has engaged in a blackmail of rivalry by threatening the use of nuclear weapons for offensive purposes, not defensive, in the hope of dissuading the United States of America and NATO from supplying conventional heavy weapons to the Ukrainian state.
We get to talk of blackmail, of offensive and non-defensive purposes, of dissuasive intentions in supplying weapons. My question comes spontaneously: “But was it not the American governance of President Joe Biden that provided the prerequisites for blackmail by entering the Ukrainian territories in violation of international treaties, to instigate offensive non-defensive purposes by fomenting Russophobia, to dangerously arm the Ukrainian army with conventional weapons without even consulting with NATO members? ”… These are not just assumptions, but already well-known information.
Finally, he claims to fear that yielding to the outrageous threat of Russia will lead to a new confrontation in the near future!
And on this statement, I theorize another supposition: “Does the current American governance think of having to face Russian governance again? Could or should new clashes evolve in view of future war scenarios in pursuing planned planning? How does the American government administration see the future of the world and how does Russia fit into its global development plan?”… Ultimately, “How should this conflict be considered? Should it set the field for an even more threatening confrontation for world safety? “ … “What to do to avoid the worst?”, unless there is an intention to avoid it!
When I hear Americans in power disserting, despite are excellent speakers, mostly Democrats, I think about the considerations of their global neoliberal programming of which they are very proud of, and I don’t find a fully liberal position without considering their biased view. They do nothing but point the finger without remark the real motivations for good or evil, highlighting the hostile or devious actions of possible adversaries by misleading their own, as if America were constantly a victim of circumstances, and therefore forced to respond or to intervene. Even if most of the time the reality is quite different. And then the case of Turkey Cuba in the 60s is reiterated as the case of Ukraine Donbass at the present time.
William J. Perry, like other colleagues at the direct or indirect service of the White House, often sin on a subtle loquacious presumption in wanting to simplify any military action or to propagandize information in order to make it a tool of advantage. Even an eventual confrontation with Russia seems to them no more dangerous than a tedious walk in the middle of a winter storm. Usually the presumption of feeling invariably stronger ends up becoming a weakness in the form that decrees a negative exit from the scene. And even in this case he assumes conventional military actions relegated to a sort of Americanized dramatic parody where the Russian army seems to represent the role of extra in a scene already contextualized regardless.
Over the past hundred years the US government has become adept at throwing the stone and hiding the arm, in knowing how to climb and descend the steps of Herman Kahn’s escalation ladder, as if the fate of a world conflict depend on the tactical comings and goings of a scheme predisposed in the last century. America wants to strike on the surface to avoid being hit in its depth always confining its blows of the sword to distant territories, in this case Ukraine, pouring the responsibilities on the antagonists leaving their own, without considering that in such clashes people perish every day, considered by themselves as calculated victims foreseen by the protocol, but still human beings anyway. What if Vladimir Putin were to drop a second low-yield atomic bomb? According to William J. Perry, it would do nothing more than take off the gloves a second time and do more harm than expected, while for the civilians involved the sacrifice would be enshrined in the charter of the new constitution. What if Vladimir Putin were to drop more atomic bombs than expected and not on Ukrainian soil? How many times would America take off its gloves before realizing to have not more its fingers? What if it was not as easy to beat up the Russian president as the members of the National Council of the United States would have you believe?
Finally, William J. Perry argues that if we end up fighting a war with Russia that would be a choice of the Russian president. I bite back to saying that if, instead, we end up fighting a war against Russia not by President Vladimir Putin’s choice, but rather by President Joe Biden’s choice?
The fate of Europe hangs in the balance between the continuous Russophobic appeals of President Volodymyr Zelens’kyj, between President Joe Biden’s complaints about sanctions with the continuing ambiguous behavior of NATO, and finally between the considerations of President Vladimir Putin.
On February 24, the Russian army crossed the border of Ukrainian soil; it was rumored that soon the Ukrainian president would have to go and sign dangerous agreements with the West in Brussels. My predictions were correct, Vladimir Putin would attack Ukraine to vanquish the start of World War III by starting PHASE 1, “Ukrainian anti-Nazi military operation on Ukrainian soil”, as a safeguard for the victims of the southern territories.
The intensification of misunderstandings, with the extension of economic sanctions and the continuous dispatch of weapons to oppose a sudden peace, amidst provocations, offenses and murders, already in mid-May made me foresee that at the beginning of the autumn we would pass into the PHASE 2, “Western anti-Nazi military operation on Ukrainian soil”, in which the NATO countries most exposed in the developments of the Ukrainian project started some years ago would be compromised. Phase 2 will focus on a series of clashes over the vast territories of Ukraine under the eyes of its inhabitants now exhausted by a war that is effective for eight years.
It would be wise to end it here! This conflict involves a total escalation of 4 phases, at the moment we are at the beginning of the second phase. I cannot yet give a concrete forecast on the possible start of PHASE 3, “Western anti-Nazi military operation on European soil”, which would involve a series of clashes on military placements, and possibly also civilians, between the various European nations, even in Russia, including the use of low-yield atomic bombs, without excluding that it could also compromise American soil.
PHASE 4 would be the last phase, that finally the high-yield nuclear one, in which the various strategic alliances of the warring parties would first come into conflict, with a series of hostile actions extended to the whole planet between bombings, air sea and land clashes, then to converge in the launch of atomic warheads. I do not exclude that America may be the first to launch the atomic bomb in view of multiple betrayals within NATO. The scenario would be apocalyptic!
The nuclear danger has never been evident until this precise moment in our time. The Ukrainian invasion has only decreed the evidence, but it cannot treat a prediction as the Ukrainian epilogue had already been largely prepared. It was just a matter of time. It is only a matter of time in which to decide whether to end a conflict in the short term possible or whether to direct our world adrift in the search for a great restoration, the Great Reset, that would result a step forward in the epochal sphere but a quantum leap backwards of over two hundred years of history.
For a long time I have been fascinated by the neoliberal ideologies of wanting to revolutionize the world collectivity in the desire to create a single planetary agglomeration, peaceful and scientific, the cradle of new technology, the era of cutting-edge medical science, projected into a cosmopolitan global vision lived in full harmony with all its freely associated parts of the planet, but I never expected that it could instill new wars for territorial dominance, new dictatorial health governments, demographic controls for blind survival and cruel death from the atomic bomb. My global vision has always been for a peaceful coexistence among the peoples of the world.
by Marius Creati
Dissertazione politica sul nuovo vertice italiano 2022 con Morgan Williams / Central Station Records in Australia, di Marius Creati (parte 1)

Morgan Williams è un ex segretario privato al Parlamento della Nuova Zelanda, ora co-proprietario della grande azienda australiana Central Station Pty Ltd.
Si occupa di transazioni internazionali nel settore della distribuzione finanziaria, della distribuzione commerciale, della discografia, dell’immobiliare, dell’esportazione di materie prime.
Gode di enorme influenza commerciale nel continente australiano, la cui società è conosciuta a livello internazionale.
MORGAN: Vorrei iniziare consigliando di leggere questo articolo…
Leggi di più >
La leader di estrema destra Giorgia Meloni, che si è mobilitata contro le “lobbies della LBGT” e la cosiddetta “ideologia di genere”, è destinata a diventare la prima donna premier italiana.
Le proiezioni basate sul conteggio quasi definitivo dei voti hanno mostrato una vittoria per una coalizione di destra, guidata dal partito Fratelli d’Italia (Fratelli d’Italia) di Meloni, dovrebbe avere una solida maggioranza in entrambe le camere del parlamento. In caso di vittoria, Meloni dovrebbe formare il governo italiano di estrema destra dalla seconda guerra mondiale.
Meloni ha affermato che il voto ha mostrato che gli italiani sostengono un governo di destra guidato dal suo partito, ma ha affermato che il suo partito “governerà per tutti“.
“Gli italiani hanno inviato un chiaro messaggio a favore di un governo di destra guidato da Brothers of Italy”, ha affermato.
Ha detto a Euronews che la sua elezione sarebbe “un passo avanti” in termini di rottura del soffitto di vetro che “impedisce alle donne di ottenere importanti ruoli pubblici nella società”.
“Sarebbe un onore per me essere la prima a rompere questo tabù nel mio paese”, ha aggiunto.
Nel suo dibattito come leader dei Fratelli d’Italia, Meloni ha sposato posizioni di estrema destra, rendendo estremamente preoccupante la sua ascesa alla carica di premier in Italia.
Si è scagliata contro la “deriva antidemocratica” dell’Unione Europea, ha sostenuto lo scioglimento dell’eurozona e ha affermato che forze anonime stavano guidando gli immigrati in Italia in nome della “sostituzione etnica”.
Giorgia Meloni è rimasta una figura polarizzante poiché si è allineata strettamente con il leader nazionalista ungherese Viktor Orbán, che ha reso famose le sue posizioni anti-LGBTQ+ durante la sua leadership.
Ha anche mostrato a lungo intolleranza nei confronti della comunità queer mentre si è mobilitata contro quella che è stata descritta come la “lobby LGBT” e ha denunciato la cosiddetta “ideologia di genere”.
Meloni ha precedentemente delineato le sue priorità e le sue posizioni anti-LGBTQ+ durante un discorso al partito spagnolo di estrema destra Vox.
“Sì alla famiglia naturale, no alla lobby LGBT, sì all’identità sessuale, no all’ideologia di genere… no alla violenza islamista, sì alla sicurezza dei confini, no alla migrazione di massa… no alla grande finanza internazionale… no ai burocrati di Bruxelles ,” lei disse.
Meloni si è pubblicamente opposta alla maternità surrogata e all’adozione da parte di coppie omosessuali durante la sua campagna elettorale. Ha ripetutamente affermato di non essere omofoba, ma crede che sia meglio che un bambino venga cresciuto da una madre e da un padre.
Alessia Crocini, presidente di Rainbow Families, ha dichiarato al New York Times che l’associazione delle famiglie LGBTQ+ “spera che il Paese vada avanti”, ma teme che ci sia un “periodo buio davanti”.
Il suo partito è stato anche esaminato dopo che Federico Mollicone, portavoce culturale di Fratelli d’Italia, ha esortato l’emittente statale italiana RAI a non mandare in onda un episodio di Peppa Pig che presenta un orso con due mamme, definendolo “indottrinamento di genere”.
Ha anche affermato che i bambini piccoli non dovrebbero vedere i genitori omosessuali amorevoli dei bambini piccoli presentati come qualcosa di “naturale” o “normale, perché non lo è”.
Ha anche affermato che “le coppie omosessuali non sono legali” e “non consentite” in Italia. Questo nonostante il paese abbia legalizzato le unioni civili tra persone dello stesso sesso nel 2016, una riforma a cui il partito Fratelli d’Italia si è opposto in parlamento.
Mollicone ha poi chiarito che si riferiva solo alle coppie omosessuali che adottano. Ha anche affermato che il partito è “contro ogni discriminazione” e sostiene le unioni civili.
Oria Gargano, presidente di un’organizzazione che aiuta le vittime di violenza domestica, ha detto a Euronews prima delle elezioni che è stato estremamente preoccupante vedere l’ascesa del partito di Meloni e potenzialmente la vittoria alle prossime elezioni.
“Questo è un partito politico [Fratelli d’Italia] che ha sempre negato i diritti delle donne”, ha detto. “È stato contro l’aborto”.
Ha continuato: “È contro tutta la comunità LGBTQ+.
“Considera l’aborto una tragedia. E vuole creare un cimitero per i feti abortiti con i nomi delle madri ovunque in Italia».
Difficilmente il governo di coalizione di Giorgia Meloni salirà al potere prima della fine di ottobre, quando il presidente del Consiglio Mario Draghi consegnerà le redini al prossimo leader.
MARIUS: Sì, lo so che è contraria alle lobby LGBT. E questo è sbagliato.
Sempre gli stessi diktat delle separazioni… gli stessi difetti dei partiti… creano separazione per distrarre le persone dal vero problema… il controllo globale!
MORGAN: Nulla cambierà. Più bunga bunga è certo.
MARIUS: Sì lo so… ma per l’Italia le cose vanno peggio!
MORGAN: Qual è la sua opinione in merito alle considerazioni riportate da Christopher Warren nei suoi articoli?
La destra fa potenza in Europa, e l’estrema destra rende più potente in Italia
Leggi di più >
Il governo neofascista del premier Giorgia Meloni prenderà di mira i soliti sospetti: immigrati, rifugiati e comunità LGBTIQA+.
Un secolo dopo che la Marcia su Roma ha lanciato il fascismo nel mondo, l’Italia torna indietro dov’era quando i postfascisti Fratelli d’Italia (Fratelli d’Italia) guidano la coalizione di destra del paese a una comoda maggioranza in entrambe le camere del Parlamento , facendo del suo capo, Giorgia Meloni, il primo presidente del Consiglio fascista dalla deposizione di Mussolini nel 1943.
Meloni sembra avere un mandato. Ma per cosa? È quello che ha detto prima? O cosa dice adesso?
Durante la campagna, Meloni ha parlato della sua retorica anti-europea (e pro-Putin) del passato. Si è allontanata da idee che, almeno in Italia, erano ritenute troppo radicali, come un blocco navale per fermare la migrazione africana in barca. Ha combattuto le elezioni sulla tradizionale retorica del suo partito – “Dio, patria e famiglia” (“Dio, patria e famiglia”) – in un’affermazione dell’identità italiana e della prevedibile “guerra sveglia”. Suggerisce un governo che sarà più guerre culturali che riforme economiche, con i soliti obiettivi: immigrati e LGBTIQA+.
La prossima rivoluzione europea: un sobbalzo all’estrema destra, con i migranti il facile bersaglio
Leggi di più >
È meno un voto per il cambiamento quanto una vittoria per la politica di opposizione del paese che fa appello all’autoidentificarsi della sinistra. I Fratelli sono stati l’unico partito significativo a rimanere fuori dal governo tecnocratico di unità nazionale di Mario Draghi, lasciandolo in una buona posizione per sfruttare l’infelicità per l’interruzione del COVID e la continua stagnazione economica in cui la disoccupazione è di circa il 7,9% e circa il 24% tra i giovani.
L’impennata dei voti — dal 4,4% del 2018 al 26,2% provvisorio di questa settimana — è derivata dal dimezzamento dei voti dei due partner di destra di Meloni (Forza Italia e Lega Nord) e del Movimento 5 Stelle populista anti-élite, il tre partiti che hanno dominato le elezioni del 2018.
I partiti italiani sono fluidi. Nessuna sorpresa, quindi, se la Meloni consolida il potere ripetendo lo stratagemma del suo attuale partner, Silvio Berlusconi di Forza Italia, e cerca di assorbire tutti o parte dei suoi partner.
Sono due delle grandi tendenze politiche globali in luce: gli elettori conservatori stanno diventando più conservatori – molto di più – mentre i populisti antipolitici post-2008 stanno offrendo un ponte dal centro sinistra verso destra. Sebbene il principale partito di sinistra, i Democratici, abbia in gran parte mantenuto il proprio voto, hanno subito una ripetizione del crollo del “muro rosso” dell’Inghilterra settentrionale del 2019 dei laburisti britannici (e del muro del Midwest dei Democratici statunitensi del 2016) in alcune parti del loro storico “muro zona rossa” in Emilia-Romagna e Toscana.
Il commentatore centrista si conforta dal fatto che i (post-)fascisti saranno vincolati dalle istituzioni del Paese, in particolare dalla presidenza (attualmente detenuta dal rigorosamente centrista Sergio Mattarella, a otto mesi dal suo secondo mandato di sette anni) e dalla corte costituzionale. La destra non ha raggiunto la necessaria maggioranza dei due terzi per portare avanti le modifiche alla costituzione, almeno, non senza il sostegno dei populisti politicamente eccentrici a 5 stelle.
Il principale vincolo resta l’Unione Europea. L’Italia si trova al centro, parte sia della zona senza visti Schengen che della zona euro a moneta comune. Meloni parla della retorica di estrema destra di una “Europa delle nazioni sovrane” e in passato ha parlato di far cadere l’euro.
La politica di estrema destra, un tempo troppo estrema per la Svezia, trova ora solide basi
Leggi di più >
Almeno per il momento, stabilità economica significherà continuare il “piano di ripresa e resilienza” post-COVID concordato lo scorso anno con la Commissione europea. Ciò include i fondi europei per la “transizione verde” per costruire l’efficienza energetica e le energie rinnovabili. (A parte le attuali energie rinnovabili nel settore idroelettrico e solare, l’Italia è un importatore di energia.) La destra italiana parla delle stesse chiacchiere dei conservatori australiani sul dumping delle rinnovabili per il nucleare, ma è improbabile che sia in grado di finanziare lo sviluppo.
Meloni ha sostenuto l’Ucraina, almeno ultimamente. Il suo alleato di destra radicale, il primo ministro polacco antirusso Mateusz Morawiecki, è stato uno dei primi a congratularsi con lei per la sua vittoria. I suoi partner di coalizione sono stati meno affidabili. Berlusconi ha rotto i ranghi la scorsa settimana per difendere il presidente russo Vladimir Putin e criticare il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj.
L’Europa dovrebbe limitare anche il nuovo governo sull’immigrazione. Aspettatevi invece l’alto teatro di crudeltà che fa esempi dei singoli migranti. L’Australia può fornire un modello: Meloni ha promesso di espellere i cittadini stranieri condannati per reati.
Meloni ha criticato la “lobby LGBT” e la “ideologia di genere”. Si oppone all’adozione da parte di coppie dello stesso sesso. È probabile che le elezioni lascino l’Italia come l’unico paese dell’Europa occidentale a vietare il matrimonio tra persone dello stesso sesso, anche se, vincolato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il nuovo governo dovrebbe mantenere le unioni civili legalizzate nel 2016.
La dipendenza dell’Italia dalle istituzioni europee significa che il rischio è meno di una rottura con l’Europa di quanto lo sia che l’elezione di Meloni cambi la politica del continente. Insieme al recente successo dei Democratici svedesi, significa che l’estrema destra ha superato il tradizionale centrodestra come principale voce conservatrice del continente.
Mentre trascina dietro di sé i vecchi conservatori, la destra postfascista minaccia di minare l’Europa democratica da cui dipende l’ordine globale.
MARIUS: Italia… non tutto il mal vien per nuocere
Presto Italia si renderà conto che il successo di un partito diverrà l’insuccesso di una nazione! Un popolo contaminato dalla paura e dal servilismo precario, quello del voto “dato di fatto”, che ha preferito rivolgere la testa a ovest con un’inclinazione di 90 gradi dallo Zenit, probabilmente fiero di accendere la fiammella del gas, magari soffregando le piastrine dei fondi bassi, financo in perlustrazione tra cespugli ed anfratti, mentre la corporazione delle spine e delle ortiche accentuerà la metastasi delle piaghe sull’epidermide di un corpo, l’Italia che soffre indistintamente, devastato dalla compattezza dei rovi.
L’Italia del decubito ha detto “si” senza battere cenno di dissenso mentre a breve si renderà conto, anche e soprattutto a sue spese, che le lacerazioni provocate dal suo capezzale diverranno lesioni accentuate dal dolore dell’annuire con riserbo fino a rasentare, suo malgrado, il tormento del flagello delle sue ossa.
Saranno mesi difficoltosi per tutti, anche per gli scaltri illuminati del voto solidale, soprattutto per gli emeriti astenuti seguaci del qualunquismo indefettibile, il male estremo, e per coloro che dal dissenso comune hanno realizzato una barriera ingente che richiama al cielo, fortificazione ragguardevole di mani barricate, voci e parole, urla e pianti che da oltre due anni richiama all’ordine delle cose. Saranno mesi difficili, insormontabili, nefasti! Ma non tutto il mal vien per nuocere… e dalla sventura si ergerà nuovamente un sibilo edificante gli estremi di una nuova parodia, al di fuori delle costrizioni … dicasi ugola d’oro, sinonimo di piena libertà!
MORGAN: Quindi è un no?
MARIUS: In teoria quel che riporta l’articolo è vero!
La politica della estrema destra non vede di buon occhio l’immigrazione, nel senso che dovrebbe essere gestita con più rigore.
E sicuramente Giorgia Meloni non ha ideologie favorevoli ai matrimoni gay, alle adozioni per coppie omosessuali, quindi di contro è contraria alla politica della lobby LGBT. In realtà non è favorevole nemmeno alla legge sull’aborto.
Nel recente passato è stata in opposizione al governo, ma alla fine ha sempre accettato il programma di Mario Draghi pur di non perdere la posizione. Dal suo ritorno dall’America, all’inizio di quest’estate, ha iniziato a cambiare strategia politica… e da un discorso di opposizione è passata in breve tempo ad assecondare le direttive della politica atlantista.
Ella mantiene le sue convinzioni contro gli immigrati, le classi omosessuali, ma si è pronunciata a favore delle sanzioni alla Russia che stanno devastando l’economia europea, e specie quella italiana, anche a favore del prosieguo dell’invio di armi in Ucraina e considerando i continui fastidi degli Stati Uniti d’America, governati da Joe Biden e i suoi democratici, come l’ultimo attacco ai gasdotti Nord Stream 1 e 2, non sembra favorire un ritorno alle azioni diplomatiche, piuttosto tenere il paese in stato di agitazione, che presto subirà una stagflazione, se non corriamo ai ripari!
Dicono che il Governo durerà con Silvio Berlusconi che detiene il controllo della coalizione, ma credo che qualcuno abbia intenzione di farlo fallire nuovamente entro i prossimi sei mesi, per favorire l’ingresso di un nuovo governo tecnico.
MORGAN: Per l’Italia è meglio un governo tecnico, privo di ideologia; troppa politica! Ho letto che l’Abruzzo è storicamente molto fascista.
La paura più grande che la maggior parte degli italiani ha è quella di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Come altri politici di destra, Meloni prende di mira l’immigrazione come una delle cause dei mali dell’Italia. Mentre ha cercato di ammorbidire la sua posizione pubblica rispetto a quella del suo alleato, Matteo Salvini, leader del Partito della Lega, la sua insistenza nel collegare l’immigrazione alla criminalità e alla sicurezza nazionale gioca con i timori di molti italiani comuni che temono che il loro paese venga invaso.
Ironia della sorte, l’Italia potrebbe a malapena funzionare senza un’immigrazione su larga scala. Il suo basso tasso di natalità significa semplicemente che non sta producendo abbastanza giovani per reintegrare la forza lavoro. Ho chiesto a un amico di questo fenomeno. Era un motivo di preoccupazione per il futuro dell’Italia? Non ne era così sicuro, ma mi parlò della figlia più piccola e del suo compagno, che gli avevano detto che non erano interessati ad avere figli. Erano più impegnati a mantenere uno stile di vita confortevole che a fare i sacrifici necessari per crescere una famiglia.
Questa ribellione compiacente, scegliendo deliberatamente l’apatia anziché l’impegno attivo, si estende anche alla politica. L’affluenza alle urne è diminuita negli ultimi 30 anni da quasi il 90% a poco più del 70%. A queste elezioni, era del 64% e tra le persone di età compresa tra i 18 e i 25 anni la cifra era ben al di sotto del 50%. La gente alza gli occhi al cielo e mi dice che se solo i giovani uscissero e votassero, potrebbero fermare la destra sul suo cammino.
La mancanza di coinvolgimento è ampiamente riconosciuta. Al telegiornale di recente ho visto uno spezzone di Conte, il leader dei 5 Stelle, che parlava a un comizio elettorale. Con le maniche di camicia e appassionato, esortava le persone a smettere di sdraiarsi in mutande a guardare la TV. Invece dovrebbero uscire e far sentire la loro voce, ha detto. Ma non c’era molto fermento intorno a queste elezioni. Ho visto meno poster e meno persone fare propaganda e ci sono stati meno commenti tra i vicini rispetto all’ultima volta. La mia impressione era che la maggior parte delle persone avesse accettato molto tempo fa che Meloni avrebbe vinto.
Quanto alla sinistra, sembrava a corto di idee e non prometteva nulla di positivo. Un voto per il Partito Democratico è stato semplicemente un voto per tenere fuori la destra, e non è un messaggio molto stimolante. Dopo un dibattito in diretta tra Meloni e il leader del Pd Enrico Letta, quasi tutti i commentatori hanno convenuto che aveva ottenuto una vittoria completa. Anche il quotidiano di sinistra Domani riportava: “Letta ha perso, inequivocabilmente. Ha passato tutto il dibattito, come nelle ultime settimane, a combattere un’immaginaria Giorgia Meloni. Quella degli eccessi del passato… non la versione istituzionale di oggi».
Letta, infatti, ha praticamente ammesso la sconfitta e ha esortato gli elettori indecisi a votare comunque per lui per negare alla destra la maggioranza assoluta che permetterebbe loro di cambiare la costituzione. I miei amici mi hanno detto che avrebbero votato per il partito di Letta, ma senza il minimo briciolo di entusiasmo. Come mi ha detto uno, quasi disperato: “Votiamo negativamente, semplicemente nella speranza di evitare il peggio”.
Il discorso post-elettorale di Letta è stato doloroso. Sembrava esausto e avvilito. Ha annunciato che non si sarebbe più presentato come leader e che era tempo che una nuova generazione prendesse il sopravvento per guidare il partito nel futuro. Poi è arrivato Conte, leader del Partito 5 Stelle, stanco ma esuberante. La sua performance da assalto al fienile, contro le previsioni precedenti, aveva interrotto una scivolata a sostegno e il suo partito era arrivato terzo con il 15% dei voti. La sua forte esibizione, in particolare al sud, potrebbe essere stata il fattore più importante per negare alla destra la maggioranza assoluta.
Infine ci sono state le interviste a Salvini era un portavoce di Berlusconi. Sembravano come se avessero vinto alla lotteria, cosa che in effetti hanno: senza Meloni sarebbero finiti entrambi. Non è un segreto che i tre non si piacciano molto. Sono stati messi insieme per necessità, ma sarà interessante vedere come andranno le cose quando il gioco inizierà a farsi duro.
L’argomento politico in Italia si è ristretto negli ultimi anni. Tutte le parti principali promettono di salvaguardare e migliorare l’assistenza sanitaria, l’istruzione e l’assistenza sociale. La divisione ora riguarda argomenti come la famiglia, la religione, le politiche di genere, l’Europa e, naturalmente, l’immigrazione.
L’aborto diventerà ora una questione controversa. La Meloni ha affermato che l’abolizione della legge del 1978 che legalizza l’aborto non è all’ordine del giorno. Ma l’esempio della regione Marche, dove il suo partito è al potere dal 2020, mostra che le misure ostruttive, combinate con il sostegno vocale e pratico ai gruppi anti-aborto, possono erodere drasticamente l’accesso delle donne ad aborti sicuri e legali. Qualsiasi mossa a livello nazionale in quella direzione provocherà un’opposizione popolare massiccia e ben organizzata. Forse vedremo una rinascita delle Sardine, il movimento di protesta che è salito alla ribalta durante l’ultimo breve periodo in carica di Salvini.
Il giorno dopo le elezioni abbiamo assistito a una carrellata della reazione internazionale. La risposta di Washington e Bruxelles è stata di cauto ottimismo. L’opinione era che l’Italia sarebbe rimasta un membro affidabile sia dell’alleanza occidentale che dell’UE, come ha affermato Meloni. Ci sono stati messaggi di congratulazioni da Viktor Orbán in Ungheria e Mateusz Morawiecki in Polonia. Ho letto articoli che mettono in relazione un’Italia guidata da Meloni con quei due regimi populisti di destra. È un paragone sbagliato.
Sia l’Ungheria che la Polonia sono uscite dal dominio sovietico negli anni ’90 e non sono mai riuscite davvero a respingere una tendenza all’autoritarismo. L’Italia, d’altra parte, è una democrazia funzionante da quasi 80 anni e ha tradizioni democratiche che risalgono al periodo prima del fascismo. È una società avanzata, liberale e pluralistica con istituzioni forti e indipendenti. Un leader democraticamente eletto, anche se aggressivamente di destra, come Meloni, semplicemente non sarà in grado di cambiare le cose.
MARIUS: Sinceramente in Italia i governi tecnici hanno soltanto portato problemi economici… E diciamo che hanno distrutto l’economia italiana negli ultimi trent’anni dove politiche di sinistra, i democratici italiani, si alternavano a governi tecnici spesso gestiti da persone legate alla sinistra democratica italiana, ma sotto il controllo americano.
In Italia l’immigrazione è un problema delicato. In primis perché esiste un sistema subdolo che controlla l’immigrazione clandestina dall’Africa verso l’Europa, rigettata sull’Italia. L’Europa unita non vuole immigrati e li scarica sui paesi del Mediterraneo, tra cui l’Italia, e i politici italiani corrotti prendono il denaro dall’Europa unita creando organizzazioni umanitarie per l’accoglienza, ma in realtà vengono lasciati in disparte… Non tutti gli immigrati sono cattivi o violenti! Solo una parte di essi, che secondo me dovrebbero essere gestiti dalla giustizia e rigettati nel loro paese. Il resto di loro, persone sfortunate strumentalizzati dei poteri occidentali; tranne una minoranza che lavora qui e là, quasi tutti gli altri vivono alle spalle dello Stato, quindi sulle spalle dei cittadini che pagano le tasse per vederli passeggiare per le strade senza far nulla… Quindi tra gli immigrati violenti, che stuprano rubano e a volte uccidono, e gli immigrati disoccupati… diventa un problema insostenibile considerando l’altra criminalità, che non è meno pericolosa.
Gli Italiani non sono fascisti, l’Abruzzo non è fascista. C’è stato un passato italiano in cui il fascismo ha governato perché era un segnale di ribellione alla dittatura monarchica esistente, movimento politico estremo che poi prese il sopravvento governando con la paura delle camice nere. Lo stesso tipo di ribellione per cui, al presente, è stato votato il partito di Giorgia Meloni.
Non credo che l’Italia non possa fare a meno degli immigrati per andare avanti nel futuro. Credo piuttosto che gli immigrati debbano essere aiutati nel loro paese. Il problema dell’Italia ha una doppia matrice: un governo che non tiene conto delle esigenze degli italiani, ma continua a vessare con un aumento di tasse sul lavoro che costringono molte imprese ad assumere meno, con stipendi bassi, davvero bassi rispetto alla media europea, i quali non consentono ai giovani di creare una famiglia sicura.
La mancanza di coinvolgimento è reale perché la gente è stanca di una politica sporca e dettata dalla corruzione morale ed economica dei vari politici. Le vaccinazioni sono stati un esempio. Anch’io ho notato una minore affluenza della propaganda, un minor numero di poster. La motivazione non è dovuta dalla mancanza di stimoli per la politica.
È tutto controllato a dovere. Poca propaganda, meno visibilità grafica, meno coinvolgimento. La vecchia politica non esiste più, è morta, è sepolta, è polvere. Ora sta nascendo una nuova forma di politica. Destra e sinistra sono due facce della stessa medaglia. Fingono di essere antagoniste ma in realtà lavorano per uno stesso padrone, l’alta finanza bancaria mondiale che fa capo all’America.
Quindi non esiste più la sfida destra e sinistra, ma la nuova sfida del basso contro l’alto. Per questo motivo la rivalità tra i partiti è solo uno specchio per quelli che ci credono ancora! Come per le tifoserie delle partite di calcio. Il calcio come vero sport non esiste più… solo calcio mercato, ma la rivalità serve a scatenare i tifosi che credono ancora di vedere due squadre che si sfidano, ma è tutto finto! Tutto è comprato a tavolino!
La vittoria della Meloni è stata strumentalizzata dalla destra… spingere meno i partiti di coalizione, perché avevano meno consensi, per far emergere Fratelli d’Italia.
La perdita della sinistra democratica è dovuta alla politica dei vaccini e dei Green Pass che hanno appoggiato nei due anni di pandemia, fino a oggi, non che seguire la politica americana di inviare armi in Ucraina. Il sostegno alla politica democratica americana è stata la causa principale del fallimento della sinistra democratica italiana. Il programma politico che avrebbero portato avanti, secondo l’agenda Mario Draghi, affiliato dei democratici americani e delle multinazionali americane, d’altronde lo porterà avanti anche il governo della Meloni in coalizione con Forza Italia e Lega Salvini.
Quindi torno al discorso precedente nel quel esplico che destra e sinistra sono ormai due ruote della stessa bicicletta, fabbricata in America, della quale Mario Draghi è il ciclista.
Il tuo amico si è sentito costretto a votare a sinistra per non dare un voto a destra soltanto perché ha percepito la presenza di un cambiamento epocale della politica, cioè la fine dell’antagonismo politico, in quanto sono assoggettati dallo stesso potere finanziario europeo, assoggettato al volere americano. Il tuo amico ha sbagliato nel non votare per i nuovi partiti del dissenso, gli unici che desirano riportare l’Italia a migliori livelli economici per salvaguardare gli stessi interessi italiani.
Enrico Letta con il suo partito democratico, quindi l’insieme dei suoi tesserati, hanno tradito l’Italia! Loro lo sanno, ne sono consapevoli! Tradendo l’Italia l’hanno consegnata nelle mani del centrodestra, che per l’Italia sarà un’altra delusione, un ennesimo tradimento! Vedrai nei prossimi mesi!
Il mandato di Enrico Letta come leader è un mandato di morte per gli italiani… i vaccini promossi e obbligati dalla sinistra democratica, ma con la collaborazione di tutti gli altri partiti (tra cui il centrodestra), hanno ucciso più della pandemia – che mi auguro tu abbia capito che è stata solo un’arma biologica progettata da una coalizione americana in Ucraina – stanno uccidendo ancora adesso, provocando molte malattie di vario genere, e uccideranno per molti anni ancora. Per questo motivo egli ha scelto di ritirare la sua nomina. La sua immagine ormai è compromessa.
Anche la figura politica di Giuseppe Conte risulta molto ambigua, ma posso constatare che il suo rilancio contro i suoi antagonisti, che avrebbero preferito vederlo completamente fuori dai giochi di potere, è stato un colpo di coda esuberante che gli ha permesso, grazie al suo reddito di cittadinanza, di raggiungere quel 15%, specialmente al sud.
Nei suoi mandati, Giuseppe Conte in qualche modo ha tradito gli italiani, ma il suo tradimento non è stato volontario, piuttosto indotto per mantenere la sua posizione al governo.
In effetti per Salvini e Berlusconi è come se avessero vinto una lotteria. Silvio Berlusconi sognava la rivincita, la sua rivalsa per essere stato detronizzato anni fa proprio da un gioco di corridoio ordito dalla sinistra democratica e Mario Draghi… un sogno realizzato tornare a pieno titolo al potere, anche se con l’ausilio di Giorgia Meloni.
Salvini ha commesso i suoi errori tempo fa dal quale non è più riemerso! Da soli non avrebbero avuto molti consensi, hai ragione! Sarà interessante constatare se insieme riusciranno ad andare d’accordo o meno, quando come scrivi, i giochi diventeranno più duri.
L’argomento politico in Italia si è ristretto negli ultimi anni. Tutte le parti principali promettono, ma non mantengono. Sono solo argomenti su cui costruire ampi discorsi, ma che in realtà rimangono sempre, per lo più, indiscussi o per lo meno rinviati al futuro. Gli argomenti devono necessariamente dividere, altrimenti non ci sarebbe scompiglio. Ma i veri argomenti di discussione sono altri. La discussione ovviamente è fuori dal governo.
Effettivamente l’aborto al momento non è nell’agenda della Meloni, ma considerando i fatti elencati e tutta una serie di concatenazioni internazionali, legate alle nuove politiche americane sull’abolizione della legge, nulla vieta che potrebbe diventare nell’imminente futuro materia di discussione della sua agenda, che oggi vuole equipararsi a quella di Mario Draghi, che per gli italiani è diventata un programma di morte economica e sociale. In tal caso è possibile che nuovi movimenti potrebbero risorgere, come quello delle Sardine.
Il giorno dopo le elezioni, certo la vittoria del partito della Meloni ha ottenuto consensi in UE e nell’Alleanza Occidentale, ma dobbiamo dire che lei è stata recentemente in America per garantire la continuità dell’operato di Mario Draghi, quando già si prospettava una possibile caduta del governo, e immagino che la candidatura era già in vista, se non addirittura programmata. Credo che le elezioni siano state pilotate sin dall’inizio per fare in modo che Fratelli d’Italia arrivasse in cima alle aspettative. Lo si vede da come sono state programmate le sue uscite televisive, il confronto con gli altri partiti, il programma elettorale presentato rispetto a quello dei suoi antagonisti, ma era frutto di un disegno già scritto a priori, quindi pilotato.
Non credo che i due regimi populisti di destra ungherese e polacco abbiano una relazione con la linea guida della Meloni, considerando inoltre che dal suo ritorno dagli Stati Uniti d’America la sua politica sia diventata meno estrema, ma più centrista atlantista.
L’Italia ha una tradizione democratica longeva, certo. Ma la nostra democrazia è stata recentemente strangolata da una sinistra che, a distanza di 30 anni, ha perso completamente la sua accezione populista per abbracciare la teoria neoliberista unipolare che sta danneggiando radicalmente il nostro sistema di vita. L’Italia da potenza economica è diventata schiava dell’Europa Unita e della Nato… ovviamente non per colpa della destra Meloniana, ma le previsioni indicano che anche il centrodestra, coalizzato con la sua parte estrema, sia ormai uniformato al nuovo sistema neoliberista che ha barbaramente deciso di metter a ferro e fuoco l’economia italiana e il suo status quo democratico. L’Italia non vive più in una vera democrazia. La nostra democrazia è solo uno facciata per i creduloni. Un esempio sono state le vaccinazioni obbligatorie mediante sospensioni, le restrizioni finanziare dei green pass, la limitazione delle nostre libertà sfruttando una pandemia creata per destabilizzare la nostra tranquillità. Tutto ciò ha provocato morte e i suoi sostenitori sono ancora liberi di governare piuttosto che …
Comunque al momento il nostro incubo peggiore è il conflitto in Ucraina che potrebbe diventare una vera guerra per tutto l’Occidente.
Da Marius Creati
Political dissertation about the new Italian summit 2022 with Morgan Williams / Central Station Records – Australia, by Marius Creati (part 1)

Morgan Williams is a former Private Secretary at New Zealand Parlament, now co-owner of the great Australian company Central Station Pty Ltd.
He deals with international transactions in the financial distribution, commercial distribution, discography, real estate, export of raw materials sectors.
He enjoys enormous commercial influence on the Australian continent, whose company is internationally known.
MORGAN: I would like to start by recommending that you read this article …
Italy’s ‘next PM’ Giorgia Meloni is a far-right leader who rallied against ‘LGBT lobbies’
Read More >
Far-right leader Giorgia Meloni, who has rallied against “LBGT lobbies” and so-called “gender ideology”, is set to become Italy’s first female prime minister.
Projections based on the near-final count of votes showed a victory for a right-wing coalition, led by Meloni’s Fratelli d’Italia (Brothers of Italy) party, should have a solid majority in both houses of parliament. If victorious, Meloni is expected to form Italy’s farthest-right government since World War II.
Meloni said the vote showed Italians supported a right-wing government led by her party but said her party would “govern for everyone”.
“Italians have sent a clear message in favour of a right-wing government led by Brothers of Italy,” she said.
She told Euronews that her election would “be a step forward” in terms of breaking the glass ceiling that is “preventing women from achieving important public roles in society”.
“It would be an honour for me to be the first to break this taboo in my country,” she added.
In her debate as leader of the Brothers of Italy, Meloni has espoused extreme right-wing positions – making her rise to premiership in Italy extremely concerning.
She lashed out at the European Union’s “anti-democratic drift”, advocated for the dissolution of the eurozone and alleged unnamed forces were guiding immigrants to Italy in the name of “ethnic substitution”.
Giorgia Meloni has remained a polarising figure as she’s aligned herself closely with Hungary’s nationalist leader Viktor Orbán, who has made his own anti-LGBTQ+ stances well-known during his leadership.
She’s also long displayed intolerance towards the queer community as she’s rallied against what she’s described as the “LGBT lobby” and denounced so-called “gender ideology”.
Meloni previously outlined her priorities and anti-LGBTQ+ stances during a speech to Spain’s far-right Vox party.
“Yes to the natural family, no to the LGBT lobby, yes to sexual identity, no to gender ideology… no to Islamist violence, yes to secure borders, no to mass migration… no to big international finance… no to the bureaucrats of Brussels,” she said.
Meloni publicly opposed surrogacy and adoption by queer couples during her election campaign. She has repeatedly said that she’s not homophobic, but she believes it is best for a child be raised by a mother and a father.
Alessia Crocini, the president of Rainbow Families, told New York Times that the association of LGBTQ+ families “hopes the country would go forward” but feared there is a “dark period ahead”.
Her party also came under scrutiny after Frederico Mollicone, culture spokesman for Brothers of Italy, urged Italian state broadcaster RAI not to air an episode of Peppa Pig that features a bear with two mums, calling it “gender indoctrination”.
He also claimed young children shouldn’t see loving queer parents of young children presented as something “natural” or “normal, because it’s not”.
He also claimed that “homosexual couples are not legal” and “not allowed” in Italy. This is despite the country legalising same-sex civil unions in 2016, a reform that the Brothers of Italy party opposed in parliament.
Mollicone later clarified that he was only referring to queer couples that adopt. He also claimed the party is “against all discrimination” and supports civil unions.
Oria Gargano, president of an oraganisation that helps victims of domestic violence, told Euronews before the election that it was extremely concerning to see the rise of Meloni’s party and potentially them winning the next election.
“This a political party [Brothers of Italy ] which has always denied women’s rights,” she said. “It has been against abortion.”
She continued: “It’s against all the LGBTQ+ community.
“It considers abortion a tragedy. And it wants to create a cemetery for aborted fetuses with mother’s names everywhere in Italy.”
Giorgia Meloni’s coalition government is unlikely to come into power before the end of October when prime minister Mario Draghi hands over the reins to the next leader.
MARIUS: Yes I know she is against LGBT lobbies. And this is wrong.
Always the same diktat of separations… the same defects of parties… create separation to distract people from the real problem… the global control!
MORGAN: Nothing will change. More bunga bunga is certain.
MARIUS: Yes I know… but for Italy things are worst!
MORGAN: What is your opinion regarding the considerations reported by Christopher Warren in his articles?
Right makes might in Europe, and far right makes mightier in Italy
Read More >
Prime Minister Giorgia Meloni’s neo-fascist government will take aim at the usual suspects: immigrants, refugees and the LGBTIQA+ community.
A century after the March on Rome launched fascism on the world, Italy cycles back to where it was as the post-fascist Fratelli d’Italia (Brothers of Italy) leads the country’s right-wing coalition to a comfortable majority in both houses of Parliament, making its leader, Giorgia Meloni, the first fascist prime minister since Mussolini was deposed in 1943.
Meloni seems to have a mandate. But for what? Is it what she’s said before? Or what she says now?
When campaigning, Meloni talked down her past anti-Europe (and pro-Putin) rhetoric. She walked away from ideas that, in Italy at least, were thought too radical, like a navy blockade to stop African migration by boat. She fought the election on her party’s traditional rhetoric — “Dio, patria e famiglia” (“God, country and family”) — in an assertion of Italian identity and the predictable “war on woke”. It suggests a government that will be more culture wars than economic reform, with the usual targets: immigrants and the LGBTIQA+.
The next European revolution: a lurch to the far right, with migrants the easy target
Read More >
It’s less a vote for change than it’s a victory for the country’s politics of opposition appealing to the self-identifying left-behinds. The Fratelli was the only significant party to stay outside the technocratic Mario Draghi’s government of national unity, leaving it well placed to leverage unhappiness at COVID disruption and continuing economic stagnation where unemployment is about 7.9% — and about 24% among the young.
The voting surge — from 4.4% in 2018 to a provisional 26.2% this week — came off a halving of the votes of Meloni’s two right-wing partners (Forza Italia and Lega Nord) and of the anti-elite populist 5 Star Movement, the three parties that dominated the 2018 elections.
Italian parties are fluid. No surprise, then, if Meloni entrenches power by repeating the ploy of her current partner, Forza Italia’s Silvio Berlusconi, and seeks to absorb all or part of her partners.
It’s two of the big global political trends up in lights: conservative voters are becoming more conservative — a lot more — while the post-2008 anti-politics populists are offering a bridge from the centre left to the right. Although the leading party on the left, the Democrats, largely held on to their vote, they suffered a repeat of the breakdown of British Labour’s 2019 northern England “red wall” (and US Democrats’ 2016 Midwest wall) in parts of their historic “zona rossa” in Emilia-Romagna and Tuscany.
The centrist commentariat is taking comfort that the (post-)fascists will be constrained by the country’s institutions, particularly the presidency (currently held by the rigorously centrist Sergio Mattarella, eight months into his second seven-year term) and the constitutional court. The right fell short of the necessary two-thirds majority to push through changes to the constitution — at least, not without the support of the politically eccentric 5 Star populists.
The major constraint remains the European Union. Italy sits at its core, part of both the Schengen visa-free zone and the common currency eurozone. Meloni talks the hard-right rhetoric of a “Europe of sovereign nations” and in the past she has talked about dropping the euro.
Far-right politics, once too extreme for Sweden, now finds a sturdy foundation
Read More >
For the time being at least, economic stability will mean continuing the post-COVID “recovery and resilience plan” agreed last year with the European Commission. This includes European money for the “green transition” to build energy efficiency and renewable energy. (Apart from current renewables in hydro and solar, Italy is an energy importer.) The Italian right talks the same loose chatter as Australia’s conservatives of dumping renewables for nuclear, but it’s unlikely to be able to fund development.
Meloni has been supportive of Ukraine — lately, at least. Her radical right-wing ally, the anti-Russian Polish Prime Minister Mateusz Morawiecki, was one of the first to congratulate her on her win. Her coalition partners have been less reliable. Berlusconi broke ranks last week to defend Russian President Vladimir Putin and criticise Ukraine’s President Volodymyr Zelenskyy.
Europe is expected to constrain the new government, too, on immigration. Expect instead the high theatre of cruelty that makes examples of individual migrants. Australia may provide a model: Meloni has promised to deport foreign citizens convicted of crimes.
Meloni has criticised the “LGBT lobby” and “gender ideology”. She opposes adoption by same-sex couples. The election is likely to leave Italy as the only western European country to bar same-sex marriage, although, bound by the European Convention on Human Rights, the new government is expected to maintain civil unions legalised in 2016.
Italy’s dependence on the European institutions means the risk is less a break with Europe than it is that Meloni’s election will change the continent’s politics. Together with the recent success of the Swedish Democrats, it means the far right has overtaken the traditional centre right as the main conservative voice on the continent.
As it drags the old conservatives along behind it, the post-fascist right threatens to undermine the democratic Europe the global order depends on.
MARIUS: Italy… not all evil comes to harm
Soon Italy will realize that the success of a party will become the failure of a nation! A people contaminated by fear and precarious servility, that of the “given fact” vote, which preferred to turn its head to the west with an inclination of 90 degrees from the Zenith, probably proud to light the flame of the gas, perhaps by rubbing the platelets of the low ground, even in patrol among bushes and ravines, while the guild of thorns and nettles will accentuate the metastasis of the sores on the epidermis of a body, Italy suffering indiscriminately, devastated by the compactness of the brambles. The Italy of the decubitus said “yes” without beating a hint of dissent while soon he will realize, also and above all at its expense, that the lacerations caused by its bedside will become injuries accentuated by the pain of nodding with reserve until it borders on, in spite of itself, the torment of the scourge of its bones. It will be difficult months for everyone, even for the shrewd enlightened ones of the solidarity vote, especially for the emeritus abstained followers of indefectible indefectibility, extreme evil, and for those who from the common dissent have created a huge barrier that recalls the sky, a remarkable fortification of hands barricades, voices and words, screams and tears that for over two years have been calling the order of things. They will be difficult, insurmountable, nefarious months! But not all evil comes to harm … and from misfortune an edifying hiss will rise again, the extremes of a new parody, outside the constraints … let’s say golden uvula, synonymous with full freedom!
MORGAN: So that’s a no?
MARIUS: In theory, what the article reports is true!
Far-right politics does not look favorably on immigration, in the sense that it should be managed more rigorously.
And certainly Giorgia Meloni does not have ideologies in favor of gay marriages, adoptions for homosexual couples, so on the other hand she is against the policy of the LGBT lobby. In fact, she is not even in favor of the law of abortion.
In the recent past she has been in opposition to the government, but in the end she has always accepted Mario Draghi’s program in order not to lose her position. Since her return from America, at the beginning of this summer, she has begun to change political strategy … and from an opposition speech she has quickly moved on to comply with the directives of Atlanticist politics.
She maintains her convictions against immigrants, homosexual classes, but has spoken out in favor of the sanctions on Russia that are devastating the European economy, and especially the Italian one, also in favor of continuing to send weapons to Ukraine .. and considering the continuing annoyances of the United States of America, ruled by Joe Biden and his Democrats, such as the latest attack on the Nord Stream 1 and 2 pipelines, it does not seem to favor a return to diplomatic action, rather to keep the country in a state of agitation, which will soon suffer a stagflation, if we do not run for cover!
I know that the government will last with SIlvio Berlusconi who holds control of the coalition, but I believe that someone intends to make it fail again within the next six months, to facilitate the entry of a new technical government.
MORGAN: A technical government is best for Italy, devoid of ideology; too much politics! I read that Abruzzo is historically very Fascist supporting.
The biggest fear most Italians have is of being unable to maintain their standard of living. Like other right-wing politicians, Meloni is targeting immigration as one of the causes of Italy’s ills. While she has sought to soften her public stance relative to that of her ally, Matteo Salvini, leader of the Lega Party, her insistence on linking immigration to crime and national security plays to the fears of many ordinary Italians who worry that their country is being overrun.
Ironically, Italy could barely function without large-scale immigration. Its low birth rate means it simply isn’t producing enough young people to replenish the workforce. I asked a friend about this phenomenon. Was it a reason to be worried about Italy’s future? He wasn’t so sure, but told me about his youngest daughter and her partner, who had told him that they weren’t interested in having children. They were more committed to maintaining a comfortable lifestyle than making the sacrifices involved in raising a family.
This complacent rebellion, deliberately choosing apathy over active commitment, also extends to politics. Voter turnout has fallen over the past 30 years from almost 90% to just over 70%. At this election, it was 64% and among those aged 18 to 25 the figure was well under 50%. People roll their eyes and tell me that if only young people would just get out and vote, they could stop the right in its tracks.
The lack of engagement is widely recognised. On the TV news recently, I saw a clip of Conte, the leader of 5 Star, speaking at an election rally. Shirt-sleeved and impassioned, he was exhorting people to stop lying around in their underpants watching TV. Instead they should get out and make their voices heard, he said. But there was not really much buzz around this election. I’ve seen fewer posters and fewer people canvassing, and there has been less comment among neighbours than last time. My impression was that most people accepted long ago that Meloni was going to win.
As for the left, it seemed to run out of ideas and failed to promise anything positive. A vote for the Democratic Party was simply a vote to keep out the right, and that’s not a very inspiring message. After one live-streamed debate between Meloni and the Democratic Party leader Enrico Letta, almost all commentators agreed that she had won a comprehensive victory. Even the left-wing Domani newspaper reported, “Letta lost, unequivocally. He spent the whole debate, just as in the last few weeks, in fighting an imaginary Giorgia Meloni. The one of past excesses … not the institutional version of today.”
In fact, Letta virtually admitted defeat and urged undecided voters to vote for him anyway so as to deny the right the absolute majority that would allow them to change the constitution. Friends of mine told me they would be voting for Letta’s party, but without the least shred of enthusiasm. As one said to me, almost in despair: “We are voting negatively, simply in the hope of avoiding the worst.”
Letta’s post-election speech was sorrowful. He looked exhausted and crestfallen. He announced that he would not be standing again as leader and that it was time a new generation took over to lead the party into the future. Then came Conte, leader of the 5 Star Party, looking tired but ebullient. His barnstorming performance had, against earlier predictions, halted a slide in support, and his party had come third with 15% of the vote. His strong showing, particularly in the south, may well have been the most important factor in denying the right an absolute majority.
Finally there were interviews with Salvini and a spokesman for Berlusconi. They looked as if they had won the lottery, which in effect they have — without Meloni they’d both be finished. It’s no secret that the three of them do not really like each other. They’ve been thrown together by necessity, but it will be interesting to see how things play out when the going begins to get tough.
The political argument in Italy has narrowed in recent years. All of the main parties promise to safeguard and improve healthcare, education and social welfare provision. The division is now around topics like the family, religion, gender politics, Europe and, of course, immigration.
Abortion will now become a contentious issue. Meloni has said that abolishing the 1978 law that legalised abortion is not on her agenda. But the example of the Marche region, where her party has been in power since 2020, shows that obstructive measures, combined with vocal and practical support for anti-abortion groups, can drastically erode women’s access to safe, legal abortions. Any nationwide move in that direction will provoke massive and well-organised popular opposition. Perhaps we will see a resurgence of the Sardines, the protest movement that rose to prominence during Salvini’s last brief spell in office.
The day after the election we watched a roundup of the international reaction. The response from Washington and Brussels was cautious optimism. The view was that Italy would remain a reliable member of both the Western alliance and the EU, as Meloni has asserted. There were congratulatory messages from Viktor Orbán in Hungary and Mateusz Morawiecki in Poland. I’ve read articles that bracket a Meloni-led Italy with those two right-wing populist regimes. It’s a mistaken comparison.
Both Hungary and Poland emerged from Soviet rule in the 1990s and have never really managed to throw off a tendency towards authoritarianism. Italy, on the other hand, has been a functioning democracy for nearly 80 years and has democratic traditions stretching further back to the period before fascism. It is an advanced, liberal, pluralistic society with strong, independent institutions. A democratically elected, albeit aggressively right-wing leader, like Meloni, is simply not going to be able to change that.
MARIUS: Honestly in Italy, technical governments have only brought economic problems … And let’s say that they have destroyed the Italian economy in the last thirty years where left-wing policies alternated, the Italian democrats, with technical governments often managed by people linked to the Italian democratic left, but under American control.
In Italy, immigration is a delicate problem. Primarily because there is a sneaky system that controls illegal immigration from Africa to Europe, rejected on Italy. The United Europe does not want immigrants and dumps them on the Mediterranean countries, including Italy, and the corrupt Italian politicians take the money from the United Europe by creating humanitarian organizations for reception, but in reality the immigrants are left on the sidelines … Not all immigrants are bad or violent! Only a part of them, which in my opinion should be managed by justice and rejected in their country. The rest of them, unfortunate people exploited by Western powers, except a minority that works here and there; almost all the others live subsidized by the state, therefore on the shoulders of citizens who pay taxes to see them walk the streets doing nothing … So among violent immigrants, who rape, steal and sometimes kill, and unemployed immigrants … it becomes an unsustainable problem considering other crime, which is no less dangerous.
The Italians are not fascists, Abruzzo is not fascist. There was an Italian past in which fascism ruled because it was a sign of rebellion against the existing monarchical dictatorship, an extreme political movement which then took over by governing with the fear of black shirts. The same type of rebellion for which, at present, Giorgia Meloni’s party has been voted for.
I don’t think Italy cannot do without immigrants to move forward into the future. I rather believe that immigrants should be helped in their country. The problem of Italy has a double matrix: a government that does not take into consideration the needs of Italians, but continues to harass with an increase in labor taxes that force many companies to hire less, with low salaries, really low compared to the European average, which do not allow young people to create a secure family.
The lack of involvement is real because people are tired of dirty politics and dictated by the moral and economic corruption of various politicians. Vaccinations were an example. I too have noticed a lower turnout of propaganda, fewer posters. The motivation is not due to the lack of stimulus for politics.
Everything is properly checked. Little propaganda, less graphic visibility, less involvement. The old politics no longer exists, it is dead, it is buried, it is dust. Now a new form of politics is emerging. Right and left are two sides of the same coin. They pretend to be antagonists but in reality they work for the same boss, the world banking high finance that is headed by America.
So there is no longer the right and left challenge, but the new challenge of the bottom against the top. For this reason, the rivalry between the parties is only a mirror for those who still believe in it! As for the fans of football matches. Football as a real sport no longer exists … just transfer market football, but the rivalry serves to unleash the fans who still think they see two teams competing, but it’s all fake! Everything is bought at the table!
Meloni’s victory was exploited by the right … to push the coalition parties less, because they had less support, to bring out the Brothers of Italy.
The loss of the democratic left is due to the vaccine policy and the Green Passes they supported in the two years of the pandemic until today, not that following the American policy of sending weapons to Ukraine. Support for American democratic politics was the main cause of the failure of the Italian democratic left. Political program that they would carry out, according to the Mario Draghi diary, an affiliate of the American Democrats and American multinationals, will also carry out the Meloni government in coalition with Forza Italia and Lega Salvini.
So I go back to the previous speech in that explanation that right and left are now two wheels of the same bicycle, made in America, of which Mario Draghi is the cyclist.
Your friend felt forced to vote on the left in order not to vote on the right only because he perceived the presence of an epochal change in politics, that is the end of political antagonism, as they are subjected by the same European financial power, subjected to the American will. Your friend was wrong in not voting for the new dissent parties, the only ones who wish to bring Italy back to better economic levels to safeguard the same Italian interests.
Enrico Letta with his democratic party, so all his members, have betrayed Italy! They know it, they are aware of it! By betraying Italy, they handed over to the center-right hands, which will be another disappointment for Italy, yet another betrayal! You will see in the coming months!
Enrico Letta’s mandate as leader is a death warrant for Italians … the vaccines promoted and forced by the democratic left, but with the collaboration of all the other parties (including the center-right), have killed more than the pandemic – which I hope you understand that it was just a biological weapon designed by an American coalition in Ukraine – they are killing even now, causing many diseases of various kinds, and will kill for many more years. For this reason he has chosen to withdraw his appointment. His image is now compromised.
Even the political figure of Giuseppe Conte is very ambiguous, but I can see that his relaunch against his antagonists, who would have preferred to see him completely out of the power games, was an exuberant backlash that allowed him, thanks to his income of citizenship, to reach that 15%, especially in the south.
In his mandates, Giuseppe Conte somehow betrayed the Italians, but his betrayal was not voluntary, rather induced to maintain his position in government.
In fact, for Salvini and Berlusconi it is as if they had won a lottery. Silvio Berlusconi dreamed of revenge, his revenge for having been dethroned years ago by a corridor game hatched by the democratic left and Mario Draghi … a dream come true to return fully to power, albeit with the help of Giorgia Meloni.
Salvini made his mistakes some time ago from which he has never emerged! They wouldn’t have gotten much support on their own, you’re right! It will be interesting to see if together they could get along or not, when, as you write, the games will get tougher.
The political argument in Italy has narrowed in recent years. All the main parts promise, but don’t maintain. These are only topics on which to build broad speeches, but which in reality always remain, for the most part, undisputed or at least postponed to the future. The arguments must necessarily divide, otherwise there would be no turmoil. But the real topics of discussion are others. The discussion is obviously outside the government.
Actually abortion is not currently on Meloni’s agenda, but considering the facts listed and a whole series of international concatenations, linked to the new American policies on the abolition of the law, nothing prevents that it could become a matter of discussion in the imminent future of his agenda, which today wants to equate to that of Mario Draghi, which for Italians has become a program of economic and social death. In this case it is possible that new movements could resurrect, such as that of the Sardines.
The day after the elections, certainly the victory of Meloni’s party won support in the EU and in the Western Alliance, but we must say that she recently went to America to ensure the continuity of Mario Draghi’s work, when it was already planned a possible fall of the government, and I imagine that the candidacy was already in sight. I believe that the elections were piloted from the beginning to ensure that the Brothers of Italy reached the top of expectations. You can see it from how they have been programmed
her television releases, the confrontation with other parties, the electoral program presented compared to that of his antagonists, but it was the exploitation of a plan already written in advance, then piloted. I do not think that the two populist right-wing Hungarian and Polish regimes have a relationship with Meloni’s guideline, considering also that since her return from the United States of America her politics have become less extreme, but more centrist Atlanticist.
Italy has a long-lived democratic tradition, of course. But our democracy has recently been strangled by a left that, 30 years later, has completely lost its populist meaning to embrace the unipolar neoliberal theory that is radically damaging our way of life. Italy from an economic power has become a slave to United Europe and NATO … obviously not through the fault of the Melonian right, but forecasts indicate that even the center-right, coalesced with its extreme part, is now in conformity with the new neoliberal system that has barbarously decided to put the Italian economy and its democratic status quo on fire. Italy no longer lives in a true democracy. Our democracy is just a facade for the gullible. An example was the mandatory vaccinations through suspensions, the financial restrictions of green passes, the limitation of our freedoms by exploiting a pandemic created to destabilize our tranquility. All of this has provoked in death and its supporters are still free to govern rather than …
However, at the moment our worst nightmare is the conflict in Ukraine which could become a real war for the whole West.
By Marius Creati
“A letto con Tilda”, conversazione intima con Tilda Swinton

Conversazione intima tra un noto drammaturgo a teatrale e la più eterea delle star cinematografiche. Che, tra le lenzuola, parlano di cinema, moda, letteratura e… famiglia queer allargata
Questo articolo è pubblicato sul numero 14 di Vanity Fair in edicola fino al 6 aprile 2021
Per anni ho sognato il mio primo incontro con Tilda, un’attrice che non ha bisogno del cognome. Nelle mie fantasie giovanili, quando avevo scoperto il suo lavoro mentre divoravo Derek Jarman, immaginavo di incontrarla a un party frequentato da persone del mondo delle lettere, dell’arte e della moda, a cui io partecipavo, per caso, come «più uno» di qualche invitato. Oppure, immaginavo di essere ricevuto nella casa di famiglia in Scozia, dove avrei trascorso un weekend d’autunno nel suo giardino – come poi è successo a Nikolai von Bismarck, che ha scattato le foto di questa storia nella sua bellissima magione nelle Highlands scozzesi.
Ma, come tante fantasie, la mia non si è avverata. Il nostro primo rendez-vous è avvenuto via Zoom: io a Notting Hill e lei in Galles, immersa nei preparativi per un film di Joanna Hogg. Nonostante lo schermo, l’incontro è stato sublime, più intimo di quanto potessi immaginare. Tanto che è partito a letto…
Buongiorno, Tilda. Non è incredibile il fatto che entrambi stiamo parlando comodamente dal letto?
«Dovrebbe essere sempre così. Qui in Galles ho un letto un po’ strano, ma la carta da parati è molto bella».
Nemmeno io sono in camera mia, ma in un seminterrato, in casa di amici. È riuscita a lavorare durante tutto il lockdown, vero?
«È stato solo un caso. Pedro Almodóvar e io avevamo pianificato per mesi il nostro piccolo film, The Human Voice, poi tutto si è fermato. Ci siamo guardati e abbiamo detto, “Be’, in realtà si può fare: i protagonisti sono solo una donna e un cane”. È stato emozionante: eravamo arrivati al punto in cui i registi si stavano chiedendo che ne sarebbe stato di loro. Noi abbiamo accettato la sfida».
In generale, questo periodo non dovrebbe essere un momento di pausa, ma di spazio per l’invenzione.
«Concordo. Il bisogno aguzza l’ingegno. È buffo perché mi rendo conto del fatto che chi, come me, è cresciuto in modo non convenzionale sa gestire questo tipo di ostacolo, grazie alla sensazione di potersela cavare con poco ovunque. E c’è una parte di me, come professionista, che trova tutto ciò particolarmente eccitante».
Mi sono sempre chiesto come sia passata dalla Royal Shakespeare Company ai film di Derek Jarman, alla collaborazione con il performer Joan Jonas.
«Sotto molti punti di vista, per me il vero esperimento è stata la partecipazione alla Royal Shakespeare Company. È stata un’ottima opportunità per capire cosa non volevo fare. Mi ero messa a recitare in teatro perché avevo smesso di scrivere ed era un modo di stare con i miei amici che bazzicavano sul palcoscenico».
Come mai ha smesso di scrivere?
«Sono arrivata all’Università di Cambridge per diventare scrittrice, e ho mollato appena entrata. Sono ancora un po’ traumatizzata, mi sa».
Cos’è successo?
«Ero sopraffatta. Qualche anno fa sono tornata a Cambridge per l’inaugurazione della facoltà di Cinema e media: ero invidiosissima, perché quando studiavo io non c’erano corsi del genere. Quando ho incontrato una mia professoressa dell’epoca, le ho detto proprio così, che ero sopraffatta, a bassa voce. E lei ha risposto: “Oh, succede a molti. Ti esaurisci appena entri nel mondo accademico”. Per fortuna ho ritrovato in fretta la mia strada».
Ha recitato in due film, The Souvenir parte uno e due, con sua figlia Honor. Com’è stato?
«È passato un po’ di tempo da allora: mia figlia ora studia Psicologia e Neurologia a Edimburgo. In ogni caso, Honor è stata straordinaria. Si è messa in gioco con una grande apertura, con grazia e senza nessuna intenzione di seguire un percorso specifico. Mi sembra un dono fantastico poter condividere qualcosa di speciale con chi ami profondamente. Uno dei miei obiettivi è fare un film con più membri della mia famiglia. È una cosa meravigliosa, non vedo l’ora di realizzarla. Ogni tanto penso a come dev’essere per i miei figli. Sono circondati dall’arte. La nostra casa è piena delle opere del padre (il pittore e commediografo scozzese John Byrne, ndr) e del mio attuale compagno (l’artista tedesco Sandro Kopp, ndr); guardano film diretti da amici di famiglia; leggono libri scritti dai loro padrini. Mi sembra il lusso più incredibile che si possa immaginare. Io, invece, sono cresciuta in un ambiente in cui mi sentivo come quei bambini che vengono scambiati nella culla».
Ha provato nostalgia durante i vari lockdown?
«La mia primissima reazione è stata tornare ai primi amori: Michael Powell ed Emeric Pressburger, Hitchcock, Carole Lombard. Questo periodo è una sfida all’immaginazione e alla fantasia, che poi sono quello che facciamo al cinema. Ovunque si sono levati cupi presagi sul futuro nero del grande schermo, ma non sono mai stata d’accordo. Come direbbe Slavoj Žižek, abbiamo bisogno del cinema per conoscere i nostri desideri. Penso che la pandemia ci abbia fatto rendere conto ancora di più dell’importanza del cinema e della musica. Certo, siamo grati ai servizi di streaming, ma ci sono corde che non toccano. Mi spiace anche per chi, come lei, lavora in teatro».
Già. Sono preoccupato per i miei coetanei e per le persone più giovani di me che non hanno ancora avuto la possibilità di mostrare il loro talento, e forse non ce l’avranno per molto tempo.
«Sono d’accordo ma, allo stesso tempo, non solo perché sono una spudorata ottimista, ma perché credo nell’intelligenza, penso che i giovanissimi capiranno come fare. Sono altri che hanno bisogno di compassione e sostegno: quelli un po’ più grandicelli, che avevano già cominciato a scaldare i motori».
Tornando all’invenzione, cosa pensa della moda?
«Sono davvero grata di aver conosciuto, proprio all’inizio della mia carriera, una serie di persone geniali che lavoravano nella moda. Sono diventate amiche e poi abbiamo iniziato a collaborare. Per me sono importanti come i registi, gli scrittori o gli artisti con cui ho lavorato».
Chi erano queste persone?
«Avevo un rapporto meraviglioso con Karl Lagerfeld, che all’inizio non mi spiegavo visto che io assomigliavo a un gamberetto e lui lavorava nell’impero del bello. Detto questo, è grazie a lui che sono entrata in contatto con Chanel, che continua a essere una grande fonte di ispirazione. Da quando Karl se ne è andato, mi pare che la maison abbia sviluppato uno stile più lirico e aggraziato. La sensibilità di Virginie Viard rende i capi flessibili, adatti al movimento del corpo. L’apertura e la fluidità, che caratterizzano gran parte delle odierne interazioni sociali, si riflettono ovunque, inclusa la moda. È una folata di aria fresca, e sono convinta che sia Karl Lagerfeld sia Coco Chanel – entrambi grandi fautori della modernità – la accoglierebbero calorosamente».
Il capo Chanel che preferisce?
«Stiamo girando nel gelo invernale del Galles rurale e, ogni mattina, quando mi butto giù dal letto, penso a quanto sono fortunata ad avere tre capi Chanel di cui ormai non posso fare a meno: una tuta da lavoro in denim spesso, grigio scuro, che infilo sopra i vestiti o il pigiama; una maglia da marinaio dalla collezione Hamburg e un paio di stivali da neve alla caviglia blue navy. Oggetti eterni. È questa la gloria di Chanel: la capacità di durare e la praticità, a prescindere da quanto siano stravaganti o raffinati».
Altri stilisti che la ispirano?
«Iris van Herpen. E, ovviamente, Haider Ackermann. È come un fratello per me, nonché un collaboratore prezioso. Lavoriamo insieme da vent’anni».
Come ha festeggiato i sessant’anni?
«Non mi sarei mai immaginata un compleanno così, perché cadeva il primo giorno di riprese del mio nuovo film con Joanna Hogg, che è la mia più vecchia amica: non nel senso che lei è vecchia, ma nel senso che ci conosciamo da quando avevamo dieci anni. Ho come sentito il rintocco di una campana. Un magnifico suono che segnava l’inizio delle riprese il giorno del mio compleanno».
Sono poche le persone che riescono a fare carriera lavorando principalmente con artisti queer, eppure lei ci è riuscita. È stato voluto?
«Be’, ho incontrato Derek Jarman quando avevo 24 anni. Ero appena uscita dall’università e stavo per capire che non volevo diventare una performer. Ho lavorato nel teatro sperimentale, al Traverse e all’Almeida, di cui ho ricordi molto belli. Ma sono tagliata fuori adesso – un po’ come Rip van Winkle del racconto di Irving – perché vado molto raramente a Londra. Quando sono nati i miei figli, mi sono trasferita nelle Highlands, quindi vivo isolata dal mondo. So che l’Almeida è stato trasformato in un posto funzionale, all’avanguardia, ma c’era la segatura sul pavimento quando ci lavoravo io negli anni ’80 e nei primi anni ’90. Per me, però, era un luogo fantastico».
Che mi dice del cinema?
«Era prima del cinema indipendente con la I maiuscola. C’erano David Lean e Merchant Ivory, oppure il British Film Institute, ed è lì che ho trovato la mia tribù. Derek Jarman, Peter Greenaway, Sally Potter, Peter Wollen. Essere queer, per me, ha a che fare con la sensibilità. Ho sempre sentito di esserlo io stessa: stavo solo cercando il mio “circo”, e l’ho trovato. È il mio mondo. Ora ho una famiglia con i registi Wes Anderson, Bong Joon-ho, Jim Jarmusch, Luca Guadagnino, Lynne Ramsay, Joanna Hogg».
Il suo prossimo film, The French Dispatch di Wes Anderson, uscirà più avanti quest’anno. Anticipazioni?
«Interpreto J.K.L. Berensen, la corrispondente del giornale che dà il titolo al film. Ho avuto il grande onore di lavorare con Wes e la sua allegra banda diverse volte e, come sempre, è stato un vortice di piacere, talento e genio mozzafiato. Una vecchia fabbrica di feltro riempita con una miriade di set e i loro mondi, dagli abbaini ai campi di grano, dagli aerei divisi in due ai salotti, ai vernissage eleganti. Ogni giorno ci davamo un pizzicotto per capire se fosse tutto vero. Come Wes abbia immaginato, e ottenuto, ogni dettaglio di questa visione sarà sempre un mistero per noi. È un forziere pieno di tesori meravigliosi. E non vediamo l’ora di presentarlo al mondo».
Alcuni artisti emergenti che le piacciono particolarmente?
«Conosce un comico che si chiama Julio Torres?».
Adoro Julio, è un grande amico.
«È come una finestra su un mondo. Amo anche lo stilista Charles Jeffrey, e c’è un’artista francese molto interessante che si chiama Jeanne Vicerial. È straordinaria. In realtà, ho fatto un elenco perché immaginavo che mi avrebbe fatto una domanda sui giovani talenti. Poi, però, mi sono resa conto che alcuni di loro non sono proprio così giovani».
Non occorre che siano giovani anagraficamente.
«C’è un pittore interessante che si chiama Salman Toor. Mi imbarazza aver messo nel mio elenco Lizzo e Lady Leshurr, perché tutti li conoscono, ma forse li ho citati perché li ho conosciuti all’inizio della loro carriera. E c’è un meraviglioso regista indonesiano, chiamato Edwin – solo Edwin – che vale la pena cercare. Magari, se citiamo i loro nomi sulle pagine di questo giornale, qualche lettore potrebbe googlarli e scoprirli».
Lei si cerca mai su Google? Sono curioso di sapere se è consapevole di tutti i meme in cui compare. È diventata un riferimento costante su Twitter e Instagram.
«No, no, no, no, sono una luddista assoluta. Non sono presente su nessun social media, non lo sono mai stata. Ma sono felice che la gente si diverta con queste cose».
Non posso credere che lei riesca a vivere completamente senza social.
«Ho altre cose da fare. So che cosa sta succedendo. È come se ci fosse una foresta in fiamme da qualche parte in fondo al giardino, e io mi concentrassi sulle mie rose».
Pensa che, un giorno, la scrittura che fa con il corpo si trasformerà di nuovo in scrittura sulla pagina?
«È buffo perché mi è stato chiesto di tenere il discorso in memoria di Derek Jarman al Festival Internazionale del Cinema di Edimburgo del 2002. Volevo dire di no, che non sapevo scrivere, ma poi mi sono seduta e il ghiaccio si è sciolto. E, da allora, ho scritto saggi abbastanza regolarmente. Abbiamo una tartaruga a casa ed è come il mio avatar da scrittrice: se le metti davanti una foglia di lattuga, la sua piccola testa fa capolino. Allo stesso modo la mia testa si sta avvicinando lentamente a una sceneggiatura, ma senza sforzi. Piano piano».
Ho un’ultima domanda per lei.
«Prego».
In tutte le sue avventure ha saputo mantenere uno spirito indipendente senza scendere a compromessi. Nella moda, nel cinema, nelle scelte che fa, che cosa la tiene sempre sulla retta via?
«Non ho mai avuto alcuna ambizione come artista. Può sembrare assurdo e trasgressivo, ma è un dato di fatto. Se me l’avesse chiesto quando avevo 10 o 20 anni, avrei detto che le mie uniche ambizioni erano avere una famiglia, amici che mi fanno ridere e che ridono alle mie battute, vivere nelle Highlands scozzesi, vicino al mare, con un sacco di cani e un orto. Giuro. Riuscire a realizzare i miei sogni è stata una benedizione. Tutto il resto è un di più. È zucchero a velo, fiori e candele».
di JEREMY O. HARRIS / Foto NIKOLAI VON BISMARCK servizio di JERRY STAFFORD
Fonte: Vanity Fair
“Cerco sempre una deriva”, intervista di Elisa Fuksas
La regista del nuovo film Netflix The App, “Sono curiosa, ma anche molto essenziale; ho il terrore di rimanere nel punto in cui sono nata, cerco sempre una deriva, un qualcosa che mi porti altrove, indietro o avanti che sia…”.
“Possiamo innamorarci di un’idea e per questa andare fino in fondo, senza sapere a cosa porterà? È possibile dimenticare il mondo, la vita, la realtà, per un sogno d’amore? È possibile perdere tutto per trovare se stessi?”. Parte da queste domande la giovane regista Elisa Fuksas con il suo nuovo film, The App, in arrivo su Netflix dal 26 dicembre prossimo con Nick (Vincenzo Crea) – il rampollo di una famiglia ricca che vuole fare l’attore – ed Eva (Jessica Cressy) – un tipo pragmatico, una borghese risoluta – divisi tra Los Angeles e Roma in un’estate torrida. C’è poi Maria (Maya Sansa) che è una voce che non può non farci ricordare quella di Her – il film di Spike Jonze con Scarlett Johansson – ma qui non è un algoritmo, perché esiste davvero. Intimità è la parola che viene in mente guardando questo film, la stessa che ci viene mostrata in tutti i modi, violata, condivisa, compresa o semplicemente negata in ogni scena e se questo accade, il merito va tutto alla Fuksas che è riuscita a scrivere (assieme a Lucio Pellegrini) e poi a dirigere un film che è una sorta di rilettura 2.0 del mito di Narciso. C’è un ragazzo ricco, c’è una donna – pardon, due – e un cellulare. In mezzo, un Oceano di sentimenti, lontananze, incomprensioni, non detti, silenzi e parole, tante, tantissime parole, pronunciate a voce o scritte in un messaggio. Lui è innamorato di se stesso e non riesce a vedere il volto dell’altro, figuriamoci quello del mondo, e al posto del lago per guardarsi dentro si specchia in un’altra immagine liquida che è lo schermo del cellulare scatenando un triangolo erotico-sentimentale.
“Tutto ha avuto inizio da un libretto d’opera di cui volevo farne la regia in scena lo scorso settembre al Maggio Fiorentino”, ci spiega Elisa Fuksas quando la incontriamo in un hotel romano. Ha un fascino antico evidenziato dal suo look e quando ti parla soppesa ogni parola guardandoti sempre negli occhi. La voce, magnetica e calda, non sorpassa mai i toni e dà alla conversazione una stabilità inattesa. “Sono stata a Firenze per diversi mesi e a un certo punto hanno ceduto dicendomi che avremmo potuto lavorare insieme, ma che avrei dovuto scrivere quel libretto, un dittico di Pagliacci. Unico vincolo, il tema: il tradimento. Sul treno verso Roma, mi tornò in mente un vecchio articolo che avevo letto su un sito di incontri dedicato alle coppie sposate, dove tutti condividevano lo stesso segreto: l’essere marito e moglie e il potersi divertire lo stesso. Il sito venne hackerato e vennero resi pubblici i volti di gente anche nota, attori, politici. Ci furono cinque suicidi, tra cui un prete che si era innamorato di una donna. Soltanto dopo la sua morte si è scoperto che lei non esisteva, perché tutto era virtuale. Praticamente lui si era ucciso per niente”.
Trentotto anni, figlia della coppia di archistar Massimiliano e Doriana Fuksas, Elisa ha scritto e diretto video musicali, spot, documentari (L’Italia del nostro scontento) e cortometraggi (Please leave a message, Nastro d’argento 2007), un film (Nina, 2012) e scritto un romanzo, La figlia di (Rizzoli, 2014), giocando sin dal titolo sulla sua condizione. “La grande lotteria dell’universo mi ha fatto nascere in quella famiglia che è il vero privilegio, sono loro la vera ricchezza”, ci spiega. “È molto difficile avere dei genitori così, questo è indiscutibile, ma è anche una fortuna immensa”. La ricchezza non credo sia un privilegio. Si pensi a questo mio film dove il vero privilegio sta nella giovinezza del protagonista che ha ancora tutto di fronte, ha il tempo”. “La ricchezza – precisa – è uno strumento e, purtroppo è brutto da dire, è meglio. Credo che tutti noi preferiamo stare bene piuttosto che stare scomodi. È il libero arbitrio: dipende da come usi le cose. Se le usi per costruire, diventano positive, se le usi per il contrario diventano armi pericolosissime”.
Ai due archistar – che ha già omaggiato col suo documentario La nuvola. Work in progress – dedica una delle scene più particolari del film, ambientandola proprio in quell’edificio speciale costruito all’Eur. “Purtroppo – ci dice Elisa col sorriso – non ce n’è un’altra di nuvola a Roma, dovevo per forza usare quella per avere uno spazio così particolare. È uno spazio quasi metafisico, decisamente unico”. In The App, un film che ha il profumo degli umori e delle sensazioni più varie, c’è la tecnologia e c’è il sentimento, ma anche la tecnologia al servizio del sentimento. È un mondo di solitudini che entra in connessione attraverso la rete e in uno spazio diverso in cui ci si conosce, ci si corteggia, ci si innamora come se quella stessa app fosse un luogo di incontro con tutti i rischi che la cosa può comportare. “Non ho paura di una app, ma non la saprei gestire perché ne sarei dipendente”, precisa. “Sono curiosa, ma anche molto essenziale; ho il terrore di rimanere nel punto in cui sono nata, cerco sempre una deriva, un qualcosa che mi porti altrove, indietro o avanti che sia, ma per me è fondamentale”. Non è un caso, aggiunge poco dopo, che abbia deciso di fare un passo importante. “Mi sono battezzata a Pasqua dopo due anni di un percorso religioso che mi è servito per conoscere un’altra realtà. Avevo bisogno di un dirottamento. Spesso faccio queste incursioni altrove che mi servono per cambiare le carte”. Nel film – prodotto da Indiana Production – ci sono anche Greta Scarano, nel ruolo della cameriera d’hotel, e Abel Ferrara, “un regista che fa il regista”, “un uomo con il quale sul set è molto semplice lavorarci, perché diventa un bambino di sei anni”, ricorda Elisa. “Per tutto il tempo pensavo che lui aveva fatto Il cattivo tenente, ma in quel momento ero io che gli dovevo dire le battute. Voleva sentirmi dire le cose”. Ultima protagonista, ma non ultima, Roma con tutta la sua bellezza. È la città in cui sono nata, la amo e la odio, ci dice prima di salutarci. “Vorrei andare via ogni giorno, ma ogni volta, quando vado via, non ci riesco. Amo il Circo Massimo e la Chiesa Sant’Anastasia aperta giorno e notte, un posto magico dove si fa l’adorazione perpetua. Amo la luce di Roma che è quello che ti strega e che ti costringe a lei. Ho vissuto a New York, a Parigi, a Londra, ma poi sono qui perché la amo, eppure… Con il suo traffico, la spazzatura e i mille disagi, la odio. Ma non riesco più ad andare via”.
Fonte: MarieClaire
Yohji Yamamoto, worries and wisdom of the master
After his Paris collection at the weekend, we spoke to the master about a career and life lived without regrets, and why his brand will die with him.
You have said that fashion had nothing to do with trends, what do you mean by that?
I never followed the rules of fashion. I always found short cuts, and paths that I created especially for myself. I wanted to oppose the system of trends and propose something new. When everyone says that something is beautiful, I don’t like it.
Do you feel like an artist?
I don’t know. I’ve always been very careful with the word “art”. What is art? Something that can pierce your heart and change your life? It is a precious word, it is dangerous to use it inappropriately. If fashion was art, it would not be in fashion.
Has fashion never been an art?
No, never. It is always clothes.
Do you think the fashion world has changed a lot since you started?
Yes, fast fashion ruined everything. People waste clothing. They buy and buy, sometimes without even wearing it, and ultimately end up swinging it in the trash. It is pollution. Even some products that are used to make the clothes are toxic. There is already so much unnecessary waste in the world. How many planes are flying in the sky right now? The earth is becoming warmer. She is angry. We should really think about how to better manage our industry. I am not an environmentalist, but for some time I have felt very strongly that the earth is angry. We need everyone to calm down. Do not rush. It’s tiring — those people who always want more. Money is a boring thing, don’t you think? Something that is meant to bring comfort is making people uncomfortable.
Are you aware of having influenced a generation of designers?
The new generation does not have time to breathe. They should stop watching their screens. They think about the world through their computers, but they do not know. For me there is no fight. I never found someone at my level. I have no rival. In any case, not yet.
Do you ever plan to stop one day?
I can not imagine myself retired. It must be so boring. I also think it’s hard to imagine my brand without me. I think Yohji Yamamoto will die with Yohji Yamamoto.
Are you nostalgic?
Yes, a little bit. There is something romantic in the past. It stimulates me intellectually. But I do not rest on my laurels. I want to innovate, every season. That rhythm, that momentum, that’s what keeps me going. I’m never satisfied, never happy with my work. This pursuit of “always better”, that’s my engine, which is something more than nostalgia. I am pessimistic; my mother was a widow, I grew up in poverty. At the age of five I realised that the world was unfair. I always had fire in my belly. It’s hard, but that weight forced me to never fall into mediocrity.
What can we do to avoid mediocrity?
When I started in Tokyo, everyone criticised me, “Why does he creates these dirty outfits?” Rather than resign myself, I decided to take a risk, moving to Paris, this beautiful city, and opening a small store in the hope that people out there would appreciate my dirty clothes.
Well it worked, you’ve had a lot of success!
I have always been wary of success, it attracts a lot of violence. People are envious and jealous. And then when we taste it, we’re just constantly chasing. For me, success is the reward for work well done. Americans have other ideas of success (laughs).
What do you want?
I have become an encyclopaedia, when it comes to clothing. I can answer any question. But it’s starting to annoy me. Sometimes I want to move on. I have started to write and paint. I am a phoenix. I want to make films too.
What kind of movies?
Half fiction, half documentary. Or maybe porn.
Text Tess Lochanski – Photography Charlie Engman
Fonte: i-D
Il maestro Giorgio Mattioli a colloquio con Marius Creati
Il celebre maestro Giorgio Mattioli, simbolo contemporaneo dell’arte italiana e mecenate eccelso della cultura che, dagli anni della sua giovinezza, espande attraverso le sue opere un pensiero artistico profondo e sapiente, militante da molti anni nell’arte figurativa mediante la quale traduce colori e forme in un linguaggio pittorico in sintonia con l’ambiente mentre, silente, si accosta alla corrente metafisica con tratti visibili intrisi di sublimazioni surreali.
Il maestro Mattioli opera nel palcoscenico mnemonico dell’evoluzione biologica nel quale corpi prestanti, forme sinuose, luoghi della memoria e strutture figurative rivelano il panorama illustrativo della fantasia tramite colori, segni, materia e accostamenti cognitivi della coscienza. Artista di frontiera, Giorgio Mattioli rivela una tranche del suo ammirevole sembiante dottrinale rivelando aspetti estetici e coscienziosi del suo ammirevole credo esistenziale dell’Arte.
Intervista a cura di Marius Creati
M.C.: Cosa rappresenta l’arte secondo la sua opinione?
G.M.: A mio avviso l’arte è un mezzo narcisistico ed una sorta di auto proiezione antropologica e psicologica che fa parte dei più nobili e profondi istinti dell’uomo, sin dalla sua prima infanzia e sin dall’infanzia dell’umanità.
M.C.: Quale significato assume nello studio e nell’esperienza dell’espressione estetica delle sue opere?
G.M.: Il significato che mi appare chiaro è quello di un detective sempre impegnato in investigazioni che contengono proposizioni su/riguardo l’arte. Ogni elemento di una proposizione artistica è soltanto un elemento funzionante in un contesto più ampio: l’investigazione appunto. Comunque credo che il concetto di Arte sia totalmente astratto e che esista a mo’ di informazione.
M.C.: Secondo il suo parere, l’arte è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni?
G.M.: Ho sempre creduto in Benedetto Croce e dell’arte come espressione del sentimento.
M.C.: In che rapporto si pone con la visione del colore? Come vive la sintesi rappresentata in ciascuna opera pittorica?
G.M.: La vivo in diverse fasi…prima cancello, massacro la natura ed ogni tipo di modello precostituito o sedimentato nei miei ricordi, poi una volta sbarazzatomi da ogni costrizione segua la tempesta del mio Es fatta di violente spatolate di colore, segni, agitazioni profonde quasi inconsulte. Le mie opere sono ancora al limite della pittura, un limite ormai difficile da segnare come dire: NULLA DIES SINE LINEA!
M.C.: In che modo deve porsi dinnanzi all’espressione del suo operato? E come arriva a completarne la sua essenza?
G.M.: Con grande umiltà, animo puro e mente sgombra. Ciò è possibile solamente con una vita spartana contro le fantastiche dicerie che cantano di artisti dediti ad ogni forma di droghe e dissolutezze. Per completare l’essenza del mio operato spesso ci vuole fortuna che a sua volta può nascere unicamente dal fertile terreno del MINISTERIUM.
M.C.: Esistono qualità intrinseche generali per far si che un lavoro artistico assuma il connotato di opera d’arte? Esistono qualità profonde nella sua visione personale?
G.M.: E’ sempre rischioso definire un’opera d’arte. Si ha troppa fede nelle affermazioni teoriche, alle interpretazioni pseudo scientifiche di teorie fisiche, fisiologiche o psicologiche da parte degli addetti ai lavori, pubblico compreso! La storia dell’Arte ha dimostrato largamente che teorizzare troppo sull’opera d’arte puo’ portare a grossi strafalcioni. Io stesso a volte dubito sul valore delle mie quindici correnti create dal 1980 al 2010. Le qualità intrinseche oggi consistono maggiormente nell’interessare al proprio operato i critici ed i mercanti: sono loro gli DEI EX MACHINA che indirizzano l’incredibile FENICE del bello. Certo che esistono qualità intrinseche generali come esiste l’opera che si eleva sulle altre ma pochi sanno guardare perché di giorno in giorno aumenta la cecità!
M.C.: Quale significato assume la penetrazione dell’opera nel suo lato più intimo?
G.M.: Il significato spesso è di profondo piacere, liberazione, intima soddisfazione e, senza peccare di presunzione, anche di una gioia infinita per una creatura che non esisteva alla quale l’artista vero e puro, che della propria attività ne ha fatto un sacerdozio, ha donato la vita. Così si è forse vicini ad un complesso coacervo di sentimenti materni.
M.C.: Esiste un binomio che unisce arte e scienza? In un eventuale processo evolutivo parallelo in che modo si correda con la realtà?
G.M.: Il binomio fra arte e scienza è una storica indissolubile unione e l’una non può e non deve esistere senza l’altra. Questo binomio ha portato all’evoluzione dell’uomo. Sebbene gli artisti sono stati considerati i reietti della società umana, essi e solo essi hanno elevato la razza umana dal livello primitivo a quello odierno. Quale processo evolutivo può esistere se la realtà rifiuta il governo degli artisti che non hanno alcuna possibilità di sostenersi? Come si può servire contemporaneamente il Massimo Fattor e Mammona?
M.C.: Intuizione, esistenza, esperienza… La creatività può giocare con la conoscenza pratica della vita?
G.M.: La creatività, figlia della fantasia e dell’immaginifico, vive in zone della mente che solo i grandi artisti hanno sviluppato. Questa nostra umanità tecnologica, robotizzata oltre misura, come può comprendere le immense forze degli uragani creativi con i quali risolverebbe tutti i problemi? Attorno a Noi Artisti esistono per la maggior parte piccoli omuncoli con grandi portafogli, ville, automobili, aerei perfettamente inseriti nella corruzione. Questa è la mia conoscenza pratica della vita e la mia creatività, purtroppo, non potrà mai giocarci.
M.C.: L’arte è sempre originale? In che modo si amalgama con la limitazione dell’opera?
G.M.: L’arte non è sempre originale. L’Arte è ben altro… in una sola parola l’Arte è l’evoluzione continua, costante e intelligente dei suoi sacerdoti che a volte giungono ad immolarsi per Essa; v.v. Van Gogh, Modigliani, Soutine, Merisi, Rossi e mille altri ancora.
M.C.: Secondo il suo parere, il processo creativo assume sempre la stessa fisionomia d’insieme per ciascun artista?
G.M.: Per quanto mi riguarda il processo creativo è legato ad un ormai perduto orientamento biofilo della moderna società umana. Aver perso l’orientamento biofilo significa aver perso l’amore per la vita, con le sue emozioni, i pensieri, i gesti! Questo porta alla fusione fra cellule ed organismi, alla creazione di un nuovo essere e nel nostro caso di una nuova opera d’Arte. Ed anche se biologi e filosofi sostengono che questa è una proprietà “innata” mi è naturale controbattere: ”innata si, ma non in questo nostro mondo che ha trasformato la necrofilia o desiderio per la morte e quindi del male in vanità, ricchezza e possesso egoistico. In questo contesto il processo creativo dipende dalla forza che ciascun artista possiede per isolarsi da tanto putridume. Platone nello ”Ione” risolve questo problema affidando la creatività dell’artista all’intervento di un Dio! Ma i tempi passano e mutano ed ora il Dio si chiama fantasia, immaginazione, volontà, tecnica, professionalità, umiltà, coscienza, intelligenza, attitudine e soprattutto esperienza, tutte qualità queste diverse.
M.C.: Come vede il rapporto aulico tra l’uomo e l’arte? Esiste un concertato alchemico biunivoco imprescindibile sinonimo di culto estetico?
G.M.: Bisogna preparare l’uomo. Occorrerebbero scuole specifiche per preparare l’umanità a vedere ”OLTRE LO SGUARDO CHE NON SI ARRESTA”. E quando l’uomo riuscirà a creare anche un solo seme di grano allora io stesso presenterò al mondo l’ELISIR del culto estetico!
N.B. Per una maggior conoscenza di ciò che penso a proposito dell’Arte, consiglio di consultare la mia ultima pubblicazione titolata: “ 666 il Tempo della Bestia” – Di Felice Edizioni – Il libro, dedicato a tutti gli artisti, consta di una raccolta di 666 aforismi sull’Arte.
Roseto degli Abruzzi, 07-07-13
Giorgio Mattioli
Sergio Maria Teutonico, intervista allo chef italiano volto noto di Alice
Riscoprire le gioie della coltivazione diretta della terra, può essere un modo rilassante per trascorrere il tempo. Mangiare la frutta e la verdura coltivate con le proprie mani, può rappresentare una grande fonte di soddisfazione, senza contare che la qualità è indubbiamente migliore poiché si ha il controllo di ciò che viene utilizzato per la coltivazione. Sergio Maria Teutonico, Chef e volto noto di Alice, ha pubblicato da poco un libro dedicato all’argomento: “Colto e Mangiato” edito da LT Editore.
Viviana Musumeci lo ha intervistato.
V.M.: Come è nata la tua passione per il cibo e come sei diventato Chef?
S.M.T.: Più che una passione parlerei di abitudine: sin da piccolo ho potuto, grazie alla cucina portentosa di mia madre, nutrirmi con grande qualità e varietà di ricette. L’amore per il cibo è divenuto vocazione quando decisi di iniziare questo lavoro che mi ha portato a diventare Chef dopo tanti anni di dura fatica, seguendo i percorsi che più o meno tutti quelli che fanno il mio mestiere percorrono.
V.M.: Qual è il trend relativo alla coltivazione del cibo? E’ vero che persone di ogni genere si avvicinano sempre di più alle attività legate alla coltivazione dell’orto?
S.M.T.: Le epoche moderne hanno portato un benessere alimentare dovuto al fatto che non avevamo più bisogno di produrre il cibo, bensì potevamo acquistarlo. La produzione di massa è via via divenuta in molti casi sinonimo di dozzinalità e approssimazione. Dopo gli ultimi anni in cui molti ricercavano esclusivamente forme di edonismo alimentare, si è ritornati a una necessità di maggiore controllo su quello che mangiamo e, conseguentemente, sia sui costi che sulla qualità. La crisi sociale ed economica che affrontiamo è stata per molti lo sprone ad iniziare una vera e consapevole auto produzione alimentare, investendo sia in materie prime che nell’acquisizione di conoscenze teorico-pratiche per l’attuazione dei propri progetti.
V.M.: E’ possibile coltivare ortaggi e frutta anche su un terrazzo piccolo? Se sì, ci daresti qualche dritta?
S.M.T.: Certo che si! Basta realizzare un piccolo terrario che può essere a muro oppure orizzontale oppure verticale. Con un metro quadrato di “terreno” si potranno tranquillamente coltivare verdure, ortaggi ed erbe aromatiche con facilità, mentre vasi capienti accoglieranno, nelle zone d’Italia dal clima meno rigido, quasi tutte le varietà di agrumi che daranno frutti ottimi. Rivolgetevi a un vivaio ben fornito e scoprirete quanto è facile e divertente coltivare pomodori, melanzane, fragole o limoni …
V.M.: Che risultato hai ottenuto la prima volta che hai coltivato qualcosa?
S.M.T.: La mia esperienza da coltivatore fu con le lenticchie, ero un bambino di 3 anni! Arrivai a raccoglierle con l’aiuto dei miei genitori per poi scoprire che il loro sapore non mi piaceva affatto! Al di là di questo mi sono dedicato per lungo tempo prima alle piante ornamentali per poi passare alla cura vera e propria del mio orto. I risultati nel tempo sono stati sempre ottimi, anche se periodicamente ho dovuto ricominciare il mio lavoro poiché la vita del cuoco è spesso nomade.
V.M.: Qual’è la tua ricetta preferita?
S.M.T.: Lo spaghetto alla carbonara!
V.M.: Ci sveli qualche segreto particolare della tua cucina?
S.M.T.: Non ho segreti nella mia cucina, il mio è un mestiere che richiede studio, applicazione, sensibilità e continuo esercizio. Non servono doti divine per fare il cuoco, bensì una ferrea ed incrollabile determinazione unita ad una sottilissima nota di follia.
V.M.: A quale ingrediente non potresti mai rinunciare?
S.M.T.: Il bravo cuoco si adegua alle circostanze e trae il meglio da quello che ha a disposizione. Se di ingrediente posso parlare riferendomi a una delle mie peculiarità non potrei di certo rinunciare alla mia libertà di pensiero, di azione e di parola nella vita e in cucina.
V.M.: Qual è il primo cibo a cui hai legato un ricordo della tua infanzia?
S.M.T.: Le lenticchie di cui ho parlato prima e più ampiamente del cibo cattivissimo che servivano nella mensa dell’asilo che frequentavo. Già da piccolo sapevo quello che volevo e questo modo di fare non mi ha mai abbandonato.
Fonte: VM-Mag
Riccardo Magnani a colloquio con Marius Creati… tra musicalità e simbolismo nelle opere rinascimentali
Riccardo Magnani, noto scrittore italiano da molti anni ricercatore appassionato dell’opera di Leonardo Da Vinci, si é lasciato coinvolgere dallo studio dei dipinti del grande maestro rinascimentale e degli altri maestri artefici del periodo rinascimentale al fine di trovare una rispondenza autorevole tra l’arte, la musica, la musicalità dell’arte e il simbolismo esoterico delle opere del coevo periodo storico, a tal punto da condividere una serie di aspetti finora ritenuti misteriosi che indubbiamente continuano ad illuminare il percorso della storia verso nuovi bagliori della conoscenza. Una realtà innovativa per la ricerca dell’opera antica attraverso cui esporre nuovi concetti che vanno ad arricchire incontrovertibilmente il panorama culturale del nostro passato.
Intervista a cura di Marius Creati
M.C.: Quali sono i paesaggi che Leonardo Da Vinci e gli altri pittori del periodo cercano di rappresentare nelle loro opere durante il Rinascimento? Sono paesaggi piuttosto convenzionali o in loro sussiste un ideale che influenza le loro scelte?
R.M.: In prevalenza, il paesaggio su cui si focalizza l’attenzione dei più, a partire da Leonardo da Vinci stesso, è una montagna, il San Martino, caratterizzato dalla particolarità di presentare un buco centrale inconfondibile, oltre naturalmente al profilo caratteristico.
Mi chiedi se son paesaggi convenzionali o richiamano un ideale; in realtà né uno né l’altro aspetto.
E’ come se vi fosse una sorta di autotassazione da parte dai pittori rinascimentali nel porre al centro dei paesaggi ritratti alcuni paesaggi ben determinati, ovvero le montagne attorno alla mia città, Lecco.
Un gesto che va ben oltre il mero manierismo, e che identifica invece la necessità di identificare un luogo ben preciso in cui una musica particolare è stata lasciata in deposito, quasi a dare delle direttive geografiche per raggiungerla.
M.C.: Perché nei vari dipinti rinascimentali viene spesso associato un carattere simbolico all’immagine dipinta? Cosa cercavano di dimostrare gli artisti del passato mediante alcune icone rappresentative?
R.M.: Non sveliamo nulla dicendo che la necessità di disseminare l’arte rinascimentale di simboli nascosti nasce dall’esigenza di trasmettere un sapere esoterico oltre le maglie strette del regime inquisitorio, nato a cavallo tra medioevo e rinascimento.
Sfruttando l’uso di un’iconologia di stampo cattolico, rigorosa dei canoni biblici di riferimento, si celavano nelle opere messaggi più o meno segreti e codificati in maniera tale che, all’osservatore attento e interessato, potessero giungere i messaggi che nell’opera si intendevano celare.
A volte si trattava solo di esprimere un’appartenenza ideologia o religiosa da parte del pittore e/o del suo committente, altre volte invece, come nelle opere leonardesche, si trattava di mettere in circolazione un vero e proprio canone sapienziale.
L’esempio più banale che posso citare in questa sede, è l’uso della mano espressiva dello Hieros Gamos, ovvero l’unione di due sigizie o divinità, più in generale espressione del rebis alchemico, ovvero la congiunzione della parte maschile con quella femminile, cioè la riunificazione tra parte animica e materica, intuitiva e razionale, ombra e luce e così via. Utilizzato dagli allievi di Pitagora per riconoscersi tra loro, lo Hieros Gamos è espresso nella pittura rinascimentale dalla mano aperta in cui il dito medio e il dito anulare, il terzo e il quarto, il padre e la madre, sono uniti.
Potete osservare qualunque dipinto, e noterete come questo particolare da subito caratterizzi l’opera per contenuti esoterici o meno a seconda che la mano esprima o meno lo Hieros Gamos. A titolo esemplificativo posso citare la Vergine allo specchio di Tiziano, o la bellissima scultura del Bernini rappresentativa del Ratto di Proserpina, o tutta la produzione del Bronzino, pittore di corte Medicea; naturalmente il primo a imporre questa simbologia fu Leonardo, quando ancora era presso bottega dal Verrocchio.
In quel gesto, così semplice e apparentemente insignificante, è raccontato un vero e proprio mondo filosofico, ma anche matematico se vogliamo: lo Hieros Gamos, infatti, è espressione del teorema di Pitagora, in cui il figlio (cinque) è determinato dalla congiunzione sommatoria tra padre (tre) e madre (quattro); nel teorema omonimo, la funzione è espressa in potenza quadrata.
Naturalmente l’unione non è carnale, ma come detto alchemica: la sublimazione della nuova vita è dettata dalla sommatoria unificata tra parte animica e materica, intuitiva e razionale, maschile e femminile, etc etc.
M.C.: Come mai soltanto adesso si riesce a carpire il vero significato simbolico tralasciato dagli autori? Tale conoscenza brancolava nel buio oppure vagava nell’illusione offuscata dall’oblio?
R.M.: Purtroppo, come spesso accade, il linguaggio nato per soddisfare la necessità di svelare una realtà esoterica, diventava a sua volta un linguaggio dogmatico; questa è stata la sorte delle scritture bibliche, trasposizione di miti religiosi più antichi di carattere pagano, ma questo è ormai arcinoto.
La simbologia utilizzata per comunicare oltre le maglie delle restrizioni dei censori dogmatici nel rinascimento ha così assunto a sua volta il carattere di ciò che intendeva combattere e aggirare, ovvero un terzo significato a sua volta vincolante.
L’espressione di ciò l’abbiamo raggiunta col ruolo di Maria di Magdala, la Maddalena, assurta alle cronache moderne con l’artifizio letterario di Dan Brown proprio cavalcando la simbologia contenuta nelle opere leonardesche; in realtà essa è espressiva di una ghiandola del nostro corpo, l’amigdala, sentinella di un’altra ghiandola molto importante, la pineale (che gli antichi egizi hanno sintetizzato con l’Occhio di Horus) Ma come detto, nell’immaginario collettivo ha assunto un carattere dogmatico pur nascendo da una simbologia di ispirazione esoterica.
Quindi, per rispondere alla domanda, credo di poter dire che l’evoluzione temporale dal tratto simbolico alla sua decodificazione sia un riflesso fisiologico dell’inerzia con cui un dogma tiene vincolate a sé le menti delle persone.
Il maggior nemico della conoscenza sono spesso le sovrastrutture dogmatiche e accademiche di riferimento, e non è un caso che le maggiori scoperte che hanno dato nuovo impulso alla scienza e alla conoscenza siano nate da intuizioni o da personaggi normalmente non affini al mondo accademico.
A questo si aggiunga la non ininfluente circostanza che l’uomo è portato a credere e illudersi nella vana speranza di un facile beneficio ultraterreno, creato ad arte dai propositori della fede per compensare un disagio terreno nelle menti di coloro che vi si affidano.
M.C.: Quanto la musica affascinava l’opera degli artisti rinascimentali? Che tipo di valore si attribuiva al discorso pittorico musicale?
R.M.: Per dare una risposta corretta a questa domanda bisogna chiarire cosa si intenda per musica, innanzitutto.
Al giorno d’oggi, in cui la conoscenza è inquadrata secondo paternità e genealogie fittizie, siamo soliti far risalire l’uso delle annotazioni musicali a Pitagora, anche se gli elementi di osservazione oggettivi ci riportano a conoscenze musicali ben più anteriori, risalenti a migliaia di anni prima.
Mi è però utile richiamare Pitagora per inquadrare il concetto di musica; egli affermava che “la geometria è musica solidificata”, esprimendo così la sintesi perfetta di cosa si debba intendere per musica allorquando si voglia comprendere il messaggio musicale inserito nell’arte rinascimentale.
La musica è di fatto quel sistema armonico vibrazionale appartenente alla nostra galassia che determina una legge assoluta di dipendenza imponendo a tutto ciò che la compone una sorta di vincolo di risonanza vibrazionale.
Ciò che la natura crea, è soggetto a questa regola naturalmente; ciò che è creato dall’uomo, invece, o da esso mediato, non sempre segue questa naturalezza.
Da sempre, la musica intesa in questo modo è legata al cosiddetto “regno dei cieli”, e quindi nella rappresentazione che ne veniva fatta da parte degli artisti rinascimentali.
Questa “musica” ha regole matematico-geometriche rigorosissime che trovano nella forma di un Nautilus o di una pigna la propria espressione massima: elicoidale logaritmica e numerologia, in rapporti matematici rigorosi e imprescindibili: sezione aurea e sequenza di Fibonacci ne sono la sintesi sintattica.
A queste regole “auree”, desunte dallo studio dei classici greci e portate a Firenze in occasione del Concilio che Cosimo de Medici volle fortissimamente nel tentativo di riunire la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, si sono ispirati tutti i pittori rinascimentali, nel tentativo di esprimere questa regola aurea naturale imprescindibile per il raggiungimento del cosiddetto regno dei cieli.
Anche in questo caso, troviamo in un passo di Cicerone tratto dal De Repubblica un passo importante per comprendere:
“Tu odi quest’armonia che è formata da ineguali intervalli calcolati secondo proporzioni perfette, e riprodotti dai movimenti delle sfere. I suoni bassi si uniscono a quelli acuti in accordi sempre mutevoli, perché queste colossali rivoluzioni planetarie non saprebbero compiersi nel silenzio, e la natura esige che suoni chiari echeggino ad un estremo e suoni cupi rispondano dall’altro. Così il mondo degli astri che ha moto più rapido rotea con un precipitoso trillo argentino, mentre il corso lunare che gli sottosta emette un suono lento e cavernoso. Così le sfere producono sette toni distinti, e il numero settenario e il nucleo di tutto quello che esiste. E gli uomini che sanno imitare sulla lira il concerto dei cieli hanno ritrovato il cammino che adduce a questo regno sublime, nella stessa maniera con cui altri si sono innalzati col genio alla conoscenza delle cose divine.”
M.C.: Come si dovrebbe intendere l’universo musicale delle opere leonardesche? E’ possibile classificare i suoi paesaggi secondo un compendio puramente storico oppure in essi si nasconde un fondamento più misterioso?
R.M.: L’utilizzo dei paesaggi da parte di Leonardo da Vinci segue un rigoroso compendio storico-impressionistico asservito alla necessità di comunicare “verità” filosofiche. Le faccio un esempio immediato: la grotta naturale in cui egli inscrive la scena della Vergine delle Rocce è una grotta realmente esistente, poco sopra la città di Lecco; si tratta presumibilmente di una delle miniere dei Pian dei Resinelli, utilizzata in quest’opera per esprimere un concetto caro a Platone e Dante, ovvero quel mito della Caverna di Platone che per Dante diviene Selva Oscura.
Lo stesso sfondo della Gioconda, espressivo della città di Lecco, viene frazionato in due parti: l’una, posta a sinistra, che identifica il Nord magnetico, e l’altra, posta a destra, che identifica il Sud magnetico. Solo riposizionando il paesaggio di destra sotto quello di sinistra si ottiene la naturalità del paesaggio lecchese, ma a ben pensare questo atto ripete idealmente il concetto di Rebis alchemico, la riunione degli opposti, la parte femminile e quella maschile, istinto e ragione, che in ultima analisi è il tema portante del quadro.
La Mona Lisa altri non è se non la parte femminile di Leonardo riunita alla sua parte maschile; non c’entrano nulla Lisa di Gherardini, Bianca Maria Sforza e tutti gli altri improbabili accostamenti che si sono fatti fino ad oggi dagli studiosi, lacunosi di questo messaggio sotteso all’opera.
Lo stesso messaggio è riproposto in analoga maniera da Raffaello, il quale ci consegna la sua propria Gioconda nella rappresentazione di San Sebastiano; allo stesso modo di Leonardo, Raffaello si ritrae nei panni femminili, a richiamare una androginia sottesa e un rimando musicale nemmeno troppo velato, contenuto nella veste, in cui appare un chiaro frammento di tastiera, sul quale vi consiglio di porre la mano della Vergine delle Rocce (visto che ne abbiamo parlato poc’anzi): apparirà chiaro un accordo vincolante, ripreso poi da innumerevoli artisti rinascimentali e successivi.
M.C.: La simbologia leonardesca assume soltanto un semplice connotato artistico oppure trafigge la realtà con la parvenza di un pensiero più profondo? In tal contesto in essa è possibile menzionare un ‘segreto’ mai rivelato?
R.M.: Appare chiaro ed evidente, già da queste poche annotazioni, come la simbologia leonardesca trascenda la mera rappresentazione della realtà; questo modus operandi nasce dall’esigenza di superare un vincolo di censura imposto dal dogma, ovvero la verità imposta, calata dall’alto, insindacabile.
Sicuramente l’intenzione è rivelare qualcosa di esoterico, ovvero esterno al dogma, e già per questo motivo potenzialmente più attinente al vero. Il titolo dato alla mia prima opera, mutuato da Platone, era inteso a esprimere proprio questo concetto: “la fede è una menzogna più grande dell’opinione”, laddove una opinione, seppur mendace, aveva nei suoi presupposti una potenziale oggettività che la fede nel dogma, per costituzione, non ha.
La cosa divertente, però, è che questo “segreto mai rivelato” celato nelle opere leonardesche è quanto di più attinente alla legge naturale possa esistere.
Interpretando l’opera leonardesca, o più in generale l’arte tutta, spesso si incorre nell’errore (non so quanto involontario) di attribuire alle intenzioni dell’autore una simbologia comunicativa errata, e per questo se ne mistifica il contenuto, come è stato il caso del Codice da Vinci di Dan Brown o come le ho mostrato poc’anzi parlando della Mona Lisa.
M.C.: Musica delle sfere celesti raccolta in un volo di uccelli? Come è possibile che una partitura musicale straordinaria possa aver scaturito una strabiliante attenzione da parte dei nomi più eccelsi della musica del periodo rinascimentale e barocco?
R.M.: Mi risulta difficile parlare di queste opere senza l’ausilio delle immagini, quindi le chiedo in questo caso di specie di poter fare una eccezione, proponendo in visione il volo da lei richiamato.
Ora mi sarà semplice rispondere alla sua domanda, riproponendo un passo già offerto, e chiedendovi di leggerlo osservando il volo degli uccelli di Leonardo:
“Tu odi quest’armonia che è formata da ineguali intervalli calcolati secondo proporzioni perfette, e riprodotti dai movimenti delle sfere. I suoni bassi si uniscono a quelli acuti in accordi sempre mutevoli, perché queste colossali rivoluzioni planetarie non saprebbero compiersi nel silenzio, e la natura esige che suoni chiari echeggino ad un estremo e suoni cupi rispondano dall’altro. Così il mondo degli astri che ha moto più rapido rotea con un precipitoso trillo argentino, mentre il corso lunare che gli sottosta emette un suono lento e cavernoso. Così le sfere producono sette toni distinti, e il numero settenario e il nucleo di tutto quello che esiste. E gli uomini che sanno imitare sulla lira il concerto dei cieli hanno ritrovato il cammino che adduce a questo regno sublime, nella stessa maniera con cui altri si sono innalzati col genio alla conoscenza delle cose divine.”
Questo dipinto, al pari dell’Ultima Cena in Santa Maria delle Grazie a Milano, contiene la colonna sonora portante della nostra galassia, con la quale entrando in risonanza si “accede al regno sublime dei cieli”.
Risulta dunque semplice comprendere come questa partitura divenga tassativa e vincolante per chiunque nel Rinascimento e nel Barocco avesse voluto fare Musica, inteso come quel compendio armonico-geometrico di rapporti musicali atto a riprodurre quello che per Dante era “Amor che move il Sole e le altre stelle”, e che per Verdi, ne la Traviata, era più esplicitamente “palpito dell’Universo”.
La cosa divertente, nel modo in cui i musicisti rinascimentali e barocchi si rifanno a questa musica, è il modo in cui Giovanni da Palestrina, capostipite della musica romana del XVI° secolo anticipatore del movimento bachiano, si fa ritrarre su una carrozza dal cui finestrino appare inequivocabilmente lo sfondo sinistro della Gioconda, lo stesso sfondo che Leonardo utilizzerà anche per la messa in scena dell’Orfeo di Poliziano.
M.C.: Nei dipinti di Leonardo Da Vinci in che modo uccelli e mani formano una geometria in termini di musica codificata?
R.M.: Ognuno di noi, esercitando inconsapevolmente un’arte vera e propria, udendo una musica soave è portato a chiudere gli occhi e a muovere la mano per replicarne l’armonia: questa azione si chiama Chironomia, dal nome dei Maestri Chironomi che già 2.000 anni prima di Cristo venivano rappresentati sulle pareti dei templi egizi nell’atto di impartire annotazioni musicali a gruppi eterogenei di musicisti dinanzi a loro.
Oltre ad essere l’evidenza oggettiva di quanto dicevo prima, ovvero che non sia stato Pitagora il capostipite della spaziatura musicale, questo particolare modo di indicare le note rappresenta, come dicevo, una vera e propria scienza, insegnata anche nei conservatori di tutto il mondo, espressa in un numero cospicuo di trattati nel XV° secolo, scemando man mano che l’annotazione su pentagramma della musica prendeva corpo.
Allo stesso modo, nella partitura di Leonardo da Vinci, le diverse tipologie di uccelli (sette, tengo a precisare) e la loro grandezza esprimono la misura di ogni singola annotazione.
L’azione è ripresa da quasi tutti i pittori rinascimentali, italiani e non, anche se in maniera meno puntuale, ma non per questo sostanziale; Ghirlandaio lo fa sia nella Cappella Sistina in Vaticano e sia a Palazzo Tornabuoni a Firenze, con gruppi di uccelli che volano da sinistra verso destra e viceversa, e un paio si accoppiano in volo.
Lo stesso fanno, tra gli altri, Volgemutt, maestro di Albrecht Durer, Cranach, a cui Lutero affidò il compito di ritrarlo e Tintoretto, la cui particolarità nel suo dipinto della Creazione del Paradiso è di mettere proprio sette diversi uccelli accoppiati, in un rimando alla funzione di elevazione catartica che questa musica contribuisce a sviluppare.
Qui dovrei dilungarmi a dismisura, parlando dell’Ultima Cena, ma magari avremo altre occasioni per farlo in seguito.
M.C.: Che tipo di legame sussiste tra l’opera rinascimentale e l’esoterismo? Quanto l’opera degli artisti rinascimentali può condurre alle ricerche esoteriche? Quanto lo sforzo della ricerca esoterica influenzò la rappresentazione artistica del XVI secolo?
R.M.: Come detto prima, l’arte rinascimentale è stato un importantissimo mezzo di trasmissione del sapere esoterico per scampare alle maglie severe e restrittive della censura inquisitoria. L’uso di immagini a sfondo sacro permetteva agli artisti di trasmettere messaggi sottesi volti all’indirizzo di occhi amici, nell’intento di una vera e propria propaganda politica in cui la conoscenza era un mezzo importantissimo.
Purtroppo non sempre la trasmissione della conoscenza ha prodotto conoscenza, in quanto spesso l’uso elitario della stessa ha prodotto letture errate volutamente speculative (ho già accennato al caso Codice da Vinci).
Come si dice, di necessità virtù: sicuramente lo sviluppo dell’arte è stato corroborato dalla necessità di comunicare contenuti di carattere esoterico nell’alveo della rappresentazione sacra, o mitologica.
M.C.: Per quale motivo molti simboli antichi sembrano voler tornare alla luce nelle opere di questo preciso periodo storico? Esiste una chiave di lettura particolare in questo richiamo emblematico votato alla segretezza?
R.M.: C’è una bellissima poesia dell’amico Piero Vannucci che amo ricordare in questi casi:
“La lingua
dicevo
è metà dell’uomo
e l’altra metà
sono quasi tutte bugie.
Il ricordo
(forse)
può essere il fondamento della verità”
Il fatto che una certa simbologia abiti in maniera ricorrente le rappresentazioni artistiche di più periodi storici consiglio di leggerlo nell’intento disperato dell’uomo di “ricordare per non disperdere” i fondamenti delle regole naturali da cui non possiamo prescindere.
L’unico segreto nell’approcciare queste simbologie che mi sento di rivelare è quello di conservare “occhi da bambino”, l’immediatezza dell’osservazione, senza lasciare che la mente con tutte le proprie sovrastrutture prenda il sopravvento.
Come diceva Leonardo da Vinci:
“..porto con me null’altro che uno zero / la mia purezza, la mia innocenza e la mia fiducia / perchè solo dei quattro elementi e di questo ho bisogno per fare un salto nell’ignoto. E quanto piccolo apparirò in cielo a chi non sà volare…”