Archive
Intervista di Massimo Maugeri ad Antonio Paolacci
M.M: Cosa pensi del rapporto tra e-book e pirateria?
A.P.: Ho l’impressione che se ne parli un po’ per mancanza di argomenti, perché si pensa a quanto è già successo alla musica o al cinema. Ma tra sistemi di protezione dei file e scarsa qualità dei testi piratati, il fenomeno non sembra preoccupante. In ogni caso, al momento l’editoria ha problemi molto più seri da affrontare, legati soprattutto a quanto dicevo prima.
M.M: Ammesso che esista un pregiudizio sulla pubblicazione e sulla lettura di libri elettronici, secondo te – tale pregiudizio – è più presente tra gli scrittori o tra i lettori?
A.P.: Il pregiudizio è diffuso ovunque. Siamo un po’ tutti cresciuti con l’idea che il libro tradizionale sia in qualche modo sacro e venerabile come oggetto in sé, per cui il digitale ci piace poco. Se però pensiamo solo alla scrittura e alla lettura, questa ostilità dimostra quanto si sia legati alla forma più che alla sostanza. C’è chi dice che il digitale produrrebbe un impoverimento culturale, impedirebbe l’approfondimento, ridurrebbe le possibilità di lettura. È evidente che chi suppone questo non conosce l’oggetto di cui parla. La tecnologia consente esattamente l’opposto: maggiore comodità di lettura, maggiori approfondimenti, possibilità di leggere e portarsi dietro più libri contemporaneamente. Dobbiamo conoscere la realtà, perché potrebbe perfino piacerci: per esempio i dati statistici parlano di un forte aumento delle ore di lettura tra le persone che acquistano gli ebook. Chiaro che i problemi veri sono altrove: con una effettiva rivoluzione di questo genere, per esempio, il sistema di realizzazione e vendita dei libri cambia radicalmente, rendendo inutile il lavoro di molte persone. Questo è vero, però non si può evitare la realtà mentendo alla gente o battendo i piedi: bisogna prendere atto dei cambiamenti, sapere di cosa si parla, e ragionare di conseguenza.
M.M: Non temi che una collana che accolga solo e-book (la cui pubblicazione non comporta rischi di stampa e distribuzione), data l’ancora scarsa diffusione dei libri elettronici, possa essere considerata come una “collana di serie B”?
A.P.: Non lo temo, caro Massimo: ne sono certo. Ma ne ero certo fin da quando ho avuto l’idea. Per questo ho voluto che il primo titolo fosse mio: per mostrare che credo nel progetto anche come autore. Gli ePop sono comunque libri Perdisa Pop, cioè hanno alle spalle la stessa linea editoriale dei nostri cartacei, con la particolarità di poter arrivare ai lettori in modo molto più semplice. Poi è vero che i rischi per l’editore sono ridotti, ma relativamente, perché in realtà il sistema è analogo a quello dei cartacei: esistono anche qui un distributore e una libreria (online) che trattengono una percentuale sui libri venduti, e anche qui esistono costi di realizzazione che – quando se ne cura la qualità – sono maggiori di quanto si creda. Ed esiste anche un’IVA sugli ebook molto più alta che sui cartacei. A conti fatti, chi risparmia davvero è il lettore: le spese minori sono il motivo per cui i nostri ebook possono costare così poco a chi li acqui sta, ma non incrementano i guadagni dell’editore, che a parità di copie vendute incassa la stessa cifra. Insomma, so che pensare male delle case editrici è sempre facile, però esistono editori ed editori. E, per quelli che cercano di tenere alto lo standard delle proprie pubblicazioni, lo scopo non è trovare modi mefistofelici per arricchirsi, l’obiettivo è piuttosto sopravvivere, e sopravvivendo far esistere libri che sarebbe un peccato perdere.
M.M: Volendo tracciare un bilancio sulla casa editrice, da quando ne hai assunto la direzione editoriale a oggi, tenuto conto del periodo di crisi generale, che valutazione faresti?
A.P.: Sarei più che soddisfatto. Il condizionale è dovuto appunto al momento difficile, vale a dire a una difficoltà economica generale che si unisce ai problemi puramente editoriali che sappiamo. Per l’editoria italiana non è mai stata così dura, e tutto può accadere. Ma se, come dicevo, la sfida di oggi è riuscire a sopravvivere, Perdisa Pop la sta vincendo più che dignitosamente: senza attuare mosse commerciali, senza modificare la propria linea e le proprie idee, senza raccattare soldi con pubblicazioni a pagamento o operazioni bieche. La stima per Perdisa Pop è cresciuta di anno in anno, e oggi qualcuno lo definisce un marchio “già cult”: chi lo conosce sa cosa offre, sa che abbiamo lanciato autori e idee di scrittura, e continua a seguirci. Abbiamo anche ridotto drasticamente le uscite annuali, il che avrebbe potuto penalizzarci facendoci perdere visibilità, invece il nostro pubblico è addirittura in aumento.
M.M: Parliamo del tuo nuovo racconto, che apre la collana ePop. Il titolo è Tanatosi. Come nasce? Da quale idea o fonte di ispirazione?
A.P.: È un lavoro a cui tengo molto. La brevità e il tipo di pubblicazione hanno indotto alcuni a credere il contrario: al mio posto, altri avrebbero dato un lavoro minore a questa collana così sperimentale, per cui era forse lecito immaginare che potessi farlo anche io. Invece lo considero uno dei miei testi migliori. È nato da riflessioni e letture diverse che mi hanno accompagnato per anni, e mi dà la sensazione di aver centrato il punto, di aver detto esattamente ciò che volevo dire. In qualche modo racconta i nostri dubbi attuali e ha il sapore di un apologo: la storia meno realistica che io abbia scritto, eppure parla di noi, del nostro tempo, del senso che diamo ai gesti quotidiani in un momento storico di confusione e incertezze profonde.
M.M: In questo racconto tratti anche del rapporto padre-figlio. Se ne parla tantissimo nella narrativa di questi ultimi anni. Molto più che in passato. Per quale ragione, a tuo avviso?
A.P.: Il fatto è che viviamo in un’epoca bizzarra. Il mondo è cambiato tanto confusamente e velocemente che facciamo fatica anche ad accorgercene. La situazione economica, l’incidenza della cultura, il metodo dell’informazione: è tutto diverso. Lavoro, trasporti, politica, comunicazione, vita quotidiana: i nostri genitori pensavano e progettavano il futuro secondo schemi mentali che per noi sono ormai obsoleti. Il che ci fa paura e ci spiazza. E, come in ogni epoca, la narrativa ha i suoi automatismi: la più banale si limita a creare semplici meccanismi di immedesimazione (quindi oggi racconta scontri generazionali, problemi legati alle idee diverse di padri e figli, commoventi riconciliazioni con i genitori). Poi esiste la letteratura che non parla solo ai contemporanei, quella che durerà, quella per la quale un rapporto tra padri e figli diventa simbolico, allegorico, molto più potente. E allora ecco che McCarthy scrive La strada , per esempio, dove non a caso i protagonisti sono un padre e un figlio. Una storia come quella può mettere in scena rappresentazioni del passato e immagini del futuro con un respiro spaventosamente ampio, può farci riflettere su chi siamo stati e su cosa siamo diventati, su quale sia la nostra vera eredità culturale e, soprattutto, su quanto ci interessi conservarla.
Fonte: Gruppo Perdisa Editore
Intervista di Marius Creati a Salvatore Scalisi
Salvatore Scalisi é un giovane scrittore siciliano dedito alla scrittura contemporanea caratterizzata da scenografie reali ricche di azione e intrise di aspetti fantastici curati con vibrante attenzione psicologica, attraverso cui condivide attimi di apprensione, ansiosa incertezza e amabile curiosità racchiusi nell’ombra di un lavoro scrupoloso nel quale egli pone tutta la sua creatività narrativa. Appassionato di letteratura noir, dai suoi romanzi evince il desiderio di raccontare storie inquietanti, spesso velate da una realtà pretenziosa, disegnando figure espressive peculiari inserite in un contesto carico di colpi di scena.
Da menzionare il suo ultimo romanzo “Linea 429”, una storia narrata alle spalle di un adattamento catastrofico, quello di un grave nubifragio che attanaglia l’intera comunità cittadina, nel quale l’autore traspone l’identità ciclica e stramaledettamente ordinaria di un normale autobus di linea in un contesto sfalsato, completamente rinnovato, vissuto sino all’inverosimile dai personaggi imbattuti nella vicenda.
Intervista di Marius Creati
M.C.: Come nasce l’idea del tuo nuovo libro?•
S.S.: L’idea è nata dal fatto che in città mi sposto spesso in Autobus; e Catania, la mia città, meravigliosa da vedere un po’ meno sotto l’aspetto della vivibilità, mi ha dato lo spunto per una storia che vuole evidenziare lo stato retrogrado di certe realtà ai limiti della civiltà. Certo, è vero, nel racconto ho inserito un eccezionale evento atmosferico che ne ha ampliato le “note dolenti”, ma questo non aggrava più di tanto quelle che sono le responsabilità di chi ci governa.
M.C.: Come descriveresti il tuo rapporto con la scrittura? In che modo ne percepisci la magica traspirazione tradotta poi in termini narrativi?
S.S.: Diciamo che per me la scrittura è il veicolo per allontanarmi dalla vita reale attraverso storie che poi non si discostano troppo dalla realtà; da essa ne traggo gli aspetti peculiari su cui puntare la mia analisi critica. Con un pizzico di trasgressione letteraria.
M.C.: Cosa desideri esprimere e quali emozioni suscitano in te i personaggi rappresentati nei tuoi romanzi?
S.S.: Curiosità. Credo che sia il termine giusto. Poi, naturalmente, dipende dalla storia, dai personaggi; in ogni caso la curiosità nell’insieme del racconto deve sempre rimanere per me e il lettore, un punto fermo.
M.C.: C’é sempre un personaggio preferito nei tuoi racconti? In tal caso trasponi sempre un po’ di te stesso nel plasmarne le caratteristiche?
S.S.: Beh, provare simpatia per i “buoni” o i personaggi principali, è la risposta più scontata. In “Linea 429, trattandosi di un racconto corale, posso dire che è proprio l’autobus, insieme al piccolo Cristian, ad attirare maggiormente la mia attenzione. È quasi inevitabile che un autore trasmetta parte del suo modo di essere in un personaggio; può anche succedere di volersi identificare in un eroe positivo; per esempio, mi sarebbe piaciuto essere un tipo come il detective John Parker. In verità, quando scrivo le sue avventure, in qualche modo mi sento invincibile come il protagonista
M.C.: La suspense riscontrata all’interno del nuovo romanzo é sintomo di una percezione vivibile nell’intero percorso narrativo?
S.S.: Più di suspense parlerei di storie che durante il percorso del racconto si evolvono, a volte apparentemente tranquillo, fino all’imprevedibile epilogo. Ciò caratterizza la mia scrittura; anche se mi cimentassi con una commedia, credo che la sostanza non cambierebbe.
M.C.: Esiste un metodo programmato per riuscire ad infondere determinati stati d’animo nel lettore o diviene a volte incognito giocoforza della fantasia?
S.S.: No, almeno per quanto mi riguarda; non potrebbe essere diversamente. Nella scrittura trasmetto quelle che sono le mie sensazioni ed emozioni, ma non è detto che questo determini il coinvolgimento del lettore; riuscirci è una grande soddisfazione. Comunque, è anche vero che non scrivo mai per me stesso, bensì per il pubblico; lo so che vado contro corrente, ma è così. Spiegarne il motivo non è semplice.
M.C.: Esiste un genere narrativo particolare nel quale trovi maggiore attinenza rispetto ad altri?
S.S.: Sicuramente il thriller – noir. Non è escluso che in futuro non possa intraprendere altri generi; diciamo, meno angoscianti.
M.C.: Qual è il tuo maggiore interesse quando realizzi un lavoro narrativo? Qual é l’elemento scatenante che ti spinge verso la sua realizzazione?
S.S.: Raccontare una storia che susciti interesse, curiosità. Di solito mi concedo un periodo di pausa molto ristretto fra un racconto e l’atro, quindi, capita spesso di iniziare uno scritto con pochissimi elementi a disposizione. La prima cosa che faccio è cercare di togliermi dalla mente e alla svelta il precedente racconto e di conseguenza iniziare a buttare giù le basi per la nuova storia. È una fatica. Non so, fin quando resisterò. Prometto sempre di prendermi un bel periodo di riposo…
M.C.: Pensi che uno scrittore deve reinterpretarsi costantemente?
S.S.: Se è possibile, direi proprio di sì. Ma non è necessario; ci sono artisti, non so, per fare un esempio: cantanti, registi, pittori etc, che proseguono imperterriti senza modificare di una virgola il proprio stile, continuando a riscuotere consensi positivi. Ma c’è chi riesce a cambiare pelle per non rimanere prigioniero del proprio cliché, ricevendo l’ammirazione del pubblico. Io prediligo quest’ultima soluzione; è utile per rigenerarsi.
M.C.: Pensi che l’ultimo romanzo redatto sia per lo scrittore una lodevole meta ambita oppure un punto di partenza per l’approfondimento di un nuovo racconto
S.S.: Nulla di tutto questo. Alla fine di un romanzo sono sempre convinto di aver dato il massimo delle mie possibilità per renderlo efficace sotto ogni aspetto. Tutto finisce lì. È naturale che se andassi a rileggerlo dopo qualche anno, o addirittura dopo pochi mesi, mi verrebbe voglia di cambiare qualcosa; ma ripeto, è del tutto naturale. E poi, non è detto che i cambiamenti lo migliorino. La scrittura rispecchia lo stato d’animo del momento, perciò è giusto avere rispetto per il proprio lavoro. “Linea 429” è l’ultima pubblicazione, ma non l’ultimo romanzo che ho scritto; ne sono seguiti altri due, fra questi il secondo episodio con Parker protagonista. Bene, sono convinto che a livello lessicale e strutturale ci siano delle differenze, anche impercettibili, fra questi due scritti e “Linea 429”; ma ciò non significa che l’uno sia migliore degli altri o viceversa. Quello che sento dentro di me quando inizio a scrivere un nuovo romanzo, è la consapevolezza di aver fatto un passo avanti verso l’affermazione come autore.
M.C.: Credi che la narrativa sia ancora in grado di meravigliare rispetto alle opere letterarie del passato?
S.S.: Guai se non fosse così; come si suol dire, potremmo chiudere bottega. Le opere letterarie del passato sono un punto di riferimento da custodire gelosamente, ma è un errore quando si vuole a tutti i costi paragonarle alla letteratura contemporanea; è come mettere a confronto un film di cinquanta anni fa con uno di recente produzione. Improponibile. Eppure, probabilmente, sarebbero entrambi degli ottimi film, ognuno con le proprie caratteristiche. Quindi, rispondendo alla tua domanda, ti dico che la narrativa di oggi è sicuramente in grado di meravigliare come in passato. Forse, l’unica differenza è che ai giorni nostri chiunque ha la pretesa di saper scrivere narrativa. Ma sappiamo benissimo che non è così. È vero, c’è un super affollamento di autori, recensori, direttori editoriali, molti dei quali si trovano all’interno del sistema solo per grazia ricevuta. Una volta sfogliavi un libro senza aver letto chi fosse l’autore, ma immediatamente dalle prime pagine ti rendevi conto chi l’avesse scritto. Oggi è difficile farlo perché c’è un appiattimento di argomentazioni e stili per certi versi preoccupante. Stai tranquillo! Esiste sempre la narrativa valida capace di creare forti emozioni, né più né meno dei classici del passato.
Intervista di Alessia Mocci a Simone Di Matteo ed alla sua casa editrice Diamond Edizioni
“La letteratura non si improvvisa, un romanzo non si scrive per caso, un racconto non è frutto di una semplice storia qualsiasi che passa per la mente.” Essere editore e scrittore non è semplice: ecco la sfida di Simone Di Matteo (Latina, 1984). Ormai giunto alla sua quinta pubblicazione con “La Venere Rea” può dichiararsi soddisfatto del lavoro svolto con impegno e caparbietà. Grazie al suo esordio da scrittore, Simone, ha ben compreso le problematiche attuali dell’editoria italiana soprattutto per la categoria degli esordienti che si ritrova spesso con un marea di proposte (a pagamento e non) ma senza garanzie di alcun tipo, neppure per il primo comandamento: credere nell’opera pubblicata. La Diamond consta di otto collane editoriali: “C’era una volta”, “Red Passion”, “Imago”, “Peolpe”, “Black Horse”, “Cocktail”, “Pillole”, “Frammenti”. Simone Di Matteo è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune domande sulla casa editrice Diamond e sulla sua carriera da scrittore.
A.M.: Che significato ha oggi il termine “cultura”?
Simone Di Matteo: La parola cultura è parola complessa e che si declina fra storia, antropologia e filosofia. La cultura è qualcosa di essenziale per l’uomo, anzi è quel che rende umano l’uomo.
A.M.: Editore e scrittore. Quale dei due ruoli ti da maggiori soddisfazioni? Se dovessi scegliere una sola strada quale percorreresti tra le due?
Simone Di Matteo: Finché posso cerco di portare avanti con passione e dedizione entrambi i due mondi, diversi seppur paralleli.
Non abbandonerei mai la scrittura così come non potrei mai abbandonare l’editoria. Non riesco ad immaginare una scelta di questo genere. Non posso concepirla. Non sarei più io e per me essere me stesso nel bene e nel male è essenziale. Naturalmente essere editore comporta rischi maggiori e grandi responsabilità, ma grandi sono anche le soddisfazioni che stanno arrivando.
A.M.: Cinque aggettivi su “La Venere Rea”.
Simone Di Matteo: Non sono bravo a parlar bene di una mia opera. Anzi tutt’altro. Sono molto critico con me stesso. La “Venere Rea” è un libro che ha suscitato interesse ed è stato recensito da diversi ed è giusto lasciar parlare gli addetti ai lavori. Agli aggettivi che riporto seguiranno i link di chi ha recensito solo dopo averlo letto, il testo.
- DIRETTO http://www.newnotizie.it/2010/09/29/la-venere-rea-ultimo-romanzo-di-simone-di-matteo/;
- APPASSIONANATE http://strepitesti.blogspot.com/2011/07/la-venere-rea.html;
- ORIGINALE http://www.italianotizie.it/?p=17794;
- INTRIGANTE http://www.mangialibri.com/node/7830;
- POETICO http://www.ilrecensore.com/wp2/2011/04/la-venere-rea/
A.M.: Un estratto del “La Venere Rea”…
Simone Di Matteo: Dalla Pagina 48:
“… ella rappresenta per me tenebre e maledizione. Morte per la carne. Dannazione per lo spirito. Buio per gli occhi. Peccato per le labbra. Malattia per la mente. Tormento per il cuore…
A.M.: Hai in cantiere un nuovo romanzo?
Simone Di Matteo: Ho finito di romanzare una mia sceneggiatura dal titolo “Non Odiare” e tra un impegno ed un altro cerco di portare a termine la stesura di una trilogia fantasy.
A.M.: Le due facce dell’editoria: pagamento e non. Quali sono i principi della Diamond Edizioni?
Simone Di Matteo: La nostra linea editoriale si pone come obiettivo quello di scoprire e proporre nuovi talenti letterari meritevoli di visibilità, che non troverebbero altrimenti spazio presso i grandi colossi editoriali, più disposti a puntare su autori già conosciuti e sicuri commercialmente, prediligendo così la qualità delle opere alle consuete regole del business. Non essendo interessati, inoltre, alle strategie di guadagno tipiche dell’editoria a pagamento, distanti dalla nostra idea di cultura, perché basate sulla pubblicazione dietro compenso economico a discapito della qualità dei testi, non chiediamo alcun contributo al fine della pubblicazione, né vincoliamo i nostri autori all’acquisto di copie della propria opera. La nostra attenzione non è rivolta solo alla qualità del prodotto letterario, ma anche all’eleganza estetica, infatti, i nostri illustratori sono artisti di comprovata esperienza scelti solo dopo una scrupolosa selezione dei loro lavori. Tanti tipi di autori per tanti tipi di lettori, perché come per i diamanti taglio e colore sono le caratteristiche fondamentali che li rendono diversi, speciali e unici, così, per la Diamond, le sue collane sono come gli scaffali di una libreria preziosa che raccolgono i libri secondo i vari generi. Ogni libro, una sfaccettatura di diamante. Ogni autore, un riflesso di luce. Ogni edizione, una sfumatura di colore.
A.M.: La Diamond si è unita all’associazione umanitaria riconosciuta in tutto il Mondo “La croce rossa Italiana” in una collaborazione che vede la donazione del 50% degli incassi derivati dalla vendita dei libri. Non è una scelta azzardata per una casa editrice giovane e senza richiesta di contributi per pubblicazione?
Simone Di Matteo: No, non lo è. Al contrario, ognuno dovrebbe pensare che la solidarietà è necessaria nella nostra società. Non mi interessa diventare ricco facendo l’editore, non mi interessa diventare ricco in senso lato. Quel che a me interessa davvero è, dopo esser rientrato delle spese e pagato i miei collaboratori ed ovviamente guadagnato quanto mi occorre per vivere, di scoprire nuovi scrittori di valore, lanciarli, cercando di superare il narcisismo e l’egoismo che in questo mondo (della letteratura e dell’editoria odierna) sembrano regnare sovrani.
A.M.: Che cosa ci sai dire a proposito dei concorsi letterari della casa editrice? Come stanno andando?
Simone Di Matteo: Molto bene, sono nati per smuovere le acque e cercare di offrire possibilità a scrittori emergenti. Il vero problema, a mio avviso, è che molti scrivono, moltissimi si improvvisano scrittori, narratori, romanzieri, ma pochi, pochissimi leggano e studiano. La letteratura non si improvvisa, un romanzo non si scrive per caso, un racconto non è frutto di una semplice storia qualsiasi che passa per la mente. No! La letteratura è una cosa seria, la scrittura è arte, la narrazione è ciò che ci consente di vivere altre vite in questa vita. Così esorto tutti a leggere e studiare la narratologia, ed a partecipare ai nostri concorsi. Adesso c’è quello della collana Dittici: Il Rosso e il Nero, di cui potete leggere il bando sul sito della Diamond.
A.M.: Qual è l’ultimo libro che hai letto? E l’ultimo film visto?
Simone Di Matteo: Ultimo libro letto: “Solitudine di Sebastian Kroll” di Ignazio Gori, Edizioni Libreria Croce. Un romanzo breve molto interessante, che assume, per evitare forme prolisse, le sembianze di un allucinato monologo in terza persona. Un libro contaminante ed autentico. Ultimo film visto: “Altromondo” di Fabiomassimo Lozzi. Una pellicola tra un’opera teatrale ed un documentario che affronta in modo diretto e scomodo due grandi temi d’attualità: la lotta all’omofobia e la paura delle diversità. Un’opera sperimentale, “politicamente scorretta”, che racconta le tante sfumature di un mondo a molti sconosciuto, ma non per questo invisibile.
A.M.: Siamo a poco più della metà del 2011. Ci sono novità od anticipazioni per il resto dell’anno?
Simone Di Matteo: Moltissime novità. Da qualche mese siamo entrati nelle Librerie Feltrinelli, ed ora i nostri titoli si possono ordinare ed acquistare all’interno di uno dei più grandi circuiti di vendita librari. Tra non molto pubblicheremo un libretto d’opera “D’amore e di libertà (ritratto frammentario della brigantessa Maria Elisabetta Rita di Giuliano)” di Antonio Veneziani, grande poeta e già noto scrittore contemporaneo. Un libretto d’opera illustrato da Giampaolo Carosi che è stato scritto per Maria Borgese che ne sarà la danzatrice – attrice oltre che la coreografa ed accompagnato dalle musiche originali dei Micasbah. Un libretto d’opera che vuole raccontare alcuni frammenti del brigantaggio femminile, ma soprattutto il cuore di una donna, poeta e briganta. Abbiamo pensato inoltre ad una nuova collana di letteratura migrante. Insomma, abbiamo tante cose da fare e tantissimi progetti che man mano attueremo e porteremo avanti con molta, molta passione ed altrettanta professionalità.
Ed aspettiamo, dunque, tutte queste novità editoriali con fiducia!
Lascio il link dell’accuratissimo sito della Diamond Edizioni, nel quale potrete leggere tutti i bandi dei concorsi letterari della casa editrice:
http://www.diamondeditrice.eu/
La Diamond è anche su Facebook:
http://www.facebook.com/profile.php?id=100001896950276
Alessia Mocci
Fonte: Oubliettemagazine
Intervista di Niva Mirakyan della radio La voce della Russia a Vincenzo Di Michele per “Io prigioniero in Russia”
Onore alla popolazione Russa : in una sua rivisitazione storica, così ha dichiarato Vincenzo Di Michele nella sua intervista alla radio internazionale “ La voce della Russia “ in occasione della ricorrenza del 70° anniversario dell’ offensiva Nazista contro l’Unione Sovietica
“La prima linea era una vero bagno di sangue; era veramente qualcosa di ossessionante. Di loro potevo immaginare dei ragazzi ventenni come me; Da Ivan di Pietroburgo ad Alexander del Kazakistan a Vladimir della Siberia fino ad Andrej di Mosca. Io però non li conoscevo. Loro erano il nemico bolscevico che dovevamo sconfiggere. E allora dopo ben 50 anni , voglio ora scrivere a Ivan, Alexander, Vladimir, Andrej e a tutti i ragazzi Russi, allora poco più che ventenni: “noi soldati eravamo presenti, ma non disponevamo della padronanza delle nostre menti poiché il soldato semplice, ultima ruota come altre migliaia e migliaia, è tenuto solo a obbedire e combattere.” (Brano tratto da “Io Prigioniero in Russia” di Vincenzo Di Michele – Testimonianza di Alfonso Di Michele, soldato Italiano nella campagna di Russia II guerra mondiale)
Nella ricorrenza del 70° anniversario della “Grande Guerra Patriottica”, così definita in Russia, che ha visto l’invasione della Germania nazista contro l’Unione Sovietica, La Voce della Russia – che si colloca fra le cinque più popolari emittenti internazionali, con 109 milioni di audience con trasmissioni in 37 differenti lingue – ha intervistato Vincenzo Di Michele, autore del libro “ Io prigioniero in Russia, figlio del soldato Alfonso Di Michele che partecipò in forza alla divisione Julia alla Campagna di Russia.
L’intervista è stata rilasciata dall’autore alla corrispondente Niva Mirakyan.
N.M.: Perché lei ha deciso di affrontare la storia della “Grande Guerra Patriottica”, precisando a tal conto la definizione da noi russi conferita a tale guerra ?
Vincenzo Di Michele: Perché mio padre prima di morire nel 1993, dopo ben 50 anni, ha deciso di scrivere un diario raccontando la sua guerra in Russia. Ha raccontato la sua avventura cioè quella di un giovane ventenne che è andato a combattere in Russia nella Seconda Guerra Mondiale. Pertanto, ho sentito il dovere di rendere una nuova visione storica, un nuovo panorama storico come mai prima si era raccontato. Infatti, si è parlato sempre di strategie di guerra ma non della guerra di ragazzi di 20 anni e del popolo italiano e del popolo russo.
N.M.: Che cosa ha scoperto della Russia e dei russi mentre faceva la ricerche per il Suo libro, che non sapeva prima?
Vincenzo Di Michele: Un popolo di grande umanità. Nei libri si è sempre narrato delle sofferenze patite dagli italiani per via dei russi. Indubbiamente, la guerra è guerra, ma quello che non sapevo è stata l’umanità dei Russi e soprattutto delle mamme russe perché se io sono ora qui a raccontare queste storie, lo devo proprio alle mamme russe che hanno aiutato tanti, tanti italiani.
N.M.: Che impressione ha fatto la Russia sul protagonista del Suo libro ovverosia su suo padre ?
Vincenzo Di Michele: La storia che io ho narrato, l’ho vissuta e quindi scritta attraverso i racconti di mio padre. Non si può negare come tale guerra abbia provocato i migliaia di morti nei Campi di Prigionia. Ad onor di verità neanche la Russia si aspettava quell’enorme massa di prigionieri. Peraltro si deve anche dire che gli stessi russi hanno avuto milioni e milioni di morti perché addirittura, se non erro sono stati 20 milioni.
N.M. : Perché a Suo avviso, oggi, nel 2011, è ancora importante scrivere dei libri sulla Seconda Guerra Mondiale?
Vincenzo Di Michele: Perché è importante il revisionismo storico. Hanno sempre descritto la Russia come un luogo di sofferenza dove sono morti tanti italiani. È vero, lo devo dire, sono morti tanti italiani e anche tanti russi però si deve dare onore alla Russia. Innanzitutto, il popolo italiano è andato lì a combattere invadendo il territorio di un altro popolo e poi siamo stati accolti nonostante l’evidente povertà economica, da un popolo con grande umanità. Senza dubbio un grande aiuto ai nostri soldati è stato dato dalle donne russe. Queste, pur essendo in tempo di guerra e a loro volta con dei figli da sfamare, con un cuore grande come le nostre mamme facevano del loro meglio porgendo ai nostri soldati quel poco di cui disponevano tra patate, pane carote e miglio bollito. Un sentito tributo anche se a distanza di tempo deve essere conferito a quelle ragazze. Infatti, e di questo posso dare testimonianza diretta grazie a mio padre il quale è stato un vero e proprio miracolato, anch’esse sono state decise protagoniste; forse poi ci sono state anche storie d’amore, con i famosi “italiansky khorosho”, e grazie a loro, grazie alla Russia, si consegnano alla rivisitazione storica nuovi elementi che indubbiamente meritano di essere approfonditi.
Se volete ascoltare l’intervista direttamente dal sito della radio internazionale “La voce della Russia” clicca qui:
- http://italian.ruvr.ru/2011/07/01/52668960.html
- Per coloro che volessero saperne di più dell’autore lascio il link diretto che riporta direttamente al suo curatissimo sito nel quale potrete seguire le novità sulle sue pubblicazioni ed eventi:
- http://www.vincenzodimichele.it/
- cell: 3687472791
- Recensione “Io prigioniero in Russia”:
- http://oubliettemagazine.com/2011/05/25/io-prigioniero-in-russia-di-vincenzo-di-michele-la-stampa-edizioni/
Alessia Mocci
Responsabile dell’Ufficio Stampa di Vincenzo Di Michele
Fonte: Oubliettemagazine
Intervista di Alessia Mocci a Federica Ferretti ed alla sua collana Echi da Internet, Rupe Mutevole Edizioni
“Echi da Internet” è la nuova collana editoriale della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni, la curatrice è Federica Ferretti. La collana intende raccontare il Nuovo Mondo ed il Nuovo Popolo. Un’idea abbastanza originale ed alternativa che ha come oggetto Internet ed il popolo che popola questo mondo virtuale. Racconti di chat visti come antichi pettegolezzi di lavandaie che si recano al mercato in piazza; la rete ormai è più reale della realtà ed “Echi da Internet” ha scelto di dare spazio alla seconda vita che ognuno di noi ha. Suddivisa in 4 sottocollane troviamo: “Arte in cucina”, “Gocce di memoria”, “Al bivio (La luce in fondo al Tunnel), “Contemporanea”. Federica Ferretti è stata molto disponibile nell’illustrarci la sua collana editoriale e nell’invitare tutti a partecipare alle nuove selezioni. Buona lettura!
A.M.: Perché nasce la collana editoriale “Echi da Internet”?
Federica Ferretti: La collana “Echi da Internet” nasce per rappresentare umori e sensazioni della odierna realtà multimediale, fornire cioè una panoramica linguistica d’insieme di una società in continuo mutamento, dove cogliere il colore delle voci che ogni giorno occupano la piazza, si incontrano, si conoscono, si “amano”, ci riempiono la vita, può essere fonte di notevole arricchimento…la rete viene rappresentata a tutto tondo, in ogni modo, secondo il linguaggio che è proprio di ognuno di noi, secondo le sue inclinazioni, le contaminazioni che più gli si addicono.
A.M.: Quando nasce la collana?
Federtica Ferretti: La nostra storia: abbiamo promosso un’iniziativa sul n. 15, 13 aprile 2011, di Donna Moderna, ospitati nella rubrica Amiche di Salvataggio, perché abbiamo creduto nella possibilità di una letteratura alternativa, multisfaccettata. Quest’idea, nelle sua profonda bellezza, non poteva non premiarci, così, dai vari spunti e suggerimenti di quelle voci, sono nate le sottocollane:
- Arte in cucina: non racconterà solo delle vostre doti culinarie, ma rappresenterà il vostro modo di esprimervi nella cucina pensata ed assaporata nel tempo, secondo le varie tradizioni di cui non possiamo nè vorremmo, dimenticarci.
- Gocce di memoria: è il file rouge tra passato e presente, nel segno della nostra cultura…un emozionante viaggio a ritroso, nella storia della nostra terra.
- Al bivio( La Luce in fondo al Tunnel ): raccoglie il vissuto quotidiano, le vicende di vita vera che in qualche modo ci solleticano gli occhi ed il cuore nella gravità dei loro aspetti e nell’aspirazione dellla loro risoluzione.
- Contemporanea: accoglie a braccia aperte i nuovi scrittori di Non Conventional Literature
A.M.: Quanto è importante il linguaggio internettiano nella scrittura? E nell’oralità?
Federica Ferretti: Così, Echi da Internet, si dovrebbe caratterizzare per uno stile di certo più asciutto, concreto, …dico dovrebbe perché, come ho avuto modo di constatare leggendo e valutando i vari dattiloscritti inviati, nel linguaggio internettiano, di certo più immediato, in realtà molti riescono ad esprimere comunque perle di pura poesia…che mi piace definire letteratura non convenzionale…Secondo me, ciò lascia degli strascichi… o perlomeno si riflette irrimediabilmente nel parlato, specie quando il tempo sembra ormai sfuggirci.
A.M.: “Tu non sei bionda” è la vostra prima pubblicazione. Come sta reagendo il pubblico di lettori?
Federica Ferretti: La prima pubblicazione, “Tu non sei bionda”, è quella che, sin dalla scrittura, si impone come una rappresentazione schietta di un dialogo virtuale a due, perciò, possiamo dire che risente maggiormente della cultura multimediale, specie quando si decide di vivere in maniera virtuale anche e forse soprattutto un sentimento d’amore e d’amicizia… con tutti i rischi, ma pure emozioni… che ne possono scaturire…
A.M.: Rupe Mutevole è stata al Salone Internazionale del Libro di Torino suscitando notevoli consensi. Che ne pensi dell’esperienza? È stata positiva?
Federica Ferretti: L’esperienza del Salone Internazionale del Libro di Torino ha coinvolto positivamente noi tutti, è stata senz’altro il trampolino di lancio per molte ed importanti iniziative, ridando parallelamente smalto e tempra ad ognuno dei progetti già avviati e non può che avere lasciato un ricordo indelebile nei nostri cuori. Quando ripartiamo?
A.M.: Quali sono i criteri di scelta per la pubblicazione di un manoscritto in “Echi da Internet”?
Federica Ferretti: Pubblicare con “Echi da Internet” è molto semplice in verità…cerchiamo l’anima vera della gente, che, (è questo forse il grande merito di INTERNET), molto spesso emerge nella rete, dove, complice l’anonimato in cui è possibile rifugiarsi, si esprime nella sua più intima essenza….cari scrittori virtuali, vi accogliamo nel mondo delle parole soffocate nel cuore e nell’anima; urlate forte al cielo ma non ancora pronunciate di fronte all’oggetto del nostro sentire; vi accogliamo tra le innumerevoli possibilità che le parole offrono, tra i sogni sopiti e le speranze che hanno appena preso corpo. Dai racconti di vita vissuta, ai saggi storici, o leggendari, musicali, pittorici, e perché no, di arte culinaria… daremo particolare risalto alle voci femminili che vogliono raccontare il loro rapporto con il virtuale, il loro navigare controcorrente, l’esito di ogni approdo, felice o doloroso che sia stato.
A.M.: Qualche consiglio per gli esordienti che desiderano pubblicare?
Federica Ferretti: Ciò che mi sento di poter consigliare a chi si avvicina alla meravigliosa esperienza della scrittura, è di lasciarsi guidare dalla penna sul proprio foglio, con enorme spontaneità. Ciò non vuol dire perdersi in inutili giri di parole, od allucinanti elucubrazioni…credo invece che uno degli ingredienti per la riuscita di un’opera letteraria, sia la semplicità espressiva…seguite il vostro istinto.
A.M.: Ci sono altre novità per il 2011? Puoi anticiparci qualcosa?
Federica Ferretti: Per quanto riguarda le novità, siamo interessati ad aprirci su vari altri fronti…da una parte, lanciare l’idea di una sottocollana più squisitamente dedicata all’arredamento od al savoir fare femminile: SWEET HOME…e dall’altra, avviare un approccio più scientifico…magari una sottocollana dedicata alla psico-musico-terapia…insomma, ragazzi, scriveteci…ce n’è davvero per tutti i gusti!!!
Entusiasmo e piedi per terra: ecco ciò che si percepisce dopo aver letto le risposte di Federica Ferretti, una bella apertura mentale e tanta voglia di crescere.
- Lascio link utili per visitare il sito della casa editrice e per ordinare il libro.
- http://www.rupemutevoleedizioni.com/
- http://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni
- http://www.facebook.com/pages/Ufficio-Stampa-Rupe-Mutevole/126491397396993
Alessia Mocci
Responsabile Ufficio Stampa Rupe Mutevole Edizioni
Fonte: Oubliettemagazine
Intervista di Carina Spurio a Elvira Facciolini, autrice di “L’addestratrice”
“L’addestratrice”, Demian Edizioni, 2011 è il titolo del tuo primo romanzo fantasy. Il termine fantasy, deriva dalla lingua inglese ed indica un genere letterario nato nell’ottocento, i cui elementi dominanti sono il mito e la fiaba stagliati dentro mondi e dimensioni immaginarie. Nel tuo racconto che ha come protagonisti personaggi di pura fantasia:”Tutto ha inizio in una strana notte nera come la pece … Akila, sedici anni, viene catapultata in un mondo tutto nuovo e strano, parallelo alla Terra , abitato da gente stravagante ed infestato da animali bianchi con gli occhi di ghiaccio”…
Racconta …
Non si tratta di comuni animali, sono in realtà dei veri e propri mostri spietati come del resto lo è anche chi dà loro ordini. Questi esseri hanno tutti delle caratteristiche particolari: sono bianchi e con gli occhi di ghiaccio. Apparentemente per caso, la protagonista s’imbatte in uno di questi, una tigre bianca, con cui ingaggia una lotta terribile al termine della quale l’animale muore e lei scopre di possedere una sorta di potere molto inquietante. L’uccisione della tigre scatena l’ira di tutti coloro che comandano le bestie bianche e che decidono di vendicarsi dell’affronto subìto, rapiscono la protagonista e tentano di far del male ai suoi amici, così la ragazza finisce nel mondo delle bestie bianche. Alla fine non le rimarrà altro che accettare un terribile compromesso.
C.S.: Da dove ha origine la tua passione per il fantasy?
E.F.: La mia passione per il fantasy è nata assieme a quella per la lettura. Questo è un genere che mi ha sempre affascinata fin dai primissimi romanzi che ho letto. E’ incredibile cosa la mente umana sappia creare per allontanarsi dalla realtà che vive.
C.S.: E la scelta del titolo?
E.F.: La scelta del titolo è stata difficoltosa. Abbiamo deciso di intitolare il romanzo “L’addestratrice” poiché dà una vaga idea degli argomenti trattati. Ovviamente c’è anche un’altra motivazione che il lettore scoprirà arrivando alla conclusione della storia.
C.S.: Nella copertina si ammira L’incubo H. Fuseli, 178, un’opera enigmatica e famosa che rivela chiaramente la materializzazione del sogno. L’immagine mostra la dimensione oscura dell’uomo (Inconscio), quella parte che si tende a rifiutare e che malgrado tutto prende forma attraverso ricordi ed emozioni rimosse. Anche tu hai trasformato qualcosa che ti era apparentemente estraneo?
E.F.: Probabilmente sì, l’ho fatto anche se non intenzionalmente. Penso che nei racconti di fantasia la parte inconscia della mente di chi scrive sia continuamente espressa e che prenda vita assumendo la forma di mostri e creature fantastiche. Nel quadro di Fuseli è un incubo a materializzarsi creando questi due animali inquietanti immersi nell’ombra. Credo che nessuna immagine sia più giusta per illustrare questo romanzo, infatti i due animali rappresentano paure e timori e forse anche quelli della mia storia simboleggiano difficoltà ed ostacoli da superare e che sono causa di timore ed inquietudine, chissà…
C.S.: Hai appena 19 anni e sei già autrice di un romanzo, avresti mai immaginato di scrivere un libro alla tua età?
E.F.: Non avrei nemmeno immaginato di scrivere un intero libro fino in fondo! E’ stata una sorpresa anche per me essere riuscita a concluderlo ed anche a pubblicarlo. Sono molto contenta di averlo fatto e spero che sia gradito ai lettori.
C.S.: Cosa vorresti dire ai lettori de “L’addestratrice”?
E.F.: Vorrei ringraziali di cuore per aver deciso di leggere il romanzo. Essendo una storia di fantasia ognuno potrà interpretarla a suo modo, anche se a me piace semplicemente guardarla come pura invenzione e nient’altro.
C.S.: Sono venuti prima i personaggi o la storia?
E.F.: Prima i personaggi, anzi il personaggio. Ho iniziato pensando a chi dovesse essere protagonista della storia, alla fine ho optato per Akila, una ragazza che aveva la mia stessa età quando ho cominciato a scrivere, cioè sedici anni. Ho deciso di narrare le sue avventure come se si trattasse di una mia amica che a sua volta me le raccontava.
C.S.: Cos’è per te la scrittura passione o libertà?
E.F.: Entrambe, in primo luogo deve essere passione perché immagino che altrimenti non avrei scritto nulla, ma è anche libertà, infatti ho scelto il genere fantasy per non essere vincolata dalla leggi della realtà che viviamo, senza le quali ho potuto scrivere tutto ciò che mi veniva in mente, anche cose davvero assurde.
C.S.: Come concili la scrittura con lo studio?
E.F.: Quando ho tanto da studiare sono costretta ad abbandonare la scrittura creativa ma mi sento come se mi mancasse qualcosa. Ci sono delle volte, comunque, in cui sono così ispirata che se non ho tempo di scrivere durante il giorno lo faccio in piena notte, al letto, con enorme disappunto da parte di mia sorella che dorme nella mia stessa stanza.
C.S.: Oltre alla scrittura hai la passione per il disegno …
E.F.: Adoro disegnare. Ci sono emozioni che riesco ad esprimere in modo efficace soltanto disegnando perché non otterrei lo stesso impatto con le parole. E’ semplicemente un altro modo di esprimere quello che si sente dentro.
C.S.: L’ultimo libro che hai letto?
E.F.: Non è un fantasy, si tratta di un libro di Giorgio Faletti, “Io sono Dio”. Mi piacciono molto i suoi libri, li ho letti tutti.
C.S.: A chi dedichi la tua creatività?
E.F.: A chi mi ha dato appoggio e coraggio, cioè alle mie due prime lettrici e amiche Laura ed Erika. Ovviamente lo dedico anche alla mia famiglia, con un grazie particolare a mio padre senza il quale non ci sarebbe stato alcun romanzo scritto da me.
C.S.: Ti piace il cinema?
E.F.: Mi piace tantissimo, ci vado sempre! Di solito comunque i film tratti dai libri non rendono giustizia alla storia narrata, forse perché mentre si legge si ha il potere di immaginare, che viene invece meno vedendo un film.
C.S.: Sei taciturna o loquace?
E.F.: Dipende dalla situazione, di solito sono abbastanza loquace.
C.S.: Come trascorri il tuo tempo libero?
E.F.: Con i miei amici, qualsiasi cosa diventa divertente con loro.
C.S.: Sei innamorata?
E.F.: No e penso che mia nonna non sarà molto contenta di saperlo!
C.S.: La letteratura è una porta che si apre verso mondi meravigliosi e sconosciuti:nei tuoi progetti futuri pensi di sperimentare nuovi generi, oppure di riproporti con un nuovo romanzo fantasy?
E.F.: Per ora penso di continuare con il genere fantasy, del resto è quello che mi piace di più. Ovviamente comunque si dovrà attendere il responso dei lettori. Escluderei altri generi con i quali non saprei proprio come muovermi, almeno per ora.
C.S.: Vivi a Montorio al Vomano. Qual è il rapporto con il tuo paese?
E.F.: Mi piace, è piccolo e tranquillo, secondo me come posto in cui vivere non è male. Mi piace soprattutto il fatto che tutti si conoscano, più o meno, e trovo che questo sia rassicurante.
Elvira Facciolini è nata a Teramo nel 1991 ed è studentessa universitaria. Oltre alla scrittura la sua passione è il disegno.
Fonte: Oubliettemagazine
Diego Dalla Palma a colloquio con Marius Creati
Diego Dalla Palma, icona importante del made in Italy, è una figura artistica tra le più conosciute e stimate nel mondo. Scrittore e noto esperto di immagine, nato a Enego nel 1950, inizia il suo ampio percorso artistico a Venezia, dove plasma doti e affinità culturali, per spostarsi successivamente a Milano, dove collabora, nel ruolo di costumista e scenografo, con la Rai e altri teatri rinomati. Personaggio carismatico, dotato di notevole intensità e professionalità scrupolosa, ha saputo ben conciliare i vari aspetti della consulenza mediatica nel mondo dello spettacolo, della moda e del management, rivelandosi un prestigioso image maker. Il suo lavoro testimonia il fascino della bellezza e dell’estetica per eccellenza, rimarcando i suoi ampi concetti di stile e di seduzione. In seguito intraprende un nuovo percorso culturale legato esclusivamente al mondo della scrittura, esperienza che lo porta inizialmente a pubblicare libri proprio sulla stessa bellezza infusa intorno a se, per poi sfociare in una visione più introspettiva dell’esperienza editoriale ritraendo spunti interessanti sul sentimento e sull’emozione intessendo in tal modo un nuovo sembiante intorno a se molto più intimista. Nell’editoria è rimarchevole il suo ultimo libro “A Nudo”, una nuova testimonianza dei suoi recenti percorsi votati all’interiorità e all’introspezione mediante il quale, attraverso spunti di riflessione legati all’esperienza diretta, rievoca racconti di momenti particolari e fasi cruciali della sua vita, sovente segnati da vicende toccanti e drammatiche che, attraverso il dolore, alimentano una spinta progressiva verso l’emersione del propria identità. Fedele ai suoi modelli di espressione è divenuto uno dei volti più rimarchevoli della televisione italiana, presente in svariate trasmissioni televisive in qualità di conduttore, altresì ospite di molti programmi noti, e testimonial di successo per prodotti di largo consumo e pubblicazioni legate all’orientamento del costume e del valore estetico del bello. Le foto riportate nell’articolo sono una realizzazione del fotografo Marco Marré Brunenghi.
Intervista a cura di Marius Creati
M.C.: Come è nato il desiderio di scrivere? C’é un meccanismo interiore che improvvisamente si é messo in movimento?
Diego Dalla Palma: Anzitutto, Marius, lasciami dire che tu hai il dono di formulare domande che racchiudono già una sorta di risposta. Diciamo che “senti” la risposta che il tuo interlocutore ti darà. Mi è sempre piaciuto scrivere. Ho iniziato a scrivere libri, legati alla sfera più tecnica del mio lavoro, in concomitanza con i miei esordi nel campo decorativo poiché allora sentivo l’esigenza creare una situazione nuova ancora inesistente in Italia . Ho curato e tuttora curo delle rubriche su riviste settimanali e mensili. Gli argomenti erano esclusivamente tecnici, poiché il mio campo d’azione era volutamente indirizzato verso il make up. Da un po’ di tempo a questa parte ho sentito l’esigenza di diversificare la mia professione, apportando nuovi contenuti, e di raccontare la realtà come la sento, come l’ho sentita e l’ho vissuta.
M.C.: Da osannato cultore del fascino a brillante scrittore… come si é evoluta la tua professione nel corso di questi ultimi anni? Nel complesso in te qualcosa é cambiato?
Diego Dalla Palma: Sì, hai colto nel segno. Dopo anni e anni trascorsi a occuparmi esclusivamente di bellezza e quindi di qualcosa di assolutamente leggero, ho sentito l’esigenza di prendere in considerazione la bellezza interiore poiché mi sono reso conto che il mio percorso di vita poteva indirizzarmi verso nuovi percorsi.
M.C.: Il tuo nuovo libro “A Nudo” racchiude esperienze di una cornice realistica vissuta prima del successo, ma il concepirlo nasce da un’esigenza pressoché inestirpabile?
Diego Dalla Palma: Proprio perché, come giustamente osservi l’esperienza che racconto nel libro è reale, ovviamente la genesi parte proprio da lì, dall’adolescenza, dalla gioventù e quindi dal prima del successo.
M.C.: In esso sei slanciato verso una crudezza leale, una sincerità viscerale… ma tracciarne una superficie ti ha permesso di esternare qualcosa di più penetrante?
Diego Dalla Palma: Mi ha consentito di capire e di imparare che il dolore può anche essere un motore che aiuta a rialzarti. Ci si può infangare nella vita, ci si può sfracellare, ma c’è modo di trovare strade diverse.
M.C.: C’é un tema particolarmente toccante che hai ritenuto opportuno descrivere tra le sue pagine?
Diego Dalla Palma: Ce ne sono diversi ma ognuno, a seconda della sua sensibilità, può cogliere e ritenere più toccante un capitolo piuttosto che un altro.
M.C.: Quattro libri importanti sinonimo di quattro grandi successi, l’ultimo editato pochi mesi fa… Esiste un possibile comune denominatore tra loro che, in un certo senso, li equipara e li congiunge?
Diego Dalla Palma: Sì tutti e quattro appartengono a questo mio percorso i cui temi fondamentali sono: l’amore, la morte, il dolore, il perdono. Mi sono abituato ad ascoltare le mie emozioni e questo mi dà grande consapevolezza sulla vita e sulle persone che incontro. Più passa il tempo, più mi accorgo di essere sensitivo.
M.C.: Quattro temi divulgati in quattro differenti pubblicazioni in rappresentanza di diverse esternazioni della tua interiorità. Esiste un messaggio univoco inveterato che germoglia in te?
Diego Dalla Palma: Se vogliamo si possono intendere come un messaggio d’amore dedicato a mio padre e a mia madre.
M.C.: L’amore trionfa sempre dinnanzi alle avversità della vita?
Diego Dalla Palma: La ragione o, meglio, l’amore ragionato trionfa sempre sulle avversità della vita.
M.C.: Dolore e sconfitta intesi come preamboli di un conflitto esistenziale, ma come la débâcle di una vita si trasforma in trionfo? E’ davvero possibile?
Diego Dalla Palma: Direi di sì e la prova è questo libro. Ho avuto una vita molto dolorosa ma sono grato a Dio per tutto ciò che mi ha dato.
M.C.: E’ stato così facile raccontarsi, mettersi a nudo senza incorrere nella reticenza profusa dal peso della notorietà?
Diego Dalla Palma: Sono stato assolutamente me stesso e ho raccontato esclusivamente Diego.
Intervista di Alessia Mocci a Silvia Denti sull’esperienza del Salone del Libro di Torino 2011 – Rupe Mutevole Edizioni
Ieri, lunedì 16 maggio 2011, si è conclusa l’esperienza del Salone Internazionale del Libro di Torino 2011. Tra le case editrici protagoniste, Rupe Mutevole Edizioni si è distinta per la cura delle sue copertine e per l’amorevole compagnia dei suoi collaboratori.
Tantissima affluenza per una casa editrice che fondata nel 2004 sui monti dell’Appennino ligure-emiliano è divenuta una realtà nel mondo dell’editoria minore in Italia.
Silvia Denti, curatrice della raccolta “La Quiete e l’Inquietudine”, ha vissuto interamente il Salone restando sbalordita dalla partecipazione dei lettori e degli autori pubblicati da Rupe Mutevole. Silvia è stata molto gentile e disponibile nel rispondere ad alcune domande sull’andamento delle giornate torinesi e sulle prossime novità. Buona lettura!
A.M.: Il Salone Internazionale del Libro di Torino è ormai concluso, come hai vissuto questa esperienza?
Silvia Denti: Benissimo. Ho avuto modo di incontrare il profumo della carta a tutto tondo, ma soprattutto i “miei” autori, tutti coloro che scrivono e che mi comprendono, esattamente come io comprendo loro. È una sintonia meravigliosa, li seguo come componenti di una grande famiglia che si allarga sempre di più.
A.M.: La collana “La quiete e l’inquietudine” è stata protagonista nelle giornate del 13 e 14 maggio. Com’è andata?
Silvia Denti: Direi “speciale”. Non mi aspettavo tanto calore da parte di tutti, anche da chi ancora non mi conosceva, davvero, mi sono sentita dire “sei meravigliosa” e quasi comincio a crederci. Sono stata felicissima di poter parlare di queste mie collane, coinvolgendo coloro che sono riusciti a venire, dando spazio alla lettura, alle mie analisi dei testi, con un sottofondo di entusiasmo difficile da spiegare, bellissimo.
A.M.: Rupe Mutevole è in contatto con una casa editrice americana non-profit “Chelsea Editions” ed ha approfittato dell’occasione per presentarla. Ha destato curiosità?
Silvia Denti: Sì! Conoscere personalmente un poeta come Alfredo De Palchi mi ha commosso, è un nobile nell’anima e sono sicura che ne nascerà una sinergia importante. Ho potuto dire poco di questo grande poeta-editore, ma quel poco ha interessato tutti coloro che passavano dallo stand. Chelsea Editions porta avanti la poesia a dispetto dell’interesse minimo del mondo, un po’ come faccio io, perché la poesia, quella vera, è vita, è pulizia d’animo. Non bisogna abbandonarla mai. A tale proposito abbiamo presentato Antonella Zagaroli e Luca Fontanella, due poeti bravissimi che hanno già avuto la fortuna di collaborare con Chelsea Editions.
A.M.: Ci sono state domande curiose da parte del pubblico? Qualche aneddoto?
Silvia Denti: Sì, mi ha colpito un ragazzo di nemmeno diciotto anni che ha voluto leggere un pezzo, non suo, di un autore che stavo presentando, lo ha fatto affermando che egli stesso ama scrivere e leggere. Mi ha trasmesso i miei vent’anni, mentre leggeva tremava di emozione. È stato fantastico. Le domande curiose sono state sulle uscite dei libri, i miei, Vibrus e IN/CONTRO, naturalmente la gente si incuriosisce, forse Vibrus è stato l’interesse più vivo, per la sua caratteristica di narrazione, la collaborazione di 5 autori, questo ha suscitato domande sulla sintonia, sull’amicizia scaturita dopo tale esperienza.
A.M.: C’è stato qualche autore, edito da altre case editrici, che ti ha colpito?
Silvia Denti: Non ho avuto modo di approfondire la lettura di altri lavori nei quattro giorni allo stand, certo, c’erano moltissimi nomi, anche di grosso calibro, però la mia attenzione era rivolta soprattutto ai nostri libri, ho notato che spiccavano per la qualità grafica, le copertine molto curate, insomma, mi sono dedicata a RUPE MUTEVOLE interamente anche perché ormai la sento “mia”. Con Cristina Del Torchio c’è una sincera e spontanea amicizia, è una persona eccezionale, voglio dirlo e sottolinearlo. Ci somigliamo negli ideali, ma lei è una roccia, porta fardelli pesantissimi con una classe e una capacità invidiabili.
A.M.: Puoi affermare che Rupe Mutevole è risultata vincente al Salone? Gli obiettivi che si avevano sono stati soddisfatti?
Silvia Denti: Io penso proprio di sì. Ho avuto modo di parlare con molta gente, persone che hanno girato per il Salone osservando e spulciando tra gli editori minori. Nessuno ha apprezzato in maniera particolare gli altri, noi ci siamo distinti per la qualità sia dei contenuti che della veste che ormai ci caratterizza, l’eleganza, la ricercatezza, quel filo caloroso che ci lega con gli autori, ripeto, siamo una famiglia unita e andremo lontano. Lo si capisce da tante cose, dalla complicità che si instaura tra tutti noi, dall’affetto e dalle richieste di chi scrive: non lo abbandoniamo mai, facciamo quello che possiamo e anche di più per dargli rilievo, visibilità.
A.M.: Dopo Torino, incontreremo Rupe Mutevole in qualche altra Fiera del Libro? Puoi anticiparci qualcosa?
Silvia Denti: Sono sicura che a dicembre RUPE MUTEVOLE parteciperà al salone del libro di Roma, ci saremo, faremo ancora grandi cose, sempre più coinvolgenti, sempre più convincenti. I progetti sono tanti e un pizzico di scaramanzia non fa mai male. Vi stupiremo!
Armonia e contatto con il pubblico. Rupe Mutevole al Salone Internazionale del Libro di Torino 2011 ha cercato di operare al meglio per far conoscere la sua realtà ed i suoi collaboratori. Ringrazio Silvia Denti, curatrice della collana “La Quiete e l’Inquietudine”, per la sua professionalità e sincerità.
Link articolo programma giornate Rupe Mutevole Edizioni al Salone di Torino:
http://oubliettemagazine.com/2011/05/06/rupe-mutevole-edizioni-partecipa-al-salone-del-libro-di-torino-2011-padiglione-2-stand-j25/
Lascio link utili per visitare il sito della casa editrice e per ordinare il libro.
http://www.rupemutevoleedizioni.com/
http://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni
http://www.facebook.com/pages/Ufficio-Stampa-Rupe-Mutevole/126491397396993
Alessia Mocci
Responsabile Ufficio Stampa Rupe Mutevole Edizioni
Fonte: Oubliettemagazine
Intervista di Alessia Mocci a Gianluca Serratore ed alla collana Segni Narranti, Rupe Mutevole Edizioni
Vi presento Gianluca Serratore, nuovo acquisto della casa editrice Rupe Mutevole Edizioni. Gianluca è il curatore della nuova collana editoriale “Segni Narranti”. “Segni Narranti” ha tra le sue pubblicazioni due testi: “Katier” ispirato dall’autrice Rosa Mauro, e “La luce negli occhi” ispirato da Haria. Ma in che cosa consiste questa novità? Gianluca è un ottimo fumettista e ha deciso di raccontare queste due pubblicazioni con illustrazioni. Notevole, no? Una nuova riproduzione artistica di miscellaneo divertissement. La collana sarà presentata dal 12 al 16 maggio 2011 al Salone Internazionale del Libro di Torino nel Padiglione 2, Stand J25.
Gianluca è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune domande sulla genesi de “Segni Narranti” e sulla sua formazione. Buona lettura!
A.M.: Chi è Gianluca Serratore?
Gianluca Serratore: <<Ah, signora mia, guardi, Gianluca è proprio un bravo ragazzo, bravo, bravo e bello, bello, bello…>> Ecco questa è la parte scema della mia personalità, poi c’è quella seria, quella razionale, quella attenta, quella malinconica, quella curiosa ed, infine c’è la parte fumettistica che disegnando e raccontando storie racchiude tutte le personalità precedenti.
A.M.: Quando hai iniziato a collaborare con la casa editrice Rupe Mutevole Edizioni
Gianluca Serratore: Tutto è iniziato un anno fa. Come accade sempre è successo in modo fortuito e, come accade sempre è successo perché doveva succedere. Tutto è stato semplice, diretto, come quando ci si innamora. Parlavamo e ci accorgevamo che i fatti e gli obiettivi (che ognuno di noi aveva in mente) parlavano per noi. E così siamo rimasti ad ascoltare ed a creare. Ed eccoci qua.
A.M.: In che cosa consiste la collana “Segni narranti”?
Gianluca Serratore: Questa collana è il centro esatto dell’incontro tra l’arte della scrittura e quella del fumetto. Uno scrittore ci fa accomodare in “casa sua”, ci prende per mano e ci fa vedere i luoghi, i pensieri e le parole che ha bisogno di raccontare. Si prende tutto il tempo necessario per arrivare al suo obiettivo, si sofferma su quello che ritiene più importante e accenna semplicemente quello che fa da sfondo. Il fumetto è più diretto, in poche pagine deve raccontare una storia intera. Un fumettista (o almeno il mio modo di fare il fumettista) gioca sull’impressione che le immagini possono regalare. Una vignetta può essere il riassunto della pagina di un libro. E così ne “Segni Narranti” diamo spazio ai due generi creando un equilibrio, spero, perfetto.
A.M.: Quali sono le pubblicazioni della collana?
Gianluca Serratore: “Segni Narranti” è una neonata e come tale grida per farsi ascoltare e sorride per farsi amare. Al momento sono pronti i primi due albi, KATIER e LA LUCE NEGLI OCCHI. Il primo è un fumetto tratto dal racconto di Rosa Mauro, una scrittrice della schiera di Rupe Mutevole, profonda e matura, come scrittrice e come donna. Il secondo e il primo numero di una (spero) lunga serie, tratto dal libro di Haria, altra scrittrice di Rupe Mutevole, sciamana e donna di conoscenza. Il primo racconto è stato per me un tuffo da uno scoglio altissimo, mi sono lanciato e mentre scendevo, cercavo di realizzare cosa avessi accettato. Poi è stato bellissimo scoprire che il mare in cui mi ero tuffato era un mare ricco di colori e di emozioni e di sfide. Il secondo è stato come penetrare in una foresta incantata di cui non riconoscevo le forme, forse perché l’occhio era abituato alla luce del sole. Poi però ho riconosciuto il luogo dove mi trovavo ed è iniziata una serie ininterrotta di esperienze.
A.M.: Rosa Mauro e Haria sono le prime due scrittrici scelte per questo fantasioso esperimento. Qual è stato il criterio di scelta?
Gianluca Serratore: I libri delle due scrittrici sono stati scelti dalla casa editrice. Il primo perché è un libro che Cristina ama molto, il secondo perché fa parte di una lunga serie di libri che parlano di una realtà presente eppure invisibile agli occhi dei più. Haria, scrittrice e sciamana, diventerà la protagonista di queste storie a fumetti, di questi Segni Narranti e ci farà conoscere un mondo a portata di mano, anche se sconosciuto.
A.M.: Che pensiero hai riguardo la partecipazione al Salone Internazionale del Libro di Torino?
Gianluca Serratore: Quando Cristina mi ha parlato di questa possibilità non ho dormito per un paio di notti e sono state le ore di insonnia più belle della mia vita. Disegnare, leggere, avere libri intorno, è quello che (dopo la mia famiglia) amo di più nella vita. Potrei vivere in una biblioteca, ma alle 18.00 chiudono e mi invitano ad uscire. Una fiera del libro, e quella di Torino poi, è un’immersione totale in questo mondo scritto e lì avrò la possibilità di disegnare, parlare di libri, conoscere persone che hanno questo interesse e presentare insieme alla casa editrice Rupe Mutevole questo lavoro e l’idea che lo guida che ha dello straordinario. Nel vero senso della parola.
A.M.: Qual è l’ultimo libro che hai letto?
Gianluca Serratore: “Il Respiro della Bellezza” di Haria. Lo so cosa state pensando, pubblicità occulta, ma il fatto è che ho mosso un paio di passi nel mondo di questa scrittrice e quello che scrive ha assunto un colore diverso e ho voglia di capirne di più. E così gli ultimi tre libri sono i suoi. Altrimenti vi parlo dell’ultimo libro che ho letto, Rupe Mutevole esclusa, ed è “L’ultima riga delle favole” di Massimo Gravellini. Ero in una sala d’attesa e la persona accanto a me si è alzata per fare due passi in attesa di essere chiamata. Allontanandosi ha lasciato accanto a me il libro ed io mi sono messo ad osservarne la copertina dove in una piccola gabbia per uccelli (tipo quella di Titti) una mano libera un cuore ingabbiato o (è questa doppia possibile interpretazione che mi ha colpito) lo imprigiona (e qui possiamo scatenare lo spirito psicologo che c’è in noi) e poi il titolo: “L’ultima riga delel favole” e cioè “…e vissero tutti felici e contenti”, ma di quello che succede dopo il finale delle favole, pochi ne hanno parlato.
A.M.: Hai altre novità per il 2011? Ci puoi anticipare qualcosa?
Gianluca Serratore: Bè, ci stiamo prendendo gusto, no? E così con la casa editrice abbiamo pensato ad un paio di collaborazioni che riguardano illustrazioni per favole, e poi se il primo numero di Haria avrà successo, abbiamo in mente di far uscire molte storie che riguardano questo personaggio affascinante. Poi chissà, a lungo andare le cose belle, “attirano” progetti e collaboratori. Se vi va, augurateci “Buon Lavoro”.
Gianluca dimostra di aver un notevole entusiasmo ed una sana ironia che non gusta mai! Io gli auguro un Buon Lavoro ed invito tutti gli interessati dal 12 maggio al 16 al Salone Internazionale del Libro di Torino, Padiglione 2, Stand J25.
Link Presentazione Rupe Mutevole Edizioni:
http://oubliettemagazine.com/2011/05/04/presentazione-della-casa-editrice-rupe-mutevole-edizioni/
Lascio link utili per visitare il sito della casa editrice:
http://www.rupemutevoleedizioni.com/
http://www.reteimprese.it/rupemutevoleedizioni
http://www.facebook.com/pages/Ufficio-Stampa-Rupe-Mutevole/126491397396993
Alessia Mocci
Responsabile Ufficio Stampa Rupe Mutevole Edizioni
Fonte: Oubliettemagazine
Intervista di Emanuele Casula al prof. Marco Capuzzo Dolcetta
IL CONFINE, L’ALTRO VERSANTE
INTERVISTA AL PROFESSOR MARCO CAPUZZO DOLCETTA
a cura di Emanuele Casula
PARTE I
Se fate parte di quelli che riconoscono un monaco dall’abito, uno scrittore dalla faccia, un Indiana Jones dal calco di Harrison Ford, allora smettete di leggere perché io non sto scrivendo per voi. La Storia non fa per voi. La storia la troverete nei manuali dei vostri figli.
Non avete smesso? Bene.
Allora comincio…
E.C.: Professor Dolcetta, nessuno come e quanto lei ha varcato in questi ultimi anni il confine tra vincitori e vinti, tra santi e demoni, tra fantasia e realtà. La sua esperienza razionalmente ha analizzato, vissuto e conosciuto cose che i più stenterebbero a credere anche nei film di fantascienza. Le chiedo: in tutti questi anni qual è l’episodio o la persona che più l’ha colpita?
Prof. Dolcetta: Beh, chi mi ha colpito sono Degrelle[i][i], per la sua veemenza, per la sua solarità, per la sua forza; Horia Sima[ii][ii], colui che sostituì Codreanu[iii][iii] al comando, per la tenebrosità, per la sua forza quindi esattamente opposta a Degrelle e il vecchio amico Miguel Serrano[iv][iv] per la sua straordinaria simpatia e fantasia. Un altro personaggio che mi ha colpito, ed è un po’ forse una via di mezzo fra tutti questi, è il Professor Pio Filippani Ronconi[v][v] che è morto un anno e mezzo fa e qui lo ricordo con simpatia. L’ho conosciuto anche tardi perché inizialmente non avevo ben capito il personaggio mentre era in realtà qualcuno che ha la vitalità di un Serrano e la conoscenza vera di tante cose, anche perchè le ha vissute: sia i viaggi in Oriente, viaggi che ha fatto anche Serrano ma in altro modo, in tempi più remoti (rispetto a Serrano ndr) ha combattuto la sua causa, non se n’è mai pentito, insomma un personaggio di livello. Ma il più misterioso di tutti, il più inquietante, rimane per me, senza dubbio, Jean Marquès Rivière[vi][vi], a cui ho dedicato il mio primo libro sul politico-occulto: è un signore di 100 e passa anni e quando l’ho conosciuto sembrava un ragazzino, perché Rivière è un amico di Guenon, poi si scoprì che era sempre stato uomo di Tysserand, quindi uomo del Vaticano che creò la R.I.S.S. (Revue Internationale des Sociétés Sècretes), i Servizi Segreti del Vaticano. Si infilò come infiltrato nella massoneria, si finse pentito, entrò nelle SS durante la guerra, costituì la polizia antisetta a Parigi, girò un film “Le forze Occulte” (diretto da Paul Riche/Jean Mamy nel 1943 ndr), scrisse diversi libri, fondò la rivista “Revue Massonique”, mensile di denuncia delle strategie massoniche, e fece dunque una grande esposizione sul pericolo ebreo e sulla massoneria.Io l’ho conosciuto a Lione negli anni ’70 e ’80, ed era veramente anziano però ogni volta sembrava sempre più giovane, più strano, più misterioso. Devo dire, un personaggio molto misterioso.
E.C.: Il nazionalsocialimo: in pochi anni di regime sono stati varcati confini scientifici, militari, umani che ancora ci sconvolgono e ci turbano. Ma cosa è avvenuto in quegli anni secondo lei? È un lato dell’uomo che tratteniamo o, come scrisse Albrecht Haushofer (nei sonetti scritti nel carcere di Moabit) nella lettera d’accusa al padre Karl[vii][vii], fu aperto per un attimo un ‘vaso di pandora’ da cui emersero forze ignote?
Prof. Dolcetta: Eh! (esclama) Potrebbero essere tutte e due le cose! Cioè sicuramente è stato un momento di lucidità luciferina, volendola definire con la terminologia adatta ai tempi che corrono e alla visione che vede l’esistenza di Lucifero e – che sia buono o cattivo – insomma Lucifero è un portatore di Luce. Sicuramente è stata portata luce su un lato oscuro, che non se lo sono inventati i nazionalsocialisti di sana pianta, ma all’epoca si è creato un sincretismo mitologico. Cioè è come se una straordinaria mente lucida, un insieme di menti, avessero deciso a un certo punto che bisognava dare una svolta a qualcosa: o accelerare la distruzione dell’Occidente o cercare di restaurare una versione mitica dell’Occidente, inventandosi delle maniere di sincretismo fra svariate forme di sapere: sapere religioso, esoterico e non esoterico. Per esempio, sicuramente c’è una componente tantrica, una componente di esoterismo islamico, una componente legata anche alla Kabbalah, c’è una componente Wotanista, odinica, c’è un modo di vedere particolare anche del cristianesimo, c’è del razzismo, dell’arianesimo, c’è del mazdeismo, c’è una grande interlucidità tecnologica sulla medicina e sull’elettronica a venire, cioè tutto un insieme legato. Mi fa venire in mente un romanzo di Kubin[viii][viii] che si chiama “L’altra parte” (pubblicato nel 1909 in Germania ndr) dove il personaggio principale che si chiama Patera, vive nel regno del passato in Cina, nei monti Altaj, che sono i monti dove anche Gurdjeff[ix][ix] è stato… Questo è un romanzo tedesco venuto fuori poi negli anni ’20, quindi antecedente al nazionalsocialismo, che faceva la parafrasi, la parodia della città dell’Europa che si ricrea metaforicamente nell’architettura e nei modi di pensare in Cina attraverso un giovane studente austriaco, un viaggiatore chiamato Patera (il protagonista è un artista senza nome, vecchio compagno di Patera, che va a visitare una città che lo stesso Patera ha ricreato in Asia, città del passato chiamata Perla ndr), il quale appare come specchio dell’interlocutore, cioè Patera quasi non esiste, ma esiste come entità che rifrange l’identità di chi gli chiede le cose e viene distrutto poi soltanto dall’arrivo di un americano, col sigaro e la volontà di fare soldi in questa città piena di contraddizioni, fasulla e tragica e cruenta contemporaneamente (che è questo regno del passato). Alla fine Patera appare di corsa di fronte al protagonista quando cerca di fuggire nella città che sta crollando e finisce in un antro dove alcuni monaci pensano tutto quello che sta accadendo: delle entità pensanti, e Patera, finito, esaurito il suo ruolo, si brucia in un fuoco, fatto proprio da questi monaci che assistono impotenti e disinteressati alla distruzione… Dunque ci fu un’accelerazione in soli dodici anni: sei positivissimi e sei negativissimi. Perché? Non si sa, è un mistero. È questo che mi ha attratto, non tanto l’adesione o meno, mi ripugna l’idea che si uccida una persona, ieri ho visto un cagnolino morto e me lo sto ancora sognando, ho un rigetto verso il sangue, non ne ho la fascinazione, come non sono nemmeno così desideroso di compensazioni perché ci sono dei nazisti che lo diventano per compensazione di una frustrazione, compensano diventando nazisti appunto, il che è una cosa piuttosto kitsch. Ma cosa mi ha affascinato al punto di occuparmi del nazismo – c’è sempre una fascinazione – quindi non una visione ma una fascinazione: la visione che viene a mancare non è interessante oggettivamente, è una visione del mondo poco divertente, però di grande forza, di grande energia, di grande mistero, un fascino che un po’ tutti subiscono: sia chi ha una certa apertura, sia chi nega, sia chi ha dovuto soffrire i propri drammi… Nonostante questo il nazismo non è un fenomeno che è passato inosservato per nessuno: Hitler è il logo che più si è venduto nel XX secolo e quando la rivista Times ha fatto un sondaggio nel 1999 su chi era il personaggio del secolo, vinceva Hitler e allora si sono detti: “lasciamo perdere” e hanno annullato i concorsi. È tutto legato: se ci pensi l’ultimo Papa (Ratzinger ndr) era una SS e non lo nega nessuno, il penultimo (Papa Karol Wojtyla) ha ucciso delle SS (si veda ne “Gli spettri del Quarto Reich”[x][x] ndr). Noi europei siamo ancora dentro questa storia. È una storia strana e io, che sono nato nel 1951, non l’ho vissuta in prima persona , ma ho sempre visto, sentito dire, collezionato ed archiviato le testimonianze e i documenti proprio per dare la testimonianza di qualcosa che, oggettivamente, mentre parliamo non si potrebbe più fare.
E.C.: Uno strano confine. Né il Mosssad né i cacciatori di nazisti di Wiesenthal[xi][xi] hanno mai avuto problemi a varcare i confini per vendicarsi dei carnefici, però è stato lei a ricordare a Wiesenthal che si erano dimenticati dei più fanatici: Bormann[xii][xii] e “Gestapo” Muller[xiii][xiii]. Perché non li hanno mai cercati? O meglio: perché qualcuno li ha protetti? Non mi sembra fossero scienziati in possesso di nuove formule scientifiche…
Prof. Dolcetta: Invece oggi il nazismo lo vendono, continuano a venderlo, come credo che si cerchi fisicamente un Aribert Heim[xiv][xiv] – un personaggio di terzo livello del nazismo anche perché non aveva fatto chissà cosa se non una settimana ad Auschwitz – al Wiesenthal Centre, diretto da Ephraim Zuroff[xv][xv], lo cercano ancora, ma solo per avere essi stessi una ragione di vita nella ricerca dei vecchi nazisti, un Heim se non è morto lo è comunque, ma il concetto è che sino a 4 anni fa non lo cercava nessuno ed era stato ignorato anche quando era più giovane. Guarda caso a Zuroff, il gestore del Wiesenthal Centre, dicono di cercarlo senza mai trovarlo. Il Wiesenthal Centre ora non ha niente a che vedere con quel personaggio di Wiesenthal che ho conosciuto bene, anche lui era disinformato sulla questione. Il Wiesenthal Centre vive di personaggi fasulli che ormai sono praticamente morti o morti viventi, che devono giustificare un trend ideologico-economico, ben descritto nel libro di Finkelstein[xvi][xvi], “L’industria dell’olocausto” (Edizioni Rizzoli), che spiega perché esistono fenomeni ideologici per cui l’olocausto che fino al 1962 era qualcosa di cui vergognarsi, poi è diventato un qualcosa con la O maiuscola ma questo è un altro discorso. Diciamo che, di fatto, il nazismo mi ha colpito per il mistero, per il fatto che non è da sottovalutare, non è un fenomeno di quattro criminali aizzati dall’industria pesante tedesca per vendere – visione materialistica piuttosto riduttiva – basti pensare che al processo di Norimberga si è parlato di tutto meno che dell’ideologia dei nazisti. L’unico che ha parlato dell’ideologia di destra, in tempi relativamente remoti, è Furio Jesi[xvii][xvii] che è morto, ha scritto un libro molto interessante sull’argomento – Cultura di destra[xviii][xviii] anche se non esauriente – e lì si capisce che c’è un pensiero fortissimo, talmente forte che è una bomba atomica proprio per la semplicità del pensiero (per cui meglio nasconderlo, meglio tacere altrimenti si crea un problema perché quello che traspare è sempre così censurato, con le postille per cui il nazismo sono sempre “i morti” della guerra). Sì, è giusto parlarne ma anche pensare che c’è un’ideologia, che c’è un pensiero strutturato che non va ridicolizzato. Forse non se ne vuole parlare perché fa anche un po’ impressione. Quindi mi ha colpito la forza di questo pensiero, il suo mistero, il fatto che fosse emarginato e, quindi, gli emarginati sono sempre i più interessanti… ci sono mille legami, mille rimandi, come se fosse veramente un gioco molto più grande di noi. Tra il lavoro che ho fatto, film, documentari e televisione, articoli e ricerche, sono sceso in un iceberg profondo 100 kilometri ma di cui io ne ho percorsi solo 5.
E.C.: Il fatto che venga ridicolizzato e demonizzato il nazismo può facilitarne il ritorno?
Prof. Dolcetta: Facilitarne il ritorno non credo ma intanto posso dire che è come una miniera esaurita salvo trovare altre falde che non so dove siano. C’è stata una congiunzione di interessi, di menti, di capitali, di tante cose che hanno permesso di creare il nazismo. Se noi ci rifacciamo alle esternazioni di riferimento del cosiddetto nazionalsocialismo, oggi i vecchi nazisti di una volta, sono totalmente inadeguati, non possono certo essere quelli della curva nord della Lazio, non possono essere dei piccolo borghesi miserabili come Alemanno, Fini, questi disgraziati come un La Russa, dei poveracci che non vedono l’ora di farsi la casetta in campagna. Quello non ha nulla a che vedere con la forza che veniva un tempo: saranno dei disgraziati ma io non vedo nulla oggi dell’etica anche criminale del giovane SS lettone che va volontario a 18 anni contro i bolscevichi per esempio. Giusto o sbagliato che sia è tutta un’altra storia. Quindi diciamo che i fenomeni attuali sono delle buffonate.
Marco Capuzzo Dolcetta (Milano 1951) è autore, produttore, regista di cinema, televisione e programmi radiofonici. Tra i suoi saggi ricordiamo Politica Occulta. Logge, lobbies, sette e politiche trasversali nel mondo (Castelvecchi, 1998) e Nazionalismo esoterisco. Studi iniziatici e misticismo messianico nel regime hitleriano (Cooper e Castelvecchi, 2003). Collabora con vari giornali e riviste tra cui Panorama, L’espresso, Le monde, Il Corriere della sera e L’unità.
[i][i] – Politico Belga (1906-1994) entrato a combattere nelle Ss durante la II Guerra Mondiale
[ii][ii] – Politico rumeno(1907 – 1993), sostituì Codreanu come leader della Guardia di Ferro o Legione dell’Arcangelo Michele movimento naionalista, anticapitalista e antisemita rumeno degli anni ’30
[iii][iii] Leader e fondatore (1899 – 1938) della Guardia di Ferro o Legione dell’Arcangelo Michele in Romania, fucilato nel ’38
[iv][iv] Politico scrittore cileno (1917-2009) attivista del partito Nazionalsocialista cileno M.N.S.
[v][v]Eroe di guerra nella II guerra mondiale, passato alle Waffen Ss nel 1943, noto docente ed esperto di Studi, filosofie e religioni Orientali (1920 – 2010)
[vi][vi] Giornalista, scrittore e collaborazionista francese, ha militato nelle Ss Charlemagne (1903 – 2000 ?)
[vii][vii] Generale, politologo tedesco, fondatore della geopolitica (1869 – 1946)
[viii][viii] Scrittore austriaco (1877 – 1959)
[ix][ix] Scrittore, mistico esoterico, intellettuale, imprenditore, nato in Armenia (1872 – 1949)
[x][x] Marco Capuzzo Dolcetta, Gli Spettri del Quarto Reich, Rizzoli 2007
[xi][xi] Simon Wiesenthal, ebreo diventato cacciatore di nazisti nel dopoguerra (1908 – 2005)
[xii][xii] Martin Bormann (1900 – 1945 ?) politico nazista tedesco, scomparso misteriosamente
[xiii][xiii] Heinrich Muller (1900 – 1945 ?) politico nazista tedesco, capo della Gestapo, scomparso misteriosamente
[xiv][xiv] Medico nazista tedesco (1914 – 1992 ?)
[xv][xv] Direttore del Simon Wiesenthal Centre di Gerusalemme
[xvi][xvi] Norman Finkelstein , L’industria dell’olocausto, Rizzoli, 2004
[xvii][xvii] Scrittore, saggista italiano (1941 – 1980)
[xviii][xviii] Riedito da Nottetempo, Roma, 2011
L’intervista è stata pubblicata sul sito Lunario Nuovo all’indirizzo:
http://www.lunarionuovo.it/?q=node%2F367
Grazie per la concessione ad OublietteMagazine!
Fonte: Oubliettemagazine