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Marrakech, leggenda dei sette santi
La cifra sette ha una simbologia cosmica molto forte in diverse culture e religioni. Rappresenta la perfezione del Creato, i sette giorni della settimana, i sette anni dell’Età della Ragione. Nei libri sacri delle tre religioni monoteiste, Dio ha creato il mondo in sette giorni. A Marrakech la leggenda dei sette santi sembra riscoprire una moltitudine di credenze profondamente radicate nelle popolazioni berbere (i Berberi erano animisti, in seguito vennero islamizzati). A Rissani, nel Tafilalet, il santuario di Sbaâ Rsan, i sette sposi, è dedicato a sette fratelli che si uccisero perché la famiglia proibì loro di sposare le ragazze che avevano scelto, di cui erano innamorati. Più vicino a Marrakech il pellegrinaggio dei Regraga che perpetua il Daour, la visita alle tombe dei sette santi fondatori della Confraternita dei Chiadma, situata nell’entroterra di Essaouira. Secondo la tradizione musulmana, i sette dormienti di Efeso sono chiamati Ahl al Kahf o Ashâb al Kahf: le persone della caverna o della grotta che si parla nella 18a sura del Corano (sura della caverna) è a loro consacrata. Secondo la leggenda intorno al 127 D.C., piuttosto di sacrificarsi agli idoli pagani, i sette giovani cristiani di Efeso(Turchia) furono chiamati davanti ad un tribunale a causa della loro fede e vennero condannati ma momentaneamente rilasciati.
Per evitare nuovamente l’arresto voluto dall’imperatore Decio, si nascosero in una caverna sul monte Celion, dalla quale uno di essi, Malco, vestito da mendicante, andava e veniva per procurare il cibo. Scoperti, vennero murati vivi nella grotta, che venne sigillata da un masso. I sette giovani si addormentarono nell’attesa della morte. Verso la metà del V° secolo vennero miracolosamente svegliati dai rumori di alcuni pastori che stavano costruendo un recinto per il loro gregge. Malco, tornato ad Efeso, scoprì con stupore che il cristianesimo eran diventata la religione dell’Impero. Vissero un giorno soltanto, per dimostrare il miracolo voluto da Dio per onorare il loro credo, e l’imperatore Teodosio II fece costruire una tomba ricoperta di pietre d’oro. Il culto dei sette dormienti si sviluppò velocemente in Oriente e nell’Occidente cristiano. Se sono il simbolo, nell’Islam, della fiducia in Dio, lo sono anche come testimoni della resurrezione per la quale sono venerati. Ad Efeso, si continua ad onorare i loro santuario e ogni anno migliaia di pellegrini, musulmani e cristiani, si raccolgono a pregare alla casa di Maria e alla caverna. Il culto è celebrato in altri paesi musulmani come a Damasco e in in Algeria (presso Sétif). Il culto si spande dall’Inghilterra all‘Afghanistan, dalla Finlandia allo Yemen. Un cane accompagnava questi giovani cristiani, Qitmir, che si accuccio ai piedi del grande masso per vegliare i suoi compagni, ed è l’unico cane presente nel Corano ad avere l’accesso al Paradiso: “E li avresti creduti svegli, mentre invece dormivano, e li voltavamo sul lato destro e sul sinistro, mentre il loro cane era accucciato con le zampe distese, sulla soglia (…) rimasero dunque nella loro caverna trecento anni, ai quali ne aggiunsero nove“. Nell’Islam il sette è ugualmente un numero che simboleggia la perfezione: sette sono i cieli e i mari, sette le divisioni dell‘Inferno, sette sono le porte di ingresso al Paradiso. Sono sette i versetti dellaFatiha (la sura che apre il Corano), sette sono le lettere non utilizzatedall’alfabeto arabo “che sono cadute sotto la tavola“, sette sono le parole che compongono la professione di fede musulmana, la Sahâda. Durante il pellegrinaggio alla Mecca, i musulmani devono effettuare sette giri intorno alla Ka’ba e sette percorsi tra i monti Cafâe Marnia. Le sette porte del Paradiso si aprono davanti alla madre dei sette figli. Si legge, sul letto di una donna incinta minacciata di aborto, sette versi della sourate. In Iran al momento del parto, si accende una lampada e si orna con sette tipi di frutta e sette spezie aromatiche. I bambini, nell’Islam ricevono il nome il 7° giorno dalla nascita. Alla vigilia de matrimonio, la ragazza si reca al fiume e riempie e vuota per sette volte la sua brocca, poi getta nell’acqua sette manciate di grano, simbolo magico di fecondità. In Marocco, le donne sterili avvolgono la loro cintura sette volte intorno ad un tronco di un particolare albero, dove sono state fissate sette corde. Sette sono gli elementi essenziali nella parure delle donne. Per assicurare ad un defunto il perdono dei suoi peccati si tracciano sette linee sulla sua tomba; una volta interrato ci si allontana di sette passi e si ritorna davanti alla tomba, sempre di sette passi. Si pensa che l’anima dei morti resti nella tomba per sette giorni. Quando si chiede la grazia ad un santo la regola fondamentale è recarsi al santuario (Zaouia) per sette giorni consecutivi o quattro volte ogni sette giorni. Gli esempi sono innumerevoli e il numero sette, generalmente benevolo, a volte diventa malefico. Uno scritto sacro dichiara che “il sette è difficile“. La celebre opera di Nizami, ” Le sette principesse”, unisce il simbolismo dei colori all’astrologia: “sette palazzi ognuno di un colore dei sette pianeti; in ognuno di loro si trova una principessa di uno dei sette pianeti“. I mistici musulmani dichiarano che il Corano comporta sette sensi (a volte si parla di 70 sensi); una tradizione del Profeta (hadith) afferma che il Corano ha un senso extra-esoterico e un senso esoterico; questo senso esoterico è composto, a sua volta, da sette sensi esoterici che a loro volta, posseggono cadauno sette sensi esoterici. La fisiologia mistica si caratterizza nel sufismo iraniano che si fonda sul numero sette. Autori comeSemnâni distingue sette organi (o involucri) sottili, “dove cadauno è la matrice di un profeta nel microcosmo umano“. Il primo dei sette “involucri” è designato come “organo corporale sottile“; risponde al nome di “Adamo del tuo essere”, il sesto è il “Gesù del tuo essere”. Questi involucri sottili sono associati a dei colori: nero per Adamo, blu per Noé, rosso per Abramo, bianco per Mosè, il giallo corrisponde a Davide, il nero luminoso a Gesù, verde per Maometto. I sette differenti stadi sulla via mistica sono simboleggiati da Attar, nel suo celebre poema intitolato “Il linguaggio degli uccelli“, da sette valli: la prima è quella della ricerca (talab), la seconda quella dell’amore (eshq), la terza della conoscenza (ma’rifat), la quarta valle è quella dell’indipendenza (istignâ), la quinta è quella dell’unità (tawhîd), la sesta quella della meraviglia (hayrat) e la settima valle corrisponde al denudamento e della morte mistica (fenâ).
Fonte: My Amazighen
Mohammed, umiltà dello stile
Quando passi davanti alla sua bottega non ti accorgi di lui. E’ un buco, una tana, qualche metro quadrato mal rassettato e soffocante. Vedi due mani che impastano, con tecnica, mucchi di lana cotta, sapone e pigmenti. Lo confondi con il nero delle pareti, della fuliggine del braciere dove cuoce la materia, è un tutt’uno con la sua sopravvivenza. Davanti al buco una arcobaleno di colori, di forme e disegni, appesi senza una apparente logica, ma tutto ha un senso. lanacotta1Quando ti sporgi all’interno per capire, il sorriso di Mohammed è disarmante, una cascata di neve candida che emerge dal viso sporco e dagli abiti consunti. E le sue mani impastano, e creano. Creano babouches, cappelli, borse di ogna forma e colore, collane e bracciali, il tutto fabbricato con della semplice e povera lana cotta. Dei capolavori di colori, alchimie azzardate che diventano uno stile, quello di Mohammed. Non ha studiato Mohammed, fa parte della tribù degli ex bambini lavoratori dei souks; lavora da sempre, non ricorda la scuola, a malapena spiaccica due parole in francese, ma è il suo sorriso d’avorio puro che parla, i suoi occhi neri che ti raccontano la sua passione per quello che fa, il suo riscatto sociale, la sua bravura, la sua arte. Sembra incomprensibile pensare che un così umile ragazzo, con la sola cultura della vita, possa creare questi oggetti di rara bellezza da cui traspaiono cultura e arte. Le sue mani, sporche e callose, riescono a produrre delle forme originali, mescolando colori, creando fantasie, nuances e raffinati inserti geometrici. Mohammed è uno stilista, allo stato puro, con sensibilità e amore per il Bello, con la grazia della non sapienza, con la tragica consapevolezza degli ultimi. Penso al lungo corteo dei maghi del fashion, alcuni macchiette di loro stessi, che nulla o poco hanno inventato, ma che vivono con spudorata ricchezza le loro vite dorate. E poi guardo Mohammed, rinchiuso nella sua tana, tra i vapori della lana che cuoce, guardo il suo giovane bel viso e nei suoi occhi intravedo la spensieratezza perduta tanto tempo fa e lo Ammiro, come si ammira un capolavoro, un tramonto, un alba nel deserto, un prezioso scrigno ritrovato. Cercatelo nel souk Sebbaghine, subito dopo i tintori della lana, nella sua piccola tana troverete tanti oggetti che con la loro umiltà vi faranno riscoprire un mondo antico, arcaico e immateriale, doni preziosi non ancora persi nel tempo, come il sorriso di Mohammed. E pensare che i suoi oggetti sono stati fotografati su importanti riviste di moda straniere e a Parigi, l’inverno scorso, le borse in lana cotta erano un must!.
Fonte: My Amazighen
Aïd el Kébir 2015, festa del sacrificio in Marocco
L’Aïd el Kébir (festa del sacrificio) si svolgerà in Marocco entro il 23 e il 24 settembre 2015 (fasi lunari permettendo). Questa festa ha la durata di alcuni giorni ed è la più importante in assoluto per l’Islam, simbolo di sottomissione totale di Abramo e, per estensione, di tutti i credenti in Dio (Allah). Ha luogo il 10° giorno del Dhou al Hijja, ultimo mese del calendario musulmano e segna la fine del pellegrinaggio alla Mecca. Secondo il Corano, Abramo, inviato di Dio, obbedendo ad un comandamento divino, si apprestò a sacrificare il suo unico figlio, Ismaele, nato dalla sua unione co Hajar, una ex serva della sua prima moglie Sarah, quando l’Arcangelo Gabriele sostituì, nel momento dell’uccisione, un montone a Ismaele. Questo avvenimento è situato in prossimità della Mecca e, per sottomissione a Dio, Abramo è considerato come il migliore dei musulmani (secondo la Bibbia invece, Abramo è un discendente di Noè). Obbedendo a Dio si apprestò a sacrificare il figlio Isacco, nato dalla sua prima moglie Sarah, e tre erano gli angeli presenti. L’intervento di Dio salvò poi Isacco e l’avvenimento è situato a Gerusalemme. L’animale da sacrificare (il montone) non deve essere ucciso all’istante ma dissanguato. Secondo la legge islamica, questa operazione spetta al capofamiglia, che può delegare un sacrificatore riconosciuto, e deve essere compiuta dopo la preghiera dell’Aïd, venti minuti circa prima dell’alba, annunciata da un Imam. Il montone deve essere poi diviso in tre parti uguali; una per la famiglia, una per i vicini e amici e l’ultima, composta dai pezzi più prelibati, deve essere donata i poveri. Nel Maghreb e in Egitto si utilizza il nome Aïd el Kébir (grande festa) per distinguerla dall’Aïd el Seghir (piccola festa), che segna la fine del Ramadan. In diversi paesi dell’Africa come il Mali, il Niger, il Senegal e il Benin la festa dell’Aïd El Kebir è chiamata Tabaski, mentre per una parte degli Amazighs (berberi) dell’Africa del nord è chiamata Tafaska. In Arabia Saudita e negli altri Paesi musulmani è chiamata Aïd el Adha. Posterò in seguito sugli aspetti sociali, culturali e folcloristici di questa festività, importante e spettacolare, che può essere poco tollerata dai turisti occidentali in quanto sono momenti abbastanza forti e violenti; si calcola che oltre 5 milioni di montoni vengono sgozzati nella mattina del Aïd in Marocco. Quindi a tutti gli animalisti e alle persone estremamente sensibili, consiglio di non raggiungere il Marocco ( e comunque i Paesi musulmani) in quei giorni.
Fonte: My Amazighen
Anoual, battaglia storica per la liberazione del Marocco
La celebrazione della battaglia storica di Anoual, combattuta dalle truppe del Rif e condotta dal leader carismatico Mohamed Ben Abdelkrim El Khattabi, costituisce una opportunità per ricordare questo episodio fantastico nella lotta per la liberazione, del sacrificio e l’abnegazione dei combattenti rifani marocchini e il genio militare del loro capo che apportarono un duro colpo all’invasore spagnolo. Considerata come una pagina gloriosa della storia nazionale per la difesadell’integrità territtoriale, la celebre battaglia di Anoual si inserisce nella linea delle grande epopee condotte dagli abitanti della regione contro l’occupazione iberica, sotto la bandiera del califfo Mohamed Ameziane. Nel debutto del XX° secolo, precisamente durante il periodo 1907-1912, Mohamed Ameziane condusse una strenua resistenza contro l’armata spagnola, morendo in battaglia il 15 maggio 1912. Il moujahid El Khattabi prese in mano la rivolta segnando una pagina memorabile ad Anoual, un sito tra Melilla e Al Hoceima, dove il generale Silvestre diede l’ordine di concentrare il più alto numero di soldati spagnoli, dotati di armi moderne e avanzate per l’epoca. Forte della loro determinazione e galvanizzati dal fervore patriottico e la fede in una giusta causa, la resistenza marocchina diede prova di una grande disciplina dietro il loro capo, che era dotato di un arguto senso militare, conducendo la battaglia a loro vantaggio. L’armata spagnola subì una cocente sconfitta davanti a dei soldati privi di equipaggiamento e materiale logistico, e il generale spagnolo si trovò nell’obbligo di ordinare la ritirata caotica delle sue truppe da Anoual e da altre posizioni nella regione riffana. Malgrado la sproporzione tra i rapporti di forza, Abdelkim El Khattabi, tenne testa alle unità spagnole durante lunghi anni infliggendo loro diverse disfatte, una dietro l’altra, sino al maggio 1926. Da qui, un alleanza franco-spagnola costituì una forza congiunta delle due armate, dotata di armamenti pesanti molto sofisticati, davanti ai quali l’insurrezzione rifana capitolò per risparmiare alle popolazioni della regione una sorte insopportabile. La vittoria di Anoual è diventata una referenza e una lezione dei più grandi strateghi militari durante il secolo scorso e costituisce un catalizzatore nella presa di coscienza dei popoli colonizzati. Questa lotta, non dimentichiamolo, fu una delle grandi tappe del processo di lotta condotta da SAR Mohammed V per la liberazione del Marocco, un processo che trovò il suo prolungamento nella condotta patriottica di SAR Hassan II e del suo successore, SAR Mohammed VI, per consolidare l’integrità territoriale del reame. Nell’occasione della commemorazione di questa gloriosa battaglia, l’Alto Commisario degli Anziani Resistenti e membri dell’armata di liberazione ha organizzato ieri un meeting nel comune rurale diTililit (provincia di Driouch) per ricordare il sacrifico di tanti insorti al servizio della nazione.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
Marocco, simbologia del numero 7
La cifra sette ha una simbologia cosmica molto forte in diverse culture e religioni. Rappresenta la perfezione del Creato, i sette giorni della settimana, i sette anni dell’Età della Ragione. Nei libri sacri delle tre religioni monoteiste, Dio ha creato il mondo in sette giorni. A Marrakech la leggenda dei sette santi sembra riscoprire una moltitudine di credenze profondamente radicate nelle popolazioni berbere (i Berberi erano animisti, in seguito vennero islamizzati). A Rissani, nel Tafilalet, il santuario di Sbaâ Rsan, i sette sposi, è dedicato a sette fratelli che si uccisero perché la famiglia proibì loro di sposare le ragazze che avevano scelto, di cui erano innamorati. Più vicino a Marrakech, il pellegrinaggio della confraternita dei Regraga che perpetua il Daour, la visita alle tombe dei sette santi fondatori della Confraternita dei Chiadma, situata nell’entroterra di Essaouira. Secondo la tradizione musulmana, i sette dormienti di Efeso sono chiamati Ahl al Kahf o Ashâb al Kahf: se ne parla nella 18a sura del Corano (sura della caverna) a loro consacrata. Secondo la leggenda intorno al 127 D.C., piuttosto di sacrificarsi agli idoli pagani, i sette giovani cristiani di Efeso (Turchia) furono chiamati davanti ad un tribunale a causa della loro fede e vennero condannati ma momentaneamente rilasciati; per evitare nuovamente l’arresto voluto dall’imperatore Decio, si nascosero in una caverna sul monte Celion, dalla quale uno di essi, Malco, vestito da mendicante, andava e veniva per procurare il cibo. Scoperti, vennero murati vivi nella grotta, che venne sigillata da un masso. I sette giovani si addormentarono nell’attesa della morte. Verso la metà del V° secolo vennero miracolosamente svegliati dai rumori di alcuni pastori che stavano costruendo un recinto per il loro gregge. Malco, tornato ad Efeso, scoprì con stupore che il cristianesimo era diventata la religione dell’Impero. Vissero un giorno soltanto, per dimostrare il miracolo voluto da Dio per onorare il loro credo, e l’imperatore Teodosio II fece costruire una tomba ricoperta di pietre d’oro. Il culto dei sette dormienti si sviluppò velocemente in Oriente e nell’Occidente cristiano. Se sono il simbolo, nell’Islam, della fiducia in Dio, lo sono anche come testimoni della resurrezione per la quale sono venerati. Ad Efeso, si continua ad onorare il loro santuario e ogni anno migliaia di pellegrini, musulmani e cristiani, si raccolgono a pregare alla casa di Maria e alla caverna. Il culto è celebrato in altri paesi musulmani come a Damasco e in in Algeria (presso Sétif). Il culto si spande dall’Inghilterra all‘Afghanistan, dalla Finlandia allo Yemen. Un cane accompagnava questi giovani cristiani, Qitmir, che si accucciò ai piedi del grande masso per vegliare i suoi compagni, ed è l’unico cane presente nel Corano ad avere l’accesso al Paradiso: “E li avresti creduti svegli, mentre invece dormivano, e li voltavamo sul lato destro e sul sinistro, mentre il loro cane era accucciato con le zampe distese, sulla soglia (…) rimasero dunque nella loro caverna trecento anni, ai quali ne aggiunsero nove“.
Nell’Islam il sette è ugualmente un numero che simboleggia la perfezione: sette sono i cieli e i mari, sette le divisioni dell‘Inferno, sette sono le porte di ingresso al Paradiso; sono sette i versetti della Fatiha (la sura che apre il Corano), sette sono le lettere non utilizzate dall’alfabeto arabo “che sono cadute sotto la tavola“, sette sono le parole che compongono la professione di fede musulmana, la Sahâda. Durante il pellegrinaggio alla Mecca, i musulmani devono effettuare sette giri intorno alla Ka’ba e sette percorsi tra i monti Cafâ e Marnia. Le sette porte del Paradiso si aprono davanti alla madre dei sette figli. Si legge, sul letto di una donna incinta minacciata di aborto, sette versi della sourate. In Iran al momento del parto, si accende una lampada e si orna con sette tipi di frutta e sette spezie aromatiche la partoriente. I bambini, nell’Islam ricevono il nome il 7° giorno dalla nascita. Alla vigilia del matrimonio, la ragazza si reca al fiume e riempie e vuota per sette volte la sua brocca, poi getta nell’acqua sette manciate di grano, simbolo magico di fecondità. In Marocco, le donne sterili avvolgono la loro cintura sette volte intorno ad un tronco di un particolare albero, dove sono state fissate sette corde e sette sono gli elementi essenziali nella parure delle donne. Per assicurare ad un defunto il perdono dei suoi peccati si tracciano sette linee sulla sua tomba, una volta interrato ci si allontana di sette passi e si ritorna davanti alla tomba, sempre di sette passi. Si pensa che l’anima dei morti resti nella tomba per sette giorni. Quando si chiede la grazia ad un santo la regola fondamentale è recarsi al santuario (Zaouia) per sette giorni consecutivi o quattro volte ogni sette giorni. Gli esempi sono innumerevoli e il numero sette, generalmente benevolo, a volte diventa malefico. Uno scritto sacro dichiara che “il sette è difficile“. La celebre opera di Nizami, “Le sette principesse”, unisce il simbolismo dei colori all’astrologia: “sette palazzi ognuno di un colore dei sette pianeti; in ognuno di loro si trova una principessa di uno dei sette pianeti“. I mistici musulmani dichiarano che il Corano comporta sette sensi (a volte si parla di 70 sensi); una tradizione del Profeta (hadith) afferma che il Corano ha un senso extra-esoterico e un senso esoterico. La fisiologia mistica si caratterizza nel sufismo iraniano che si fonda sul numero sette. Autori come Semnâni distingue sette organi (o involucri) sottili, “dove cadauno è la matrice di un profeta nel microcosmo umano“. Il primo dei sette “involucri” è designato come“organo corporale sottile” e risponde al nome di “Adamo del tuo essere”, il sesto è il “Gesù del tuo essere”. Questi involucri sottili sono associati a dei colori: nero per Adamo,blu per Noé, rosso per Abramo, bianco per Mosè, il giallo corrisponde a Davide, il nero luminoso a Gesù, verde per Maometto. I sette differenti stadi sulla via mistica sono simboleggiati da Attar, nel suo celebre poema intitolato “Il linguaggio degli uccelli“, dalle Sette Valli: il primo stadio è quello della ricerca (talab), il secondo è quello dell’amore (eshq), il terzo è quello della conoscenza (ma’rifat), il quarto è quello dell’indipendenza (istignâ), il quinto è quello dell’unità (tawhîd), sesto stadio quella della meraviglia (hayrat) e il settimo quello del denudamento e della morte mistica (fenâ).
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
Musicisti Gnaoua, tra spiritualità e paganesimo
Alla più parte delle persone non è dato comprendere il reale significato di questa particolare musica che, di anno in anno, recluta nuovi appassionati e adepti. L’immagine che il Festival di Essaouira rimanda al mondo intero è quella di una “Woodstock” musulmana. Pace, danze e canti condivisi, gioia di vivere e convivialità contagiosa (con un tocco spirituale in più) sono oramai i marchi di fabbrica di questo, che gli iniziati chiamano semplicemente, “Festival“. Vero è che in questi tempi di terrorismo e di confronto ideologico mondializzato è bene ricordarsi che l’Islam, nella sua versione più pop, non promette niente altro che la pace e la fraternità. Ed è bello pensare che tutto questo arriva dal Marocco, da Essaouira e da nessuna altra parte. Gli Gnaoua furono deportati dall’impero della Guinea (attualmente il Senegal, Guinea e Mali) nel XVI° secoloe divennero gli schiavi che in seguito si unirono alle tribù berbere e ai cittadini diMarrakech o Fés. Anche se vissero sotto lo stesso sole marocchino ci vollero secoli prima che vennero accettati dalla popolazione locale. La ragione? In primis la loro musica. Strana e enigmatica, ambigua e provocante, è alla volte l’espressione di una volontà di libertàma anche volontà di esorcizzare i loro dolori ancestrali nati dalla schiavitù. Secondo: i loro riti, che molti considerano come pagani. Ma chi sono veramente gliGnaoua? Loro si considerano gli intermediari tra i Mlouk (chi possiede) e i Mamloukines (i posseduti). Durante una Lila (notte rituale) gli Gnaoua invocano Dio, il suo profetaMaometto, i grandi santi dell’Islam (in particolare Moulay Abdelkader Jilali e Moulay Brahim). Il loro scopo? Riuscire a stabilire un dialogo tra una persona posseduta e lo spirito di chi la possiede. Con l’incessante suono del guembri suonato da un maâlem, la persona in questione entra in uno stato di trance e non può più fermarsi. Ho assistito personalmente ad una Lila vera, non per turisti, unico occidentale tra un centinaio di persone presenti. Totalmente affascinato e a tratti intimorito, ho passato una serata e una nottata a cercare di capire, con ragionevoli dubbi e buoni propositi, ma questo rituale tocca le frontiere dell’irreale quindi è inutile porsi delle domande; basta cercare di viverlo senza barriere e analisi sociali, al meglio. Il rito Gnaoua si identifica, per certi aspetti, ad altri movimenti creati dagli schiavi africani deportati verso altri continenti.È il caso per esempio del rito Woodo adHaiti o al Candoblé in Brasile. In effetti i cugini degli Gnaoua sono riusciti a salvaguardare una parte del loro patrimonio africano attraverso questi riti particolari. Sull’isola di Haiti, il woodo è un movimento piuttosto violento, che comporta dei rituali invocanti la morte sul fondo di percussioni pesanti. I canti Woodo (come quelli Gnaoua) sono pregni di una grande emozione e di un soffio di rivolta mai sopito. Questi canti furono al centro della rivolta di Haiti nel 1791 che pose fine alo stato di schiavitù dei suoi abitanti qualche anno più tardi. Ma la musica Gnaoua ( o tagnaouite) è anche un percorso musicale che accomuna per esempio, ilblues. Se si ascolta e si paragona i due ritmi si possono incontrare molte similitudini. In effetti i loro autori principali sono di origini africane e tutti discendono dagli schiavi deportati a suo tempo. Anche se gli Gnaoua non hanno lasciato il loro Paese e il continente africano, la loro musica è pregna della situazione di schiavi, come i bluesmen. Sola differenza: gli strumenti utilizzati; se i bluesmen hanno accettato, a partire da un certo periodo, di suonare diversi strumenti come le chitarre o il pianoforte, gli Gnaoua sono stati costretti a costruirsi i loro strumenti partendo da materiali rudimentali. È il caso delGuembri, costruito in un solo pezzo con legno intagliato. Dopo il debutto, il Festival Gnaoua di Essaouria ha favorito l’incontro, naturale, tra gli Gnaoua e i musicisti blues per il grande piacere della platea in ascolto. Inconvertibile il fatto che la nuova scena musicalemarocchina è largamente influenzata dalla musica Gnaoua e tutti i gruppi attuali di Fusionrivolgono con attenzione i loro sguardi a questi musicisti d’eccezione. Darga, Hoba HobaSpirit o ancora i Ganga Fusion integrano dei tocchi più o meno importanti di musica Gnaoua nei loro pezzi. Sono sopratutto i krakebs ad essere più presenti nei gruppi alternativi attuali, in totale armonia con chitarre elettriche, batterie e strumenti moderni. Basta fare un salto a Casablanca durante il Festival L’Boulevard per vedere che la maggioranza dei gruppi in competizione nella categoria Fusion si rifanno, sovente, al patrimonio musicale marocchino e alla tagnaouite; prova provata che attualmente la musica Gnaoua è molto popolare tra i giovani marocchini. Ci sono voluti secoli ma alla fine gli Gnaoua sono riusciti a far accettare la loro musica all’unanimità ma, quello che è sicuro, è che oggi gli Gnaoua sono considerati come i veri portabandiera della musica tradizionale marocchina. Il Festival di Essaouira, Musica dal mondo, si svolgerà quest’anno dal 20 al 23 giugno 2013.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
Marrakech, i sette santi della Dekka Marrakchia
La “Dekka Marrakchia“ è apprezzata da tutti i marocchini, che non dimenticano mai di invocare i santi di Marrakech. Sapete che pronunciare “vado al sebaätou rijal” significa che quella persona si recherà a Marrakech? Questo perchè la leggenda dei sette santi è talmente radicata in Marocco che è sinonimo della Ville Rouge. Infatti, da secoli, lo status di Marrakech come capitale, attirò migliaia di persone che provenivano da diversi orizzonti ed era necessario un simbolo di unità che, i sette santi, hanno contribuito ad assicurare. Ma perchè solamente sette fanno parte di questo cerchio stretto di santi patroni della città? La tradizione dei sette santi di Marrakech nacque in seguito ad una decisione politica presa dal sultano Moulay Ismâil (1672-1727) per controbilanciare l’influenza, sempre più importante, dei sette santi di Regraga, nei dintorni di Essaouira. L’istituzione venne creata da Hassan El Youssi, grande sapiente e fine conoscitore del Marocco di quell’epoca. Costui scelse i sette santi, dove il solo punto in comune era quello di essere sepolti nei diversi quartieri della città. Due di loro erano nativi di Marrakech: Sidi Youssef Ben Ali e Sidi Abdelaziz Tebbaä. Cady Ayyad e Sidi Bel Abbès erano originari di Sebta, Sidi Ben Slimane di Souss, Sidi Abdellah El Ghazouani di Jbala, nel nord, e l’imam Souheili era andaluso. Un pellegrinaggio sulle tombe dei sette protettori della città venne istituito per indorare il blasone di Marrakech che soffriva, sul piano religioso, della concorrenza del pellegrinaggio ai sette santi di Regraga. Questa manifestazione annuale ebbe molto successo. A partire dal XVIII° secolo venne vivamente contestata dai musulmani ortodossi. Questi ultimi misero in causa il fatto che i credenti NON potevano indirizzare le loro preghiere che ad Allah solo (come scrive il Corano). Tutti questi santi furono dei grandi sapienti in teologia islamica o dei grandi mistici sufi. Da ricordare che il termine santo non è riferito esclusivamente ad una persona di fede che ha compiuto dei miracoli, ma anche a persone molto pie che durante la loro vita hanno fatto del bene agli altri, insegnando la morale e la religione. Il più importante di queste santi è sicuramente Sidi Bel Abbès, considerato dagli abitanti di Marrakech come il vero e unico patrono della città. Sidi Souheil, l’imam, nacque a Malaga ed era conosciuto per la sua poesia sufista e la sua grande apertura di spirito in un momento storico di forte censura religiosa. Questo vecchio erudito venne invitato da Yacoub El Mansour. Scrisse due capolavori: uno sui nomi propri del Profeta citati nel Corano, l’altro sulla biografia di Sidna Mohammed. Questo sant’uomo ebbe una vita semplice e mesta morendo a Marrakech nel 1186. È sepolto nelle vicinanze di Bab Robb e gli studenti con problemi di memoria si affidano a lui pregando sulla sua tomba. Sidi Ben Abdalah El Ghazouani, detto Moul El Ksour, era originario della tribù berbera dei Ghomara. Consolidò il rinnovamento sufista iniziato da Sidi Ben Slimane. Dopo aver studiato a Fès ed in seguito a Granada, si installò a Marrakech per completare la sua formazione con Sidi Abdelaziz Teabaâ. La sua reputazione riuscì a gettare un ombra sul sultano Sidi Mohammed Cheikh (dinastia merinide), che lo fece incarcerare nelle prigioni di Marrakech. Il successivo sultano (dinastia watasside) lo fece liberare (grazie al malcontento della popolazione), e creò a suo nome una Zaouia a Fés, alfine di isolarlo da Marrakech. Molto velocemente però, il santo torno’ a Marrakech e fondò una Zaouia nel quartiere di El Ksour. Morì nel 1528 e venne sepolto non lontano dalla moschea di Mouassine. Si pensa che i suoi dissapori con il sultano merinide erano dovuti al fatto che avesse predetto la fine della dinastia, che avvenne puntualmente. Sidi Abdelaziz Tebbaâ, mercante di seta a Fés, si interessò tardivamente alla vita spirituale. Principale discepolo di Sidi Ben Slimane ed erede spirituale di Sidi Ben Soulayman Al Jazouli, propagò l’etica sufista nelle migliaia di corporazioni di artigiani presenti in quell’epoca. A Marrakech visse presso la moschea di Sidi Ben Youssef, dove morì nel 1508. Sidi Mohammed Ben Souayman Al Jazouli si iscrisse alla Medersa di Fés dove eccelse negli hadith e nell’esegesi. Nel XV° secolo fondò il sufismo in Marocco, in vista di una mobilitazione contro l’invasione iberica. Fervido promotore della guerra santa contro i portoghesi e uomo politico influente, attirò a se migliaia di fedeli. Morì nel 1466 (870 dell’hegira) a Jazoula (Essaouira). Il suo corpo venne trasferito poi a Marrakech. Scrisse la celebre raccolta di preghiere Dala’il al-Khayrat (il cammino dei benefattori). Questo libro storico è la referenza incontestabile di tutti gli invocatori di grazie al Profeta, delle confraternite sufiste nel mondo. Il mausoleo è datato nell’epoca saadita e venne restaurato verso la fine del XVIII° secolo. La zaouia Jazaouila si trova a nord della medina, in prossimità della strada Dar el Glaoui. Sidi BelAbbès è incontestabilmente il più venerato della città. Nacque a Sebta nel 1145 ed arrivò a Marrakech all’età di 20 anni. Si installò sulla collina di Gueliz (ora centro europeo della città), in una grotta, nelle vicinanze di una sorgente d’acqua. Visse da eremita per 40 anni senza mai entrare nella medina. La celebrità di questo predicatore libero era talmente forte che Yacoub El Mansour lo invito’ ad insegnare, un dovere che accettò rinunciando al suo eremitismo. Discepolo di Cadi Ayyad, spese la sua vita ad aiutare gli ultimi e i non vedenti. Il califfo Abdelmoumen andò in visita al santo e si udì dire: “Tutto quello che vuoi che io faccia per te sarà fatto“. Morì nel 1205 ma è soltanto nel 1606 che il sultano saadita Abou Faris fece costruire il suo mausoleo, nella speranza di guarire da una epilessia. Dopo questo, non cessò mai di essere venerato da tutti i sovrani, sino ad Hassan II che fece ristrutturare il santuario nel 1998. Sidi Bel Abbès fu uno degli interlocutori di Ibn Arabi ed ebbe una grande amicizia con Averroès. Patrono della città lo è anche dei commercianti, degli oculisti, dei passamantieri, degli artigiani del sapone e degli operai delle presse.
È sepolto nel cimitero di Sidi Marouk, nel santuario di Bab Tarzoud, unico aperto ai non musulmani (è possibile entrare nella grande corte centrale e, con un po’ di fortuna avvicinarsi alle grate del mausoleo da cui si intravede il catafalco) . Il santuario fa parte del pellegrinaggio dei Regraga di Essaouira, istituito da Moulay Ismaîl. Questo santo dei santi è il più invocato negli atti essenziali della vita e la sua invocazione precede il rito dell’halqa. Tutti i cantori della Place Jemaa el Fna lo ricordano con queste parole: “Nel nome del Santo patrono di Marrakech, colui che veglia sulla città immutabile, un piede sull’altro, che trova la sua quietudine solo se il mondo è in pace, bambini di paese o visitatori stranieri“. Cadi Ayya Ben Moussa, grande imam di Sebta, anche chiamato Cadi di Granada è il più celebre dei dottori della corrente religiosa malekite nel Occidente musulmano. Nell’ascesa al regno degli almoravidi, conobbe l’esilio a Tadla e poi a Marrakech dove vivrà sino alla sua morte nel 1149. Il suo amore verso il profeta lo portò a scrivere la sua opera più importante, Al – Chiifaa, ed il suo rigore ortodosso gli valse il titolo di santo. E’ sepolto nell’antico Marabout di Bab Aîlen. Sidi Youssef ben Ali, di origini yemenite, fu un brillante allievo dello sceicco Ben Asfour, a Marrakech. Lebbroso, passò tutta la sua vita nel lebbrosario situato a Bab Aghmat. Pur essendo molto malato portò avanti la sua fede incrollabile sino alla morte nel 1196. Si volle edificare un edificio solo per lui: la moschea Ben Youssef. Di origine almoravide questa moschea restò per quattro secoli il santuario centrale della medina, sino alla costruzione della moschea Mouassine. Venne restaurata e modificata nel XVI° secolo, poi ancora agli inizi del XIX° secolo e, ad oggi, poco rimane dell’edificio iniziale. Sidi Youssef ben Ali morì nel 1196 (593 dell’hagira). Il mausoleo venne eretto dal sultano saadita Moulay Abdallah e la zaouia è situata a Bab Aghmat; è comunemente chiamato dagli abitanti di Marrakech “Sidi Youssef il lebbroso“, in ragione delle enormi sofferenze subite durante la malattia. I sette santi di Marrakech occupano uno spazio essenziale nella storia, nella vita, nella cultura e nell’immaginario collettivo della città. Le sette torri furono costruite nel 2005, a Bab Doukkala, e sono un monumento che illustra l’amore e la fedeltà della Ville Rouge per i suoi santi. Il pellegrinaggio annuale raccoglie migliaia di fedeli e riproduce il percorso circolare attorno alla Kaaba, durante il pellegrinaggio alla Mecca. Il circuito devozionale ha un percorso immutabile attraverso la Medina, da sud-est a sud-ovest, passando per il nord. Inizia sempre di martedì per teminare il lunedì successivo, ed ogni giorno si fa visita ad un santo. La “ziara” si effettua in questo ordine: Sidi Youssef Ben Ali il martedì, Cadi Ayyad Benmoussa, entrando per la porta di Bab Aghmat il mercoledì, Sidi Bel Abbès il giovedì, entrando per Bab Khemis, il venerdì passando da Bab Tarzoud si accede al mausoleo di Sidi Ben Slimane, il sabato Sidi Abdelziz Tebbaâ, la domenica tocca a Sidi Abdellah El Ghazouani e il lunedì, passando da Bab Robb, il pellegrinaggio termina sulla tomba di Sidi Souheili.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
Moussem, manifestazioni culturali del Marocco
Se esiste qualcosa di comparabile ad un Moussem potremo immaginare una nostra sagra in onore di un Patrono; una festa sicuramente religiosa per onorare un Santo ma anche una grande festa paesana, una fiera, commerciale e di scambi, un modo per ritrovarsi dopo un anno di lavoro, magari isolati in qualche villaggio sperduto. Piccoli, limitati a delle piazze nei villaggi o molto grandi, ormai reputatati a livello internazionale come il Moussem dei fidanzamenti a Imilchil o come quello delle rose a Kealaa T’Mgouna, i Moussem si succedono durante tutto l’arco dell’anno specialmente nel sud del Marocco, zone famose per queste tradizioni, ricche di Zaouie (Santuari) che hanno avuto e hanno ancora una grande influenza nell’insieme del mondo arabo. La Zaouia è un centro spirituale Soufidove vengono effettuate le pratiche spirituali e dove sono sepolti i Santi fondatori dellaConfraternita che occupa il centro. Fondata da un uomo religioso, rispettato e saggio, un Sidi, che viene celebrato durante il Moussem. Questo Sidi (trad. Signore) può anche essere sovente un Marabout, ma non è obbligatorio. Il Marabout è un uomo di fede a cui Dio ha donato dei poteri che si manifestano attraverso dei miracoli come la guarigione dei malati ecc…Sepolto in un monumento che viene chiamato per estensione Marabout, continua dopo la sua morte a proteggere la sua comunità e a miracolare. Un altra ragione per proclamare un Moussem è semplicemente per fare delle feste. Queste ultime sono sovente luoghi di circoli agricoli, feste della mietitura o dei raccolti, che trovano il suo culmine nella festa dei datteri a Erfoud o nella festa delle rose a Kela T’Mgouna. I Moussem per tutte le popolazioni anticamente nomadi sono l’occasione, a volte unica nel corso dell’anno, per ritrovarsi, per scambiarsi informazioni, per ricostituire i circoli familiari, per trovare una moglie, sentirsi parte di una comunità. E per gli stanziali è l’occasione di incontrare gli amici o i parenti lontani che vedono raramente. Di fianco a queste celebrazioni tradizionali molti Moussem più moderni, senza storicità alcuna, sono nati come semplici manifestazioni culturali come le Sinfonie nel Deserto a Ouarzazate, il Festival della Fantasia di Meknes o il Festival di musica Gnawa a Essaouira. Queste manifestazioni sono ovviamente di grande qualità e offrono il meglio in termini di cultura marocchina.
Il primo Moussem che tratto oggi è quello dei Ceri a Salé o Moussem di Sidi AbdallahBenhassoun; una tradizione ancestrale che celebra l’Aid Al Mawlid caratterizzata dall’organizzazione di attività culturali e pedagogiche oltre ad una cerimonia religiosa chiamata delle Chorfas Hessounyine. Questo Moussem riveste un aspetto religioso, artistico, culturale di beneficienza ed è l’occasione per commemorare la vita del profetaMohammed, la sua nascita, i suoi miracoli, la sua fede, i suoi atti e in primis la grandezza dell’Islam. La città di Salé vive per una settimana intera al ritmo di questo Moussem che ha come clou la processione dei ceri, l’evento più spettacolare; ceri che sono presenti ovunque nella città dopo la preghiera di Al Asr (11 Rabii) in direzione del Mausoleo Sidi Abdallah Benhassoun. Il corteo segue un ordine protocollare secolare, molto rigido: in testa marciano i Chorfa Assouniyine (confraternita) in compagnia degli Oulema, dei Fouquarae degli adepti della Zaouia Hassounya, seguono i ceri, le confraternite religiose e in finale il folklore locale. In questi anni molteplici attività culturali e sociali sono stati previste come mostre fotografiche sui monumenti di Salé, serate musicali al Mausoleo e una veglia religiosa nel corso della quale vengono recitati versetti del Corano e panegirici. Fu il mistico e grande soufi Sidi Abdallah Benhassoun (1515-1604) designato dal Sultano saadita Ahmed El Mansour Addahabi, l’iniziatore della processione dei ceri, e per vegliare sul buon sviluppo del Moussem diventato, per la maggior parte, ad appannaggiò della sua discendenza.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
”Il Sufismo e la sicurezza spirituale: fondamenti, manifestazioni e prospettive“, 7° incontro mondiale di sufismo a Madagh
Il 7° Incontro Mondiale di sufismo si è aperto lunedì a Madagh (provincia di Berkane), sotto il tema : ”Il Sufismo e la sicurezza spirituale : fondamenti, manifestazioni e prospettive“. Questa manifestazione, organizzata dalla Tariqa Qadiriya Boudchichiya in celebrazione dell’Aïd Al Mawlid Annaboui Acharif, permette di stabile un ponte tra le civilizzazioni e di contribuire al dialogo interculturale. Organizzato in patnerariato con il Centro euro-mediterraneo di studi sull’Islam (CEMEIA) di Parigi, con la partecipazione di 55 ricercatori, universitari e intellettuali, questo avvenimento testimonia l’importanza che accorda il sufismo sunnitaalla promozione dell’individuo ai più alti livelli della moralità e alla consacrazione dei valori dell’Islam, quelli della pace e della civiltà. L’accento è stato evidenziato sul ruolo del sufismo nella consolidazione della pace e della sicurezza spirituale; gli interventi sono stati in effetti degli appelli per mettere in evidenza i principi e i valori di ordine educativo, morale e cognitivo del sufismo in vista di apportare delle soluzioni alle problematiche che affronta l’umanità, in primis il pericolo delle divisioni e lo choc inter-civilizzazione. In una dichiarazione alla MAP, il direttore di questo incontro mondiale, Moulay El Kadiri Boudchichha stimato che i ricercatori sulla storia del Marocco hanno appurato la forte presenza del sufismo nella vita dei marocchini attraverso i ruoli, le missioni memorabili dei suoi adepti e delle sue zaouie (santuari). Ad oggi, il Marocco può affermare la sua esperienza singolare di abbraccio interculturale che dura da millenni ed è una complementarietà tra le componenti della sua identità nazionale e religiosa. Un atout che gli permette di posizionarsi all’avanguardia nella dottrina del sufismo in Africa, in Europa e in tutto il mondo arabo.
Fonte: My Amazighen
Islam, cultura islamica e Occidente nei secoli
Tra il VII° e il X° secolo l’Occidente cristiano venne profondamente scosso dagli ultimi epigoni della conquista araba, anche se quel mondo, come abbiamo visto in seguito, venne solo marginalmente toccato dall’ondata saracena, in particolare la Spagna, l’Italia del sud (solo in parte quella del nord) e la Gallia meridionale. All’inizio l’Occidente confuse queste incursioni incessanti con le molte altre invasioni barbariche di cui era stato oggetto. Questa confusione resta ancora oggi ed è proprio da questa originaria esperienza di aggressione che la coscienza medioevale formò la sua immagine dell’Islam. Le cose cambiarono quando l’Europa cristiana, attraverso le Crociate, superò i limiti del proprio territorio e si proiettò all’esterno. Bisogna a questo punto distinguere tra la visione dell’Islam nel mondo popolare e quella della filosofia scolastica. La prima era nutrita dalle Crociate e si svillupava a livello dell’immaginario, la seconda si nutriva del confronto islamico-cristiano in Spagna e si sviluppava a livello razionale. Nella letteratura popolare i musulmani erano visti come pagani e il Profeta Maometto era considerato un “mago corrotto“, a capo di un popolo di “infedeli“; gli eruditi invece conoscevano l’apparato dottrinale dell’Islam in quanto esisteva una traduzione del Corano a cui attingere e capire. Se l’Islam venne riconosciuto per le sue conquiste scientifiche e per le sue filosofie, venne contemporaneamente negato in quanto religione e morale. L’Occidente si dissociò dall’apporto del pensiero arabo congiunto al giudizio sul valore morale dell’Islam. Si formò dunque una visione intellettuale che dal XII° secolo si prolungò sino al XVIII° secolo e si potrebbe dire, per certi elementi in causa, sino all’epoca coloniale in modo praticamente identico. Questa visione si basa in primo luogo su una profonda collera contro il Profeta che spense l’evoluzione dei popoli verso il cristianesimo; il Profeta non solo abusò della credulità della folla, ma la sua vita divenne esempio di sensualità e violenza, secondo i canoni occidentali. Il suo messaggio venne considerato un messaggio umano e il Corano non sarebbe stato che un insieme deformato di leggende prese a prestito dalla Bibbia. L’Islam era considerato come un elemento perturbatore, un ultimo arrivato, senza elaborazione dottrinale e in ultima analisi semplicistico, che pretendeva di collocarsi sullo stesso piano del cristianesimo. Da qui ne deriva una visione dell’anima musulmana, che scaturisce dal comportamento del suo pseudo-profeta, che è l’antitesi del comportamento di santità fondata sulla repressione degli istinti. L’Islam aveva, e a tutt’ora, una concenzione del Paradiso “carnale” e materiale, ammette la poligamia e veniva visto quindi come religione del sesso, della licenza, dell’istinto che prevale sulla ragione. Ci si può domandare se all’origine di questa visione (eccessivamente negativa) non ci fosse stata l’ossessione del sesso che abitava quel piccolo mondo intellettuale. Accanto alla sessualità, il secondo tema sviluppato dalla visione medievale occidentale era quello della violenza e dell’aggressione. Violenza musulmana percepita all’unanimità e proiezione sull’Islam della propria violenza. Gli autori che esprimono il loro pensiero in modo razionale fanno un confronto tra il Cristianesimo che si diffuse attraverso la conversione e il sacrificio degli Apostoli e l’Islam, che all’inizo si diffuse con la conquista armata. L’esistenza di un Islam autonomo e nello stesso tempo che si richiamasse ad una tradizione comune, apparve come una sfida al totalitarismo cristiano che non conobbe l’esperienza del pluralismo religioso della società, come invece successe con l’Islam. Questa visione così polemica non serve comunque a conoscere l’Islam, forse serve a capire la mentalità di certi ambienti intellettuali del Medio Evo, pregiudizi che si sono talmente insinuati nell’inconscio collettivo dell’Occidente che ci si chiede se mai potranno essere estirpati. Molti sono stati poi i volti dell’Europa moderna: l’Europa del Rinascimento e della Riforma, l’Europa illuminista, l’Europa colonialista dalla seconda metà del XIX° secolo. All’interno di ogni Europa si trovavano diversi punti di vista: quello religioso, commerciale, intellettuale liberista e via dicendo. Nel XVI° e nel XVII° secolo il mondo religioso non polemizzava più con l’Islam, a volte lo ignorava, ma in ogni caso non riconobbe mai nella religione musulmana una religione “rivelata“. Rimase diffuso un sentimento di superiorità che coincise con una coscienza di supremazia politica e di civiltà. E l’Islam ritornò alla barbarie, non venne nemmeno più considerato, come nel Medio Evo un avversario teologico. Nel mondo laico le cose andavano ‘ diversamente. Sul piano politico l’Islam venne identificato con l’Impero Ottomano e i rapporti tra queste due realtà politiche obbedirono in primis alla razionalità diplomatica. Gli intellettuali guardarono all’Oriente con uno sguardo più sereno e obiettivo; la visione popolare oscillava tra l’immagine di un Oriente splendido e meraviglioso e quella di un Oriente lascivo e crudele, caratterizzato da una religione fanatica, aggressiva, elementare. Nel XVIII° secolo, l’entusiasmo, l’ottimismo e l’universalismo dell’Europa gettarono le basi per una maggiore comprensione dell’Islam. Secondo il pensiero illuminista le diverse culture avevano e hanno uguale potenzialità. Nella seconda metà del XIV° secolo apparve però il fenomeno del colonialismo, prodotto dallo sviluppo industriale e dall’emergente classe borghese. Il mondo non europeo si trovava ad essere svalorizzato, privato di dignità e l’arsenale polemico medievale nei riguardi dell’Islam risorse. L’eurocentrismo affiorò chiaramente nei gruppi impegnati ideologicamente, sia cristiani o marxisti. Il cristiano era attirato dalla spiritualità dell’Islam, ma preferiva come interlocutore il non credente; il marxista era sensibile solo alle dimensioni moderne dell’Islam e volle ignorare la sua cultura più profonda legata al passato. L’umanesimo cristiano coltivò la differenza, il marxista, per contro, la sola universalità riconosciuta valida, cioè il marxismo stesso. Si potrebbe dire che l’uomo più libero è quello che non condivide nessuna ideologia e meno cose si conoscono dell’Islam più si avrà la possibilità di percepirlo con obbiettività e simpatia. Il concetto dell’Islam come totalità lo ha infatti inventato l’Europa che ancora oggi fa riferimento a quel concetto, quando oramai il mondo musulmano si è politicamente differenziato e l’Islam stesso può’ essere ricondotto alla sua sola funzione religiosa.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen