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Ahnenerbe, spedizione nazista sull’Himalaya in cerca della razza ariana

October 5, 2021 Leave a comment

Nel 1938 cinque scienziati delle SS partirono per il Tibet credendo alla stramba leggenda di Atlantide e a una presunta migrazione dei popoli nordici

Nel 1935 il capo delle SS naziste Heinrich Himmler creò l’Ahnenerbe, un’unità che aveva il preciso scopo di propagandare e confermare scientificamente le teorie razziste del regime nazista. In particolare, gli accademici arruolati avevano il compito di scovare le tracce della civiltà superiore che aveva vissuto nella leggendaria città di Atlantide, da cui secondo i nazisti discendeva la razza ariana. Secondo una teoria molto in voga allora, Atlantide – che si sarebbe trovata in un punto imprecisato in mezzo all’Oceano Atlantico – sarebbe affondata dopo essere stata colpita da un fulmine, e in seguito alcuni suoi abitanti avrebbero trovato riparo sulle montagne dell’Himalaya.

Questa convinzione era così radicata che tre anni dopo la creazione dell’Ahnenerbe, Himmler mandò cinque uomini in Tibet per scoprire esattamente quali tracce rimanessero degli abitanti ariani di Atlantide, e in che modo si fossero mescolati con le popolazioni locali. La spedizione, che doveva rimanere segreta, durò circa un anno e vi parteciparono tra gli altri uno zoologo con la passione per la caccia e un antropologo.

Come ha raccontato il giornalista indiano Vaibhav Purandare, autore del libro Hitler and India, Hitler odiava la popolazione indiana. Era convinto che intorno al 400 d.C. gli ariani fossero migrati da nord, dal Tibet appunto, e gli indiani si fossero mescolati a loro corrompendone la purezza. Per Hitler, questa vicenda – che peraltro non era sostenuta da nessuna prova – costituiva un vero e proprio crimine, e perciò insultava frequentemente l’India e gli indiani nei suoi scritti e nei suoi discorsi pubblici.

Nonostante questo, per l’Ahnenerbe valeva la pena andare a cercare le tracce della razza ariana da quelle parti. Nel 1938 organizzò la spedizione, a cui parteciparono cinque uomini tedeschi. Purandare scrive che tra loro se ne distinsero soprattutto due. Uno era Ernst Schaefer, zoologo di 28 anni, che era stato due volte nella zona di confine tra India, Cina e Tibet. Era un grande appassionato di caccia, anche se questa sua passione lo aveva portato a uccidere la moglie accidentalmente, scivolando mentre stava per sparare a un’anatra e sbagliando mira (il fatto avvenne circa due mesi prima che la spedizione partisse, ma Schaefer non ritenne che fosse un buon motivo per non farne parte).

L’altro era Bruno Beger, membro delle SS dal 1935 e antropologo. Il suo compito era quello di raccogliere dati anatomici delle persone che avrebbero incontrato per rilevare le «proporzioni, le origini, l’importanza e lo sviluppo della razza nordica» in Tibet. Completavano la spedizione il fisico Karl Wienert, il tassidermista Edmund Geer e il fotografo Ernst Krause, il più vecchio del gruppo.

Anche se non era ancora iniziata la Seconda guerra mondiale, i rapporti tra i paesi europei non erano propriamente distesi. In particolare il Regno Unito – che all’epoca controllava l’India – guardava con sospetto l’arrivo di questi scienziati tedeschi, temendo che fossero spie, ipotesi avanzata anche dal giornale Times of India, che scrisse più volte della spedizione.

A maggio del 1938 i cinque sbarcarono nello Sri Lanka, e poi entrarono in India attraverso l’odierna città di Chennai (allora Madras), proseguendo verso Calcutta e poi verso nordovest, nello stato indiano del Sikkim. Lungo il percorso incontrarono qualche difficoltà con i funzionari politici britannici, ma alla fine dell’anno riuscirono a raggiungere il Tibet, anche perché i britannici stavano portando avanti la politica nota come appeasement, cioè il tentativo – poi rivelatosi clamorosamente fallimentare – di mantenere un atteggiamento conciliante con la Germania nazista al fine di evitare conflitti militari. Da Londra, quindi, arrivò l’ordine diretto di non ostacolare la spedizione, nonostante le preoccupazioni.

Pochi anni prima era morto il tredicesimo Dalai Lama – la massima autorità religiosa e politica del buddismo tibetano – perciò il regno tibetano, che in quegli anni era di fatto indipendente anche se costantemente minacciato dalla Cina, era guidato da un nuovo Dalai Lama di 3 anni e da un reggente. Purandare racconta che le autorità tibetane, forse per via della transizione politica in atto, trattarono «eccezionalmente bene» i tedeschi in visita. Questi peraltro si imbatterono di frequente nella svastica, un simbolo molto usato nei paesi buddisti e induisti e diffusissimo in Tibet, con connotazioni ovviamente diverse da quelle naziste.

Nel corso della sua permanenza, per esempio, Beger ebbe rapporti molto pacifici con i tibetani, e in qualche caso svolse anche le funzioni di medico. Nel frattempo, però, misurò i crani e le caratteristiche fisiche di centinaia di persone, rilevando i calchi delle teste, dei volti, delle mani e delle orecchie, raccogliendo impronte digitali e manuali e scattando circa 2.000 fotografie. Un altro membro della spedizione girò 18.000 metri di pellicola e scattò 40.000 fotografie. Per quello che se ne sa, è improbabile che i tibetani fossero a conoscenza dello scopo di quelle misurazioni.

Nel 1939 iniziò la guerra e la spedizione dei cinque fu bruscamente interrotta. Furono fatti rimpatriare, e quando il loro aereo atterrò a Berlino li accolse Himmler in persona. Tutto il materiale raccolto venne studiato negli anni successivi, e Schaefer fece anche in tempo a pubblicare alcuni libri sulle ricerche effettuate. Tuttavia, nel 1945 la Germania si arrese e, durante l’invasione degli Alleati americani, inglesi e russi, la maggior parte del materiale che conteneva i risultati delle ricerche andò distrutto. Negli anni successivi l’oblio che subirono certi aspetti vergognosi del nazismo ha fatto sì che nessuno cercasse di ricostruire a quali conclusioni fossero arrivati i cinque scienziati nazisti.

Fonte: Il Post

Lemuria, ritrovato il Continente Perduto

February 8, 2017 Leave a comment

lemuria

La scoperta di un antico pezzo di crosta terrestre nella zona dell’isola Mauritius riporta d’attualità le antiche teorie sulle terre sommerse

È stato ritrovato il Continente Perduto di Lemuria. Una specie di Atlantide: solo che sta nel posto di Mu, lo vogliono chiamare Mauritia, ed è un avanzo di Gondwana. È un tema in cui sguazzano fantascienza e fanta-archeologia, ma le antiche terre sommerse esistono davvero. Di una di queste ha parlato Nature Communications raccontando la scoperta di un’equipe di scienziati composta dal geologo Lewis Ashwal della sudafricana università del Witwatersrand, da Michael Wiedenbeck del entro di ricerca tedesco di Geoscienze e da Trond Torsvik, dell’università di Oslo.

La prima parola chiave è ovviamente Mauritia: da Mauritius, nell’Oceano Indiano. Li è stato trovato un antico pezzo di crosta terrestre coperto di lava con cristalli di zircone antichi tre miliardi di anni. Possibile, su un’isola vulcanica non più antica di nove milioni di anni? No: a meno, di non ammettere che quel minerale stava là da prima dell’isola. E siccome si tratta di un qualcosa che non si può formare in mare ma solo su un Continente, vuol dire che si tratta appunto di un avanzo di un Continente scomparso.

Qui arriva la seconda parola chiave: Atlantide. Idea platonica del continente scomparso sotto le onde da quando 2500 anni fa Platone ne raccontò la storia nei dialoghi “Timeo” e “Crizia”. Come indica appunto il nome, però, Atlantide stava nell’Atlantico, tra Europa e America. Da quando nel 1912 Alfred Wegener formulò la teoria della Deriva dei Continenti, però, si sa che l’Europa è stata attaccata al Nord America, e l’Africa al Sud America, come suggerisce anche l’impressionante combaciare delle coste di Golfo di Guinea e Brasile. Per l’Atlantide platonica non c’era dunque fisicamente posto, e infatti negli ultimi decenni chi ha provato a dimostrare la veridicità della sua storia ha cercato collocazioni alternative. Tra le più popolari, la Creta minoica.

La Deriva dei Continenti ha messo in mora anche Lemuria: terza parola chiave. L’esistenza di questo ponte di terra poi sommerso dall’Oceano Indiano era una serissima ipotesi scientifica formulata nel 1864 dal  geologo Philip Sclater per spiegare un qualcosa che all’epoca sarebbe stato se no inesplicabile: come mai l’arco di Asia tra gli attuali Pakistan e Malaysia è pieno di fossili di lemuri quando oggi quelle bestiole vivono solo tra Madagascar e isole vicine? Nel frattempo, però, nel 1920 l’esoterista James Churchward tirò fuori la teoria di Mu (quarta parola chiave). Un po’ identificato con Lemuria, un po’ indicato come un terzo continente perduto nell’attuale Oceano Pacifico.

Teorie fantascientifiche a parte, la geologia ci spiega comunque che 570 milioni di anni fa tutte le attuali terre erano raggruppate in due supercontinenti: Laurasia e Gondwana. Gondwana prende il nome da un’altra “Atlantide” descritta da un mito indù, ma esistette dunque davvero, anche se in epoca precedente a qualunque tipo di umanità. 245 milioni di anni fa si riunì a Laurasia in un supercontinente unico chiamato Pangea, ma a partire da 205 milioni di anni si frammentò di nuovo. Da Gondwana derivano le attuali Sudamerica, Africa, India, Antartide e Australia: ma anche, come si è appunto scoperto ora, la sommersa Mauritia.

Fonte: Il Foglio

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Mauritia, scovato il piccolo continente perduto dell’Oceano Indiano

February 8, 2017 Leave a comment

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Non c’è oceano di cui si favoleggi almeno un continente inabissato, che sia Atlantide, Lemuria oppure Mu. Tuttavia, solo quello dell’Oceano Indiano è esistito davvero, come afferma un articolo pubblicato sulla rivista “Nature Communications” dai geologi di alcuni istituti di ricerca europei e sudafricani. I ricercatori l’hanno battezzato Mauritia, in omaggio all’isola tropicale che rappresenta buona parte di ciò che oggi ne rimane. Un nome nuovo, per distinguerla appunto dall’immaginaria Lemuria, il continente che secondo alcuni zoologi dell’ottocento avrebbe collegato in tempi remoti India e Madagascar, spiegando la presenza dei lemuri nelle due regioni. E pure dalle numerose leggende come quella del Kumari Kandam, una fertile mesopotamia presente nella cosmologia dei Tamil, oppure della Jambudvipa, il più importante dei continenti della mitologia Indù poiché vi sorge il monte Meru, sede di ogni tipo di godimento.

I primi indizi dell’esistenza di Mauritia risalgono a quattro anni fa quando il gruppo coordinato da Trond Torsvik, professore di Geofisica all’Università di Oslo e coautore del presente studio, trovò sulla spiaggia di Mauritius alcuni piccoli zirconi, tipicamente presenti nei graniti. Nell’articolo pubblicato su “Nature Geoscience” i ricercatori stabilirono che i cristalli si fossero formati durante processi geologici della croste molto più antichi dei basalti dell’isola. Mauritius nasce tra gli otto e i nove milioni di anni fa in seguito all’eruzione di alcuni vulcani sottomarini mentre gli zirconi risalivano a un’epoca compresa tra 660 e 1.970 milioni di anni fa. Il loro ritrovamento era quindi da attribuire all’attività vulcanica che avrebbe portato in superficie alcuni frammenti di una placca continentale sconosciuta e intrappolata sotto gli strati di lava dell’isola. Per quanto plausibile, l’esistenza di Mauritia rimaneva però un’ipotesi: i ricercatori non potevano garantire l’origine locale dei cristalli che avrebbero potuto giungere sulla spiaggia trasportati, per esempio, dal vento. Per fugare ogni dubbio, il gruppo di Lewis Ashwal, professore di Geochimica presso l’Università del Witwatersrand a Johannesburg, ha esaminato la composizione di alcune rocce estratte dalle profondità dell’isola. Il ritrovamento di altri zirconi, di età superiore a quelli trovati da Torsvik, ha rappresentato la prova definitiva dell’esistenza di un piccolo continente perduto. L’analisi degli isotopi di alcuni elementi chimici contenuti ha inoltre escluso la loro provenienza dalle vicine Madagascar, Seychelles e perfino dall’India.

Come Africa, Antartide, Australia e India, Mauritia era in origine parte del grande supercontinente meridionale noto come Gondwana. Circa 84 milioni di anni fa, nell’epoca del Cretacico superiore, India e Madagascar iniziarono ad allontanarsi in direzioni opposte. Trovandosi tra le due, Mauritia subì un progressivo stiramento che assottigliò e sfilacciò la sua crosta, riducendola in numerosi piccoli frammenti presto sommersi dal neonato Oceano Indiano. Secondo gli autori i resti del continente perduto comprenderebbero infatti una serie di isole e isolotti tra i quali l’arcipelago delle Laccadive, le isole Chagos e buona parte delle Mascarene. La presenza in profondità di porzioni di crosta continentale, più spessa di quella oceanica, spiegherebbe inoltre le anomalie gravimetriche misurate in alcune regioni dell’Oceano Indiano. Insomma, nessun cataclisma o punizione divina: Mauritia si inabissò in risposta a dinamiche geologiche naturali, milioni di anni prima che potesse svilupparsi alcuna civiltà umana. I sognatori possono dichiararsi comunque soddisfatti: Atlantide è esistita davvero anche se circondata dalle acque di un altro oceano.

Fonte: National Geographic Italia

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Atlantide, alla ricerca della città sommersa tra mito e realtà

November 13, 2016 Leave a comment

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E’ necessario “Unire tutte le autorità per tentare di dare la risposta alla millenaria ricerca del mito di Atlantide”, la famosa isola leggendaria.

Anna Arzhanova, presidente della Cmas (Confederazione Mondiale Attività Subacquee), ha espresso la volontà di ripercorrere un sogno, un mito: “Unire tutte le autorità per tentare di dare la risposta alla millenaria ricerca del mito di Atlantide“, ha detto la Arzhanova  a Paestum, in occasione della XIX edizione della Bmta (Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico). Se inizialmente si pensava che Atlantide potesse trovarsi nell’Oceano Atlantico (si ipotizzava all’altezza delle Canarie), teorie più moderne la collocherebbero proprio nel Mediterraneo, tra Creta, Italia (Argentario, Sicilia o Sardegna, con quest’ultima ipotesi più accreditata, come ha descritto il giornalista archeologo Sergio Frau) e Spagna.

Fonte: MeteoWeb

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Azzorre, struttura piramidale inabissata scuote vetuste credenze antidiluviane

October 1, 2013 Leave a comment

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A trovare questa vasta struttura sottomarina è stato il proprietario di un’imbarcazione di nome Diocleciano Silva. Navigando in quella zona, grazie ad un sistema sonar di rilevamento digitale, ha individuato sul fondale la presenza di questa strana montagna dalla forma insolitamente regolare. A quanto sembra,  la scoperta risale a qualche mese fa, ma l’annuncio è stato dato solo ora.
Che là sotto ci sia qualcosa di interessante è confermato anche dal Governo di Lisbona: la piramide ora è oggetto di indagini da parte della Marina portoghese. Ma- ha aggiunto Luiz Fagundes Duarte, segretario regionale per la Pubblica Istruzione- è da escludere che si tratti di un manufatto umano, vista la sua posizione, a circa 40 metri di profondità nell’oceano. Opinione non condivisa da Silva. “Non credo proprio che sia di origine naturale“, ha detto al giornale locale Diario Insular, dopo averne studiato le peculiari caratteristiche. Oltre ad avere una base quadrata, infatti, la struttura sembra anche perfettamente definita ed è esattamente orientata rispetto ai punti cardinali proprio come la Grande Piramide di Giza. Potrebbe dunque essere la testimonianza, ormai sommersa dal mare, di una civiltà fiorente in epoche remote proprio alle Azzorre? Un’ipotesi coerente con gli ultimi scavi condotti dall’APIA, l’Associazione Portoghese della Ricerca Archeologica che ritiene di avere trovato le prove della presenza di insediamenti umani già migliaia di anni fa, molto prima insomma della scoperta ufficiale delle isole, datata al 1325. Ultimamente nell’arcipelago sono state trovate varie strutture piramidali protostoriche, alcune alte fino a 13 metri, allineate con il sorgere del sole nel solstizio d’estate. L’anno scorso, poi, proprio a Terceira, sono emersi esempi di pittura rupestre molto antichi.
Terceira- detta anche “l’isola lilla”- si trova nel bel mezzo del Nord Atlantico. Facendo volare la fantasia, siamo proprio in quel tratto di mare- aldilà delle Colonne di Ercole (oggi Stretto di Gibilterra)- nel quale Platone aveva immaginato la mitica isola di Atlantide, scomparsa in un ribollire di acqua nel giro di un solo giorno, devastata da un terremoto e da un maremoto di dimensioni apocalittiche.
Nel corso degli anni, interpreti platonici ed archeologi alternativi hanno collocato la civiltà atlantidea un po’ ovunque: da Santorini ai Caraibi, dalla Spagna all’India. Senza, però, mai trovare prove concrete della veridicità del racconto del filosofo greco, considerato dagli storici niente più che una leggenda.
“Eppure, secondo me, è sicuramente il ricordo di un evento reale, non è un mito”, sostiene Graham Hancock, lo scrittore scozzese autore di vari bestseller nei quali ha cercato di penetrare i segreti del nostro passato dimenticato. Nell’intervista contenuta nell’ebook “Misteri 2013″, si dice convinto che sia davvero esistita una civiltà molto evoluta, cancellata da una catastrofe globale di cui il Diluvio Universale rappresenta un’eco lontana. Ad annientare quella prima umanità fu l’improvviso innalzamento del livello dei mari provocato dalla fine dell’ ultima Era Glaciale.
Hancock ha accolto con entusiasmo il ritrovamento di questa presunta piramide sottomarina, che sembra confermare la sua teoria ben illustrata nei libri Impronte degli dei, del quale sta preparando una seconda stesura, e Civiltà sommerse. “Credo che dovrò ritirare fuori la mia muta subacquea, non pensavo di tornare a fare delle immersioni, ma se serve io ci sono!”, ha scritto sul suo blog per commentare la notizia che arriva dalle Azzorre.
E ha fatto anche un rapido calcolo: le terre attualmente coperte da 40-50 metri d’acqua, dovrebbero essere state sommerse da quella grande onda legata all’improvviso scioglimento dei ghiacci circa 12.500 anni fa. Dunque, se davvero nell’oceano delle Azzorre si nasconde un edificio piramidale, deve essere stato costruito prima di quella data. Insomma, entro il 10.500 a.C. La stessa data proposta dai soliti archeologi eretici per le Piramidi di Giza. Una coincidenza?

Fonte: Extremamente

Azzorre, strabiliante scoperta nelle profondità dell’oceano Atlantico

October 1, 2013 Leave a comment

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Se ne parla già come di una scoperta straordinaria: nel mare blu delle Azzorre, a circa quaranta metri di profondità, è stata ritrovata quella che sembra una gigantesca piramide che si estende su una superficie di 8.000 metri quadrati ed è alta 60 metri.
A diffondete la notizia, in Europa, la Radio e Televisione del Portogallo (RTP), come vi mostriamo nel video sotto, che ha evocato il mistero di Atlantide. Che stia affiorando un pezzo di quella civiltà misteriosa di cui si parla fin dai tempi antichi?
Al momento si sa solo che il fatto ha suscitato l’interesse della comunità scientifica internazionale e del Governo portoghese che sta indagando.
A segnalare la presenza di questa ‘struttura’ , racconta la tv pubblica di Lisbona, un marinaio. Silva Diocleziano, così si chiama, con la sua nave si trovava nell’arcipelago delle Azzorre e tra le isole Terceira e San Miguel, grazie ad un grafico batimetrico, strumento che scandaglia i fondali marini, ha individuato la cosa.
Le leggende sull’esistenza di una civiltà preistorica avanzata, denominata comunemente Atlantide, sono circolate fin dall’inizio della storia umana. I ricercatori che si sono avventurati nella ricerca di indizi sulla sua esistenza hanno avuto sempre opinioni divergenti. Alcuni pensavano che si trovasse al centro dell’Oceano Atlantico, altri in Sud America, altri ancora nell’Oceano Pacifico. Come ormai è noto, sono stati gli scritti di Platone a suggerire che i costruttori originali delle piramidi sul nostro pianeta fossero gli abitanti di un continente perduto situato ad ovest dello Stretto di Gibilterra, ma i ritrovamenti megalitici in zone come Machu Pichu, Cuzco e Tiahuanaco hanno portato a pensare che gli Atlantidei provenissero dal Sud America. Ma una scoperta davvero importante potrebbe portare ad una svolta decisiva nella ricerca della civiltà perduta. Un servizio trasmesso dalla televisione pubblica portoghese ha rilevato l’esistenza di una struttura piramidale sul fondo delle acque che circondano le Azzorre, nei pressi del vulcano Dom João de Castro Bank, tra le isole di São Miguel e Terceira.
La struttura è stata identificata dal navigatore Diocleciano Silva, sulla base delle letture batimetriche comparse sugli strumenti durante una navigazione ricreativa. L’autore della scoperta è convinto che la struttura piramidale non sia di origine naturale.
Secondo le misurazioni, la piramide è alta circa 60 metri, con una base di 8 mila metri quadrati (più piccola della Piramide di Cheope, pari a 53 mila metri quadrati). La struttura si trova a circa 40 metri sotto la superficie dell’oceano e risulta essere perfettamente allineata con i quattro punti cardinali, come le Piramidi di Giza.
Tanto è bastato da suscitare l’interesse da parte del governo portoghese il quale ha dichiarato che la questione è già in fase di studio con il supporto della Marina Portoghese.
Luiz Fagundes Duarte, segretario Regionale della Pubblica Istruzione, è prudente: tenuto conto della posizione della struttura, potrebbe trattarsi di una formazione di origine naturale.

Fonte: Il Navigatore Curioso

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Santorini e il mito di Atlantide (parte II)

Un’affascinante teoria “dimostrata”, localizza Atlantide nel Mediterraneo orientale, più precisamente nell’arcipelago delle Cicladi, in un’area occupata oggi dall’isola nota come Santorini.

Che Santorini fosse tutto ciò che rimaneva di un’isola molto piu’ vasta, distrutta da una catastrofica esplosione, si sapeva da tempo: era noto che dall’antica Thera erano stati eruttati ben 18 Km cubi di magma e che la sua esplosione non lasciò che uno spezzone di roccia annerita. Solo negli anni Settanta il metodo del radiocarbonio ha permesso di datare, con un margine di errore ridotto, un trono rinvenuto sepolto nella cenere vulcanica: l’eruzione doveva essere avvenuta intorno al 1456 a.C.

Questa data collimava con un’ipotesi elaborata qualche anno prima da un geologo greco Angelo Galanopulos il quale, analizzando alcuni episodi della Bibbia (i “tre giorni di buio”, i terremoti, la divisione delle acque del Mar  Rosso), concluse che in quell’anno un’esplosione vulcanica doveva aver interessato il Mediterraneo orientale. Inoltre, leggendo le numerose trascrizioni dei testi platoniani, il geologo affermo’ che si era verificato un errore che aveva moltiplicato per dieci le cifre originariamente riportate: Atlantide finiva per identificarsi con Thera e, leggendo 900 invece di 9000 anni anche il periodo della scomparsa di Atlantide coincideva con l’eruzione che distrusse Santorini.

Dopo accurati studi, nel 1973 la geologa Dorothy Vitaliano sottolineò come la topografia di Atlantide descritta da Platone si adattasse a quella che doveva essere Thera, come rinvenibile da un affresco trovato negli scavi di Akrotiri a Santorini: l’ipotesi convincente è quella della distruzione di Thera, base navale dell’impero minoico, e di conseguenti maremoti che avrebbero fatto scomparire gradualmente quella civiltà e la sua supremazia nel Mediterraneo con la conseguente ascesa di Micene. Tale evento vulcanico avrebbe dato origine insieme al mito di Giasone e del Minotauro, alle narrazioni di Platone e a quelle della Bibbia.

Tuttavia la dinamica dell’eruzione a Thera, come documentato dagli scavi, escluderebbe la repentinità del cataclisma tramandata da Platone. Nelle case portate alla luce ad Akrotiri non vi sono resti umani, nessun gioiello, nessun oggetto prezioso, come se gli abitanti avessero avuto tutto il tempo di raccogliere i propri beni e fuggire. Utensili e scorte di viveri sono stati trovati negli scantinati delle case, forse messi lì per proteggerli dalle scosse: cosa che fa pensare ad una certa dimistichezza degli abitanti coi terremoti.

Probabilmente l’eruzione è stata progressiva e caratterizzata da numerose scosse per alcune settimane, che spinsero la popolazione ad abbandonare l’isola, in una prima fase, per poi tornarvici. Infatti gli scavi evidenziano come la popolazione avesse iniziato a riparare i danni subiti e a riprendere la vita di sempre: una via riaperta, macerie raccolte in ordinati cumuli, la cornice di una finestra ingrandita per ricavarne una porta, un focolare improvvisato in una casa, la vasca per le abluzioni trascinata sin sul tetto, forse per raccogliere l’acqua piovana … L’opera di ricostruzione dovette, però, interrompersi a seguito della ripresa dell’attività vulcanica che portò la popolazione ad abbandonare per sempre  Thera e dirigersi verso Creta. Fu a questo punto che iniziò la fase parossistica dell’eruzione con una sequenza impressionante di fenomeni che produssero, dapprima, una pioggia di pomici, poi piovvero massi più rossi ed infine la caratteristica pomice rosa che ha reso celebre l’isola. Quindi il vulcano esplose: un getto di materiali compressi e di gas surriscaldati raggiunse la stratosfera ad una velocità di 2000 Km orari facendo udire i suoi boati dall’Africa alla Scandinavia, dal Golfo persico a Gibilterra. Le ceneri furono sparse per molti chilometri e trasformarono il giorno nella notte piu’ cupa e alterarono, probabilmente, albe, tramonti e condizioni metereologiche.

La violenta esplosione di magma aveva svuotato il gigantesco bacino magmatico sottostante l’isola, provocando il crollo dell’edificio vulcanico; miliardi di metri cubi d’acqua si precipitarono nell’abisso incandescente: la repentina vaporizzazione dell’acqua deve aver scatenato una serie di esplosioni titaniche che hanno scardinato ciò che restava dell’isola, sollevando immense ondate alte fino a 60 metri che si schiantarono sulle coste di Creta e dell’Egitto. Fu questa la fine di Atlantide?

Sicuramente lo fu di Santorini e della sua civiltà. Quel che è vero, è che il mistero dell’esistenza di un’isola scomparsa affascinerà sempre l’umanità e sempre si cercherà di identificarla in qualche luogo.

Possiamo solo far nostre le parole di un celebre scrittore:

E’ bene che Atlantide resti un mistero.

E’ giusto che l’uomo, guardando l’oceano, si inquieti pensando ad un lontano e imperscrutabile regno inghiottito in un giorno e in una notte dalle acque e dal fuoco; all’orgoglioso sogno di un’eternità infranta dal risveglio della Natura.

Le civiltà nascono, crescono ed, infine, muoiono. Prepariamoci a questo.

Atlantide non  è mai esistita!

E’ in ogni luogo.

Fonte: Santorini Grecia

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Santorini e il mito di Atlantide (parte I)

Santorini è stata associata da tempo al mito di Atlantide, come uno dei possibili luoghi di origine della leggendaria civiltà sommersa.
Atlantide è stata individuata in luoghi diversi della terra, nelle isole Canarie, nelle vicinanze dell’Australia, nei pressi delle Bahamas, in Antartide, nel Triangolo delle Bermuda e anche qui a Santorini. La prima evidenza scritta della civiltà di Atlantide a Santorini ci perviene, dopo una lunga tradizione orale, da Platone, il noto filosofo greco discepolo di Socrate e maestro di Aristotele vissuto nel 427-347 a.C.

In due suoi “Dialoghi” (Timeo e Crizia) il filosofo accenna a un isola, abitata dalla stirpe di uomini più nobile della terra e governata da una civiltà utopistica in grado di dominare quasi tutto il Mediterraneo. Secondo Platone questa civiltà, che si trovava non nell’Egeo ma oltre le colonne di Ercole (attuale stretto di Gibilterra) fu sconfitta dai greci e l’isola sprofondò a causa di un violento terremoto.
Platone narra una favola morale (vera o inventata ancora non si sa) di due grandi città che entrarono in conflitto tra loro: Atene, l’attuale capitale della Grecia, e Atlantide, città che si inabissò e sparì dalla faccia della Terra.
Dai racconti di Platone non è però possibile identificare con certezza il possibile luogo (se mai sia esistito) di ubicazione di Atlantide, e d’altronde l’Utopia di Platone sembrerebbe non essere altro che una creazione letteraria a sostegno degli argomenti che il grande filosofo voleva proporre alla società del suo tempo.

Molti studiosi, tra cui esperti vulcanologi e archeologi, hanno evidenziato come l’eruzione del vulcano di Santorini possa essere in qualche modo ricollegata alle descrizioni di Platone su Atlantide e come all’eruzione vulcanica possa ricondursi la distruzione della fiorente colonia cretese di Akrotiri e probabilmente anche la distruzione della civiltà minoica cretese. Sembra difatti che l’eruzione del vulcano abbia provocato il sollevamento delle acque intorno, con onde alte fino a 50 m che avrebbero raggiunto la costa settentrionale di Creta, lungo la quale si trovavano i principali insediamenti. In realtà il declino di Creta si verificò circa 200 anni dopo la data in cui geologi segnalano l’eruzione di Santorini e quasi certamente Creta non ha niente a che vedere con Atlantide.

I riferimenti di Platone al Palazzo dove le acque affluivano rigogliose dalle vicine colline pare si possano rintracciare nei siti archeologici di Cnosso (nell’isola di Creta) e Akrotiri, nell’isola di Santorini. Il Palazzo di Atlantide che viene descritto da Platone come un edificio a più livelli situato su un grande piano in cima a una collina terrazzata, è simile sia al Palazzo di Cnosso che a quelli di Akrotiri, così come lo sono la descrizione architettonica e i materiali usati nella sua costruzione.
Nel 1967 nella località di Akrotiri in Santorini, gli archeologi riportarono alla luce un antica città, quasi completamente intatta come Pompei e ricoperta da antiche ceneri. La scoperta fu catalogata come tra le più importanti nella storia dell’archeologia. Diverse case furono portate alla luce e presentavano un sofisticato sistema idraulico, con tanto di bagni e acque correnti che defluivano in un perfetto sistema fognario. Questo sito testimonia una delle prime forme di ingegneria urbana mai scoperte nella storia.
Platone ancora descrive le rocce bianche, scure e rosse estratte dalle cave dell’isola di Atlantide per costruire i palazzi della ‘grande’ città dell’isola. La descrizione è simile alle rocce della terra di Santorini.
In ultimo, Platone si riferisce alla fonte del mito di Atlantide, gli egiziani. Gli egiziani, secondo Platone, chiamavano Atlantide “Kepchu”, nome che viene storicamente usato per il popolo dell’isola di Creta, culla della civiltà minoica.
È da notare infine che nelle rovine della città di Akrotiri, non è stato ritrovato alcun resto umano (al contrario di Pompei). Si pensa quindi che i suoi abitanti avessero trovato in qualche modo una via di scampo prima della famosa eruzione vulcanica, in luoghi ancora oggi sconosciuti.
Le ricerche storiche e archeologiche a Santorini continuano ininterrottamente, e chissà se un giorno le fantasie di alcuni si potranno ancorare alle evidenze storiche. L’enigma per il momento continua, anche sulla base del mistero dell’archeologo greco Spyridon Marinatos, a quanto pare in passato al centro di diversi scontri diplomatici legati agli scavi archeologici nell’isola.

Fonte: Grecia

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