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Vaiolo delle Scimmie, la nuova profezia pandemica

May 21, 2022 Leave a comment

Quanto abbiamo vissuto negli ultimi due anni dovrebbe spingerci a non sottovalutare le “simulazioni” di eventi catastrofici, soprattutto se gli attori sono sempre gli stessi. 

L’era delle pandemie?

Event 201, per esempio, è stata quasi profetica; parliamo della simulazione tenutasi a ottobre 2019 a New York City, tra i cui partner spiccavano gli onnipresenti World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation. Oggetto della simulazione una pandemia virale con “nuovo coronavirus”. Nel giro di pochi mesi l’incubo è diventato realtà, con una tempistica così perfettache gli organizzatori si sono affrettati a sostenere in una nota che “gli input usati nella simulazione non sono simili a nCoV-2019”.

Il futuro pieno di possibili pandemie, è una realtà che ci prospettano a fasi alterne capi di stato e sedicenti filantropi, i quali spingono per trovare nuovi fondi per sviluppare vaccini con cui imbottire la popolazione, mentre la sanità pubblica soffre di carenze sempre più gravi. Mentre facciamo i conti con il fantasma della quarta dose di vaccino anti covid e con la preoccupazione per i casi di epatite nei bambini, arriva un’altra possibile candidata a novella pandemia: il vaiolo delle scimmie.

Il vaiolo delle scimmie

Innanzitutto, cos’è: si tratta di un rara malattia virale che si trova per lo più nei paesi tropicali dell’Africa centrale e occidentale. Negli USA il virus era apparso per la prima volta nel 2003, identificato in persone residenti negli Stati Uniti che si erano ammalate dopo essere state a contatto con cani delle praterie malati.

I sintomi sono febbre, mal di testa, dolori muscolari, mal di schiena, linfonodi gonfi, malessere generale, e spossatezza, e nel giro di alcuni giorni dall’insorgenza della febbre, il paziente sviluppa eruzione cutanea pustolosa sul viso o su altre parti del corpo. Come riporta l’ISS, In Africa il vaiolo delle scimmie è fatale in circa il 10% delle persone che contraggono la malattia, mentre la mortalità per il vaiolo umano era di circa il 30% dei casi.

Casi in crescita

In Europa il numero dei nuovi casi è in aumento costante: ne sono stati segnalati 7 in UK, di cui 3 di ritorno da un viaggio in Africa e 4 apparentemente contagiati a Londra senza collegamenti con Paesi dove il virus è endemico. Il Portogallo conferma 5 casi, di cui 20 sospetti, tutti nella regione di Lisbona e della Valle del Tago. In Spagna sono stati rilevati 8 casi sospetti. Anche in Italia sarebbe stato identificato il primo caso, in un uomo tornato dalle Canarie. Secondo quanto si apprende tutti i contagiati finora sono di sesso maschile. L’Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito ha chiesto agli uomini gay e bisessuali di segnalare possibili sintomi, perché i quattro casi più recenti sono stati identificati all’interno di quei gruppi. Il virus, stando a quanto affermato dagli studiosi, potrebbe trasmettersi per via orale durante il contatto diretto o tramite contatto con i liquidi organici di una persona infetta.

E veniamo di nuovo a Bill Gates. A novembre 2021 Gates era tornato sull’argomento “pandemie” durante un importante meeting di Policy Exchange, che è il principale think tank del Regno Unito. In quell’occasione il Presidente della Bill & Melinda Gates Foundation aveva invitato i Governi del mondo a investire su ricerca e sviluppo per prepararsi a eventuali nuove pandemie e a “attacchi” compiuti proprio tramite vaiolo.

Infine, un vaccino contro il vaiolo delle scimmie esiste già, l’FDA lo ha approvato nel 2019. Come si legge sul sito dell’agenzia statunitense, il vaccino contiene una forma modificata del virus Vaccinia chiamato “Modified Vaccinia Ankara” che, si legge sul sito, “non causa malattie negli esseri umani e non è replicante, il che significa che non può riprodursi nelle cellule umane”.

Fonte: ByoBlu

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Virus contro l’uomo, salto di specie in soli 16 anni

March 16, 2020 Leave a comment

Coronavirus

Ilaria Capua, tre i coronavirus simili a quello diffuso in Cina

Sono 5, in 16 anni, i virus che hanno fatto il ‘salto di specie’, ossia che dagli animali che li ospitavano sono diventati capaci di trasmettersi da uomo a uomo.

Di questi, 3 appartengono alla famiglia dei coronavirus, la stessa cui appartiene il virus 2019-nCoV che ha cominciato a diffondersi dalla città cinese di Whuan.

   “Tre coronavirus in meno di 20 anni un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi”, ha detto all’ANSA la virologa Ilaria Capua, che nell’Universita’ della Florida dirige il Centro di eccellenza dedicato alla ‘One Health’, che unifica i temi della salute umana, animale e ambientale.

Risale al 2003 la mutazione del virus della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome), che era stato trasmesso dai pipistrelli agli zibetti e poi all’uomo.
Sei anni più tardi, nel 2009, era stata la volta del virus dell’influenza A H1N1 trasmesso dagli uccelli ai suini e da questi all’uomo: un vero e proprio collage con elementi di tre specie che ha generato il quarto virus pandemico dopo quello della Spagnola del 1918, quello dell’Asiatica del 1957 e quello della Hong Kong del 1968.
Nel 2012 era stata la volta della Mers (Middle East Respiratory Syndrome), un altro coronavirus che dai pipistrelli si era trasmesso ai cammelli e poi all’uomo.
Nel 2014 ha acquisito la capacità di trasmettersi da uomo a uomo anche il virus responsabile della febbre emorragica di Ebola e adesso è comparso il nuovo virus, indicato con la sigla 2019-nCoV che, come hanno reso le autorità sanitarie cinesi, dai pipistrelli sarebbe passato a un serbatoio animale ancora non chiaramente identificato e da lì sarebbe mutato in modo da adattarsi all’organismo umano.

Fonte: Ansa

Nanoparticelle d’oro, nuova arma efficace contro i virus

March 16, 2020 Leave a comment

nanoparticelle d'oro

Nanoparticelle d’oro contro i virus: ecco come distruggono ebola, Hiv e papilloma

Un team di ricerca internazionale guidato da italiani ha creato una nuova “arma” per distruggere i virus, basata sulle nanoparticelle d’oro. Test positivi in laboratorio su cellule umane e modelli animali.

I virus responsabili di malattie diffuse come polmonite, papilloma, herpes e AIDS possono essere aggrediti e distrutti da nanoparticelle d’oro, che mimando la superficie delle cellule umane riescono a ingannare, attirare ed eliminare questi agenti patogeni dall’organismo. Lo ha dimostrato un team di ricerca internazionale composto da studiosi dell’Università di Torino e del Politecnico Federale di Losanna (EPFL), guidato dagli italiani Francesco Stellacci e David Lembo. La speranza dei ricercatori è che questa scoperta possa gettare le basi per la creazione di una nuova famiglia di farmaci antivirali, in grado di contrastare virus responsabili di milioni di morti ogni anno.

Gli studiosi hanno determinato l’efficacia delle nanoparticelle d’oro – innocue per l’essere umano – dopo aver condotto diversi test di laboratorio su cellule e tessuti umani in vitro, infettati da varie tipologie di virus. Fra essi il papilloma, l’Hiv, l’herpes simplex, il virus respiratorio sinciziale (RSV) e quello responsabile della febbre dengue. Anche gli esperimenti condotti sui modelli murini (topi) hanno dato esito positivo: i roditori infettati con la polmonite, dopo essere stati trattati con le nanoparticelle d’oro, sono infatti completamente guariti dalla malattia.

Ma come agiscono queste microscopiche particelle del prezioso metallo? In parole semplici, le nanoparticelle d’oro riescono a camuffarsi da cellule dell’organismo umano, esibendo una struttura che imita la superficie cellulare. I virus vengono ingannati e le attaccano per avviare il processo di replicazione, ma restano prima intrappolati e successivamente distrutti, sotto l’effetto di una pressione locale. L’intero processo non provoca alcun tipo di danno alle vere cellule dell’organismo.

Si tratta di una scoperta importante non solo per l’efficacia dimostrata, ma anche perché per la prima volta si potrebbero contrastare i virus nello stesso modo in cui vengono affrontati i batteri con gli antibiotici, ovvero con farmaci ad ampio spettro e non specifici come gli antivirali attualmente disponibili. “Lo studio dimostra che esiste un modo nuovo di creare farmaci contro i virus”, ha sottolineato all’ANSA il professor Stellacci. “Il nostro obiettivo – ha aggiunto il ricercatore – è ideare una nuova strategia di contrasto alle infezioni che agisca ad ampio spettro su virus diversi, proprio come fanno gli antibiotici contro i batteri. Il passo successivo è disegnare molecole biologiche con proprietà simili alle nanoparticelle d’oro, capaci di agire come farmaci antivirali, e passare alla fase dei test clinici”. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Materials.

Fonte: Fanpage

Spazio e Tumori, cellule cancerogene in assenza di gravità muoiono

September 8, 2019 Leave a comment

Spazio uccide i tumori

Lo Spazio Uccide I Tumori: Le Cellule Cancerogene In Assenza Di Gravità Muoiono

Tumori: le cellule cancerogene in assenza di gravità muoiono

Lo spazio, diventa il primo nemico per i tumori grazie all’assenza di gravità che uccide il 90% delle cellule cancerogene. La scoperta, basata su un esperimento durato 24 ore in un simulatore di microgravità, ha permesso di eliminare il 90% delle cellule tumorali presenti, morte senza ricorrere ai farmaci. Ora, resta da capire come mai è quale sia la causa che ha permesso questo importante fenomeno.

Si tratta di Una grande scoperta che porta la firma di due ricercatori dell’Università di Tecnologia di Sydney, Joshua Chou e Anthony Kirollos.

I due ricercatori sdi sono accorti che le particelle, prelevate da quattro tipi di cancro, alle ovaie, al seno, al naso e ai polmoni, morivano nel giro di un giorno, senza nemmeno bisogno di ricorrere a farmaci. Rimane solo di capire il motivo che spinge queste cellule a morire cosi rapidamente. Per capire il perché, l’esperimento proseguirà sulla Stazione Spaziale Internazionale in attesa di aggiornamenti.

I due scienziati hanno già avanzato qualche prima ipotesi sulle cause del fenomeno. Ad esempio, potrebbero esserci dei problemi di comunicazione tra le cellule maligne quando si trovano in una condizione di gravità ridotta o del tutto assente. Non riescono più a muoversi e ad agire normalmente, così faticano a sopravvivere.

Al momento,per verificare che la teoria sia corretta e, soprattutto, che la formazione tumorale risulti effettivamente danneggiata dopo un viaggio nello spazio, i ricercatorilanceranno in orbita una nuova scatoletta che consegneranno al prossimo lancio agli astronauti australiani che partiranno per la prima missione spaziale del Paese.

Lo scopo sta nel tenere Le cellule in un ambiente privo di gravità per vedere se il risultato si ripete.

Fonte: Universo7P

 

PAS, il cervello emotivo delle “persone altamente sensibili”

March 12, 2018 Leave a comment

pas

Non è sempre facile. A volte, ci risulta complicato entrare in sintonia con questo mondo così ostile, così pieno di pettegolezzi, di egoismo e di arrivismo. Le Persone Altamente Sensibili (PAS) sono molto vulnerabili e privilegiate allo stesso tempo: possono sentire ciò che gli altri non percepiscono o farlo con un’intensità tale da vedere realtà che ad altri sfuggono.

Cos’è che rende tali le Persone Altamente Sensibili? C’è un fattore genetico? Perché soffrono più degli altri? Perché, nelle loro relazioni, l’amore è sia intenso che doloroso? Perché stanno bene in solitudine, ma, allo stesso tempo, avvertono una profonda incomprensione sin dalla tenera età?

Nel 2014, venne pubblicata un’interessante ricerca elaborata dall’Università di Stony Brook, a New York, in cui si voleva dare una spiegazione alle particolarità del cervello delle Persone Altamente Sensibili. Si volevano scoprire, inoltre, le differenze fra le PAS e coloro che non presentano questa apertura emotiva così speciale. Tale lavoro venne svolto da sei ricercatori e i suoi risultati vennero pubblicati sulla rivista “Brain and Behaviour”; vi proponiamo ora le interessanti conclusioni tratte, siamo certi che vi sorprenderanno!
Il cervello emotivo delle Persone Altamente Sensibili (PAS)

Si calcola che quasi il 20% della popolazione mondiale sia dotato delle caratteristiche basiche per essere definito “altamente sensibile”. La cosa più normale è che queste persone passino la maggior parte della loro vita senza sapere di appartenere a questo piccolo gruppo di privilegiati. Non sanno di essere nate con un paio di “occhiali invisibili” che fanno vedere il mondo in altro modo, con un cuore più aperto, ma anche più fragile. La ricerca svolta rivelò che le Persone Altamente Sensibili sono dotate di un cervello emotivo capace di grande empatia. Si tratta di cervelli totalmente orientati verso la “socievolezza” e all’unione con i loro simili.

Cosa significa tutto ciò? Basicamente che i processi cerebrali di tali persone mostrano una sovreccitazione nelle aree neuronali collegate con le emozioni e con l’interazione: questi soggetti sono in grado di decifrare ed intuire i sentimenti di coloro che li circondano, ma, allo stesso tempo, devono affrontare un problema molto chiaro… Il resto del mondo è privo di tale empatia; pertanto, vi è un evidente squilibrio tra la loro sensibilità e quella delle persone attorno a loro. È per questo che le Persone Altamente Sensibili vedono sé stesse come “diverse”.

Per arrivare a queste conclusioni, si realizzarono varie prove, come per esempio le risonanze magnetiche, con il fine di studiare le differenze tra i processi mentali delle PAS e le persone nelle quali non era stata riscontrata una sensibilità speciale. A questo scopo, i soggetti in analisi vennero esposti a diversi stimoli, per poter verificare l’attività biochimica e le differenti strutture che conformano il cervello.

I risultati furono particolarmente visibili in due aspetti:

  • I neuroni specchio. Di certo ne avrete già sentito parlare; essi compiono una funzione sociale, perciò sono presenti soprattutto negli umani e nei primati. Sono situati nella corteccia frontale inferiore del cervello, molto vicino alla zona del linguaggio, e sono collegati soprattutto con l’empatia e con l’abilità di captare, processare e interpretare le emozioni altrui. Nelle PAS, la loro attività è continua e molto intensa sin dall’infanzia.
  • L’insula. Si tratta di una piccola struttura, situata molto in profondità nel nostro cervello. Si trova nella corteccia insulare ed è collegata con il sistema limbico, una struttura basica per le nostre emozioni. È proprio essa che ci permette di avere una visione più soggettiva ed intima della realtà.

Gli studiosi che si sono occupati di questo lavoro soprannominarono l’insula “la poltrona della coscienza”, poiché riunisce la gran parte dei nostri pensieri, intuizioni, sentimenti e percezioni di tutto ciò che viviamo in ogni istante. Nelle Persone Altamente Sensibili, questa interessante struttura svolge un’attività molto più energica di quella delle persone prive di tanta sensibilità.

Questo studio concluse anche che le PAS, oltre ad essere più ricettive degli stimoli visivi collegati al volto umano e alle emozioni, presentano anche una soglia di sopportazione di luci intense o rumori forti (stimoli fisici in generale) molto bassa. È addirittura possibile che, in questi casi, in loro si attivino le strutture cerebrali associate al dolore.

Le Persone Altamente Sensibili hanno questa particolarità: quella di sentire e capire il mondo attraverso un sistema nervoso più acuto e sofisticato. Non scelgono di essere così, lo sono e basta; perciò devono imparare a vivere con il cuore, accettando questo prezioso dono, perché soffrire non è un obbligo, ma un’opzione che non vale la pena scegliere.

 I 4 doni delle persone altamente sensibili (PAS)

Quando qualcuno si sente in minoranza, di solito prova disagio e paura. Si pensa: “Perché percepisco le cose in modo diverso? Perché soffro più degli altri? Perché mi sento sollevato quando sono solo? Perché osservo e sento cose che gli altri ignorano?”.

Far parte di quel 20% della popolazione che si riconosce come persone altamente sensibili (PAS) non è uno svantaggio, né etichetta le persone come diverse. È probabile che durante la vostra vita, e specialmente durante l’infanzia, abbiate percepito questa distanza emotiva e, a volte, avete avuto la sensazione di vivere in una specie di bolla.

L’alta sensibilità è un dono, uno strumento che vi permette di approfondire ed enfatizzare le cose.
Poche persone sono capaci di capire in tal modo la vita.

Fu Elaine N. Aron che, agli inizi degli anni ’90, studiando le personalità introverse, ritrasse minuziosamente le caratteristiche di una nuova dimensione non descritta fino a quel momento, che rifletteva una realtà sociale: quella delle persone altamente sensibili, riflessive, quelle che reagivano emotivamente.

Se è il vostro caso, se vi identificate con le caratteristiche di cui ha parlato la dottoressa Aron nel suo libro “The Highly Sensitive Person”, è importante che vi convinciate che l’alta sensibilità non deve farvi sentire strani o diversi. Al contrario, dovete sentirvi fortunati per possedere questi 4 doni:

  1. Il dono della conoscenza emotiva
    Fin dall’infanzia, i bambini con alta sensibilità percepiscono aspetti della vita quotidiana che provocano loro angoscia, contraddizione e affascinante curiosità. I loro occhi captano aspetti che gli adulti non considerano.

Quel senso di frustrazione dei loro maestri, quell’espressione preoccupata sul volto delle loro madri…. sono capaci di percepire cose che altri bambini non vedono e, loro, insegneranno agli altri che la vita è difficile e contraddittoria. Verranno al mondo con lo sguardo già aperto al mondo delle emozioni, senza sapere ancora da cosa sono guidati, cosa li fa vibrare o che cosa fa soffrire gli adulti.

La conoscenza delle emozioni è un’arma silenziosa, ma potente.
Ci avvicina di più alle persone per capirle, ma, allo stesso tempo, ci rende più vulnerabili al dolore.

La sensibilità è come una luce che risplende, ma che ci rende più vulnerabili al comportamento degli altri, alle bugie, agli inganni, all’ironia…Te la prendi per tutto- ti dicono di continuo- Sei troppo sensibile. Ed è proprio così, ma siete quello che siete. Un dono ha bisogno di un’alta responsabilità e la conoscenza delle emozioni vi esige anche di sapervi proteggere. Di sapervi prendere cura di voi stessi.
2. Il dono di godere della solitudine
Le persone altamente sensibili trovano piacere nei momenti di solitudine. Sono rifugi di cui hanno bisogno per svolgere al meglio i loro compiti e le loro azioni. Sono persone creative che amano la musica, la lettura. E anche se questo non significa che non amino stare in compagnia degli altri, sono veramente felici solo quando sono soli.

Le persone altamente sensibili non hanno paura della solitudine.
È proprio in quegli istanti che possono connettersi meglio con se stessi, con i loro pensieri, liberarsi dagli attaccamenti, dalle catene e dagli sguardi estranei.

3. Il dono di un esistenza col cuore

Alta sensibilità significa vivere col cuore. 
Nessuno vive più intensamente l’amore, i piccoli gesti quotidiani, le amicizie, l’affetto..

Quando si parla delle persone altamente sensibili, le si associa spesso alla sofferenza. Alla loro tendenza alla depressione, alla tristezza, al loro sentirsi vulnerabili di fronte agli stimoli esterni, di fronte al comportamento della gente. Tuttavia, c’è qualcosa che gli altri non sanno: poche emozioni sono vissute tanto intensamente come l’amare e l’essere amati…
Non parliamo solo di relazioni di coppia, ma di amicizia, affetto quotidiano, captare la semplice bellezza di un quadro, di un paesaggio o di una melodia, è per le persone altamente sensibili un’esperienza intensa, radicata nel loro cuore.

4. Il dono della crescita interiore
L’alta sensibilità non si cura. Uno viene al mondo già dotato di questo dono, che si può notare fin da quando si è piccoli. Le loro domande, le loro intuizioni, la loro tendenza al perfezionismo, la loro soglia bassa del dolore fisico, il fastidio che in loro provocano le luci e gli odori forti, la loro vulnerabilità emotiva..

Non è facile vivere con un dono simile. Tuttavia, una volta che ci si rende conto di possederlo, bisogna riconoscerlo e sapere cosa questo comporta, perché arriverà il momento in cui bisognerà imparare a gestire molti di questi dettagli. Non dovete permettere alle emozioni negative di straripare in alcuni momenti.

Dovete anche imparare che gli altri vanno a un ritmo diverso da voi, che non possiedono la vostra stessa soglia emotiva, che non vivranno certe cose con la vostra stessa intensità, anche se questo non significa che, ad esempio, vi vogliano meno bene. Rispettateli, capiteli. Capite voi stessi.

Una volta che avrete scoperto il vostro essere e le vostre facoltà,
raggiungerete l’equilibrio e fomenterete la vostra crescita personale.
Siate unici e vivete con il cuore. Siate pacifici, sicuri e felici.

Fonte: La Mente é Meravigliosa

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Nuova Zelanda, cellule staminali cancerose responsabili di tumori

September 13, 2014 Leave a comment

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Ricercatori neozelandesi hanno scoperto una popolazione unica di cellule staminali cancerose che promuovono l’insorgenza del cancro alla lingua, una delle forme più letali di cancro. Le cellule staminali cancerose, che si ritiene siano la forza trascinante nello sviluppo e diffusione dei tumori, sono state già identificate in diversi tipi di cancro, fra cui quelli che colpiscono intestino, seno e prostata, e nella leucemia. Questa tuttavia è la prima volta che viene identificata una popolazione unica di tali cellule nel cancro alla lingua. La scoperta, il cui brevetto è in via di registrazione negli Stati Uniti, è un sostanziale passo avanti nella ricerca di un trattamento per la malattia, scrive la responsabile della ricerca, Ranui Baillie dell’Università di Otago in Nuova Zelanda, sul sito dell’università. “Possiamo ora studiare queste cellule staminali e imparare come controllarle”, aggiunge. Questo aprirà la strada a nuovi trattamenti di un cancro fra i più letali, che uccide metà dei pazienti entro cinque anni. Un tasso di mortalità che non è migliorato in più di 40 anni, nonostante i progressi significativi della medicina. Queste cellule staminali si sono dimostrate resistenti ai trattamenti tradizionali come chemioterapia e radioterapia, osserva la studiosa, “Quindi, mentre le cellule cancerose possono rispondere al trattamento, la causa sottostante, le cellule staminali, non sono colpite”.

Fonte Aduc

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Fumo, psicoterapeuta spiega perché sia tanto difficile smettere

May 31, 2013 Leave a comment

fumo

GIORNATA MONDIALE SENZA TABACCO
Fumo: lo psicoterapeuta ci spiega perché sia tanto difficile smettere
“Occorre re-imparare a gestire le emozioni negative, che affogavamo nella sigaretta” spiega da ex fumatore lo psicoterapeuta Giovanni Porta
Smettere di fumare non è semplice: quando si accende una sigaretta dietro l’altra sembra addirittura impossibile liberarsi dal circolo vizioso che induce migliaia di persone a cercare nottetempo il più vicino distributore automatico perché, senza l’ultima boccata, è impensabile dormire. “Spesso affidiamo alla sigaretta una parte della gestione delle nostre emozioni – spiega Giovanni Porta, psicoterapeuta ed ex fumatore – La sigaretta diventa per il fumatore la risposta a molte problematiche. Stress lavorativo? Sigaretta. Litigio? Sigaretta. Ansia per il futuro? Sigaretta. Personalmente, credo che il punto più difficile nello smettere di fumare sia proprio re-imparare a gestire le proprie emozioni e i propri conseguenti comportamenti senza avere la “stampella” della sigaretta. Il fumo diviene una sorta di magica panacea che consente di sopportare meglio le difficoltà esistenziali. La sua assenza è temuta non solo per la temporanea difficoltà fisiologica che l’astinenza da nicotina comporta, ma anche e soprattutto per le attese conseguenze nefaste che un suo non-uso può generare. Questa evidente difficoltà a fare a meno del tabacco può avere anche delle conseguenze sull’autostima”.  Il fumo di sigaretta comporta due tipi di dipendenza. La dipendenza fisica, da nicotina, è quella più facile da vincere, in quanto si esaurisce nel giro di una settimana o poco più. Molto più difficile da affrontare è la dipendenza psicologica dalle sigarette, quella che ci fa dire non smetterò mai.
“Accendersi una sigaretta, per un tabagista, rappresenta un gesto che induce forte sollievo, tanto da far affermare a molte persone fumare mi piace. – continua Giovanni Porta – In realtà, non è affatto corretto parlare di piacere, per quanto riguarda il fumo: infatti, accendersi una sigaretta non fa sperimentare alcun piacere, ma solo diminuire la spiacevole sensazione di astinenza da nicotina. È lo stesso piacere che si prova quando, dopo essersi dati un pizzicotto, piano piano il dolore si riduce.
Un elemento che rende difficoltoso smettere di fumare è che spesso le persone usano le sigarette come oggetti di sublimazione e di contenimento emozionale. Molto frequente, ad esempio, sentire qualcuno affermare cose del tipo: sono troppo nervoso, ora mi accendo una sigaretta, quasi che il non farlo potrebbe lasciare spazio a delle incontrollate reazioni di nervosismo. In termini psicologici, questa persona sublima il suo nervosismo nella sigaretta. Chi decide di smettere di fumare si trova a dover gestire una certa dose di paura: che ne sarà di me, del mio equilibrio, delle mie relazioni, senza le sigarette?
I milioni di persone che sono riuscite a smettere dimostrano che tutte le terribili paure e ansie legate all’astinenza dal fumo sono del tutto infondate, anzi lasciano spazio a miglioramenti fisici e di salute che ampiamente ripagano l’iniziale sforzo. Questo affermano quanti hanno smesso, ma mentre si accende una sigaretta dietro l’altra la prospettiva non è certamente così rosea.
Come faccio a gestire le mie emozioni senza la sigaretta? In che cosa troverò conforto e riparo, se non nell’amata sigaretta?
Per smettere di fumare bisogna diventare più abili nella propria gestione emotiva. In altre parole, invece di “calmare” grazie al tabacco le emozioni di difficile gestione, bisogna imparare ad ascoltarle e confrontarcisi”.
Facciamo un esempio: un fumatore arrabbiato che non vuole mostrare la propria rabbia può uscire dalla stanza con la scusa di dovere fumare e calmarsi piano piano boccata dopo boccata, ma che fa un ex fumatore arrabbiato? A questi non resterà che ascoltare la propria rabbia (cosa per nulla piacevole), capire da cosa si è generata, e decidere che farne. “In altre parole, – spiega Giovanni Porta) mentre le sigarette aiutano ad abbassare il livello di attivazione emotiva grazie al finto piacere dato dalla soddisfazione della dipendenza da nicotina, gestire le emozioni senza di esse è più complicato, in quanto le emozioni si presentano in tutta la loro intensità. L’unico modo per attenuare un livello emotivo poco piacevole è dare una prospettiva a quell’emozione, cioè decidere cosa fare in conseguenza di essa”. Nell’esempio fatto in precedenza, capire le ragioni della mia rabbia e agire nella direzione della loro soluzione, magari confrontandomi con chi mi ha fatto arrabbiare e andando in fondo alla questione.
“Quasi tutte le persone che hanno smesso di fumare raccontano di aver migliorato la propria autostima, – conclude Giovanni Porta – in quanto sono riuscite a fare una cosa che ritenevano molto difficile. Credo che, in termini di autostima, anche uno stile maggiormente diretto nel gestire le proprie emozioni e i propri rapporti umani possa generare un notevole miglioramento della propria considerazione di sé. Essere più presenti, a se stessi e agli altri, invece di fuggire nel fumo…”
GIOVANNI PORTA
Psicologo psicoterapeuta di orientamento gestaltico, è esperto di poesia e di teatro. Vive e lavora a Roma. Da anni realizza laboratori e percorsi in cui l’arte viene utilizzata con finalità terapeutiche. Laureato in Psicologia presso l’Università degli Studi di Padova, si è successivamente specializzato con un master in “Utilizzo di tecniche artistiche nella relazione d’aiuto”, ha una specializzazione in Psicoterapia della Gestalt presso l’I.G.F. di Roma, ed una in “Teatro e Psichiatria”. Riceve a Roma, in via Pisa 21, e a Pomezia (RM), in via Rimini 11/B, e a Busto Arsizio, suo terra d’origine. Per info: http://www.giovanniporta.it

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Aicpe, per evitare sorprese rivolgersi sempre a medici specializzati

February 13, 2013 Leave a comment

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Quando la chirurgia plastica va in tribunale: l’aumento del seno l’intervento più contestato
A Padova un corso riservato ai chirurghi plastici estetici patrocinato da Aicpe: «Per evitare sorprese, è importante rivolgersi sempre a medici specializzati»
La chirurgia plastica è un argomento sempre più dibattuto nella aule di tribunale. Ma come stabilire se la responsabilità dell’insuccesso di un intervento è da attribuire o meno al chirurgo? Spesso per risolvere il contenzioso ci si rivolge a un chirurgo plastico, che è quindi chiamato a esprimersi sull’operato dei colleghi sia nel corso di procedimenti civili o penali sia in sede extragiudiziale. Per fare chiarezza sull’argomento è stato organizzato nei giorni scorsi alla Clinica Cittàgiardino di Padova il corso “Il ruolo del chirurgo plastico nelle consulenze medico legali”, patrocinato dall’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica (Aicpe).
«Scopo del corso  è formare i chirurghi plastici nel settore delle consulenze, per  supportare i medici legali e per aiutarli a esprimere in modo professionale un giudizio sull’operato dei colleghi – ha detto Luca Siliprandi, chirurgo plastico organizzatore del corso e membro di Aicpe –. Senza volersi sostituire al medico legale in sede di consulenza, insomma, l’evento ha avuto l’obiettivo di offrire le nozioni fondamentali per svolgere questo difficile compito in modo corretto e responsabile ».
L’intervento più contestato, secondo l’esperienza accumulata come consulente da Luca Siliprandi dal 1995 a oggi, è l’aumento del seno. Anzi, negli ultimi anni il numero di ricorsi al tribunale è sensibilmente cresciuto: «La mastoplastica additiva è l’intervento più praticato in Italia quindi, statisticamente, è quello più esposto a contestazioni – argomenta Siliprandi -. Tuttavia, proprio la grande richiesta ha spinto anche medici non specializzati a eseguire questa operazione, con risultati spesso non soddisfacenti». Al secondo posto tra gli interventi più dibattuti si trova la rinoplastica: un’operazione delicata che riguarda il volto, una delle zone del corpo più esposte, che può essere stravolto dal bisturi. Al terzo posto, in modo piuttosto inaspettato, si è imposta negli ultimi anni la mastoplastica ricostruttiva, ossia la ricostruzione del seno dopo l’asportazione chirurgica in seguito a un tumore: «Fino al 2000 questo intervento si trovava al sesto posto – precisa Siliprandi -. Il maggior numero di contestazioni credo si possa ricondurre alla crescita delle esigenze delle pazienti anche in campo oncologico per l’aspetto estetico, riconosciuto come un diritto alla salute».
Sono diminuite sensibilmente, invece, le contestazioni per mastoplastiche riduttive (per ridimensionare seni troppo abbondanti), e blefaroplastiche (ringiovanimento dello sguardo). «Negli ultimi 10 anni questi interventi, meno richiesti ma anche più complessi e quindi eseguiti da dottori con una perizia maggiore» spiega Siliprandi. Anche la lipoaspirazione (liposuzione) dal terzo posto è crollata all’ottavo, in questo caso per un miglioramento tecnico che ha risolto alcune criticità: «Oggi si utilizzano cannule sempre più sottili e quindi meno aggressive per i tessuti» spiega Siliprandi.
Di certo, la scarsa perizia dei medici che si cimentano in chirurgia plastica è spesso alla base del problema. Per l’aumento del seno, dal luglio 2012 è entrata in vigore una legge che prevede che solo chirurghi con una specializzazione adeguata possano eseguire l’intervento: «Questo mette fine a un vuoto legislativo che ha lasciato in questi anni campo aperto a molti dottori non specialisti, con conseguenze negative non solo per le pazienti, ma per tutto il settore – dice il presidente di Aicpe, Giovanni Botti -. Le pazienti devono quindi rivolgersi solo a chirurghi specializzati, verificando che chi propone l’intervento abbia i requisiti per farlo». Sul sito www.aicpe.org si trova l’elenco dei soci, tutti medici specializzati nel settore della chirurgia plastica estetica.
AICPE: L’Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica, la prima in Italia dedicata esclusivamente all’aspetto estetico della chirurgia, è nata con l’obiettivo di dare risposte concrete in termini di servizi, tutela, aggiornamento e rappresentanza. Pur essendo una novità per il nostro Paese, non lo è affatto in molte altre nazioni europee e non, dove esistono da tempo associazioni che raccolgono tutti coloro che si interessano di chirurgia estetica. Ad Aicpe al momento hanno aderito 160 chirurghi in tutta Italia, tra cui si annoverano professionisti di fama e docenti universitari. Membri di Aicpe possono essere esclusivamente professionisti con una specifica e comprovata formazione in chirurgia plastica estetica, che aderiscono a un codice etico e di comportamento da seguire fuori e dentro la sala operatoria. Scopo di Aicpe è tutelare pazienti e chirurghi plastici in diversi modi: disciplinando l’attività professionale sia per l’attività sanitaria sia per le norme etiche di comportamento; rappresentando i chirurghi plastici estetici nelle sedi istituzionali, scientifiche, tecniche e politiche per tutelare la categoria e il ruolo; promuovendo la preparazione culturale e scientifica; elaborando linee guida condivise. Tra gli obiettivi c’è anche l’istituzione di un albo professionale nazionale della categoria.

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Panasonic, nuovo approccio alla cura del paziente con il Toughbook

November 8, 2012 Leave a comment

IN REPARTO CON I TOUGHBOOK ALL’OSPEDALE DI VIMERCATE.
La Struttura
L’Ospedale di Vimercate è la struttura principale all’interno dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, costituitasi nel 2009 a seguito del riassetto organizzativo del sistema sanitario lombardo conseguente all’istituzione della Provincia di Monza e Brianza, e comprendente anche i quattro presidi ospedalieri di Desio, Carate, Giussano e Seregno.
L’assistenza medica in mobililità. I Toughbook Panasonic modificano l’approccio alla cura del paziente
Nel 2007, l’Ospedale di Vimercate decide di dotarsi di un’infrastruttura wireless che colleghi tutti i reparti e di cogliere una sfida importante per il futuro della struttura: impostare i servizi di cura al paziente sulla mobilità e sulla totale disponibilità del dato clinico. La scommessa è quella di informatizzare gradualmente la cartella clinica dei pazienti nell’ottica di abbandonare completamente la versione cartacea, mettendo al servizio del personale ospedaliero uno strumento che possa essere usato in completa mobilità, davanti al letto del paziente, in corridoio, in pausa pranzo.
A seguito di un processo di valutazione e selezione dei diversi dispositivi mobili disponibili sul mercato, l’azienda decide di avviare una collaborazione con Panasonic Toughbook, dotandosi di diversi modelli di portatili touch-screen.
Ad oggi, dopo esser stati progressivamente introdotti in tutti i reparti di ricovero ospedaliero, circa 300 portatili Panasonic Toughbook sono utilizzati quotidianamente dal personale clinico di Vimercate – 250 medici e 800 infermieri – diverse unità sono state introdotte con successo nella struttura di Seregno, mentre l’azienda ospedaliera si prepara ad estendere la sperimentazione anche alla struttura di Desio.
I motivi del successo 
“Dall’inizio del progetto i dispositivi Panasonic in uso sono stati gradualmente aggiornati e sostituiti con i modelli più recenti, come il Toughbook CF-C1” afferma Giovanni Delgrossi, Direttore dei  Sistemi Informativi dell’Azienda Ospedaliera di Desio e Vimercate, “ma mai in questi cinque anni abbiamo pensato di sostituirli con altri prodotti”.
Questo perché i Toughbook Panasonic rispondono perfettamente ai requisiti dell’utilizzo in ospedale: una grande autonomia (la doppia batteria intercambiabile a caldo assicura fino a 12 ore con una sola ricarica), solidità e robustezza (le macchine restano normalmente accese 24/7) e maneggevolezza. Un altro criterio che ha giocato a favore nella loro scelta è la possibilità di utilizzare portatili come il CF-C1 anche in modalità tablet convertibile con touchscreen, che ne rende più agevole e veloce l’utilizzo.
Il progetto della cartella clinica elettronica 
Il progetto che ha visto protagonisti i Panasonic Toughbook a Vimercate è quello della cartella clinica elettronica: sfruttando la connettività continua assicurata dall’infrastruttura wireless, le tradizionali cartelle cartacee sono state progressivamente sostituite da quelle elettroniche che rendono disponibili in qualunque luogo e momento ad un numero illimitato di utenti (medici ed infermieri), l’accesso a tutti i dati clinici del paziente. “Le farmaco-terapie dei pazienti, gli esami strumentali e del sangue, le immagini radiologiche, gli elettrocardiogrammi” continua Giovanni Delgrossi “tutto il mondo sanitario del paziente è disponibile in tempo reale, con enormi vantaggi sul piano dell’efficientamento delle pratiche terapeutiche”. Questo vale in particolar modo per aspetti impegnativi delle cure mediche come la somministrazione da parte dell’infermiere della corretta farmaco-terapia al paziente, un processo che prima passava attraverso l’interpretazione della grafia lasciata dal medico sulla carta.
Inoltre, con una singola cartella clinica a disposizione, i diversi utenti (consulenti, infermieri, medici) erano costretti ad attendere per poterla usare; ora ciascuno di loro può accedere simultaneamente e indipendentemente dagli altri al dato clinico, verificarlo, modificarlo se necessario, senza la necessità di recarsi dal paziente e quindi con un grande risparmio di tempo.
La possibilità di utilizzare i Toughbook di Panasonic per effettuare l’attività di prescrizione delle prestazioni che devono essere erogate al paziente, per comunicarle ai diversi laboratori e, in seguito, per consultare i referti e i risultati degli esami, garantisce la chiarezza del dato clinico, univoco e comprensibile per tutti, e la sua disponibilità in tempo reale e in modo intensivo. Entrambi questi risultati si traducono in una maggiore efficienza nell’organizzazione del lavoro: attraverso la loro sistematizzazione, le informazioni sul paziente diventano più trasparenti e sicure, permettendo una maggiore velocità di gestione del singolo caso.
“La chiave del successo di questi prodotti è la loro affidabilità: utilizziamo da 5 anni macchine che sono in funzione tutto il giorno tutti i giorni e che non danno il minimo problema. Sono molto robuste e resistono anche ai “maltrattamenti” del personale, che in corsia a causa della fretta o dell’urgenza non può certo maneggiarli con particolare cura o delicatezza. Inoltre, sono comodi e leggeri e i medici si sono ormai abituati a portarseli dietro ovunque” conclude Delgrossi.

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ProCrea, infertilità maschile prima causa di ricorso alla procreazione assistita

October 18, 2012 Leave a comment


L’infertilità maschile è la prima causa di ricorso alla procreazione assistita
«In una coppia su due è il maschio ad avere problemi. Gli stili di vita e il tempo influiscono sulla salute riproduttiva dell’uomo», spiegano dal centro di medicina della riproduzione ProCrea
L’infertilità dell’uomo è la prima causa del ricorso alla procreazione assistita. «A fronte di un crescente ricorso alle tecniche di procreazione assistita, l’infertilità di tipo maschile interessa circa una coppia ogni due», spiega Cesare Taccani, specialista in medicina della riproduzione del centro per fertilità ProCrea di Lugano (Svizzera) dove ogni anno si rivolgono più di mille coppie italiane.
I dati contenuti nella relazione sulla procreazione medico assistita, che il Ministro della Salute ha presentato in Parlamento, lo confermano: il fattore di infertilità di tipo maschile costituisce la prima causa di infertilità tra le coppie di pazienti con il 32,7 per cento. Se a questo si aggiungono le coppie che soffrono di una infertilità mista, sia di tipo maschile che femminile, la relazione arriva ad affermare che “le coppie in cui è presente una patologia maschile ammontano al 50,7 per cento del totale”. Quindi, tra quanti si rivolgono ai centri di medicina della riproduzione, in una coppia su due il “problema” è rappresentato dall’uomo.
Situazione del tutto simile a quella italiana viene rilevata anche in Svizzera. Secondo l’ufficio federale di statistica, nel 2010 la sterilità maschile è stata rilevata nel 45,2 per cento delle coppie che si sono rivolte ai centri di procreazione assistita; la sterilità femminile nel 17,3 per cento dei casi, mentre cause sia maschili che femminili nel 25 per cento. Resta un 11 per cento dei casi dove la sterilità è idiopatica, quindi senza alcuna spiegazione scientifica.
«Tra Italia e Svizzera i numeri variano di poco. Due i dati centrali: la sempre maggiore presenza di problemi sul fronte maschile e la necessità di fare un’azione di prevenzione a favore della salute riproduttiva nell’uomo», continua Taccani. «Nella maggior parte dei casi parliamo di situazioni di infertilità dettate da un basso numero di spermatozoi sani o da problemi con la funzionalità spermatica tali da rendere difficile la fertilizzazione dell’ovocita in condizioni normali». L’elevata incidenza dei problemi maschili però non deve eccessivamente preoccupare. «In molti casi i problemi di infertilità possono essere curati o comunque superati», precisa lo specialista di ProCrea. «Solamente nel 3% delle coppie infertili vi è una condizione di azoospermia, per cui è necessario ricorrere alla fecondazione eterologa mediante donazione di spermatozoi». La fertilità maschile, pur essendo più longeva rispetto a quella femminile, è però influenzata negativamente da fattori esterni e interni. «Infezioni trascurate, iperstrogenismo alimentare e ambientale e stress sono tra le principali cause che provocano infertilità nell’uomo – ricorda Taccani -. Occorre però tenere presente anche il fattore tempo: la fertilità di un venticinquenne infatti non è uguale a quella di un uomo di 50 anni. L’età media del partner maschile che si rivolge al nostro centro è ormai superiore ai 40 anni: anche gli uomini tendono a posticipare sempre più la decisione di diventare padri».
Tra le altre cause di infertilità rilevate nelle coppie che si rivolgono ai centri specializzati di procreazione assistita ci sono quelle femminili come infertilità endocrina-ovulatoria (nel 16 per cento dei casi), endometriosi (4,5%) e fattori tubarici parziali, ovvero funzionalità delle tube alterata (3,5%).
ProCrea – Con una lunga esperienza nel campo della medicina della riproduzione, ProCrea è il maggiore centro di fertilità della Svizzera ed è un polo di riferimento internazionale. ProCrea è composto da un’équipe professionale di medici, biologi e genetisti specialisti in fisiopatologia della riproduzione. Unico centro svizzero ad avere al suo interno un laboratorio accreditato di genetica molecolare (www.procrealab.ch), ProCrea esegue analisi genetiche per lo studio dell’infertilità con tecniche d’avanguardia. La sede principale è a Lugano in via Clemente Maraini, 8. http://www.procrea.ch.


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