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Albero di Natale, simbolo cosmico

December 16, 2011 Leave a comment

Questa volta la facciamo facile, facile… Non è un mistero per nessuno che l’albero rappresenti un simbolo e non è un’idea di un qualche assessore all’urbanistica. Gli alberi, infatti, fortunatamente sono comparsi su questo pianeta molto prima degli assessori. E, anche se ci stiamo impegnando a distruggerli, finiranno molto dopo…
L’Albero è da considerarsi una sorta di “cattedrale” delle culture animiste più antiche e il suo culto è tuttora piuttosto diffuso. Presente in tutte le religioni arcaiche, è l‘albero cosmico della mitologia germanica (e la tradizione del nostro abete natalizio prende piede proprio dai germani), ma anche l’albero indiano dei Veda, l’albero della Vita persiano e biblico, e così via…
D’altronde, si tratta di un elemento che si presta: rappresenta la vita, dà alimento e rifugio, purifica l’aria che respiriamo, collega terra e cielo, ha a che fare con tutti e quattro gli elementi, affonda solide radici nella Terra Madre e si eleva, con una struttura piramidale, verso le gerarchie celesti (e le conifere si prestano perfettamente a tale lettura).
Chi ha viaggiato nell’India del Nord, in Asia Centrale, in Cina, in Tibet, in Siberia e in diversi Paesi africani, avrà sicuramente notato che alcuni alberi – in genere i più antichi o maestosi – sono oggetto di culto: vengono legati sottili fili intorno al tronco per accendervi incensi e infilarvi ghirlande di fiori; alla base dell’albero vengono deposti fiori, cibo, lumi accesi. Una tradizione ancor viva un po’ in tutto il mondo.
Su una tavoletta babilonese molto antica (1850 a.C.) è raffigurato un albero stilizzato, ai cui rami sono appese delle losanghe che raffigurano gli astri mentre, alla sommità, è raffigurato il Sole, che domina. Si tratta certamente del più antico albero di Natale finora rinvenuto (ricordiamo che a Babilonia il Dio Sole Samash era festeggiato il 25 dicembre). Si sa comunque che i babilonesi usavano anche decorare l’albero appendendovi diverse varietà di frutti.
Celti, Sassoni, Normanni portavano alberi in casa per tener lontani gli spiriti cattivi, gli Egiziani vi portavano le palme e i Romani gli abeti. Come segno di venerazione verso gli alberi consacrati, gli antichi erano soliti appendere mele e altri frutti come offerte alle divinità. La tradizione era estesa in tutto il nord Europa: per ringraziare la terra della sua generosità, e in segno di buon auspicio per i successivi raccolti, i contadini appendevano sugli alberi i frutti dei loro raccolti. Gli antichi Germani appendevano anche pietre ai rami delle querce, per far tornare gli spiriti fuggiti con la caduta delle foglie. Successivamente, gli alberi si arricchirono di frutti colorati, ghirlande, e candeline.
La prima ripresa di questa antica usanza viene documentata a Strasburgo, in Germania, nel 1539, ma pare che fino all’Ottocento sia rimasto un semplice fenomeno locale. In questo secolo, fabbricanti germanici e svizzeri cominciarono a produrre ninnoli di vetro soffiato, gli americani successivamente aggiunsero l’idea delle lampadine. Poi, nel 1840, la duchessa di Orléans, imitando l’ambasciatore asburgico, fece addobbare un enorme albero nel giardino delle Tuilleries a Parigi, e la moda dilagò così tra tutte le corti europee.

Fonte: Adea Edizioni

I Babilonesi (parte II)

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In realtà, nella storia della Mesopotamia sono scarse le informazioni attestanti il tipico costume femminile, che si presume seguisse le fogge dell’abito maschile, ma da una statua risalente al periodo di Gudea è possibile intuire almeno genericamente l’impostazione di base. In effetti per le donne un rettangolo di stoffa veniva sontuosamente drappeggiato in modo aderente sul busto, in modo da avvilupparne doverosamente le forme che, incrociato sul dorso all’altezza delle scapole, in prossimità della base del collo saliva da dietro sopra le spalle rivestendole completamente, appena scivolato sulle braccia semi-scoperte, per poi penzolare mollemente in avanti fino in vita diviso in due lembi e coprenti, ciascuno per lato, il seno. Esiste una seconda versione, forse più ricercata poiché meno convenzionale, rinvenuta attraverso il ritrovamento di una statua di età posteriore ritraente un’antica donna elamita, che prevedeva altresì il drappeggio del rettangolo di tessuto, il quale dopo aver coperto doverosamente il seno, una volta diviso sulle spalle, anch’esse coperte, ricadeva sui due lembi  separatamente, uno liberamente sul schiena e l’altro sul davanti coprente il lato destro. La stoffa era fissata in prossimità della spalla sinistra con una spilla. L’uso del fermaglio per fissare un abito come principale accessorio esornativo anziché piegarlo elegantemente evitando l’impiego dell’apposito gioiello non rientrava nella consuetudine di questo periodo specifico. Un’altra caratteristica essenziale dell’abbigliamento muliebre riscontrato su questa statua era l’uso di un corpetto indossato al di sotto del tessuto avviluppato sul corpo, ma anch’esso di difficile reperibilità storica a causa di insufficienti conferme provenienti da ulteriori ritrovamenti archeologici, nonostante questo modo di abbigliarsi è sopravvissuto nelle zone dell’India dall’antichità fino ad oggi.

Una nota caratteristica dell’abbigliamento babilonese di entrambi i sessi furono le molteplici guarnizioni a frange sviluppate nel pieno della civiltà imperante di Babilonia che, disposte simmetricamente sulle vesti, creavano un gioco di colore divertente e variopinto nei colori spesso alternati nelle tonalità del rosso, dell’oro, del grigio e del bianco. Il colore infatti risulta la caratteristica più appariscente adottata dai babilonesi, riscontrabile nelle varie pitture murali caratterizzanti questo periodo dell’arte parietale antica. Anche in tal caso, secondo le testimonianze di sculture in bassorilievo risalenti al XXII secolo a.C., l’abito maschile spesso si distingueva da quello femminile per la disposizione del tessuto sulle spalle che, come consueto, rimaneva solitamente scoperto sul lato destro per il sesso maschile mentre copriva letteralmente entrambe le parti per quello femminile.

La tipologia dell’abito lungo prettamente talare, drappeggiato o frangiato, era strettamente riservata alla nobiltà babilonese, mentre servi e musicisti indossavano semplici gonne di lino, ampie e mediamente lunghe, prese in prestito dai precedenti sumeri.

Anche per i babilonesi, come per i loro predecessori, la cura del corpo era di fondamentale importanza, infatti essi conservarono gran parte delle caratteristiche peculiari sumere. L’acconciatura maschile era di grande rilevanza e gli uomini amavano particolarmente la barba, indice di nobiltà e quindi di elevata distinzione. Per entrambi i sessi i capelli erano disposti accuratamente sopra il capo, ma ondulati e trattenuti da appositi copricapi, legati da appositi nastri per le donne che lasciavano ciocche cascanti disposte volutamente in risalto rispetto al sesso maschile che li conservava, in modo più accurato, nella zona posteriore del cranio.

L’uso delle tiare indossate sul capo per adornare la propria immagine in rappresentanza del dio glorificante era un lusso permesso soltanto ai principi e alle principesse di elevata estrazione, tra le quali è da summenzionare quella tipica a corne multiple ripiegate all’interno verso l’alto munita di una sorta di palla sferica nella sommità.

Da non dimenticare inoltre l’uso smodato di profumi per le aspersioni del corpo e l’uso ornamentale di vari gioielli di finissimo pregio, tra cui diademi, collane, braccialetti di varia fattura e splendide pietre preziose di vario colore.

a cura di Marius Creati