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Archive for May, 2016

Giorgio Albertazzi, muore un grande protagonista dello schermo

May 29, 2016 Leave a comment

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Aveva più di novant’anni e si era appena sposato. Una sola domanda lo faceva inalberare: Salò. «Di cosa dovrei pentirmi? Non amo il pentimento, un sentimento cattolico che disprezzo. Perché “dalla parte sbagliata”? Perché era la parte perdente?». Non c’è proprio nulla che le pesa? Neppure l’accusa di aver fucilato? «Una cosa che mi pesa c’è: aver sentito talora la mia scelta per la Repubblica sociale, che mai rinnegherò, come un freno per fare sino in fondo quel che avrei voluto, a fianco della sinistra. Voltare gabbana, mai. Le stesse cose che mi avevano spinto a Salò, l’anticlericalismo, l’idea sociale della Carta del lavoro e della partecipazione dei lavoratori agli utili delle aziende, l’istinto dell’anarchia e della libertà, nel dopoguerra mi spingevano a impegnarmi con la sinistra».

Allora provavi a insistere: lasci stare la sinistra e del dopoguerra, mi parli del 1943. E lui, fierissimo: «Per chi come me leggeva Salgari e l’Avventuroso, all’astuzia di Ulisse preferiva la forza di Achille, era cresciuto nel mito di Baracca e di D’Annunzio, dei trasvolatori dell’Atlantico e dei calciatori bicampioni del mondo, il fellone era Badoglio che scappava. Che ha senso ricordare oggi: la parte legale non era quella? Per chi come me aveva il mito non tanto del Duce ma di Ettore Muti ucciso dai badogliani, di Italo Balbo abbattuto nel cielo della Sirte, degli eroi della Folgore disfatti a Birel Gobi, la “parte legale”, l’Italia, era quella. E io ho combattuto per l’Italia».

La guerra civile

«Non amavo Mussolini per la sua retorica. Come non ho amato Berlusconi per la sua pompa, pur se riconosco che è un grande attore. L’ideale era D’Annunzio, lui che alla testa dei legionari si alza sulla moto a offrire il petto ai colpi, lui che dopo una notte con l’imperatrice mormora a chi gli chiede com’è andata: “Non ho più i miei sessant’anni”. Da bambino sono cresciuto in una dependance della villa I Tatti, dove il critico Bernard Berenson custodiva arcignamente la sua collezione. Nonno Ferdinando lavorava per lui. Avevamo una sola finestra che dava sui Tatti; Berenson ordinò al nonno di murarla. Così noi andavamo a sbirciare alla Capponcina, la villa di D’Annunzio lì accanto, dove ancora aleggiava l’ombra del Vate».
«Da ragazzo ero innamorato di zia Livia, la sorella di mia madre, sposata con zio Alfio. Gli chiedevo: zio, cos’è il fascismo? Rispondeva: il fascismo è l’Italia. Dopo il 25 luglio 1943 e l’arresto del Duce andarono a prenderlo in quattro, lui aveva una rivoltella in tasca ma non la usò, lo massacrarono di botte, agonizzò per giorni sputando a pezzi i polmoni. Io avevo 18 anni, tiravo di boxe, ero forte e veloce. Partigiani in giro non ce n’erano, e devo dire che non ne ho mai visti, se non nella primavera del ’45. Non voglio generalizzare, ma certo molti divennero partigiani in quanto renitenti». Altri grandi attori andarono a Salò, da Vianello a Salerno. «Di Dario Fo non saprei. Con gli amici occorre delicatezza; e Dario è un amico. Non ho mai osato porgli l’argomento».

Il “fucilatore”

Albertazzi era molto attento alle sue parole. Anni fa, raccontava, era accaduto che fossero strumentalizzate. «Militanti di Rifondazione mi contestarono chiamandomi “fucilatore non pentito”. Io non mi pento di quanto ho fatto; a maggior ragione, non mi pento di quanto non ho fatto. E io non ho fucilato nessuno. Non sapevo nulla dei campi di sterminio ma già allora non avevo simpatia per i tedeschi, pur discendendo da una famiglia di lanzichenecchi scesi dalla Pomerania; semmai, per gli americani. Ma non è vero che eravamo sottomessi ai nazisti. Tenevamo una piccola parte del fronte, lungo il Foglia, pressati dai polacchi di Anders e dalla Quinta Armata. Una notte passai le linee per andare a salutare i miei a Firenze; avrei potuto restare ma prevalse il senso di lealtà. Tornai. Qualche giorno dopo i tedeschi ci consegnano due disertori, addestrati in Germania, inquadrati nell’esercito della Rsi, fuggiti e ripresi. Avrebbero potuto fucilarli subito. Invece li processarono. Uno fu assolto, l’altro condannato a morte. Tergiversammo, nella speranza di risparmiarlo. Il comandante del reggimento, Zuccari, ordinò: o lui, o voi. Il plotone d’esecuzione fu comandato da un maresciallo, mi pare si chiamasse Manca. Io non ebbi un ruolo, però c’ero, come sottotenente ero il più alto in grado: il comandante della compagnia era ferito, il sostituto assente. Al processo per salvarmi spostai la data della mia incursione a Firenze. In seguito ho riconosciuto che quel giorno ero lì. Ma questo non fa di me un fucilatore».
«Mio padre e mio fratello avevano passato notti durissime, legati, terrorizzati: “Il vostro Giorgio è stato impiccato”, dicevano. Ma erano sopravvissuti. Dopo il 25 aprile, in quel clima di tiro al piccione, riparai ad Ancona, dove c’era una forte tradizione anarchica. Il punto di riferimento era Titta Foti, leader della Fai, Federazione anarchica italiana, che dopo avermi sentito parlare di politica mi disse: tu sei dei nostri. Scrivevo versi sul suo giornale, L’Agitazione, misi in scena pièces sul primo maggio e sui repubblicani spagnoli, sotto il falso nome di Glauco G. Albe, per sfuggire alle reti dell’epurazione. Poi qualcuno finì per pescarmi. Rimasi in carcere un anno e mezzo, sino all’assoluzione. In cella i fondatori del Msi presero contatto con me, ma non ne volli sapere. Alle prime elezioni politiche, il 18 aprile 1948, se avessi potuto avrei votato socialista. Stimavo Almirante, figlio di attori e a sua volta molto dotato, ma con i missini non ho mai avuto a che fare, anzi loro contestarono un mio spettacolo dedicato a Lorca».

Il “sessantottino”

Albertazzi rivendicava anche di aver fatto il Sessantotto. «Ero a Genova, per la prima mondiale del Fu Mattia Pascal, adattato al teatro da Tullio Kezich, regia di Luigi Squarzina, con Elisabetta Pozzi al debutto. Era una stagione di lotte – la Finsider in crisi, la Pettinatura Biella chiusa – e io mi ci buttai. Andavo nelle fabbriche occupate a recitare poeti latinoamericani, che ogni due versi evocavano la rivoluzione. Partecipavo ai cortei con le bandiere rosse. Squarzina, che era comunista, mi consigliò di non esagerare. Quando la consigliera in quota Dc del teatro stabile fece una battaglia per cacciarmi, gli operai Finsider marciarono sul teatro al grido “giù le mani da Albertazzi”. Poi cominciarono le lotte dei radicali. Mi impegnai nelle campagne per il divorzio e l’aborto, giravo i paesi, tenevo discorsi. Fui anche eletto in Parlamento ma rinunciai al seggio. Per questo ho sofferto quando mi tolsero la cattedra di letteratura teatrale all’università di Torino, per il veto di Guido Quazza. Un uomo è ciò che ha fatto, ma anche ciò che pensa. Erano di sinistra tutte le persone importanti della mia vita, da Luchino Visconti ad Anna Proclemer».

Le donne e il bacio con Visconti

«Visconti me lo presentò Franco Zeffirelli, mio amico fraterno. Luchino mi diceva: mi resterai soltanto tu. Non andò così. Eppure abbiamo avuto un rapporto strettissimo. Visconti mi stimava molto, mi scrisse di avermi visto impallidire in scena come riusciva solo alla Duse. E’ possibile che fosse anche un po’ innamorato di me. Mi chiese se fossi disposto ad andare oltre l’amicizia, e io non ebbi obiezioni. Ma lui era come intimorito dalla mia intelligenza. Ci fermammo a un bacio. Forse chiedeva agli uomini quel che Sartre chiedeva alle donne: sii bella e taci. Io non mi considero un attore ma uno scrittore mancato. Un grande attore deve essere un po’ stupido, nel senso etimologico di provare stupore».
Definiva la moglie, Pia de’ Tolomei, 36 anni di meno, «la persona che amo di più al mondo: un angelo, un tramite tra l’uomo e Dio». Ma Albertazzi non amava che si parlasse delle “sue donne”, tanto meno di amanti; semmai, di amate. «Non sono un sultano con l’harem. E’ vero però che non riesco a lasciarle. Mi faccio lasciare. A volte sono stato lasciato. Non ho memoria del sesso, mentre le donne si ricordano tutto. Io trattengo alcuni flash. Mi ricordo ad esempio di un corpo nudo dormiente, di me che indugio se coprire o meno la linea dei fianchi; poi esco, e al ritorno anziché lei trovo un biglietto, “vita mia”. No, non posso dire chi era». Ognuna è libera di riconoscersi, e di salutarlo.

Fonte: Corriere Della Sera

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“Confiteor”, personale di Valerio de Filippis presso ART G.A.P. Gallery di Roma

May 27, 2016 Leave a comment

Confiteor

Un allestimento sperimentale per celebrare il ritorno in mostra di un vero artista e di un grande amico a cui tutto lo staff di ART G.A.P. è legato dall’anno della fondazione. Nella mostra “Confiteor” Valerio de Filippis espone due opere soltanto, di grandi dimensioni, frutto di una meditazione sul senso dell’esistenza portata avanti da decenni.

Mostra Personale di: Valerio de Filippis

A cura di: Cecilia Paolini

LocationART G.A.P. Gallery – Modern & Contemporary Art

Via San Francesco a Ripa 105/a – Roma

Tel: 06.9360201 – 349.7782748 – 392.3327575

Opening: Sabato 28 Maggio 2016 – Ore 19.30

Periodo di esposizione: dal 28 Maggio al 08 Giugno 2016

Orari: tutti i giorni dalle 15.30 alle 19.30

Facebook Event Valerio de Filippis – Confiteor

 

Marco Pannella, muore il leader radicale delle battaglie del Novecento

May 20, 2016 Leave a comment

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Aveva 86 anni il simbolo della lotta non violenta per i diritti civili e politici

Muore, a 86 anni, il protagonista delle mille battaglie dell’Italia del Novecento, il simbolo della lotta non violenta per i diritti civili e politici: l’Italia dice addio a Marco Pannella. Lo storico leader Radicale era malato da tempo e, dopo aver trascorso le ultime settimane nella sua casa di via della Panetteria, mercoledì pomeriggio ha subito un ultimo, fatale, peggioramento. E’ stato ricoverato nel nella clinica Nostra Signora della Mercede e lì, giovedì 19 maggio, poco prima delle 14, si è spento mentre lo assistevano i ‘vecchi compagni’ di un tempo.

E’ stata un’agonia lunga, quella di Pannella, costretto negli ultimi mesi a saltare le sue quotidiane tappe in via Torre Argentina e a restare in casa dove, con il passare dei giorni, si susseguivano le visite di politici di ieri e di oggi, di cantanti, uomini di cultura, vecchi amici. Aveva un tumore al fegato e uno ai polmoni ma, nonostante il graduale peggioramento della malattia, Pannella non ha mai perso la sua verve. “Ha resistito in questi tre mesi soffrendo ma anche regalando agli altri e a sé stesso momenti di gioia. Scherzava dicendo che ‘l’erba cattiva non muore mai’ ed era comunque attaccato alla radio. E si incazzava pure”, è il racconto di Rita Bernardini che, con Sergio D’Elia, Elisabetta Zamparutti, Alessandro Capriccioli, Matteo Angioli e Laura Harth, ha vegliato sugli ultimi momenti di vita del leader Radicale.

Pannella, al loro arrivo, dormiva. Era infatti sedato e era stato proprio lui a chiederlo dicendo ‘aiutatemi’, racconta Bernardini ribadendo come il ‘vecchio leone’ abbia lottato fino all’ultimo. E, osserva commossa, “ora fa impressione non vederlo più reagire, o parlare”. Nella clinica di via Tagliamento è stato un continuo viavai di amici e politici. La commozione è stata forte, la sensazione è che, per dirla come Giuliana Graziani, militante radicale di lungo corso, con la morte di Pannella “si è chiusa un’epoca”.

Arrivano il segretario Radicale Riccardo Magi e Mina Welby, Bobo Craxi e Fausto Bertinotti e non manca di porgere il suo saluto l’ex presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici, che ricorda il legame fortissimo tra Pannella e il mondo ebraico. Tutti gli altri avranno modo di salutare Pannella alla camera ardente allestita a Montecitorio dalle 15. Mentre nella notte tra venerdì e sabato una lunga veglia al partito segnerà la vigilia dell’ultimo saluto allo storico leader: sabato tra la gente a Piazza Navona, la “piazza di tante battaglie”.

Poi la salma di Pannella sarà portata nella sua città natale, Teramo, e lì sarà sepolto. E di Pannella resterà l’immensa eredità delle battaglie messe in piazza: da quella per il divorzio a quella per la legalizzazione delle droghe leggere, da quella per il miglioramento delle condizioni dei detenuti a quella contro la fame del mondo. Manifestazioni, provocazioni, scioperi della fame, infiniti monologhi via radio hanno segnato la vita politica di un leader che, tra l’altro, fu il primo a indicare Oscar Luigi Scalfaro come il più adatto alla presidenza della Repubblica, salvo poi pentirsene.

“Un leone della libertà”, è l’omaggio del premier Matteo Renzi, che quasi interrompe la conferenza stampa con il suo omologo olandese per rendere omaggio a Panella. “Un protagonista mai legato al potere, che è riuscito a cambiare il Paese da minoranza”, ricorda il presidente della Repubblica Sergio Mattarella quasi sfiorando il rammarico ch serpeggia tra i compagni più vicini al leader radicale: quello di non aver avuto mai incarichi di governo e, alla fine, di non essere neppure stato nominato senatore a vita.

“Pannella mancherà a tutti, persino ai suoi avversari, è molto amato ma poco riconosciuto nei suoi meriti in questo paese che tanto gli deve”, è il graffio dell’amica di una vita di Marco, Emma Bonino.

Alfiere dei diritti individuali e inventore della disobbedienza civile, Pannella è stato capace di attirare tra i radicali i giovani contestatori degli anni settanta e poi, vent’anni dopo, di allearsi con Berlusconi. Ma nessuno direbbe che è stato un voltagabbana. Per lui l’importante era far vincere le sue idee. Certo non è stato un politico convenzionale: farsi arrestare per aver fumato uno spinello in pubblico (successe nel 1975) non è da tutti.

Anche la sua vita privata è stata fuori dagli schemi: “Sono legato da 40 anni alla mia compagna Mirella, ma ho avuto tre o quattro uomini che ho amato molto. E con lei non c’è stata mai nessuna gelosia”. Nessun figlio dalla moglie; ma forse più d’uno, per sua stessa ammissione, sparsi in giro per l’Italia, frutto dei suoi amori giovanili. I successi li ha costruiti con due armi: le sue parole e il suo corpo. Era lui il “signor Hood” di una canzone che gli aveva dedicato Francesco De Gregori: “con due pistole caricate a salve e un canestro pieno di parole”.

“Un grande leader politico, il leader radicale che ha segnato la storia di questo paese con battaglie talvolta controverse ma sempre coraggiose e a viso aperto. Rendo omaggio a nome mio e del governo alla storia di questo combattente e leone della libertà”. Così il premier Matteo Renzi ha commentato la morte di Marco Pannella.

Ed Emma Bonino, intervenendo a Radio Radicale, lo ricorda così: “Mancherà a tutti penso persino ai suoi avversari Marco Pannella molto amato ma poco riconosciuto nei suoi meriti in questo paese che tanto gli deve. Credo che ora molti dovrebbero riflettere, ora che non è più in vita, sui suoi meriti e la sua presenza nella storia di questo Paese”.

Fonte: Ansa

 

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Sky 3D Village, la storia del 3D nel formato originale al Italian Pavilion di Luce Cinecittà a Cannes

May 17, 2016 Leave a comment

 

 

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AL 69° FESTIVAL DI CANNES SKY 3D IN COLLABORAZIONE CON SKY CINEMA PRESENTA IL  PROGETTO EDITORIALE:

SKY 3D VINTAGE CON I FILM CHE NEGLI ULTIMI 100 ANNI HANNO FATTO LA STORIA DEL 3D E UN DOCUMENTARIO CHE LI RACCONTA NARRATO DA SERGIO CASTELLITTO

Mercoledì 18 maggio all’Italian Pavilion di Luce Cinecittà

nel panel “Cinema, arte, storia con la meraviglia del 3D: Produzioni originali made in Sky 3D” 

Una cornice prestigiosa per un progetto mai tentato primaSky 3D in collaborazione con Istituto Luce-Cinecittà e Fondazione Ente dello Spettacolo, ha scelto il Festival di Cannes per presentare al mercato il progetto Sky 3D Vintage, realizzato in collaborazione con Sky Cinema, in onda prossimamente su Sky, all’interno del panel dal titolo “Cinema, arte, storia con la meraviglia del 3D: produzioni originali made in Sky 3D”, mercoledì 18 maggio, alle 11.30, presso l’Italian Pavilion di Luce Cinecittà ospitato nell’ HOTEL LE MAJESTIC – SALON Marta – 10, BOULEVARD DE LA CROISETTE – CANNES.

Si tratta di un progetto editoriale senza precedenti, un viaggio indietro nel tempo alle origini dell’idea stessa di cinema, che per la prima volta al mondo, propone un’inestimabile serie di film che hanno fatto la storia del 3D nel formato originale in cui erano nati e mai visti in TV, attuando un lavoro di ricerca, riscoperta, rivalutazione e divulgazione di un patrimonio cinematografico dimenticato e sconosciuto ai più. A raccontare i momenti salienti di questo cinema ‘visionario’ e a ripercorrerne le tappe con interviste e contributi esclusivi, è stato inoltre prodotto il documentario ‘Viaggio nel cinema in 3D – una storia vintage’– realizzato da Stand by me, ‘produttore creativo Simona Ercolani – narrato da  Sergio Castellitto, che racconta la magica corsa dell’uomo verso la materia di cui sono fatti i sogni… 

Oltre che del nuovo progetto, si ripercorreranno le tappe delle ultime produzioni evento realizzate da Sky 3D che hanno riscosso un grande successo di critica e pubblico nei cinema italiani e all’esordio su Sky e sono ora disponibili per il mercato internazionale per tutti gli sfruttamenti: cinema, tv, homevideo etc. Firenze e gli Uffizi 3D (in collaborazione con Sky Arte HD, Nexo Digital e Magnitudo Film): un connubio tra approfondimento artistico, scene di fiction e tecniche visive innovative, che ha portato al cinema in Italia 91 mila spettatori, e quasi 500 mila spettatori in tv su Sky, e che ha ricevuto il patrocinio del MiBACT e del Comune di Firenze.

San Pietro e le Basiliche Papali di Roma 3D, realizzato con il Centro Televisivo Vaticano (in collaborazione con Nexo Digital, Magnitudo Film e Sky Arte HD) in occasione del Giubileo Straordinario, il primo racconto cinematografico delle quattro basiliche romane con la guida di quattro grandi esperti e la voce narrante di Adriano Giannini. Ha esordito a marzo nei cinema italiani raccogliendo nei 3 giorni di uscita 30 mila spettatori, superando i risultati d’esordio di Musei Vaticani. Il film, prima produzione di Sky ad essere  riconosciuta d’interesse culturale dal MiBACT – DG Cinema, andrà in onda a giugno su Sky 3D, Sky Arte HD e Sky Cinema HD.

Al convegno a Cannes interverranno per l’occasione Cosetta Lagani (Direttore Sky 3D), Stefano D’Agostini (Direttore Centro Televisivo Vaticano), Gianni Canova (Storico cinematografico), Enrico Bufalini (Direttore  Archivio Storico Istituto Luce-Cinecittà) Antonio Urrata (Direttore Generale Fondazione Ente dello Spettacolo). A moderare i lavori della tavola rotonda sarà Laura Delli Colli (Presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani).

 

Nasa, medaglia al merito per l’adolescente William Gadoury

May 11, 2016 Leave a comment

William Gadoury

Adolescente canadese scopre una città Maya usando le costellazioni. La NASA lo premia!

William Gadoury ha solo 15 anni ed è già una “star” della Nasa. Lui è appassionato di civiltà precolombiane e astronomia ed è proprio questa passione che lo ha portato ad una scoperta straordinaria. In una zona impervia della penisola dello Yucatan sorge una delle città più grandi costruite dai Maya, rimasta finora nell’ombra e si chiama “K’AAK’CHI”, “Bouche de feu”, ovvero “bocca di fuoco”.

Il nome gliel’ha dato il suo giovanissimo scopritore, William, un semplice adolescente del Québec che, basandosi unicamente sullo studio delle stelle e sul suo intuito, senza recarsi in Messico, nel 2014 ha ipotizzato la presenza di antichi insediamenti nella penisola dello Yucatan.

Ora i rilievi satellitari dell’Agenzia Spaziale Canadese insieme alla NASA gli hanno dato ragione: una piramide e una trentina di costruzioni dell’epoca dei Maya si levano nel bel mezzo della giungla messicana. Per William è un sogno che si avvera, per l’Agenzia Spaziale una medaglia al merito al piccolo astronomo e la promessa di una pubblicazione della scoperta su una rivista scientifica.

Tutto ha inizio nel 2012: mentre gli altri fanno il conto alla rovescia in attesa che si compia la profezia della fine del mondo, William, che allora ha 11 anni, si appassiona alla cosmologia e alla cultura Maya. “Non riuscivo a capire perché questa civiltà avesse scelto di costruire i propri centri abitati lontano dai fiumi, su terreni poco fertili e tra le montagne – racconta oggi il ragazzo – Pensai che doveva esserci un’altra ragione. Del resto i Maya veneravano le stelle”. Da qui il giovane canadese comincia la sua ricerca. Prende in esame ventidue costellazioni con cui i Maya dividevano il cielo, le riporta su carta e nota una relazione tra la disposizione delle stelle nel firmamento e i luoghi in cui sorgono 117 città. Elabora allora una teoria: piramidi, palazzi e costruzioni si sviluppano seguendo lo schema delle costellazioni. Gli insediamenti riproducono in terra le forme disegnate dalle stelle, di modo che agli astri più luminosi corrispondono le città maggiori.

Ma c’è di più. Secondo il suo schema, alle tre stelle della 23esima costellazione avrebbero dovuto fare da controcanto altrettante città, ma fino a quel momento ne erano state rinvenute solo due. Allora si fa strada l’ipotesi che potrebbe essercene una terza città che ancora non ha visto la luce. È a quel punto che il ragazzo si rivolge all’Agenzia Spaziale Canadese per provare la fondatezza delle sue teorie.

Con l’aiuto di immagini satellitari fornite dalla Nasa e dall’Agenzia giapponese, viene passata al setaccio la zona che, secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto ospitare dei reperti archeologici. Fino a quando, lo scorso gennaio, arriva la bella notizia: la città ipotizzata esiste davvero, e si trova proprio nel punto che aveva indicato William.

La sorpresa, in realtà, è doppia: non solo il 15enne è il solo a essersi reso conto che una città Maya mancava all’appello, ma è stato anche il primo a stabilire e provare una connessione tra le costellazioni Maya e la scelta del luogo di nascita delle città. Il tutto, incrociando informazioni tratte da wikipedia e Google Earth. Una grande soddisfazione, che corona tre anni di lavoro “eccezionale”, lo hanno definito gli esperti. Le spedizioni sul campo non sono ancora in programma, ma per William resta il desiderio più grande: “Andare con gli archeologi nella città perduta, darebbe un senso alla mia ricerca”.

Fonte: Segnali dal cielo

 

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“La mia terra”, personale di Vladimir Sutiaghin presso lo Spazio Orti di Leonardo a Milano

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Giovedì 12 maggio dalle 19 il Ristorante Orti di Leonardo, via De Togni 6/8 inaugura “La mia terra”, personale del fotografo bielorusso Vladimir Sutiaghin a cura di Fermando Gianesini. Si tratta di una importante esposizione inserita nell’ambito della rassegna milanese Photo Festival che rivela al grande pubblico la raffinatezza di un autore capace di indagare sulla realtà del suo Paese facendone emergere gli aspetti più profondamente poetici. La mostra si inserisce nella tradizione che ha fatto degli Orti di Leonardo un luogo dove da anni vengono ospitati autori e lavori di altissima qualità nella convinzione che la ricerca del bello è uno degli aspetti indispensabili della nostra vita.

Vladimir Sutiaghin

LA MIA TERRA

Vladimir Sutiaghin, fotografo bielorusso, dopo gli studi superiori di specializzazione, ha lavorato a lungo come reporter per testate quotidiane e sulla documentazione del patrimonio artistico dei musei del suo paese. Una più autentica realizzazione di sé la si ritrova però nelle ricerche personali compiute in lunghi viaggi in cui visita rovine di chiese e templi antichi, monasteri, villaggi dove il tempo sembra essersi fermato. Affascinato dal rapporto che si stabilisce fra le rovine e il paesaggio, incuriosito dalla spiritualità dei monaci, spinto ad indagare sulla vita quotidiana dei suoi compatrioti, Vladimir Sutiaghin opera con un metodo di lavoro vicino a quello del fotoreportage classico oggi forse dimenticato perché cerca persone e luoghi, li studia, torna a vederli più volte prima di ottenere le fotografie che vuole.

Esclusi il colore perché da lui considerato troppo realistico e il bianconero tradizionale per i suoi eccessivi contrasti, Sutiaghin stampa personalmente le sue raffinate immagini impreziosendole con viaggi sepia che evocano le atmosfere delicate che il suo obiettivo sa cogliere con acume e sensibilità raccontando la bellezza di paesaggi che conservano, nella loro velata melanconia, una loro silenziosa grandiosità. Lo stesso stile si ritrova nell’indagine su una società contadina che sembra antica ed è invece contemporanea pur nei suoi carri carichi di fieno trainati da cavalli, nei suoi pozzi dotati di ingegnose strutture che consentono di estrarre l’acqua camminando all’interno di ruote collegate a ingranaggi, nelle sue tante costruzioni di legno. E poi ci sono le persone: le famiglie numerosissime dei preti ortodossi, i gruppetti di bambini che posano sorridenti, i volti antichi di contadini solcati dal tempo, le pose naturalmente aggraziate delle ragazzine che il fotografo riprende in immagini che hanno l’immediatezza leggera di certe fotografie di moda. Quando il fotografo si concentra sui paesaggi, lo sguardo si allarga fino a cogliere la grandiosità di un orizzonte lontano per poi soffermarsi con acume sulla sinuosità elegante con cui un albero sa allargare i suoi rami fino a creare una naturale armonia.

Osservando queste straordinarie immagini si comprende il grande potere evocativo della fotografia quando, come in questo caso, sa coniugare il rigore dell’indagine e il piacere per la ricerca del bello.

Roberto Mutti

VERNISSAGE
Cocktail di inaugurazione
giovedi 12 maggio 2016 – dalle ore 19 alle 22

 

Mostra Fotografica di Vladimir Sutiaghin 
” La mia Terra”
” Ristorante Orti di Leonardo “
via Aristide de Togni 6/8 – 20123 Milano – tel. 02 – 4983197