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Tombe musulmane, legittima aspirazione delle fedi religiose alla sepoltura nei cimiteri italiani

October 22, 2012 1 comment

Tutti, indistintamente tutti hanno diritto ad una sepoltura. Si tratta di un diritto da difendere ma che è garantito dalla stessa Nostra Costituzione che all’articolo 3 nello stabilire l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge tutela la dignità umana e quindi il rispetto di tutti anche al termine della propria esistenza, credenti e non credenti e appartenenti ad ogni confessione, mentre in Italia permane un vuoto normativo che urge essere colmato alla luce del livello di multiculturalità che ha raggiunto il Paese.
Quello delle sepolture è, infatti, un problema che per gli stranieri ed in particolare per i parenti che si trovano ad affrontare la perdita di un caro è all’ordine del giorno, specie se si pensa che la crescita tumultuosa del numero degli immigrati e delle seconde o terze generazioni nate e cresciute in Italia ha contribuito ad aumentare il numero dei cittadini di diverse confessioni a partire da quelli di fede islamica con la conseguente richiesta di forme di sepoltura rispettose delle tradizioni musulmane, anche se analogo discorso, vale, per esempio, per quelli di fede buddista.
Se sino a qualche tempo or sono le stime delle associazioni musulmane accreditavano una percentuale pari ad oltre il 90% dei feretri dei musulmani deceduti in Italia e rimpatriati nel paese d’origine, il radicamento in Italia di cittadini provenienti da paesi islamici ha subito un rafforzamento con la conseguenza che già tra una generazione ossia tra meno di 25 anni, questo trend invertirà la rotta ed il numero di cittadini di fede musulmana che verrà inumato in Italia sarà destinato senza dubbio ad essere maggioritario.
La conseguenza diretta, sarà quella di prendere atto che i cimiteri nostrani, palesemente inadeguati ai giorni nostri, dovranno avere una zona dedicata che permetta ai fedeli di religione musulmana di poter celebrare i propri morti secondo il rituale stabilito dal proprio credo che, come è noto, obbliga, fra l’altro, la sepoltura della salma in modo che la testa del defunto sia rivolta in direzione della Mecca ed avvolta in un lenzuolo, senza bara.
Purtroppo, però ad oggi l’Italia si è rivelata un paese “in – civile” perché ad oggi, nonostante in alcune aree la presenza di islamisti sia elevata, non si è ancora preso atto di tale tendenza e soprattutto di tale necessità. Sono pochissimi, infatti, i cimiteri musulmani che si concentrano soprattutto a nord, in particolare nelle grandi città: Torino, Milano, Bologna, Reggio Emilia e Genova.
Risultano pressoché inesistenti al Sud: il campo del Verano a Roma, e in Molise, vicino a Isernia. Mentre una bella esperienza è costituita da Favara, in Sicilia una paese di 32 mila anime che guarda caso deriva dalla parola araba Fawarah ossia «sorgente d’acqua», dove è stato aperto il primo cimitero musulmano. L’esigenza, è scaturita a seguito di uno dei tragici viaggi della speranza finiti male.
A questo punto, per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti” non si può più soprassedere e bisogna obbligare i comuni che hanno in gestione i servizi cimiteriali, per legge, a procedere ad individuare delle apposite aree per consentire una degna sepoltura a tutte le persone indipendentemente dall’appartenenza o meno ad un credo religioso, perché si tratta di una scelta di civiltà improrogabile.
Giovanni D’AGATA

Fonte: MondoMistery

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60 anni di made in Italy – Protagonisti dello Stile Italiano (parte 2) – Musei Capitolini Roma

October 22, 2012 Leave a comment

60 anni di made in Italy
Protagonisti dello Stile Italiano
STORIA DELLA MODA
Nel 1951, il marchese Giovan Battista Giorgini abitava con la sua famiglia nella bella Villa Torrigiani, in Via de’ Serragli 146, a Firenze. “Resident Buyer” di grandi Department Stores americani, il Marchese si occupava solo di articoli artistici, da regalo e da arredamento, lavorando al primo piano dello storico palazzo Bartolini-Salimbeni.
Da tempo, oltre all’antiquariato aveva in mente la moda (era stato lui ad esportare per primo in USA i cappelli di paglia di Firenze) ed alla moda continuava a pensare. Fino ad allora il “Made in Italy” era stato sinonimo di “cheap”: roba a buon mercato, di basso livello qualitativo. L’Italia del dopoguerra costituiva agli occhi degli stranieri solo un luogo di attrazione turistica per trascorrervi vacanze ideali. La mèta più ambita era Firenze, per le sue ben note bellezze artistiche, ivi compresa tutta la Toscana. Le cronache mondane erano piene delle feste della nobiltà fiorentina. Le belle ville dagli straordinari giardini erano aperte agli incontri culturali oltre che mondani, ai turisti illustri, ospiti della città: personaggi famosi di rinomanza mondiale nel campo dell’arte e della cultura, autorevoli rappresentanti della politica internazionale, divi del cinema, potenti magnati dell’industria. La tradizione di sartorie di alta classe, esistente in Italia fin dall’Ottocento, in quegli anni si configurava nell’attività di sarte già affermate. Molte appartenenti alla migliore società milanese e romana, come Biki o Simonetta Visconti. Da loro il Marchese Giorgini accompagnava le mogli dei suoi facoltosi clienti, che non resistevano alla tentazione di comprarsi qualcosa di italiano.
Accadde che Giulia Trissell, compratrice di una fra le più importanti ditte americane, acquistò per sé diversi modelli, tra cui un impeccabile cappotto che fece subito replicare in patria e lanciò sul mercato americano con grande successo. Il Marchese quindi, pensò di reclutare i nomi più altisonanti dell’Alta Moda Italiana, ancora completamente asservita a “copiare” quella francese, nel tentativo di lanciare una moda del tutto nostrana sul mercato internazionale.
Furono in molti ad aderire all’iniziativa che, un pomeriggio del 12 febbraio 1951, riunì nella splendida Villa Torrigiani il primo nucleo di “firme” che sarebbero poi divenute molto famose: Carosa (la principessa Giovanna Caracciolo), Fabiani, Simonetta Visconti, Emilio Schuberth, le Sorelle Fontana, Jole Veneziani, Vanna Noberasko, Germana Marucelli, il marchese Emilio Pucci. C’erano pure Franco Bertoli e Giuliano Fratti con i loro bellissimi accessori e articoli di bigiotteria, insieme alla fedele “Mirsa”, marchesa Olga de Gresy. Originalissimi modelli sfilarono per tre giorni dinanzi ai compratori delle case più affezionate nella vasta clientela di Giorgini: Gertrude Ziminsky della Altman & Co. di New York, Jessica Daves, Miss Franco con Giulia Trissell della Bergdorf Goodman, Stella Hanania della I.Magnin di San Francisco, California, Jack Nixon della Henry Morgan di Montreal e Hannah Troy, che viaggiava con Mr.Cole Leto della Leto Cohn Lo Balbo, anch’egli manufacturer della Seventh Avenue.
Così, quel 12 febbraio 1951, praticamente sotto il segno dell’Acquario, nacque la moda italiana.
Avvenne al cospetto di otto compratori americani, oltre alla stampa italiana ed a Elisa Massai del Woman Wear’s Daily (unica corrispondente esterna amica del Giorgini), dei rappresentanti delle stesse case di moda con le loro indossatrici, e di tutti gli amici che il marchese volle invitare nella sua splendida casa. L’iniziativa ebbe un successo così strepitoso che per il luglio successivo, stabilito come prossimo appuntamento, le richieste di partecipazione per assistere alle sfilate furono più di trecento (tra giornalisti e compratori) tanto che Giorgini si trovò costretto a trasferire la rassegna di moda al Grand Hotel (non ancora attrezzato e senza pedana), riservando invece lo splendido parco della sua casa in Via de’ Serragli per un gran ballo di gala.
Oggi la moda italiana è per tutti sinonimo di massimo gusto, eleganza, qualità. Inoltre rappresenta concentrazioni di affari, mercati e titoli in borsa. Le parole come look, trend, feeling hanno acquisito la fredda tecnica dei grandi numeri legati a bilanci importanti delle vere strategie mondiali. Ma certamente non morirà per questo la creatività e l’artigianato, anche se industriale, che si esprime in quella meravigliosa sigla: “Made in Italy”, a garanzia di un prodotto, ambito e richiesto in tutto il mondo.
L’arte e la cultura stimolano la creatività dello stilista che ad ogni stagione elabora, esalta, trasforma le proprie idee. Gli stilisti come gli artisti risentono dei condizionamenti e dei cambiamenti sociali e si rendono interpreti estremi degli stati d’animo. Per fare moda occorre essere audaci, colti, avere gusto, senso estetico, ma soprattutto intuito. Solo così si è certi che le creazioni possono resistere nel tempo e divenire storia.
“60 anni di made in Italy” vuole essere un omaggio alla genialità di alcuni personaggi che, oltre a contribuire alla nascita del “made in Italy”, nel tempo sono anche riusciti ad imporre in tutto il mondo il proprio gusto estetico, determinando l’inconfondibile “Stile Italiano”.
Fiorella Galgano e Alessia Tota

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60 anni di made in Italy – Protagonisti dello Stile Italiano (parte 1) – Musei Capitolini Roma

October 22, 2012 Leave a comment

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60 anni di made in Italy – Protagonisti dello Stile Italiano
LE CREAZIONI IN MOSTRA
Tutto il materiale in mostra proviene dagli archivi delle maison rappresentate, come pure da privati. Un esempio è l’abito da sera in raso pesante di Schuberth (1950), fotografato anche sull’Enciclopedia della Moda, ed il completo, sempre di Schuberth, in prezioso lamè e broccato oro (1958).
Alcune creazioni poi, sono significative, ed identificano un preciso momento storico, mostrando quindi un vero e proprio “spaccato” della società italiana. E’ il caso dei modelli simbolo dell’epoca de “La Dolce Vita”, in cui la moda era fortemente legata al cinema hollywoodiano. Come la riproduzione dell’abito talare delle Sorelle Fontana, indossato prima da Ava Gardner (1956) e poi riproposto per Anita Ekberg nel film “La Dolce Vita” di Fellini (1960); il famoso “Pijama Palazzo” di Galiztine, segno dei tempi, che Claudia Cardinale portava ne “La Pantera Rosa”(1963) e quale capo d’archivio d’eccezione, il leggendario abito “stile impero” della Maison Gattinoni, indossato da Audrey Hepburn nel film “Guerra e Pace” del 1956, che valse una nomination all’Oscar per i costumi. Per arrivare agli anni’80, con il prezioso abito-bustier creato da Luciano Soprani per Jacqueline Bisset ed indossato nel film “Orchidea Selvaggia” (1988); inoltre l’abito Prada indossato da Ornella Muti nel film francese “Les Bronzés 3: amis pour la vie” (2006).
In mostra anche le spettacolari creazioni da “red carpet”, indossate per le prèmiere o per la “notte degli Oscar”.  Ad esempio, l’abito in tulle di Prada, con ricami in paillettes-oro e vestito dall’attrice Cate Blanchett (2000) o il modello Giorgio Armani, scelto per Sophia Loren, madrinadella Festa del Cinema di Roma (2006) ed anche il “Jungle dress”, fotografatissimo “abito immagine di Donatella Versace”, voluto dall’attrice-cantante Jennifer Lopez per ritirare il Music Award (2000).
Immancabile il “rosso” Valentino indossato dall’attrice Elizabeth Hurley per il gran galà dell’Estée Lauder’s Charity (Londra – 1998) e poi l’alta moda maschile, con la dinner jacket originale del 1963, firmata Litrico, realizzata su misura per il Presidente John Fitzgerald Kennedy, o quello ideato da Brioni per l’invincibile“007-James Bond” alias Pierce Brosnan indossato nel film “Die Another Day” (2002).
In esposizione creazioni indossate dalle più celebri top-model e celebrities, a partire dall’abito da sera che Fausto Sarli disegnò ispirandosi a Valeria Mazza (1996) e proseguendo con il magnifico abito da gran sera della collezione “Venezia” di Gai Mattiolo, indossato da Carla Bruni su una speciale passerella allestita a Piazza del Campidoglio. Inoltre il “paillettato” grande e colorato dell’abito “urlo di donna” di Enrico Coveri per Milla Jovovich (1997); lo stile sensuale e femminile di un abito Genny modellato sulle forme perfette di Yasmeen Ghauri (1992/1993); l’immagine regale dell’abito Egon Furstenberg indossato dall’attrice americana Hunter Taylo; il lussuoso rigore di Ermanno Scervino sottolineato da Maria Carla Boscono (2008); il bustier, per evidenziare  “morbidezze” tipicamente mediterranee, di Dolce & Gabbana per Elizabeth Hurley (2000); la seta stampata effetto “animalier” di Roberto Cavalli come nell’abito indossato da Cindy Crawford sulla scalinata di Trinità dei Monti (2002);  l’amore per il lusso e lo sfarzo di Gianni Versace, con il suo abito di cristalli Swarovski (1998/99) che Naomi Campbell indossò alla Stazione Leopolda per la presentazione dell’ultima collezione maschile disegnata dallo stilista.
La personalità dei designer italiani, immediatamente riconoscibile ed espressa attraverso abiti-simbolo, è rappresentata dal tipico taglio maschile di Giorgio Armani, con il suo smoking da donna “Regimental” completamente ricamato in oro e blu (1991), dalla magia dei tessuti e lo stile fortemente etnico di Etro (2000) o il completo di Walter Albini, immagine-simbolo della collezione fatta sfilare al Caffè Florian di Venezia nel 1973; l’inconfondibile abito “Bambola” di Laura Biagiotti in cachemire e taffettà (2002); il genio irriverente e ribelle di Moschino espresso nella miriade di reggiseni in pizzo nero applicati sul vestito da sera (1988); l’inimitabile e lussuosa sartorialità di Raffaella Curiel, nell’abito da gran sera in tulle grigio, tutto ricamato a mano, con ciuffi plissé e coda in tulle (2012).
La moda legata a doppio filo con tutte le arti: la lirica, attraverso l’abito “Carmen” di Renato Balestra dedicato a Maria Callas (1996) o la pittura, con quello di Lancetti ispirato alle opere di Picasso (1986/87).
Ed ancora il bon-ton couture di Lorenzo Riva con l’abito da sposa creato per la Principessa Bianca d’Aosta (1995), le famose stampe di Emilio Pucci (1967), la ricerca e l’uso di materiali sofisticati di Marella Ferrera, come nell’abito-scultura composto da tasselli ricamati a mano ed ispirati alla scalinata di S.Maria del Monte di Caltagirone (1993), celebre monumento italiano che gode della tutela Unesco. Assieme a loro la particolare “Madonna Nera” venerata dai minatori sardi di Antonio Marras (1998), che ha l’oro nella gonna e il bustino composto di soli chiodi di cavallo.
Infine lo stile Gucci, nel periodo “Tom Ford”, quello sofisticatissimo di Gianfranco Ferrè, la femminilità “gipsy” firmata Mariella Burani,il “put together” di Missoni, il plissè di Krizia, la leggerezza di Alberta Ferretti, l’eleganza di Max Mara, la sperimentazione nei tessuti impermeabili di Gherardini; ed il concetto del “doppio” nella donna di Franco Ciambella.
La lavorazione in pelle viene illustrata attraverso le creazioni di Trussardi, Nazareno Gabrielli, Fendi.
C’è anche l’intimo griffato La Perla, fino ad arrivare agli accessori legati a personaggi celebri: la prima trousse tonda creata da Helietta Caracciolo per Jacqueline Kennedy (1975), la collana indossata da Nancy Reagan e gli orecchini realizzati per Hillary Clinton. Oppure la “Bagonghi” di Roberta di Camerino, tra le “hand-bag” preferite da Grace Kelly (1959) o una riproduzione dei sandali ideati per Evita Peròn da Salvatore Ferragamo.

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“60 anni di made in Italy”, percorso espositivo del “made in Italy” presso i Musei Capitolini di Roma

October 22, 2012 Leave a comment

60 anni di made in Italy
Protagonisti dello Stile Italiano
MUSEI CAPITOLINI – CENTRALE MONTEMARTINI
Dal 10 al 28 ottobre un percorso espositivo per raccontare la storia dei protagonisti del “made in Italy” attraverso alcune creazioni dalla gloriosa alta moda dal 1950 ad oggi
I grandiosi ambienti della Centrale Montemartini faranno da scenario alla retrospettiva “60 anni di made in Italy”, una mostra promossa dall’Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma Capitale e dall’Assessorato alle Attività Produttive, al Lavoro ed al Litorale di Roma Capitale, con il patrocinio della Camera Nazionale della Moda Italiana e in collaborazione con Zètema Progetto Cultura.
Il progetto espositivo ideato da StilePromoItalia e curato da Fiorella Galgano ed Alessia Tota, dal 10 al 28 ottobre, renderà omaggio alla genialità e sapere sartoriale di alcune figure di spicco della moda e del design che, oltre a contribuire alla nascita del made in Italy, sono riusciti nel tempo ad imporre in tutto il mondo il proprio stile e gusto estetico, determinando quello che oggi è l’inconfondibile “stile italiano”.
L’allestimento, progettato da Elio Frasca ed Antonio Palazzo e coordinato da Camilla Di Biagio, racchiude circa un centinaio di capi storici, con alcuni oggetti “cult” dell’accessorio: tutte opere inedite a testimonianza dello stile e per cui ciascun protagonista della moda italiana si è distinto ed affermato.
Si potranno, dunque, ammirare alcune spettacolari creazioni da red carpet, indossate per le prèmiere o per la “notte degli Oscar” dalle più celebri top-model e celebrities, o ancora realizzate per indimenticabili personaggi del cinema internazionale, piuttosto che riflesse nelle arti visive o adattate ai palcoscenici della lirica. E, ancora, capi preziosi e incomparabili per la sperimentazione nei tessuti e la ricerca e l’uso di materiali sofisticati.
Fra le griffe in esposizione per l’ Alta Moda femminile:  Renato Balestra, Franco Ciambella, Raffaella Curiel, Marella Ferrera, Sorelle Fontana, Egon Furstenberg, Galitzine, Gattinoni, Lancetti, Antonio Marras, Gai Mattiolo, Lorenzo Riva, Sarli,  Schuberth, Valentino.
Perl’ Alta Moda maschile saranno presentii modelli diBrioni, Maison Litrico Roma.
Infine, il Prêt-à-Porter conEmilio Pucci, Walter Albini, Giorgio Armani, Laura Biagiotti, Mariella Burani, Roberta di Camerino, Helietta Caracciolo, Roberto Cavalli, Enrico Coveri, Dolce & Gabbana, Etro, Fendi, Salvatore Ferragamo, Gianfranco Ferrè, Alberta Ferretti, Nazareno Gabrielli, Genny, Gherardini, Gucci, Krizia, La Perla, Max Mara, Missoni, Moschino, Prada, Ermanno Scervino, Luciano Soprani, Trussardi, Versace.
L’esposizione “60 anni di made in Italy” trae origine dal successo di un precedente percorso-moda intitolato “Cinquant’anni di moda italiana”, realizzato all’estero, di concerto con il Ministero Affari Esteri d’Italia, le Ambasciate d’Italia e gli Istituti Italiani di Cultura.
Un circuito di oltre trenta tappe, in cui la mostra è stata sempre ospitata in musei prestigiosi: in America del Sud dal complesso culturale Julio Préstes in San Paolo al Bellas Artes Museum di Rio de Janeiro e l’Italian Museum of Artdi Lima. Nel Far East, dal’ Odakyu Museum di Tokyo al Korean Institute of DesigndiSeoul, al Victoria Memorial Museum a Kolkata, la National Art Gallery di Kuala Lumpur, l’International Finance Centre di Hong Kong e il Taipei Fine Arts MuseumdiTaipei .
In Europa l’esposizione è stata allestita a Lione (Museé des Tissus et Art Decoratif), Mosca (Petrovsky Passaj), Kiev (Khanenko Museum), Varsavia (Sciences and Culture Palace), Atene (Istituto Italiano di Cultura), quindi Vienna (Museumquartier) e Bratislava (Museo Civico).
Dopo la mostra alla Centrale Montemartini, “60 anni di made in Italy” sbarcherà a Città del Messico, presso il Museo Franz Mayer, per essere inaugurata nel marzo 2013con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia e l’Istituto Italiano di Cultura.
Info Mostra
Sede – Musei Capitolini – Centrale Montemartini – Via Ostiense 106, Roma
Date 10 – 28 ottobre 2012
Orari martedì – domenica ore 9.00-19.00
la biglietteria chiude mezz’ora prima
Chiuso il lunedì.
Biglietto intero 6.50 euro; ridotto 5.50 euro
Ideazione manifestazione StilePromoItalia
Produzione ed organizzazione
generale Studio Galgano
Sponsor del sistema Musei in Comune Acea, Banche Tesoriere di Roma Capitale (BNL– Gruppo BNP Paribas,UniCredit, Monte dei Paschi di Siena), Finmeccanica, Acqua Claudia, Gioco del Lotto.
Con il contributo tecnico di La Repubblica; Atac
Organizzazione
e servizi museali Zètema Progetto Cultura
Info Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00);
http://www.centralemontemartini.org
http://www.zetema.it

“Il Manoscritto trovato a Saragozza” di Jean Potocki

October 22, 2012 Leave a comment

Esotismo dell’avventura, capriccio di un aristocratico attratto dal commercio o dalla semplicecuriosità…ancora oggi non si sa cosa ha condotto lo scrittore polacco Jean Potocki, autore del manoscritto trovato a Saragozza, avvolto dalla leggenda, ad abbordare le coste di Tetouan nel1791. Di questo viaggio l’aristocratico polacco ha custodito degli appunti che si sono trasformati, qualche secolo dopo, in un libro testimone di un epoca: Viaggio nell’Impero del Marocco. Ancora oggi alcuni storici si chiedono quale sia stato il vero motivo di questo viaggio, non escludendo l’ipotesi di una missione diplomatica segreta e quale sia stato il disegno. Il reame in quell’epoca stava emergendo da un lungo periodo didissesto; Potocki, proprietario terriero, forse venne attratto forse da speculazioni commerciali e già dalle prime pagine del manoscritto sembracorretta questa ipotesi: ” Sono il primo straniero venuto in questo paese con la semplice qualità del viaggiatore e, a questo titolo o meno, il mio viaggio non sarà interamente denudato di interesse“. Siamo nell’epoca dell’Illuminismo, i viaggi esotici sono pericolosi ma nello stesso tempomolto in voga e altri prima di Potocki erano stati attratti dall’Africa. Contemporanei dello scrittore come Jardine, Brisson, l’abate Pierre in Barbaria o ancora Chénier che pubblico i suoi diari di viaggio nel 1787. Potocki però si smarca da quel tipo di letteratura orientalista carica diclichès e scrive: “Mr.Chénier dice che i Mori sono incapaci di amicizia, ma la pena che Bin Othman ha testimoniato nei nostri addii era sincera oppure non esiste più sincerità nel mondo“. L’uomo di lettere, il ricercatore, non si accontenta di leggere, vuole vedere, sentire, gustare, volgere il proprio sguardo sulle terre sconosciute del Marocco, sui suoi costumi, che egli non conosce. Il suo diario non ha eguali. L’autore ha viaggiato per incontrare i marocchini e in nessun momento si è permesso di giudicare, proiettando sule pagine delle realtà e dei fatti che lui stesso ha vissuto. Potocki era unricercatore, un etnologo-antropologo che mai si accontentò  solo di leggere,visitando tutta l’Europa, l’Egitto e l’Impero Ottomano. Si scoprono tra le righe del diario la morale dell’epoca, le attività economiche e sociali degli abitanti, l’architettura. Una terrapoliglotta capace di parlare non solo l’arabo ma frequentemente lo spagnolo e il turco. Il Marocco era reduce da prove difficili, anni dicarestie (1776-1782) e una epidemia di peste (1779-1780), oltre a ripetutelotte intestine per la presa del potere che non cessarono neppure dopo la morte di Moulay Ismail nel 1727. Nel manoscritto è citata a più riprese laleggendaria ospitalità marocchina e sembra sorprendere di volta in volta l’autore: ” Il Caïd mi ha ricevuto nella sua casa, con più cerimonie della prima volta. La disposizione della casa è gradevole, la freschezza e la pulizia è così grande che ne desiderei, se il nostro clima lo permettesse, un altra simile per me. Tutte le cose che sono presenti in questa casa, meno fini, sono assolutamente nel gusto del’Alhambra di Granada“. Malgrado tutta la letteratura di cui lo scrittore si è nutrito,  il suo sguardo sul Marocco si è mantenuto vergine e i suoi diari non sono macchiati  da nessuna referenza di ordine politico o religioso, imprimendo per questo una forza scritturale potente e lontana daglistereotipi di quell’epoca.

Paolo Pautasso

Fonte: My Amazighen

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Italia, straniero gay diritto di rifugiato in Italia

October 22, 2012 Leave a comment

Lo ha deciso la Cassazione che, con l’ordinanza 15981 del 20 settembre 2012, ha accolto il ricorso contro la decisone della Corte d’appello di Trieste che ha ritenuto irrilevante, al fine del riconoscimento della protezione, che l’ordinamento giuridico del Senegal ritenesse l’omosessualità un reato «perché non è possibile inferire la situazione individuale di perseguitato da quella generale di un paese». Secondo la Suprema Corte il clandestino senegalese gay, scappato dal paese perchè l’omosessualità è ritenuta un reato, ha diritto allo stato di rifugiato politico o la concessione della protezione sussidiaria o il permesso di soggiorno, per non comprometterne la libertà personale, in base alla carta dei diritti dell’Unione Europea. Nonostante la Corte di merito avesse deciso diversamente, la sesta sezione civile ha ribaltato categoricamente il giudizio, ritenendo invece legittima tale richiesta.
Gli ermellini hanno evidenziato come la repressione penale dell’omosessualità comporta necessariamente l’impedimento a tutti i cittadini omosessuali di vivere liberamente la propria vita sessuale e affettiva, integrando la privazione di un diritto fondamentale. Nella stessa decisione, i giudici di piazza Cavour hanno precisato che “laddove si è chiarito che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione. Per questo le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del Senegal e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità: ciò costituisce una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini senegalesi omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale”.
Pertanto, la Suprema corte ha rimandato bacchettandola alla Corte d’appello di Trieste, gli atti al fine di acquisire le prove necessarie per verificare o meno la condizione di omosessualità del ricorrente. Inoltre ha ordinato di accertare quale sia, la situazione sociale del paese, per ciò che concerne l’omofobia e i gravi atti discriminatori e persecutori contro gli omosessuali denunciati dai mezzi di informazione e da siti istituzionali e di organizzazioni non governative, avendo i giudici di merito ignorato completamente la situazione sociale del paese. Tutto ciò «nel rispetto del criterio direttivo della legislazione comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale».
Per Giovanni D’Agata, fondatore dello “Sportello dei Diritti”, i giudici della Suprema Corte hanno dimostrando grande sensibilità’ nell’applicazione delle norme.
Giovanni D’Agata

Fonte: MondoRaro

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Stereogrammi, fantastico mondo delle immagini colorate

October 22, 2012 Leave a comment

Chi di voi sa cosa è uno stereogramma? Avete notato niente di strano nell’immagine utilizzata per la miniatura di questo articolo? Gli stereogrammi sono delle immagini che ingannano la mente perché a prima vista sembrano dei banali pattern colorati ma al loro interno contengono un’immagine nascosta che tutti possono riuscire a vedere, seguendo questi pochi e semplici consigli. Vediamo allora, nel dettaglio, cosa sono e come funzionano gli stereogrammi.
Come vederli
Vedere uno stereogramma è molto semplice. Se non ci riuscite subito non vi preoccupate, basterà allenare i vostri occhi la prima volta (potrebbero essere necessari anche sessioni da 2 o 3 minuti ripetute più volte) e vi assicuro che, quando avrete imparato a vederli, le volte successive impiegherete meno di cinque secondi per visualizzare l’immagine nascosta.
La tecnica migliore per riuscire a vederli e per non affaticare gli occhi è quella della visione parallela: dovete guardare l’immagine come se l’oggetto che volete mettere a fuoco, si trovasse dietro il vostro monitor. In questo modo le linee visive di ogni occhio arriveranno allo stereogramma in parallelo e l’immagine lentamente apparirà. La vedrete letteralmente “staccarsi” dallo sfondo colorato. Ricordatevi che l’immagine nascosta può essere bidimensionale o tridimensionale, ma in entrambi i casi sarà fatta della stessa texture dell’immagine stereoscopica ma su un livello differente e cioè in primo piano.
Posizionatevi a circa 30 cm dal vostro schermo, fissate un punto qualsiasi dell’immagine e piano piano rilassate gli occhi come se voleste guardare nel vuoto. Se iniziano a bruciarvi gli occhi, guardate altrove e riprovate dopo qualche minuto. Se non riuscite a vedere niente, non vi preoccupate, le prime volte è normale! Provate di nuovo la tecnica descritta sopra, alternandola con queste varianti: se state leggendo questo articolo da un tablet o altro dispositivo mobile, fissate un oggetto lontano e piano piano muovete il tablet fino a farlo arrivare davanti agli occhi ma continuando a fissare l’immagine lontana; oppure, se ancora non vedete niente, fissate un punto dello stereogramma e piano piano avvicinatevi senza cercare di rimettere a fuoco quel preciso punto, ma cercando di mantenere una visione d’insieme e sfocata.
Purtroppo è difficile spiegare come vedere lo stereogramma, ma una volta che avrete capito il funzionamento e come tenere gli occhi, vi sembrerà tutto molto banale. Il fascino degli stereogrammi consiste nel fatto che, una volta messa a fuoco l’immagine nascosta, potrete guardarla anche per venti o trenta secondi consecutivamente senza “perderla” e soprattutto resterà nitida anche sbattendo gli occhi!
A seconda del monitor dal quale la state guardando, provate eventualmente ad aumentare lo zoom del browser. Per i principianti, infatti, è molto più semplice provare con immagini grandi.
Come crearli
Creare uno stereogramma è molto semplice. Esistono, infatti, dei programmi appositi per farlo nei quali dovremo caricare una texture scelta a piacere (qualsiasi texture che trovate su google va bene) e un’immagine dell’oggetto che vogliamo nascondere (deve necessariamente essere un’immagine con sfondo nero e oggetto bianco bidimensionale o tridimendionale). Una volta eseguita questa operazione, con un semplice click avremo il nostro stereogramma personalizzato.

Fonte: Tasc

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