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Nikola Tesla, automobile spinta dall’etere
La città di Buffalo, nel nord dello stato di New York negli USA, fu silenziosa testimone di un fatto straordinario nel corso di una settimana durante l‘estate del 1931. Nonostante la depressione economica avesse compromesso la produzione e i commerci, la città nondimeno rimaneva una fucina di attività. Un giorno, tra le migliaia di veicoli che ne percorrevano le vie, una lussuosa automobile si fermò accanto, al marciapiede presso il semaforo di un incrocio. Un passante notò come si trattasse di una berlina Pierce-Arrow ultimo modello, coi fari che s’integravano con grazia nei parafanghi nel tipico stile di questa marca. Quello che caratterizzava l’auto in quella fredda giornata estiva era l’assoluta assenza di emissione di vapore o fumi dal tubo di scarico. Il passante si avvicinò al guidatore e attraverso il finestrino aperto commentò l’assenza di fumi dallo scarico. Il guidatore ringraziò il passante per i complimenti sottolineando che era così perché l’automobile “non aveva motore”. Questa dichiarazione non è stravagante o maliziosa come potrebbe sembrare. C’era una certa verità in essa. Infatti, la Pierce-Arrow non aveva un motore a combustione interna; aveva invece un motore elettrico. Se l’autista si fosse preoccupato di completare la sua spiegazione al passante, avrebbe potuto dirgli che il motore elettrico non era alimentato da batterie – da nessun tipo di “carburante”. L’autista era Petar Savo, e nonostante stesse guidando quell’auto non era il responsabile delle sue incredibili caratteristiche. Queste erano il lavoro dell’unico passeggero, un uomo che Petar Savo conosceva come uno “zio”: non altri che il genio dell’elettricità Nikola Tesla (18 56-1943). Negli anni ’90 del 19′ secolo Nikola Tesla aveva rivoluzionato il mondo con le sue invenzioni per sfruttare l’elettricità, dandoci il motore elettrico a induzione, la corrente alternata (AC), la radiotelegrafia, il radiocomando a distanza, le lampade a fluorescenza ed altre meraviglie scientifiche. In realtà fu la corrente alternata polifase di Tesla e non la corrente continua di Thomas Edison ad inaugurare la moderna epoca tecnologica. Tesla non rimase a dormire sugli allori ma continuò a fare scoperte fondamentali nei campi dell’energia e della materia. Scoprì i raggi cosmici decenni prima di Millikan e fu il primo a sviluppare i raggi-X, il tubo a raggi catodici e altri tipi di valvole. Comunque, la scoperta potenzialmente più significativa di Nikola Tesla fu che l’energia elettrica può essere propagata attraverso la Terra ed anche attorno ad essa in una zona atmosferica chiamata cavità di Schumann. Essa si estende dalla superficie del pianeta fino alla ionosfera, all’altezza di circa 80 chilometri . Le onde elettromagnetiche di frequenza estremamente bassa, attorno agli 8 hertz (la risonanza di Schumann, ovvero la pulsazione del campo magnetico terrestre) viaggiano, praticamente senza perdite, verso ogni punto del pianeta. Il sistema di distribuzione dell’energia di Tesla e la sua dedizione alla free energy significavano che con l’appropriato dispositivo elettrico sintonizzato correttamente sulla trasmissione dell’energia, chiunque nel mondo avrebbe potuto attingere dal suo sistema. Lo sviluppo di una simile tecnologia rappresentava una minaccia troppo grande per gli enormi interessi di chi produce, distribuisce e vende l’energia elettrica. La scoperta di Tesla finì con la sospensione dell’appoggio finanziario alle sue ricerche, l’ostracismo da parte della scienza ufficiale e la graduale rimozione del suo nome dai libri di storia. Dalla posizione di superstar della scienza nel 1895, Tesla nel 1917 era virtualmente un “signor nessuno”, costretto a piccoli esperimenti scientifici in solitudine. Nei suoi incontri annuali con la stampa in occasione del suo compleanno, una figura sottile nel cappotto aperto di stile anteguerra avrebbe annunciato ai giornalisti le scoperte e gli sviluppi delle sue idee. Era un triste miscuglio di ego e genio frustrato. Nel 1931, Nikola Tesla compì 75 anni. In una rara dimostrazione di omaggio da parte dei media, la rivista Time gli dedicò la copertina e un profilo biografico. L’anziano ingegnere e scienziato appariva emaciato anche se non sofferente, i suoi capelli ancora di un nero lucido e lo stesso sguardo lontano nei suoi occhi di sognatore.
Le Auto Elettriche Rimangono Indietro – All’inizio del ventesimo secolo, per le automobili elettriche le prospettive erano luminose. Futuristi come Jules Verne avevano anticipato veicoli elettrici alimentati da batterie che erano meccanicamente più semplici, silenziosi, inodori, facili da adoperare e con meno problemi di qualunque automobile con motore a benzina. Nell’automobile con motore a benzina occorreva regolare la valvola a farfalla, l’anticipo dell’accensione, pompare sull’acceleratore e far girare il motore con una manovella. In un’auto elettrica bastava soltanto girare una chiave e premere l’acceleratore. Rilasciando l’acceleratore l’auto rallentava immediatamente. Se necessario, in un’epoca in cui vi erano poche officine per auto, un normale elettricista poteva eseguire la manutenzione del semplice motore a corrente continua. Non vi era olio da cambiare, né radiatore da riempire, né pompe della benzina o dell’acqua da sistemare, nessun problema di carburazione, nessuna marmitta che si arrugginiva, nessun differenziale o trasmissione da controllare, e nessun inquinamento! Il grasso e l’olio erano limitati a un paio di cuscinetti a sfere del motore elettrico e ad alcuni raccordi del telaio. Per le loro consegne i grandi magazzini impiegavano camion elettrici. I medici iniziarono a recarsi alle visite al domicilio dei pazienti con “l’elettrica”, sostituendo il proprio cavallo e calesse con qualcosa di altrettanto semplice da mantenere. Le donne preferivano le auto elettriche per la facilità di guida. Poiché le vetture elettriche erano limitate in velocità e autonomia dalle loro batterie, diventarono popolari come trasporti cittadini. Al di fuori delle città, le strade dell’America di allora erano così primitive che diventarono riservate ai veicoli con motore a combustione interna, più veloci, con autonomia maggiore e in rapido progresso. Così, negli USA vi fu una specie di età dell’oro per i veicoli elettrici dopo che il resto del mondo iniziò ad abbandonarli. Detroit Electric, Columbia, Baker, Rauch & Lang e Woods furono le principali aziende tra quelle che producevano questo tipo di veicoli elettrici; si svilupparono nella loro nicchia di mercato con una serie di carrozzerie formali, spesso eleganti. Il tallone d’Achille delle vetture elettriche, comunque, fu sempre la densità energetica delle sue batterie, ovvero la sua scarsità. Le batterie erano dei tipo al piombo, pesanti e ingombranti, e sottraevano molto spazio prezioso. Il peso eccessivo riduceva la maneggevolezza e limitava le prestazioni, anche per gli standard di quegli anni. I veicoli elettrici non potevano superare i 70- 80 Km/h, poiché a queste velocità la batteria si poteva distruggere in un attimo. Spunti attorno ai 60 Km/h si potevano sostenere per tempi brevissimi, e la tipica gamma di velocità dei percorsi era di 25- 35 Km/h. Le batterie richiedevano ricariche ogni notte e l’autonomia massima superava difficilmente i 160 chilometri. Nessun costruttore di veicoli aveva mai installato un generatore elettrico di corrente continua, che avrebbe potuto restituire piccole quantità di energia alle batterie mentre il veicolo era in movimento, aumentandone così l’autonomia. Vi furono promesse su future potenti batterie innovative sin dai tempi di Edison, ma alla fine non se ne vide traccia. Non appena la velocità e l’affidabilità delle automobili a benzina migliorarono, le auto elettriche furono abbandonate e rimasero le preferite dai pensionati e dalle signore anziane. L’introduzione della messa in moto elettrica nelle auto a benzina mise il chiodo finale alla bara delle auto elettriche.
La Comparsadi Nikola Tesla – Negli anni ’60 un ingegnere aeronautico di nome Derek Alilers incontrò Petar Savo e sviluppò una lunga amicizia con lui. Durante il loro sodalizio durato dieci anni, Savo gli parlò del suo illustre “zio” Nikola Tesla e delle sue realizzazioni negli anni ’30. (Savo era un giovane parente di Tesla anche se non un nipote, ma si riferiva a lui come “zio”). Nel 1930 Nikola Tesla chiese a suo “nipote” Petar Savo di venire a New York. Savo (nato in Jugoslavia nel 1899, quindi 43 anni più giovane di Tesla) era stato nell’esercito austriaco ed era un esperto pilota, così colse fervidamente l’opportunità di lasciare la Jugoslavia (paese natale di Nikola Tesla). Si trasferì negli USA stabilendosi a New York. Nel 1967, in una serie di interviste, Savo descrisse la sua parte nell’episodio dell’auto elettrica di Tesla. Durante l’estate del 1931, Tesla invitò Savo a Buffalo, nello stato di New York, per mostrargli e collaudare un nuovo tipo di automobile che aveva sviluppato di tasca sua. Casualmente, Buffalo è vicina alle cascate del Niagara – dove era entrata in funzione nel 1895 la stazione idroelettrica a corrente alternata di Tesla che lo aveva innalzato al culmine della stima da parte della scienza ortodossa. La Westinghouse Electric e la Pierce-Arrow avevano preparato questa automobile elettrica sperimentale seguendo le indicazioni di Tesla. (George Westinghouse aveva acquistato da Tesla i brevetti sulla corrente alternata per 15 milioni di dollari all’inizio del 20′ secolo). La Pierce-Arrow adesso era posseduta e finanziata dalla Studebacker Corporation, e utilizzò questo solido appoggio finanziario per lanciare una serie di innovazioni. Tra il 1928 e il 1933 l’azienda automobilistica presentò nuovi modelli con motori ad 8 cilindri in linea e 12 cilindri a V, i futuristici prototipi Silver Arrows, nuovi stili e miglioramenti di tecnica ingegneristica. La clientela reagì positivamente e le vendite della Pierce-Arrow aumentarono la quota aziendale nel mercato delle auto di lusso, nonostante nel 1930 quest’ultimo fosse in diminuzione. In una situazione così positiva, progetti “puramente teorici” come l’auto elettrica di Tesla erano all’interno di questa sfera concettuale. Nella tradizionale mistura di arroganza e ingenuità dell’azienda, niente sembrava impossibile. Così, per le sperimentazioni era stata selezionata una Pierce-Arrow Eight del 1931, proveniente dall’area di collaudo dell’azienda a Buffalo, nello stato di New York. Il suo motore a combustione interna era stato rimosso, lasciando intatti la frizione, il cambio e la trasmissione verso l’asse posteriore. La normale batteria da 12 volt rimase al suo posto, ma alla trasmissione era stato accoppiato un motore elettrico da 80 cavalli. Tradizionalmente, le auto elettriche montavano motori a corrente continua alimentati da batterie, dato che quella continua è il solo tipo di corrente che le batterie possono fornire. Si sarebbe potuto utilizzare un convertitore corrente continua/corrente alternata, ma a quei tempi tali dispositivi erano troppo ingombranti per essere montati su un’automobile. Il crepuscolo delle auto elettriche era già passato da tempo, ma questa Pierce-Arrow non venne dotata di un semplice motore a corrente continua. Si trattava di un motore elettrico a corrente alternata progettato per raggiungere 1.800 giri al minuto. Il motore era lungo 102 centimetri con un diametro di 76, senza spazzole e raffreddato ad aria per mezzo di una ventola frontale, e presentava due terminali di alimentazione indirizzati sotto il cruscotto ma lasciati senza collegamento. Tesla non disse chi costruì il motore elettrico, ma si ritiene che fu una divisione della Westinghouse. Sul retro dell’automobile era stata fissata un’antenna di 1,83 metri.
L’Affare “Etere-Arrow” – Petar Savo raggiunse il suo famoso parente, come quest’ultimo gli aveva chiesto, e a New York salirono assieme su un treno diretto verso il nord dello stato omonimo. Durante il viaggio l’inventore non commentò la natura dell’esperimento. Arrivati a Buffalo, si recarono presso un piccolo garage dove trovarono la nuova Pierce-Arrow. Il Dr. Tesla sollevò il cofano e fece qualche regolazione sul motore elettrico a corrente alternata sistemato al suo interno. In seguito si recarono a predisporre gli strumenti di Tesla. Nella camera di un hotel delle vicinanze il genio dell’elettricità si mise a montare il suo dispositivo. In una valigia a forma di cassetta si era portato dietro 12 valvole termoioniche. Savo descrisse le valvole “di costruzione curiosa”, sebbene in seguito almeno tre di esse siano state identificate come valvole rettificatrici 70L7-GT. Furono inserite in un dispositivo contenuto in una scatola lunga 61 centimetri , larga 30,5 e alta 15. Non era più grande di un ricevitore radio ad onde corte. Al suo interno era predisposto tutto il circuito elettronico comprese le 12 valvole, i cablaggi e le resistenze. Due terminali da 6 millimetri di diametro e della lunghezza di 7,6 centimetri sembravano essere le connessioni per quelli del motore. Ritornati all’auto del l’esperimento, misero il contenitore in una posizione predisposta sotto il cruscotto dalla parte del passeggero. Tesla inserì i due collegamenti controllando un voltmetro. “Ora abbiamo l’energia”, dichiarò, porgendo la chiave d’accensione a suo nipote. Sul cruscotto vi erano ulteriori strumenti che visualizzavano valori che Tesla non spiegò. Dietro richiesta dello zio, Savo mise in moto. “Il motore è partito”, disse Tesla. Savo non sentiva alcun rumore. Nonostante ciò, coi pioniere dell’elettricità sul sedile del passeggero, Savo selezionò una marcia, premette sull’acceleratore e portò fuori l’automobile. Quel giorno Petar Savo guidò questo veicolo senza combustibile per lungo tempo, per circa 80 chilometri attorno a Buffalo, avanti e indietro nella campagna. Con un tachimetro calibrato a 190 chilometri orari a fondo scala, la Pierce-Arrow venne spinta fino a 145 km/h, e sempre con lo stesso livello di silenziosità del motore. Mentre percorrevano la campagna Tesla diventava sempre più disteso e fiducioso sulla sua invenzione; cominciò così a confidare a suo nipote alcuni suoi segreti. Quel dispositivo poteva alimentare le richieste di energia del veicolo per sempre, ma poteva addirittura soddisfare il fabbisogno energetico di un’abitazione – e con energia in avanzo. Pur se riluttante, inizialmente, a spiegarne i principi di funzionamento, Tesla dichiarò che il suo dispositivo era semplicemente un ricevitore per una “misteriosa radiazione, che proviene dall’etere” la quale “era disponibile in quantità illimitata”. Riflettendo, mormorò che “il genere umano dovrebbe essere molto grato per la sua presenza”. Nel corso dei successivi otto giorni Tesla e Savo provarono la Pierce-Arrow in percorsi urbani ed extraurbani, dalle velocità estremamente lente ai 150 chilometri all’ora. Le prestazioni erano analoghe a quelle di qualunque potente automobile pluricilindrica dell’epoca, compresa la stessa Pierce Eight col motore da 6.000 cc di cilindrata e 125 cavalli di potenza. Tesla raccontò a Savo che presto il ricevitore di energia sarebbe stato utilizzato per la propulsione di treni, natanti, velivoli e automobili. Alla fine della sperimentazione, l’inventore e il suo autista consegnarono l’automobile in un luogo segreto, concordato in precedenza – il vecchio granaio di una fattoria a circa 30 chilometri da Buffalo. Lasciarono l’auto sul posto, ma Tesla si portò dietro il suo dispositivo ricevitore e la chiave d’accensione. Questo romanzesco aspetto dell’affare continuò. Petar Savo raccolse delle indiscrezioni secondo le quali una segretaria aveva parlato delle prove segrete ed era stata licenziata. Ciò spiegherebbe un impreciso resoconto sulle sperimentazioni che apparve su diversi quotidiani. Quando chiesero a Tesla da dove arrivasse l’energia, data l’evidente assenza di batterie, egli rispose riluttante: “Dall’etere tutto attorno a noi”. Alcuni suggerirono che Tesla fosse pazzo e in qualche modo collegato a forze sinistre e occulte. Tesla fu incensato. Rientrò assieme alla sua scatola misteriosa al suo laboratorio di New York. Terminò così la breve esperienza di Tesla nel mondo dell’automobile. Questo incidente dell’infrazione nella sicurezza può essere apocrifo, dato che Tesla non disdegnava di utilizzare la pubblicità per promuovere le sue idee ed invenzioni, sebbene quando questi dispositivi mettevano in pericolo lo status quo dell’industria egli aveva ogni buona ragione per essere circospetto nei suoi rapporti. L’azienda Pierce-Arrow aveva già toccato il culmine del suo successo nel 1930. Nel 1931 era in calo. Nel 1932 l’azienda perse 3 milioni di dollari. Nel 1933 vi furono problemi amministrativi anche nell’azienda madre Studebacker che vacillò sull’orlo della liquidazione. L’interesse passò dall’innovazione alla pura sopravvivenza, e qui la Pierce-Arrow abbandona il nostro racconto.
Un mistero all’interno di un enigma – Circa un mese dopo la pubblicazione dell’episodio, Petar Savo ricevette una telefonata da Lee DeForest, un amico di Tesla e pioniere nello sviluppo delle valvole termoioniche. Egli chiese a Savo se i test lo avessero soddisfatto. Savo rispose con entusiasmo e DeForest lodò Tesla come il più grande scienziato vivente al mondo. In seguito, Savo chiese a suo “zio” sugli sviluppi del ricevitore energetico in altre applicazioni. Tesla rispose che era in contatto con uno dei principali cantieri nautici per realizzare una nave con un dispositivo simile a quello dell’automobile elettrica sperimentale. Tuttavia, non gli si potevano chiedere maggiori dettagli dato che era ipersensibile riguardo alla sicurezza del suo dispositivo – e non si può dargli torto. In passato, potenti interessi avevano cercato di ostracizzare Tesla, ostacolando ogni suo sforzo per promuovere ed applicare le proprie tecnologie. Chi scrive non è a conoscenza di alcun documento pubblico che descriva un esperimento nautico, o se quest’ultimo accadde. Non venne divulgata alcuna informazione. Il New York Daily News del 2 aprile 1934 riportava un articolo intitolato “Il sogno di Tesla di un’energia senza fili vicino alla realtà”, che descriveva un “esperimento programmato per spingere un’automobile utilizzando la trasmissione senza fili di energia elettrica”. Questo successe dopo l’episodio e non vi era menzione di “free energy”. Nel periodo in cui l’automobile dovrebbe essere stata svelata, la Westinghouse Corporation, sotto la presidenza di F. A. Merrick, pagò per la sistemazione di Tesla al New Yorker, il più nuovo e lussuoso hotel di New York. In esso l’anziano scienziato visse gratuitamente per tutto il resto della sua vita. Tesla venne anche reclutato dalla Westinghouse per ricerche non ben specificate sulle trasmissioni senza fili ed egli interruppe le sue dichiarazioni pubbliche sui raggi cosmici. Forse che la Westinghouse comprò il riluttante silenzio di Tesla sulle sue scoperte free energy? Oppure venne finanziato per proseguire dei progetti segreti talmente speculativi da non costituire una minaccia per il complesso industriale nell’immediato futuro? Cala il sipario su un mistero all’interno di un enigma.
Fonte: Disinformazione
La Biennale di Venezia, Michael Mann Presidente della Giuria Internazionale del Concorso Venezia 69
la Biennale di Venezia 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
Michael Mann
Presidente della Giuria Internazionale del Concorso Venezia 69
E’ il regista, sceneggiatore e produttore statunitense Michael Mann – cineasta totale e una delle figure più influenti e rappresentative del cinema americano contemporaneo – la personalità chiamata a presiedere la Giuria Internazionale del Concorso della 69. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia (29 agosto – 8 settembre 2012), che assegnerà il Leone d’oro e gli altri premi ufficiali.
La decisione è stata presa dal Cda della Biennale presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera.
Come produttore, Michael Mann si è imposto realizzando alcune delle serie televisive di maggior successo (Miami Vice, Crime Story), per le quali ha contribuito a creare nuovi standard qualitativi di derivazione cinematografica. In qualità di sceneggiatore e soprattutto di regista, ha saputo trovare una cifra personalissima nell’elaborazione tematica e formale di motivi appartenenti in prevalenza alla mitologia dei thriller urbani (Manhunter, Heat, Insider, Collateral, Nemico pubblico), affermandosi come uno dei più grandi stilisti e innovatori del cinema hollywoodiano. E’ la prima volta che Michael Mann presiede la Giuria di un festival internazionale.
Dopo aver scritto, prodotto e diretto alcune serie televisive, e aver scritto e diretto il TV movie Jericho Mile (La corsa di Jericho, 1979), Michael Mann (Chicago, 1943) debutta nel 1981 nella regia cinematografica con Strade violente (Thief), cui segue il grande successo come produttore esecutivo di Miami Vice (1984). Un telefilm che diventa manifesto estetico e sociologico degli anni ’80. Il suo stile fiammeggiante e post-moderno, curato esteticamente e preciso nella definizione degli spazi fisici, nell’uso della musica, delle psicologie e delle emozioni, si mostra nella sua complessità con Manhunter-Frammenti di un omicidio (1986), tratto da un romanzo di Thomas Harris, film che segna la nascita cinematografica del personaggio di Hannibal Lecter, lo psicologo-cannibale. L’epico L’ultimo dei Mohicani (1992) e l’articolato intrigo di Heat-La sfida (1995), in cui per la prima volta recitano insieme Al Pacino e Robert De Niro, consacrano la sua versatilità e il suo talento nel raccontare storie complesse. Insider-Dietro la verità (1999), coinvolgente thriller politico, rivela l’anima solitaria del suo cinema, fatto di eroi intensi e di immagini stordenti.
Nel 2001 racconta con Ali la lotta per l’esistenza del pugile Muhammed Alì, per definire la sua identità e che cosa ha rappresentato, interpretato da Will Smith. L’impegno successivo di Mann come regista è Collateral (2004), con Tom Cruise, con cui ritorna al genere più amato, il thriller metropolitano. Il film partecipa Fuori Concorso alla 61. Mostra del Cinema di Venezia. Dopo la trasposizione su grande schermo della sua serie di culto Miami Vice (2006), con Colin Farrel, Jamie Foxx e Gong Li, Mann realizza Nemico pubblico-Public Enemies (2009), biopic noir sulla breve vita, le avventure e la morte del famoso rapinatore di banche anni ‘30 John Dillinger, interpretato da Johnny Depp, con Christian Bale e Marion Cotillard.
Come produttore, i lavori di Mann includono Aviator (2004), diretto da Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Hancock (2008) con Will Smith, Texas Killing Fields (2011) diretto da sua figlia Ami Canaan Mann, in Concorso alla 68. Mostra del Cinema di Venezia, e le serie HBO Luck (2011) e Witness.
Osvaldo Moi, lumache scultura in mostra a Parigi, Monte Carlo, Milano e Sant Paul de Vence
E’ in contemporanea in più gallerie, questo perché le lumache di Osvaldo Moi, lente lente, arrivano ovunque. Sono in resina, in bronzo e persino in plastica e di varie dimensioni. Ludiche ed ironiche – non sfuggirà all’osservatore che i cornini tipici in realtà sono le dita di due mani poste nella classica postura scaramantica e di questi tempi, di scaramanzia ce ne vuole veramente tanta -. I gusci, poi, sono sempre diversi e rimandano a mondi surreali che rendono le escargot degli animali quasi mitologici che popolano i nostri sogni e le nostre fantasie. Le lumache sono esposte a Parigi, nella galleria nipponica Nichido al 61 di Rue Faubourg du Sant Honoré, a Sant Paul de Vence in plage d’Eglise Galerie, a Monte Carlo nella Galleria Berrino in Rue Basse; in Italia a Torino alla Galleria Accorsi Arte inaugurata il 26 maggio scorso in via Cesare Balbo 36, angolo via Napione e nella Galleria Mark’oGallery inaugurata il 31 maggio 2012 in corso Vittorio Emanuele II n.96.
Fonte: Vivianamusumeciblog’s
Touareg, nomadi del Sahara
Touareg è un termine probabilmente arabo che venne ripreso dai francesi e significa “Abbandonati da Dio“, ma questa terminologia non piace al popolo Touareg. Secondo altre fonti più verosimili deriverebbe dal nome di una città libica chiamata Targa, anticamente chiamata la Fezzan libica. Sono lontani cugini degli egiziani e dei marocchini, da cui hanno ereditato la loro cultura e la loro religione: l’Islam. La religione cristiana ha avuto comunque una forte influenza, basti pensare, a livello artistico, alle splendide croci Touareg incise nel metallo. Di certo si sa che non sono arabi: i Touareg sono di origine Amazigh e parlano uno dei dialetti berberi antichi e usano la scrittura Tifinagh nelle sue numerose varianti regionali, scrittura che ha influenzato l’alfabeto berbero attuale. Oggi i Touareg si sono incrociati con le popolazioni arabe e nere sub-sahariane presentando numerose componenti che non sono assimilabili alle loro origini antiche. Come la religione, l’Islam, che è importante ma non fondamentale. Stretto è il legame con i berberi del Maghreb, al punto che molti di loro preferiscono essere chiamati Imajeghen o Kel Tamasheq. Al tempo della crisi che sfociò nella colonizzazione, molti di loro, poveri e senza lavoro, vennero chiamati Shumar o Ishomar, a causa della loro condizione precaria che ha dato origine alla fonetica della parola dal francese “chômeur“, disoccupato. All’inizio del ’900, i francesi partirono alla conquista dell’Africa; la disfatta in Prussia nel 1870 aveva fiaccato l’orgoglio dell’Armata Nazionale e il continente nero era ancora inesplorato per i coloni, quindi si donava nuova speranza alla Francia. Un problema geografico si pose tra il nord (Maghreb) e il sud (Sudan francese, attuale Mali): l’ostilità del Sahara isolava l’avvenire delle due Afriche. Ma gli ufficiali Dupontel e Freycinet decisero, al di là di un semplice conto economico, di unire i battaglioni militari francesi dal nord al sud. Le divisioni del nord erano riunite sotto il nome di “Armata d’Africa“, mentre le divisioni del sud erano chiamate “La Coloniale“”. Nel deserto i militari si scontrarono con una opposizione forte, tenace, da parte di piccole armate di guerrieri a cavallo di dromedari, i Touareg, che regnavano nel deserto e che non vollero essere conquistati. Tutti i tentativi di attraversare il Sahara risultarono perdenti e i soldati vennero decimati dai guerrieri Touareg. L’abbigliamento, il mistero, la violenza dei combattimenti lasciò per lungo tempo delle tracce profonde negli spiriti francesi. Poco tempo dopo si archiviò la Conferenza di Berlino che tagliava e attribuiva dei “pezzi” d’Africa alle potenze europee. Ai francesi l’AOF (Africa Occidentale Francese) che divenne una sola regione. Si volle creare un territorio sahariano relativamente indipendente che coprisse la regione frontaliera tra il Mali e il Niger, chiamandolo Azawagh o Azawak, che inglobava il Sahara centrale, quindi il sud dell’Algeria. Quel progetto però non vide mai la luce . Il rapporto tra i francesi e i Touareg era molto teso. I francesi vollero dirigere con un pugno di ferro la regione privando gli Imashaghen della libertà. Ebbero molte difficoltà ad imporre la loro organizzazione economica e sociale ai locali e utilizzarono i Touareg come trasportatori e in seguito come combattenti, giocando sulle rivalità preesistenti tra le varie tribù e le popolazioni locali. Fu Lapperine, grande amico di Père de Focault che ebbe l’idea di arruolare questi “corsari del deserto” come mano armata, polizia del deserto: in Algeria furono i Chambaas e i Touareg, nel Mali i Kountas e i Touareg, che regnavano sull’ordine. Molti Touareg accettarono e assecondarono questa scelta perchè Laperrine offrì loro due dromedari, uno per la pastura e uno per la monta, oltre all’ equipaggiamento. I francesi imposero il pagamento di una tassa alle differenti autorità Touareg: la “Twise“, imposta di sovranità e riconoscimento della dominazione francese. Il colonialismo condusse una politica che contribuì da una parte al deterioramento delle relazioni inter-etniche e, dall’altro lato, alla disgregazione delle confederazioni Touareg, creando dei multipli califfati artificiali più facili da controllare. Nel momento della indipendenza, i Touareg non realizzarono la grande portata dei cambiamenti che stavano avvenendo e i loro territori si trovarono stretti da delle frontiere assurde che corrispondevano unicamente, all’epoca, ai limiti di competenza dei diversi uffici dell’amministrazione coloniale. Dopo l’indipendenza, i Touareg si ritrovarono minoritari in tutti i paesi che si dividevano i loro territori e fu difficile alzare la voce per farsi comprendere e accettare. Questo creò delle situazioni drammatiche ed esplosive, in particolare nel Mali e nel Niger, dove i diversi governi che si succedettero li marginalizzarono, quando non cercarono, scientificamente, di ridurli. I Touareg vissero questa politica come una discriminazione etnica, come un tentativo di genocidio, vedendosi rifiutare ogni speranza di sviluppo economico e culturale.
Un clima di contestazione/repressione si instaurò senza alcuna volontà politica, contro le autorità nigeriane e del Mali, e trattare questa situazione con il dialogo divenne impossibile. Ai gravi problemi di ordine politico si sovrappose una drammatica carestia (1973-1984) , che decimò la quasi totalità dei capi di bestiame. Questa grande carestia del ‘73 venne utilizzata poi come arma per chiudere le diatribe con i Touareg da parte dei governi centrali: pozzi e viveri centellinati, aiuti internazionali rispediti ai mittenti, popolazione allo sbando. Questo condusse molti Touareg a sedentarizzarsi, non senza problemi, intorno ai centri urbani, in esilio. Centinaia di migliaia di Touareg nigeriani e maliani si riversarono in Libia e in Algeria. In Niger la situazione si incancrenì verso la fine degli anni ‘80. Nel 1990 davanti alla totale assenza governativa gli Uomini Blu si ribellarono e per 5 anni la regione sahariana visse in uno stato di insurrezione e divenne un governo militare. I ribelli affrontarono le forze armate nigeriane in una guerra segnata da una repressione feroce, e l’idea di un territorio libero Touareg del Sahara germogliò negli spiriti nomadi, ma davanti alle difficoltà di federarsi tra le diverse fazioni ribelli, e l’assenza di ostegni dalla comunità internazionale, questa idea venne presto abbandonata. La tradizione orale fa discendere i Touareg da Tin Hinan, mitica regina e i comandamenti politici appartengono tradizionalmente, in seno alla confederazione, ai discendenti, in linea diretta, di questa Regina Madre, fondatrice della comunità di lingua e di cultura Touareg. La società dei Touareg è organizzata in “ettebel”, tamburo simbolo del comando e del diritto; questo termine designa uguamente la confederazione politica. Ogni ettebel comprende diversi gruppi (tawshet) sempre discendenti da un ancestre femminile e fa di questa tradizione un fatto eccezionale. E’ una società matriarcale, l’affiliazione è stabilità dalle donne; i bambini appartengono alla tribù e alla classe sociale della madre.I Touareg sono monogami e il primo caso di poligamia riscontrato in Ahaggar apparve nel 1995 presso Kel-Rela è subì la riprovazione generale, in particolare dalla comunità femminile. L’uomo che ripudia la sua donna, qualsiasi possano essere le motivazioni e socialmente condannato. Il matrimonio è costruito su un regime di separazione dei beni e il coniuge è libero di gestire le sue fortune come preferisce. Ad Ahggar, presso gli Imrad, le tende e gli utensili da lavoro appartengono alle donne e restano di loro proprietà sia in caso di divorzio o di vedovanza. Presso i nobili invece le tende sono proprietà degli uomini. L’economia touareg è varia e riflette da una parte la diversità geografia (Sahara/Sahel) e dall’altra le mutazioni recenti dovute alla modernizzazione dei mezzi di trasporto, che di fatto ha cancellato il commercio carovaniero. L’attività economica principale si sviluppa nell’allevamento (bovini,ovini,caprini e dromedari). La gestione delle pasture, rare, implica degli spostamenti frequenti che crea un nomadismo pastorale praticato dai Touareg da secoli. Attualmente, sotto l’effetto della desertificazione che ha decimato una gran parte del bestiame , i Touareg tendono a sviluppare delle attività economiche meno soggette ai climi aleatori, come l’artigianato, il turismo, ecc.. I Touareg che vivono nelle regioni del Sahel, sedentarizzati da lunga data, praticano l’agricoltura e coltivano prevalentemente il sorgo e l’orzo. Questa attività è prodotta nelle oasi, grazie all’acquisizione di tecniche performanti per il raccolto. L’artigianato, molto ricco e diversificato, ha conosciuto un notevole riscontro in questi ultimi anni grazie allo sviluppo turistico. In certi regioni del Sahara il turismo è diventato la prima attività economica impiegando migliaia di persone (guide, autista, cammellieri, ecc..) Oggi molti Touareg cercano di tornare al passato evolvendosi verso una vita semi-nomade. Oltre ad allevare animali per il sostentamento, molti di loro stanno riproponendo il trasporto dei beni attraverso il deserto.
Questi beni provengono loro stessi dal deserto, come i blocchi di sale prelevati nelle saline naturali di alcuni laghi salati secchi, il più delle volte situati nell’interno del deserto. I dromedari sono i soli animali che possono sopportare le condizioni del deserto e da secoli, le carovane formate da centinaia di questi quadrupedi, hanno giocato un ruolo primario nel commercio mondiale. Le ultime carovane non hanno nulla di folk e restano un fatto straordinario, considerando la loro utilità economica, che non deve essere dimostrata. Il commercio carovaniero sahariano del sale, praticato dagli Uomini Blu è ancora importante e l’Africa, in particolare le zone sahariane e saheliane, manca di sale. Il bisogno di sale di tutti gli esseri viventi in zone particolarmente calde sono considerevoli ed è per questo che in Niger, in autunno, le grandi carovane degli Azalaï lasciano la regione dell’Aïr per le saline di Bilma; per tre settimane, le carovane composte da centinaia di cammelli attraversano l’immenso Ténéré, sino alle saline e ritornano percorrendo oltre 1.000 km con una media di 18 ore di marcia al giorno. Le rotte carovaniere seguono generalmente le distanze più corte tra oasi e i punti d’acqua e molte di queste oasi sono diventate dei centri commerciali importanti e laddove la distanza tra le due sorgenti d’acqua (oasi) è troppo distante e quindi diventa pericolosa per le carovane, sono stati scavati dei pozzi per rimediare al fabbisogno di acqua. Molti di questi sono in attività già da alcuni secoli, quando notevoli carovane attraversavano il deserto quotidianamente e in ogni periodo dell’anno.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen
Amatrice, terremoto dell’Ottobre 1639
Come descritto in “Nuoua, e vera relatione del terribile, e spauentoso terremoto successo nella citta della Matrice, e suo stato, con patimento ancora di Accumulo, e luoghi circonuicini, sotto li 7. del presente mese di Ottobre 1639. Con la morte compassioneuole di molte persone, la perdita di bestiami d’ogni sorte, e con tutto il danno seguito fino al corrente giorno. Con ogni diligenza, e certezza descritta da Carlo Tiberij romano … ” – di Carlo Tiberij Romano – Marciani 1639 (nei manoscritti rari della Biblioteca Casanatense di Roma coll. Bibl. Misc. 367/16)
Una delle cause di mancanza di dati storici in loco, circa l’avo Giustiniano Giustiniani morto a Roccapassa nel 1735 e precedenti, è anche data dal terribile terremoto dell’ottobre 1639 (del 7 grado della scala Mercalli) che distrusse l’intero abitato e probabilmente anche i vecchi registri ecclesiastici.
Ciò è anche documentato da una antica relazione sull’evento che per l’appunto dice “La Rocca distrutta”.
Dopo un evocazione di preghiera, il testimone oculare della tragedia parla di questo terribile terremoto, avventuo nella notte (le nove) del sette ottobre 1639: “… alcuni fuggono, altri si rifuggiano nella Chiesa di S.Domenico presso l’esercito del S.S. Rosario per invocare la protezione della Beata Vergine”. I Signori Alessandro Orsini e consorte, principi di Amatrice, furono costretti a lasciare il loro palazzo e fuggire nella loro villa di campagna della Santa Iusta.
Il relatore stima i danni in 400.000 scudi dell’epoca.
Molti furono i morti sepolti sotto le rovine, il relatore comunque ne cita ufficialmente 35. Anche se narra che la più parte sono rimasti sepolti ed il fetore ed il puzzo è insopportabile.
La scossa più forte durò un quarto d’ora. I danni per le varie frazioni sono elencati nel seguente modo:
Campo Tosto rovinato in parte, S.Martino tutto, Collalto mal tenuto, Pinaca parte, Filetta e Svevocaia tutte, L’abbazia di S. Lorenzo sotto il Vescovado di Ascoli quasi tutta (salvi tutti i frati sottolinea il relatore), Padarga in parte, Cantone Villa solo una casa in piedi, Corva distrutta, Forcella tutta, Capriccio buona parte, Leila poco.
Il 14 ottobre del 1639 alla stessa ora ci fu probabilmente una seconda scossa. Il relatore riporta un nuovo elenco di paesi danneggiati:
Saletta poco, Corsenito quasi tutto, Casale tutto, La Rocca distrutta, Torreto neppure un legno, Colle Baffo solo una casa in piedi, Palsciano buona parte, Santo Iorio tutto sfracassato, Colle Moresco tutto. <brLa Chiesa dei Padri Francescani, La Rocca dei Salli è tutta rovinata. A Cancello dopo Montereale il palazzo del Signorotto locale Ludovico Cerasi e del Digor Gio Paolo Ricci sono completamente distrutti.
L’andamento temporale dei terremoti più forti nell’Appennino umbro-marchigiano è abbastanza irregolare. Ai terremoti distruttivi del 1279, con area epicentrale vicina o addirittura coincidente con quella dei terremoti attuali, si ebbero poi quelli del 1328, 1352 e 1389 in Alta Val Nerina, sono seguiti, secondo i cataloghi, un periodo di attività più ridotta, con pochi terremoti distruttivi: 1458, Alta Val Tiberina, 1599 Cascia ed infine quello di Amatrice dell’ottobre 1639.
Biennale di Venezia, ottava edizione del Festival Internazionale di Danza Contemporanea
dall’8 al 24 giugno 2012
Giunto all’ottava edizione, il Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia, presieduta da Paolo Baratta, si svolgerà quest’anno dall’8 al 24 giugno. Due settimane tra spettacoli, performance, installazioni – fra cui 5 prime mondiali e 5 novità per l’Italia – ma anche conferenze, laboratori e masterclass con alcuni dei protagonisti della scena contemporanea. E ancora: 20 brevi performance di altrettante compagnie selezionate tramite bando, presentate nella Marathon of the unexpected, uno spazio all’interno del Festival dedicato a lavori inediti e innovativi.
Il Festival, diretto da Ismael Ivo e intitolato Awakenings, per celebrare e invitare al risveglio della vita e della creatività – “Il movimento è vita. Il cuore dà il ritmo e il corpo muove un passo. Queste sono le dinamiche della sopravvivenza e dell’esistenza”, scrive Ivo – si snoderà attraverso la città: dagli affascinanti spazi dell’Arsenale – Artiglierie, Corederie, Teatro Piccolo Arsenale, Teatro alle Tese, – alla Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, sede della Biennale, al Teatro Malibran e a spazi inconsueti come il Salone SS. Filippo e Giacomo del Museo Diocesano di Venezia.
Due sono le novità che aprono il Festival l’8 giugno: il nuovo spettacolo di Virgilio Sieni, ideato appositamente per il festival, De anima, che prosegue il particolarissimo percorso intrapreso dal coreografo toscano tra letteratura filosofia e poesia, in scena al Teatro Piccolo Arsenale, e la nuova coreografia del direttore Ismael Ivo, Biblioteca del corpo, che vedrà impegnati, a conclusione della sessione annuale di studi, i 25 danzatori dell’Arsenale della Danza. L’attività di formazione e ricerca rappresentata dall’Arsenale della Danza e quella storicamente festivaliera ed espositiva, volta ad accendere i riflettori su una fetta consistente del panorama contemporaneo dell’arte coreutica trovano qui un punto di convergenza. Idealmente ispirato al racconto di Borges La Biblioteca di Babele, lo spettacolo compone una personale “biblioteca del corpo”, una installazione coreografica dove i corpi sono raccolti come un libro. “Il punto di partenza è l’idea che ogni individuo rappresenta di per sé un libro che contiene informazioni uniche e originali. Queste informazioni segrete sono inimitabili. Ma il libro individuale deve essere aperto per poter rivelare i suoi diversi aspetti, i difetti, le qualità e le potenzialità. In questo processo, ogni singolo libro, pur se originale in sé, è solo un volume della grande enciclopedia umana” (I. Ivo). In replica il 9 e 10 giugno, lo spettacolo sarà poi in tournée in Italia e all’estero.
Il Festival prosegue con un omaggio a una indimenticata artista, Pina Bausch, composto da Cristiana Morganti, danzatrice storica del Tanztheater Wuppertal: Moving with Pina sarà presentato nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian il 12 e 13 giugno. Il dittico del Balé Teatro Castro Alves di Salvador di Bahia, apre invece uno squarcio su un Paese come il Brasile, dove l’arte della danza attraversa le espressioni quotidiane della vita: 1Por1Praumdi Jorge Vermelho e A quem possa interessar di Henrique Rodovalho, presentati alla Biennale in prima nazionale, saranno in scena rispettivamente alle Corderie dell’Arsenale (13>17 giugno) e al Teatro alle Tese (15>17 giugno). Dal Brasile a un’altra forma di “meticciato culturale” con la coreografa anglo-indiana Shobana Jeyasingh, pioniera della danza “globale” o “fusion”, che cortocircuita tradizione e innovazione, oriente e occidente. TooMortal è il titolo della nuova creazione di Shobana, presentata in prima assoluta a Venezia e commissionata dalla Biennale con il Festival di Londra Dance Umbrella eDansen Hus di Stoccolma (14>16 giugno, Chiesa anglicana di St. George’s, Campo San Vio).
Torna a Venezia William Forsythe, artista in costante evoluzione che non cessa di indagare sui processi della danza, con uno degli ormai celebri “oggetti coreografici”, esposti nelle gallerie e nei musei di tutto il mondo: Nowhere and everywhere at the Same Time, in prima italiana alla Biennale negli spazi delle Artiglierie dell’Arsenale (15>17, 22>24 giugno). Saranno invece per la prima volta alla Biennale l’islandese Erna Ómarsdóttir, a lungo danzatrice di Jan Fabre, con la nuova versione di We saw monsters al Teatro Piccolo Arsenale (15 e 16 giugno) e il beninese Koffi Kôkô, performer apripista della danza moderna africana in Europa, con La Beauté du Diable al Teatro Piccolo Arsenale (19 e 20 giugno). Dal rapporto fra Maestri e allievi nasce la proposta di uno spettacolo storico come Line Up, nato dall’incontro del Teatro Scuola “Paolo Grassi” di Milano con la “lezione” della coreografa americana Trisha Brown e la sua compagnia (al Teatro Piccolo Arsenale, 21 e 22 giugno).
Il finale di questa ottava edizione del Festival della Biennale allinea due presenze d’eccezione. Una vera star della danza, Sylvie Guillem, forse l’unica artista riuscita a coniugare una popolarità planetaria con l’altissima qualità delle proposte, che arriva da una lunga tournée iniziata al Sadler’s Welles di Londra con il suo ultimo lavoro: 6000 Miles Away, un trittico coreografico ad opera dei più bei nomi della danza contemporanea, Willliam Forsythe, Mats Ek, Jirí Kylián (al Teatro Malibran il 22 giugno). Infine la prima mondiale del nuovo spettacolo di un artista ormai di culto, Wim Vadekeybus: il suo Booty Looting, in scena il 23 e 24 giugno al Teatro alle Tese dell’Arsenale.
Marathon of the unexpected (24 giugno, Teatro Piccolo Arsenale) è lo spazio aperto dalla Biennale all’interno del Festival e dedicato alle novità: tutti pezzi inediti e fulminanti per brevità – non più di 15 minuti ognuno – selezionati attraverso un bando di concorso per portare allo scoperto ciò che raramente trova visibilità. Awakenings Dance Party (24 giugno, Tese delle Vergini) sarà invece un momento di festa condiviso, per celebrare la gioia e la bellezza della danza a coronamento del Festival.
Il programma della Biennale Danza si articola anche attraverso esperienze laboratoriali, incontri e conferenze che sottolineano la necessità di fare di Venezia non solo il luogo privilegiato per presentare spettacoli inediti per l’Italia, ma anche il luogo dell’incontro tra artisti italiani e stranieri e tra gli artisti e un pubblico consapevole, attento alla ricerca di diversi linguaggi espressivi. Accanto a Choreographic Collision, sesta edizione di un percorso di perfezionamento nella coreografia sotto la direzione di Ismael Ivo e a cura dell’Associazione Danzavenezia, ci saranno masterclass per professionisti e noncon i protagonisti del Festival, occasione unica per entrare in contatto diretto con gli strumenti e i processi creativi di maestri di oggi: Virgilio Sieni, Cristiana Morganti del Tanztheater Wuppertal, Rosa Barreto e Gilberto Baía del Balé do Teatro Castro Alves, Erna Ómarsdóttir, Wim Vandekeybus, Brock Labrenz della Forsythe Company e Koffi Kôkô.
La Regione del Veneto rinnova anche quest’anno il suo sostegno ai programmi dello spettacolo dal vivo, riconoscendo a quest’attività della Biennale e alla danza in particolare la capacità di una progettualità d’autore a lungo termine che nasce a Venezia e guarda al mondo. Anche la collaborazione con laFondazione Teatro La Fenice, collaudata da diversi anni, trova nuovo alimento nei programmi del Festival di Danza.
NATO, ex militari accusano menzogne per la guerra contro Iraq e Afghanistan
Durante il vertice NATO a Chicago, sotto lo sguardo della polizia antisommossa, diverse dozzine di ex combattenti della guerra di Iraq e Afghanistan hanno gettato le loro medaglie e presentato le loro scuse.
“Non c’è nessun onore in queste guerre – ha commentato tra gli altri Alejandro Villatoro, ex sergente dell’esercito americano – c’è solo vergogna”.
« Non ho parole per qualificare questa guerra globale al terrorismo, una vergogna. »
“Quando mi sono arruolato ero convinto di farlo perché stavamo dalla parte del giusto – racconta ad esempio Graham Clumpner, 27 anni, dallo stato di Washington – Ora non ci credo più, ne ho viste troppe: vite violate, soldi buttati, abusi inutili. Tutto per far guadagnare le aziende che incassano profitti con la guerra, mentre a noi davano 1.500 dollari al mese per farci sparare addosso”.
« Avrei dovuto liberare delle persone, ma ho liberato solo campi di petrolio. »
« Nessuna medaglia, nessun nastro, nessuna bandiera possono nascondere la somma della sofferenza umana causata da questa guerra. »
« Sono soprattutto dispiaciuto. Sono dispiaciuto per voi, mi dispiace… »
« L’esercito è in crisi, i soldati soffrono di traumatismi sessuali, di stress post traumatici, di traumatismi celebrali, e non ricevono nemmeno i trattamenti che meritano e di cui hanno bisogno. »
I manifestanti affermano che la guerra in Iraq e in Afghanistan sono basate su menzogne e su delle politiche destinate a fallire. Queste guerre hanno un costo di centinaia di migliaia di vite e di miliardi di dollari che sarebbero potuti, secondo gli ex militari, essere consacrati al finanziamento di scuole, di cliniche e di programmi sociali negli Stati Uniti.
Dioni – Fonte: Voltairenet
“I Luoghi del Cuore 2012”, campagna multimediale di The Family per FAI
The Family illustra per FAI – Fondo Ambiente Italiano
la campagna “I Luoghi del Cuore 2012”
Milano, 23 maggio 2012
E’ una campagna multimediale che coinvolge tv, internet, radio e stampa. La firma del filmato è, per il terzo anno, di The Family – la cdp è iscritta al FAI come Corporate Golden Donor – che ha realizzato uno spot e ha prodotto l’annuncio radiofonico della campagna per il FAI – Fondo Ambiente Italiano: obiettivo della campagna è quello di annunciare la 6a edizione del Censimento dei luoghi da non dimenticare, I Luoghi del Cuore appunto, che per la prima volta sarà aperto a tutto il mondo.
E’ possibile votare il proprio luogo dal sito http://www.iluoghidelcuore.it o utilizzando le cartoline distribuite presso tutte le sedi di Intesa Sanpaolo e Banche del Gruppo.
Nel filmato, girato a otto mani, con la partecipazione di quattro registi – Stefano Quaglia per le riprese in Tailandia; Gianluca Fellini per quelle a New York; Claudio Cavallari per Parigi e infine Marco De Aguilar per Madrid – compaiono persone provenienti da tutto il mondo, amanti del nostro Paese che esprimono le loro preferenze su un luogo artistico o naturalistico italiano che rappresenta il loro “luogo del cuore”. L’elenco è lunghissimo: l’Ara Pacis, i Faraglioni di Capri, le Cinque Terre, la Reggia di Caserta, la Giudecca per citarne solo alcuni. Il claim recita: “IL MONDO HA SCELTO L’ITALIA COME LUOGO DEL CUORE. E TU? VOTA IL LUOGO ITALIANO CHE PIU’ AMI. INSIEME LO PROTEGGEREMO”.
Il progetto è realizzato grazie al contributo fondamentale di Intesa Sanpaolo partner dell’iniziativa fin dal 2004.
Executive producer della cdp: Carlotta Magnani.
Il filmato è stato realizzato nel formato 30 secondi per la tv, e 50 secondi per internet – online sia sul sito FAI, sia su youtube e su altri “siti amici del FAI”.
Il commento musicale al filmato è tratto dalla colonna sonora del film “Vittime di Guerra” ed è stata gentilmente concessa dal maestro Ennio Morricone.
Un ringraziamento speciale anche a X-Changes VFX e a Disc to Disc, per il supporto dato nella realizzazione del filmato.
Emilia Romagna, people need your help
Le scosse di questi giorni hanno piegato non solo l’Emilia Romagna, ma anche tutta l’Italia.
Il numero di morti, dispersi e feriti si sta alzando pericolosamente e nella giornata ieri le scosse sono arrivate anche a casa mia, per ben due volte: è stato surreale.
La solidarietà e l’empatia nei confronti delle famiglie che soffrono non bastano più. E’ il momento di un aiuto concreto.
Il Comune dell’Aquila ha aperto un conto corrente per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni dell’Emilia Romagna e del Nord Italia. Per scoprire come fare una donazione, cliccate qui. Grazie a tutti.
Fonte: In Moda Veritas