Il Sufismo, dalla spiritualità all’ascetismo (parte II)
Gli orientalisti della fine del XIX° e inizi del XX° secolo hanno sovente voluto intravedere nel sufismo una corrente che attestava un influenza esterna all’Islam, particolarmente il cristianesimo, e nel suo interno le correnti monastiche cristiane, donando alle correnti ostili al sufismo molti argomenti di lotta. I lavori di numerosi islamologi del XX° secolo sono tutti d’accordo nel rifiutare questa tesi. Per quanto riguarda la vita monastica, se gli hadith, di cui l’oggetto in questo caso è “l’instaurazione di un modello comportamentale”, sono particolarmente normativi su questo tema (“nessun monarchismo nell’Islam”), il Corano, in alcune formule di certi commentatori come Ibn Arabi, ha rivelato invece la grande complessità, sottolineando l’intenzione positiva iniziale: “Noi gli abbiamo donato (a Gesù) il Vangelo – Noi abbiamo stabilito che nei cuori di chi l’ha seguito vige la mansuetudine, la compassione e la via monastica che hanno instaurato – noi non l’abbiamo prescritto, unicamente spinti dal desiderio di piacere a Dio. Ma loro non hanno osservato come si sarebbe dovuto fare“. (Corano, LVII;27). I sufi sono organizzati in confrerie (turuq, plurale di tarîqa; cammino, via) fondate dai maestri spirituali (chaykh) che erano a volte considerati come dei discendenti di Maometto per parte di suo cugino Ali e la figlia Fatima. Ogni sufi si ricollega ad un “canale” (sisilah) che rappresenta la sua genealogia spirituale, grazie al quale interagisce con diversi intermediari del Profeta. Fatto salvo qualche eccezione tutte le vie spirituali si collegano tradizionalmente al Profeta tramite l’intermediario di Ali ibn Abi Talib. Se per i sufi è Maometto il profeta dell’Islam, che è il primo fra tutti, la Storia non trova tracce dei primi gruppi di sufi che a Koufa e a Bassora, a partire dal VIII° secolo d.c. , poi a Bagdad nel IX° secolo. Il XII° e il XIII° secolo marcarono per i sufi il passaggio ad una struttura e ad una organizzazione molto più formale e impostata: le confrerie appunto. Queste organizzazioni formali e dunque sociali non smentirono evidentemente che la natura stessa del sufismo, che è una voce spirituale (tarîqa), fosse trasformato. Ma questa evoluzione si tradusse con una visibilità maggiore e un impatto storico misurabile sulla società musulmana. Questo impatto è particolarmente evidente in certi casi dove il sufismo rappresentava la sola espressione della religione musulmana: gli esempi di islamizzazione dell’Africa dell’Ovest dalla Tidjaniyya e la Qâdiriyya, dove la resistenza contro i russi nel XIX° e XX° secolo da parte di una popolazione musulmana maggioritaria radicata alla Naqshbandiyya, lo dimostra in modo esplicito. Questa influenza socio-poltica di alcuni settori del sufismo si vide in primis nelle regioni tardivamente convertitesi all’Islam; in Asia centrale, in India, dove fù il cavallo di battaglia dell’islamizzazione, e nel mondo turco. E’ quindi evidente che la nozione del sufismo ricopre delle realtà molto variabili: alcune sono puramente spirituali e metafisiche mentre altre rappresentano le conseguenze dell’implicazione dei maestri sufi e dei loro discepoli nel territorio politico-sociale. Le confrerie furono perseguite da alcune autorità del sunnismo perchè giudicate eterodosse per certi dottori della legge musulmana e perchè alleati degli sciiti. Oggi ancora, alcune correnti salafiste o wahhabite, che pretendono di rappresentare l’Islam in toto (ortodosso), cercano di diminuire l’influenza delel confrerie sufi nel mondo intero, considerando il sufismo come uno strumento per uscire da una quadro rigido e letterale, evidenziando una deriva superstiziosa e pagana. In Persia, la dinastia dei Sefediti furono per lungo tempo una dinastia sufi. Dal punto di vista delle idee, il sufismo è una corrente esoterica che professa una dottrina affermante che tutte le realtà comportano un aspetto esteriore apparente (exoterico o zahir) e un aspetto interiore nascosto (esoterico o batin). Si caratterizza nella ricerca di uno stato spirituale che permette di accedere a queste conoscenze nascoste. Questa importanza accordata ai segreti ha portato, nei secoli, alla invenzione di lingue artificiali delle confrerie, di cui il più importante esempio è quella di Baleybelen. La prima fase del cammino sufista è quindi quello di rifiutare la coscienza abituale, quella dei cinque sensi, per la ricerca di uno stato di ebrezza spirituale, simile ad una sorta di estasi; i sufi la definiscono “exstinzione (al-fana’), l’annullazione dell’ego per arrivare alla coscienza della presenza dell’azione di Dio. Quando questa prima tappa è realizzata il sufi deve ritornare al mondo esteriore che aveva in un primo tempo rifiutato; il lessico sufista designa questa fase con differenti termini che corrispondono ad altrettanti aspetti del secondo viaggio: al-baqâ, “la sussistenza o la permanenza”, la lucidità (sahw), il ritorno (rujû) verso le creature. Questa descrizione sommaria ha forzatamente un carattere molto schematico e come mostra la letteratura sufista, questo processo è molto più ciclico che lineare e l’interpretazione dei termini di lessico sufi sono per natura esoterici. Un altro modo di presentare lo stesso processo, a partire dalla terminologia coranica, consiste nel descrivere i gradi di realizzazione spirituale. I maestri sufi distinguono tre fasi nell’elevazione dell’anima verso la conoscenza di Dio: in primis l’anima governata dalle sue passioni. I postulanti all’iniziazione, che è considerata come fondamentale in questo stadio, sono chiamati mourîd (novizio, nuovo adepto, discepolo). La seconda fase è il grado dell’anima che biasima se stessa, l’anima che cerca di correggersi interiormente e l’iniziato in questo stadio è chiamato saîk (viaggiatore) itinerante, allusione alla simbologia del “viaggio interiore“. La terza e ultima fase è quella dell’anima appagata. Per concludere ogni maestro di sufismo (shaykh) si attorna di un gruppo di discepoli e anima una conferia, o haqiqa, fondata da un grande maestro dei secoli passati. Possiede un metodo per l’accesso all’unità divina, e nessuno puo’ mettere in causa la validità del suo insegnamento che è riferito all’Islam. I maestri sufisti sono stati un esempio di vita religiosa che non ha avuto bisogno di radicamenti alle forme ufficiali di culto, evitando anche lo scoppio dell’Islam sunnita tra le diverse scuole giuridiche. L’ascensione verso Dio passa attraverso l’esercizio pratico nelle confrerie: veglie (sahar), digiuno (siyâm), danze (dervisci ruotanti), litanie (dhikr), controllo respiratorio. Questo movimento individualista venne condannato dall’Islam tradizionale (wahhâbismo) mettendo a morte al-Hallâdj nel 922.
Paolo Pautasso
Fonte: My Amazighen