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“Burlesque” di Steve Antin (2010)
Burlesque è un film di Steve Antin del 2010, con Christina Aguilera, Cher, Stanley Tucci, Cam Gigandet, Kristen Bell, Eric Dane, Julianne Hough, Alan Cumming, Peter Gallagher, Dianna Agron. Prodotto in USA. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da Sony Pictures Releasing Italia a partire dal 11.02.2011.
Ali è una ragazza con una voce bellissima che decide di trasferirsi a Los Angeles da un paesino di provincia per inseguire i suoi sogni. Al Burlesque Lounge, un teatro in difficoltà ma sede di un noto spettacolo di varietà, Ali ottiene un lavoro come cameriera da Tess, proprietaria e direttrice del club. I costumi trasgressivi e le danze sensuali del Burlesque, affascinano l’ingenua ragazza che si ripromette, un giorno, di far parte dello show. Ali conquista l’affetto di Jack, un affascinante barman e musicista che le offre alloggio per un po’, stringe un’amicizia con una ballerina e attira su di sé la gelosia di una cantante. Quando Ali riesce finalmente a conquistare il palcoscenico, anche grazie all’aiuto del manager della compagnia la sua voce eccezionale riporta il Burlesque Lounge al suo antico splendore.
Perché vederlo: Per lasciarsi travolgere dal ritmo scoppiettante e ammiccante del musical che porta sullo schermo l’arte del burlesque e la ricerca del successo nel mondo dello spettacolo.
Fonte: Movieplayer.it
“Le cose di cui sono capace ” di Alessandro Zannoni, Gruppo Perdisa Editore
Le cose di cui sono capace
Alessandro Zannoni
Prezzo euro 14,00
Pagine 152
Isbn 978-88-8372-553-1
“Lama e Trama” di Aa.Vv., Gruppo Perdisa Editore
Gewa Lighting, la luce sotto un’altra luce
La luce sotto un’altra luce
Gewa Lighting, network di aziende specializzate nell’illuminazione, si presenta all’edizione 2011 di Festarch, Festival dell’Architettura Interazionale, con un evento da non perdere. Protagonisti due professionisti del settore che hanno portato la luce nel mondo del design: Italo Rota, architetto di fama internazionale ed Ernesto Gismondi, fondatore e titolare di Artemide. L’appuntamento è per sabato 4 giugno all’interno della Sala dei Notari del Palazzo dei Priori di Perugia.
Alle ore 15 Italo Rota presenterà “Energia e Bellezza”: la genesi degli interventi di riqualificazione ambientale, paesaggistica e architettonica delle centrali elettriche che l’architetto sta curando in Campania, Puglia e Calabria. Una riflessione sul ruolo dell’architettura nel migliorare la produzione energetica italiana partendo da fonti sostenibili e rinnovabili.
Alle ore 17 seguirà Ernesto Gismondi con “Il Design della Luce, tra passato e futuro”. Figura storica del design italiano nonché prestigiosa firma nella propria azienda, Gismondi racconta per la prima volta in pubblico le origini e le tendenze attuali della ricerca formale e tecnica applicata ai prodotti del mondo della luce.
Eventi culturali, dibattiti e confronti tematici continueranno negli showroom Gewa Lighting presenti in tutta Italia.
Gewa Lighting
V.le Milanofiori, Strada 3 Palazzo B3
20090 Assago (Mi)
tel. 02 57506337
e-mail: info@gewalighting.it
Fonte: AT Casa
“La mansuetudine dell’abiura”, recensione di Francesco Paolo del Re
L’abiura compiuta dagli artisti contemporanei nati alla fine degli anni Ottanta si radica nel fallimento di quell’utopia politica e ideologica dell’arte che era insita nel progetto avanguardistico del Novecento.
Gli abiuratori, coloro che si posizionano nella condizione esistenziale dell’abiura, sono portatori della qualità medianica dell’ossimoro. Il fallimento genera ossimori, spalanca spazi di contraddizione, confusione e ambiguità che non si placano nel movimento pulviscolare dell’abiura. La prima contraddizione degli abiuratori, per esempio, è nella rinuncia a occupare attraverso l’arte una posizione pubblica, rinuncia che è tuttavia essa stessa una presa di posizione pubblica. Altra sbavatura è il fatto che questa abiura, per definizione atto di aderenza a una fede, si situi nel territorio dubitativo di una certa esperienza del sacro e della sua codificazione architettonica e spaziale.
L’abiura è un atto mansueto, di creature che in un qualche altro tempo o con qualche altra ragione avrebbero potuto ruggire e azzannare, ma che ora non lo fanno. Queste creature scelgono un silenzio raccolto, tramato di parole sommesse o di chiacchiericcio a volte rumoroso e tuttavia osservato con distacco clinico, fitto di gesti familiari in paesaggi di consuetudine, addensato da esorcismi delle paure quotidiane azzardati attraverso il consumo e la spettacolarizzazione di una pleonastica banalità dell’esistenza.
Non c’è niente di eroico nell’essere abiuratori. Né c’è una qualche forma di compiacimento o struggimento; solo una porosità contemplativa. Se la loro è una qualche forma di religione, è una religione della perdita. Quella degli abiuratori è infatti una egoistica generazione di rinunce: rinunce a valori, ideali, prospettive future. Una generazione ripiegata in un privato mappato, rarefatto o gridato. Generazione precaria, di eroi imbelli, senza costrutto. La mansuetudine prende il posto dell’aggressività, la dissuasione della persuasione, la malinconia dell’euforia.
La condizione dell’abiura partecipa alla taciturna r-esistenza che si consuma nello spazio fisico e ideale dell’esperienza della metropoli contemporanea. Gli abiuratori sono paragonabili ai dissuasori stadali che nessuno li prende in considerazione, a cui nessuno fa caso, se non quando si urtano accidentalmente o impediscono il passaggio.
I dissuasori stradali sono una presenza costante e spesso invisibile della nostra quotidianità urbana, attributi dell’idea di controllo e gestione dello spazio condiviso, coefficienti della sua abitabilità, inibitori della libertà e del libero esercizio della mobilità.
Mobili o fissi, i dissuasori usati per impedire la sosta o il passaggio dei veicoli nelle città possono diventare simboli di un’attitudine, situata nella dialettica tra libertà individuale e dispositivi narrativi dell’ordine sociale, di un sentimento non permanente che caratterizza un’intera generazione di eroi contemporanei perdenti in partenza, soldati interinali senza strategia di resistenza contro il reale. I giovani dissuasori, araldi dell’abiura, possono solo contemplare il fascino della bellezza effimera colta attraverso ritratti fotografici di disarmante
intensità, che condensano il vissuto privato e la qualità degli affetti (Federico Forlani), vagheggiare un fondamento nobile e sacro dell’esistenza ripensando le architetture del passato e il grande disegno anatomico, in una diaspora di simbologie personali (Michele Pierpaoli), o dissolversi nel consumo, parafrasarne e smitizzarne forme, linguaggi e rituali, dando corpo all’incubo di un’umanità violetta che, per quanto deformata e iperbolica, però forse è migliore dell’umanità incolore che ci circonda (Red Zdreus).
Novembre 2010
Francesco Paolo Del Re
La mansuetudine dell’abiura
Titolo: La mansuetudine dell’abiura
Autori: Federico Forlani, Michele Pierpaoli, Red Zdreus
Cura: Francesco Paolo Del Re e Roberta Fiorito
Coordinamento: Sponge ArteContemporanea
Luogo: BT’F gallery, Via Castiglione 35 – 40124 Bologna
Partner organizzativi: FABRICA FLUXUS Art Gallery Bari
SpongeLiving Space Pergola (PU)
Inaugurazione: 28 aprile 2011 ore 19:30
Periodo: 28 aprile 28 maggio 2011
Orario: da martedì a sabato dalle 16.00 alle 19.00 e su appuntamento
Info: Info: info@btfgallery.com / http://www.btfgallery.com
Giovedì 28 aprile 2011 alle ore 19.30 la Galleria BT’F di Bologna diretta da Miria Baccolini con la direzione artistica di Marco Aion Mangani e Giacomo Lion inaugura La Mansuetudine dell’abiura, tripersonale di Federico Forlani, Michele Pierpaoli, Red Zdreus a cura di Francesco Paolo Del Re e Roberta Fiorito con il coordinamento di Sponge ArteContemporanea.
“L’abiura – scrive Francesco Paolo Del Re – compiuta dagli artisti contemporanei nati alla fine degli anni Ottanta si radica nel fallimento di quell’utopia politica e ideologica dell’arte che era insita nel progetto avanguardistico del Novecento. L’abiura è un atto mansueto, di creature che in un qualche altro tempo o con qualche altra ragione avrebbero potuto ruggire e azzannare, ma che ora non lo fanno. Queste creature scelgono un silenzio raccolto, tramato di parole sommesse o sfrangiato da un chiacchiericcio a volte troppo rumoroso e tuttavia osservato con distacco clinico, fitto di gesti familiari in paesaggi di consuetudine, addensato da esorcismi delle paure quotidiane, azzardati attraverso il consumo e la spettacolarizzazione di una pleonastica banalità dell’esistenza. Non c’è niente di eroico nell’essere abiuratori. Né c’è una qualche forma di compiacimento o struggimento; solo una porosità contemplativa. Se la loro è una qualche forma di religione, è una religione della perdita. Quella degli abiuratori è infatti una egoistica generazione di mappato, rarefatto o gridato”.
La mansuetudine dell’abiura dal 4 dicembre 2010 al 9 gennaio 2011 è stata ospitata negli spazi della home gallery Sponge Living Space di Pergola (PU)
La mostra in collaborazione con FABRICA FLUXUS Art Gallery di Bari e Sponge Living Space di Pergola (PU), sarà visitabile fino 28 maggio 2011. Per ulteriori informazioni contattare il numero 340.25.29.265 oppure consultare il sito http://www.btfgallery.com
“The Tree Of Life” di Terrence Malick [2011]
La terribile dispersione della coscienza
Presentato tre giorni fa al 64° Festival di Cannes, ha ricevuto una quantità elevatissima di fischi e critiche ancor prima che i titoli di coda comparissero sullo schermo.
E non sono stati abbastanza!
Questo film è un insulto allo spettatore che si trova di fronte agli occhi un’opera che si pone su un livello altissimo, come fosse un capolavoro, ma che garantisce solo noia e rabbia.
I paragoni che qualcuno ha proposto citando 2001: Odissea Nello Spazio del maestro Stanley Kubrick sono utili soltanto ad affossare tremendamente la [non] espressione di Malick.
E’ vero, i 7 o 8 minuti più validi di tutto il film sono proprio quelli che citano Kubrick. Le immagini sono quelle di un cosmo rappresentazione di un dio primordiale, che non sono altro che l’inutilissima riproposizione aggiornata delle straordinarie scene che Kubrick inserì verso la fine del suo capolavoro del ’68, dove viene rappresentato il “trip” spazio-temporale-esistenziale del protagonista.
In The Tree Of Life non c’è contestualizzazione, né innovazione, né coinvolgimento. E, ripeto, sono le scene migliori del film!
I 138 minuti sono stati interminabili per me, come per tutti quelli che erano in sala con me. Alcuni dei quali non si sono trattenuti dallo sbadigliare, altri dall’alzarsi e andarsene abbandonando la proiezione anzitempo e, addirittura, dal rispondere al cellulare in sala…
Brad Pitt non recita, così come l’altrove bravo Sean Penn nelle poche scene a lui riservate.
La fotografia è apprezzabile a sprazzi, ma l’allibente banalità dell’intera opera è disarmante…
La sceneggiatura vanta frasi del tipo: “Bisogna amare… per vivere felici…” e sono pronunciate con una intonazione degna di qualche telefilm per ragazzine di 7 anni.
Il montaggio è interessante ma totalmente fuori luogo. Vorrebbe essere evocativo, ma non evoca un bel niente.
La macchina da presa si muove come in un b-movie, cercando di portare lo spettatore all’interno del contesto familiare dei personaggi ma in realtà non riesce a far prendere le parti né di un personaggio né dell’altro. E nemmeno ci lascia fuori dalla questione, perché vorrebbe essere un punto di vista soggettivo, ma non lo è, quindi non è nemmeno oggettivo. E nemmeno esperienziale come aspirerebbe.
È semplicemente banale e fallimentare.
E persino quando viene utilizzata la steady-cam per darci un senso di eterea sovrannaturalità non funziona. Kubrick la utilizzò al meglio in Shining. Stop. Non c’è nulla di sovrannaturale qui, se non nella mente del regista.
E ancora, le musiche classiche che accompagnano lo spettatore tanto nelle scene di vita reale quanto nell’allineamento di fantomatici pianeti richiamano un Kubrick che, qui più che mai è scimmiottato, svilito.
Debbo ammetterlo, è un peccato. E non perché l’idea sia buona o meno, bensì perché lo spazio vacuo della trama vorrebbe e dovrebbe essere riempito da immagini pronte a essere fruite come sola percezione. Purtroppo, ripeto, il coinvolgimento nella storia dei personaggi in causa ci lascia totalmente indifferenti. E’ come se stessimo forzatamente leggendo le pagine di un libro che non ci piace e nemmeno ci interessa. La buona volontà ci lascia seduti sulla poltrona, ma non è sufficiente a farci apprezzare le infantili scene proposte. E non infantili nel senso di “pure” come invece qualcuno ha già interpretato, bensì nel senso di stereotipate, già viste, che entusiasmano solo un bambino perché ha visto troppi pochi film nella sua vita.
Vorrei precisare che le idee che propongo in questo spazio non vogliono essere sentenze inequivocabilmente vere, bensì semplice risultato soggettivo di percezioni personali. E in quanto tali possono tranquillamente essere talmente chiuse da non essere in grado, per incompetenza o restrizione mentale, di riconoscere quello che alcuni definiscono come “il cinema del futuro” richiamando a sostegno di ciò i fischi che maestri del passato si sono presi da più parti, e un esempio su tutti potrebbe proprio essere quello del già citato Kubrick.
A questi pensieri però, ne aggiungo altri che sono quelli del mio amore per un cinema non estremamente convenzionale, fatto in primis di sperimentalismi tecnici ed espressivi. Cito Electroma nel contemporaneo. E ancora Sokurov. Ma in passato ci sono stati Kenneth Anger, Jodorowski e ancora più indietro Duchamp, Richter, Eggeling… insomma, la lista sarebbe lunga e assortita.
Però malgrado ciò in questo lungometraggio di Malick mi risulta davvero impossibile trovare sia qualcosa di interessante a livello di comunicazione visuale oltrepassante la comprensione mentale dell’opera, sia diventa arduo identificare spunti di intelligenza registica. Una regia monotòna, ripetitiva, già vista in alcuni punti e mal assortita a quelli che non avremmo voluto vedere. Una regia pregna di banalità perbenista che non ci racconta alcuna storia della vita ma che inscena una inutilissima parata del disinteresse suscitato nello spettatore.
La visionarietà del regista è presente tramite un montaggio a tratti sincopato e disorientante, ma le immagini vivono in accostamenti non solo incomprensibili [cosa che non è di per sé affatto negativa] ma, purtroppo, inconsistenti e impalpabili.
L’unico punto a favore del film è dato dall’alta qualità dell’immagine che, purtroppo, perde ogni possibilità comunicativa ed evocativa a causa delle onnipresenti dannose e banali voci fuori campo che continuano a domandar[c][s]i perché dio non si opponga ai cattivi e perché sulla terra non regni l’amore cosmico.
Spiace dirlo, ma è sicuramente una delle peggiori esperienze cinematografiche della mia vita.
Danilo Cardone
Fonte: Cinefobie
Monologo teatrale tratto dal romanzo Senza Luce, 25 maggio 2011
Energia oscura del cosmo, teoria di Albert Einstein trova conferma
Due ricerche pubblicate sul giornale scientifico Monthly Notice of the Royal Astronomical Society, coordinate dal Professore Chris Blake dell’università australiana di Swinburne di Melbourne, hanno confermato quanto era stato ipotizzato nel 1916 da Albert Einstein e cioè che l’universo è costituito al 70% di materia oscura che è in qualche modo il ‘motore’ che contribuisce alla sua continua espansione. Ciò rappresenta quindi quella che viene definita una ‘costante cosmologica’. Lo studio è stato condotto da una squadra di 26 astronomi che hanno operato dall’osservatorio di Coonabarabran nel Nuovo Galles ed ha avuto una durata di circa 24 mesi. Gli astronomi hanno monitorato l’universo spingendo la loro osservazione fin nelle galassie più lontane ed in quelle più giovani per poter così contemplare il periodo critico nel quale l’energia oscura inizia a prevalere sulla forza di gravità. La ricognizione di 200mila galassie ha permesso di dimostrare che l’energia in questione una proprietà dello spazio stesso e secondo lo studio tale forza è reale e riempie l’intero universo. Gli astronomi hanno potuto così osservare la forza del processo di espansione che ha portato le galassie ad aggregarsi all’incirca 7 miliardi di anni fa.
Carla Liberatore
Domenica di tafferugli in Marocco
La polizia ha disperso ieri alcune centinaia di giovani del Movimento 20 Febbraio che continuano a richiedere importanti riforme politiche, a meno di un mese dalla presentazione al re Mohammed VI della proposta per unariforma costituzionale il cui contenuto sarà oggetto di un referendum popolare. A Casablanca e a Rabat ma anche in città come Tangeri e Agadir, molti giovani manifestanti, e molti fondamentalisti salafisti, sono stati dispersi della polizia. Secondo alcuni testimoni non si sarebbero verificati incidenti. Queste manifestazioni sono state organizzate senza la richiesta legale alle autorità competenti e la polizia è intervenuta per disperdere i manifestanti. Secondo i membri della commissione consultativa per la riforma costituzionale, nominata da Mohammed VI e presieduta dal giurista Abdeltif Menouni, il documento contenente le proposte per una revisione dell’attuale Costituzione è quasi a punto e sarà presentato al re i primi giorni di giugno. Con tutta probabilità nel mese di luglio ci sarà ilreferendum consultativo per adottare la nuova Costituzione e le elezioni anticipate previste per il mese di ottobre. Il re Mohammed VI ha annunciato il 9 marzo scorso, qualche giorno dopo la prima manifestazione del Movimento, in un discorso alla nazione, importanti riforme costituzionalitra cui la separazione dei poteri e un rafforzamento dei poteri del Primo Ministro, oltre ad una revisione profonda dei Diritti Umani e il riconoscimento formale dell’identità Amazigh (berberi).
Fonte: My Amazighen