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Archive for May 23, 2011

Vincitori della 64° edizione del Festival del Cinema di Cannes 2011

Domenica 22 maggio – si conclude la 64° edizione del Festival di Cannes 2011.

La giuria: presidente Roberto De Niro e giurati Uma Thurman, Olivier Assayas, Johnnie To, Jude Law. Per “Un certain renard” il presidente della giuria: Emir Kusturica.

Note: Lars Von Trier, non per il suo film che ha vinto la Palma come Miglior Attrice, ma bensì su alcune sue affermazioni riguardanti il nazismo e la figura di Hitler nella storia, tali da attribuirne l’immediato allontanamento dalla manifestazione.

Palma d’Oro
The tree of life, regia di Terrence Malick

Palma d’Oro per il miglior cortometraggio
Cross-Country, regia di Maryna Vroda

Palma d’oro onoraria
Bernardo Bertolucci

Palma d’oro alla carriera
Jean Paul Belmondo

Grand Prix (ex-aequo)
Once upon a time in Anatolia, regia di Jacques Audiard
Nuri Bilge Ceylan, regia di Luc e Jean-Pierre Dardenne

Miglior attore
Jean Dujardin – The artist

Miglior attrice
Kirsten Dunst – Melancholia

Miglior regia
Nicolas Winding Refn – Drive

Miglior sceneggiatura
Joseph Cedar – Footnote

Camera d’Oro per la migliore opera prima
Las Acacias, regia di Pablo Giorgelli

Premio della giuria 
Polisse, regia di Maïwenn Le Besco

Premio della Giuria per la sezione cortometraggi
Swimsuit 46, regia di Wannes Destoo

Premio “Un certain regard” (ex-aequo)
Arirang, regia di Kim Ki-duk
Halt auf freier Strecke, regia di Andreas Dresen

Premio della giuria “Un certain regard”
Elena, regia di Andrey Zvyagintsev

Premio per il miglior regista “Un certain regard”
Mohammad Rasoulof – Bé Omid é Didar

Queer Palm, premio per il miglior film a tematiche LGBT
Skoonheid, diretto da Oliver Hermanus

Elenco film in gara per la 64° edizione del Festival di Cannes 2011

Fonte: Oubliettemagazine

“Di regine, di sante e di streghe” di Susanna Berti Franceschi, Elmi’s World

Di regine, di sante e di streghe. Storie di donne del medioevo / Susanna Berti Franceschi
Collana: Saggi romanzati / Pagine: 130
ISBN: 978-88-97192-03-9
Prezzo : 15,00 €

Una delle espressioni più comuni nella nostra epoca, per asserire che il mondo oggi va meglio di allora, è: “Non siamo mica nel Medioevo!”. Eppure quel periodo definito buio non lo era poi quanto si crede e si dice. Troviamo qui le storie di venticinque donne che furono regine, sante e streghe. Quello che accomuna tutte loro è il potere, più o meno grande, che giunsero ad avere, nonostante la dominanza maschile vigente allora in quasi tutti i campi. I racconti, sintetici e incisivi, mostrano come il “periodo di mezzo” debba esser conosciuto anche per la vivacità intellettuale delle donne di allora, riconoscendo la loro grande forza e importanza, in modo che si possa ristabilire, nella storia di questo periodo, il giusto “equilibrio di genere”.

Fonte: Elmi’s World

“L’ultima lettera” di Sarah Blake, Mondadori

Tre donne diverse con storie diverse, colpite dalla brutalità della guerra e dall’impatto violento, anche se indiretto sulle loro vite.

Titolo: L’ultima lettera
titolo originale: The postmistress
Autore: Sarah Blake
Editore: Mondadori
Collana: Omnibus stranieri
pagine: 372
prezzo: 18,50 euro

descrizione

E’ il 1940 e la Seconda guerra mondiale sta dilagando nell’Europa intera. Mentre le bombe cadono su Londra, una voce attraversa l’oceano: è quella di Frankie Bard, giovane e audace reporter americana, che rischiando in prima persona decide di raccontare il conflitto dalla sua postazione radiofonica, portandolo così nelle case dei suoi connazionali. Ad ascoltarla a Franklin, una cittadina sulla costa del Massachusetts, ci sono tra gli altri Iris e Emma. Iris è una donna sola un po’ eccentrica e sognatrice a capo dell’ufficio postale, che si dedica con estrema serietà e partecipazione al proprio lavoro. Si sente infatti in qualche modo responsabile e custode discreta dei destini altrui, convinta che nella corrispondenza si intreccino i fili delle vite delle persone. Emma, giovane sposa del medico condotto, invece non desidera altro che un futuro luminoso fatto di bambini e affetti familiari. Quando però suo marito, sconvolto per la morte di una paziente di cui si ritiene responsabile, decide di partire come volontario per lavorare in un ospedale di Londra, lei non può fare altro che attendere impotente giorno dopo giorno una sua lettera e il suo ritorno a casa. Sullo sfondo di un’Europa lacerata dalle persecuzioni naziste e martoriata dai bombardamenti, e di un’America ancora al sicuro dal dramma epocale che si sta compiendo dall’altra parte dell’oceano, in un mondo in cui le notizie viaggiano per posta, con il rischio di non giungere mai a destinazione, è proprio una lettera a segnare le vite delle tre donne, legandone indissolubilmente i destini.
Sarah Blake è nata a New York City, è laureata a Yale in letteratura inglese e appassionata di letteratura vittoriana, Sarah è vissuta a Cape Cod e si è poi trasferita a Washington.
L’ultima lettera è il suo primo romanzo pubblicato in Italia , in America ha ricevuto un grande favore di pubblico.

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Aleksandr Nalisman, monumento ai ‘caduti alieni’ in Ucraina

In gennaio scorso lo scienziato ucraino Aleksandr Nalisman ha dichiarato che nella regione ci sarebbero tutti gli estremi per la realizzazione di un tale monumento. Secondo Nalisman infatti, in quel territorio ci sono state diverse vittime aliene derivate da vari UFO-crash che si sono susseguiti negli anni. Lo scienziato con il suo gruppo di riceratori, ha proposto una raccolta fondi finalizzata alla costruzione del monumento ai caduti extraterrestri ed è convinto che si tratti di un gesto quasi dovuto da parte del genere umano dichiarando: “L’umanità non ha veramente prestato attenzione alla vita degli alieni” e il professore ha anche sottolineato che il mancato atterraggio di oggetti volanti con equipaggi alieni a bordo è stato causato principalmente da errori del tutto umani. Nalisman ha fatto riferimento ad un episodio avvenuto nel 1997 proprio in Ucraina quando un UFO si scontrò letteralmente con un jet dell’esercito e racconta che in quella specifica occasione le forze militari si siano precipitate come da protocollo a recuperare resti ed equipaggio dell’oggetto volante senza rendere noto l’accaduto e sottolinea che tale atteggiamento da parte dell’esercito è stato adottato anche in altri sei episodi simili avvenuti sia prima che dopo il ‘97. Secondo lo studioso, l’esercito sovietico sarebbe anche arrivato a riprodurre un prototipo di disco volante proprio grazie ai relitti recuperati nel corso degli anni.

Carla Liberatore

Distance/Proximity, personale di Lisa Castellani

Verona – Inaugura il 27 maggio la personale di Lisa Castellani a cura di Luigi Meneghelli.
“Per me erano come delle grandi vele. Una sorta di volo, che è poi il tentativo di rubare il fuoco al sole”

Così Carla Accardi di fronte ai suoi lavori in plastica. Ebbene, anche le stampe in pvc trasparente di Lisa Castellani si distaccano dal muro e, nella loro attraversabilità visiva, sembrano muoversi e liberarsi nello spazio, assumendo una condizione di impalpabile consistenza e leggerezza. Ma a differenza della Accardi che per mezzo della trasparenza inseguiva la luce e la rigenerazione dei segni, Castellani insegue la smaterializzazione delle immagini. Gli indizi del suo occhio o del suo corpo impressi sulle superfici non si irrigidiscono mai in forma, bensì realizzano un interscambio continuo tra interno ed esterno, tra dentro e fuori. E’ l’idea di transfert, di transito ad interessare l’artista: è il bisogno di vedere oltre il limite abituale, ad affascinarla. In questo modo l’autorità dell’opera è continuamente messa in questione, incrinata, erosa. Lo sguardo può “passare attraverso”, perchè la sua realtà è relativa e parziale, fluida e sfuggente. E’ quello che suggeriscono le immagini dei palloncini (della serie Tir-nan-Og) che si librano nello spazio come figure incorporee: essi si fanno sempre più piccoli, come se, allontanandosi, evocassero un respiro che si perde, un’anima che ne va. Ma lo stesso discorso può valere anche per quei fiori stampati su rame (Terrains Vagues) che sembrano dileguarsi sotto gli occhi, alla pari dei luoghi semi-abbandonati in cui sono stati fotografati. Qui succede come nei dipinti di Friederich, dove il viaggiatore, nella pienezza della sua solitudine, non guarda la natura, ma guarda la distanza nel tentativo vano di colmarla. La distanza infatti non è uno spazio misurabile o una dimensione definibile: non è reale, non è materiale, è lo stadio dell’altrove. Castellani sa che non può raggiungerla né tantomeno abitarla: e allora la interroga, la circuisce, imita l’effetto di vertigine che essa custodisce in sè. E lo fa (ad esempio) riportando su di un telaio da ricamo la sconfinatezza del cielo (Skyhunter) o riproducendo su di una lavagna un paesaggio innevato e quindi nascosto, quasi irreale (Chalkgarden). E’ come se lei cercasse di dare plausibilità anche a ciò che è inattingibile, credibilità anche a ciò che appare misterioso.

La sua è un’arte che procede per stratificazioni di spunti imprevisti, per addizione di restauri, ritrovamenti, tracce: è “una storia che contiene molte storie”, è la “rete dei possibili” per arrivare ad alludere all’impossibile distanza, al suo senso di vuoto e di sospensione. In fondo, nel procedimento di Castellani, niente è mai davvero finito: si è sempre nell’imminenza di una rivelazione che non si produce, nell’attesa di un segreto che non viene svelato (o che viene svelato solo per dettagli): un po’ come nel gioco infantile in cui si costruiscono mondi di fantasia che svaniscono alla pari di scritture sull’acqua. Ma proprio come un bambino l’artista pare divertirsi nella ripetizione del suo “gioco”, sia quando nella performance Waves of me tenta di far volare un aquilone con il proprio volto stampato sulla superficie (“per vedere lo spazio da diversi punti di vista”), sia quando produce “buchi” nel linguaggio (come le trasparenze, le sfocature, i tagli d’immagine), perchè solo con quest’opera di trivellazione il linguaggio manda fuori quello che sta annidato, imboscato in esso. Così, alla fine, tutto si apre a tutto: l’intimità dialoga con l’esteriorità, la sfera privata con quella pubblica, l’esistenza dell’autrice con quella del pubblico. E ogni volta – come afferma la stessa Castellani – si ridefiniscono i reciproci confini.

Lisa Castellani
Distance/Proximity
dal 27 maggio al 1 luglio 2011 a cura di Luigi Meneghelli
Inaugurazione della mostra: venerdì 27 maggio dalle 18 alle 21
Finissage della mostra: venerdì 1 luglio dalle 18 alle 21
Kn Studio – San Giovanni in Valle, 19
37129 Verona – Italia
tel: +39 045 8949773
sito: http://www.kn-studio.it

Fonte: Artevista

“La mia storia, la tua storia” di Assaf Gavron, Mondadori

Autore: Assaf Gavron
Tradotto da: D. Mano – S. Zolli

Editore: Mondadori

Collana: Strade blu. Fiction

Prezzo: € 17.50

Data di pubblicazione: 2009

Eitan e Fahmi hanno la stessa età, seguono le stesse trasmissioni televisive, ascoltano la stessa musica. Se si incontrassero in un altro paese, potrebbero diventare amici. Ma il primo è israeliano, il secondo palestinese e il momento in cui le loro storie si incrociano è uno dei più sanguinosi nel conflitto fra i loro popoli: il culmine della seconda Intifada. Capita così che le esistenze di due giovani uomini che non vorrebbero altro che una vita normale con i suoi affetti e i suoi problemi quotidiani vengano risucchiate dagli eventi. In pochi giorni, Eitan, che lavora nel pieno centro di Tel Aviv per una società di servizi telefonici, scampa a ben tre attentati suicidi assurgendo, suo malgrado, a star mediatica, uomo-simbolo dell’invincibilità di una nazione. Mentre per Fahmi comincia una peregrinazione disperata con ogni mezzo macchina scassata, dorso di mulo e infine nient’altro che le proprie gambe che parte da un campo profughi vicino a Ramallah e finisce dentro un ospedale israeliano davanti al quale la gente protesta contro le cure prestate a un presunto terrorista.

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Messico, Italiani costruiscono villaggio aspettando la fine del mondo

Misterioso villaggio in costruzione, a prova di ogni eventuale catastrofe naturale, sulle rive di una laguna artificiale nello Yucatàn in Messico. Si tratterebbe di un gruppo 70 di facoltosi italiani, appassionati di catastrofismo che avrebbero deciso di salvarsi dalla imminente fine del mondo che dovrebbe accadere nel 2012, almeno secondo una antica leggenda Maya. L’area si estende per un perimetro di circa 800 ettari ed è stata acquistata due anni fa. La città che ha già un nome: Las Aguilas, pare non sia stata realizzata a caso proprio in quella zona, poiché sembra che l’individuazione del luogo sia scaturito da un sogno premonitore di una delle persone che hanno poi acquistato la loro parte di terreno per fabbricare le casi anti-finedelmondo. La donna, autrice del sogno premonitore, sarebbe stata sospinta da una misteriosa forza invisibile, a recarsi in quella parte del mondo che si chiama Xul che è abbarbicata in piena foresta ed il suo nome evoca antichi arcani. Infatti Xul è un nome Maya che significa ‘Fine’ oppure ‘Finale’ e c’è d’aggiungere che Xul è ubicato vicino ad un antico insediamento Maya il cui nome è Kiuic. La città-rifugio post fine dei tempi di Las Aguilas, stando ad alcune informazioni trapelate, pare sia stata progettata da un architetto del luogo che si chiama Karina Valle la quale ha realizzato 24 edifici con pareti di di 60 centimetri di spessore in materiali speciali in grado di sopportare cambiamenti di temperatura estremi, radiazioni, fuoco o inondazioni. L’architetto ha dichiarato che gli italiani non pensano che stia arrivando la fine del mondo, ma che il 2012, la data indicata nella profezia Maya, sia indicativa di una catastrofe naturale e hanno deciso di rifugiarsi qui per proteggersi. A capo dello strano progetto pare ci sia una psicologa italiana che al momento risiederebbe a Veracruz poiché sembra che stia eseguendo una specie di ‘ritiro spirituale’ e che abbia comunque deciso di stazionare nel luogo per assicurarsi che tutto proceda come da previsioni. Stupiti sono gli abitanti dei luoghi circostanti i quali hanno giurato di aver visto negli ultimi tempi, gruppi di persone che pregavano inginocchiate vicino agli alberi ogni giorno. Gli italiani già insediati nella città pare che escano molto raramente dal luogo che secondo qualcuno è costantemente sotto controllo. Il sindaco della città omonima di Xul ha dichiarato che debba trattarsi di persone ricchissime perché hanno costruito case bellissime e molto costose. Il più preoccupato di tutti è il Dottor Gaspar Baquedano López, direttore del reparto suicidi dell’ospedale psichiatrico che ha dichiarato che questo gruppo di italiani potrebbe innescare una psicosi locale. Ad ogni modo la psicosi da catastrofismo pervade le menti umane di tutti i tempi, si pensi a ciò che è accaduto nel 2000, quando ci si aspettavano catastrofi di ogni genere ed in qualche caso in varie parti del mondo si è assistito a suicidi di massa, principalmente avvenuti nell’ambito di sette. Il business però anche in questi casi la fa da padrone, infatti una nota società di Pontedera, la Matex Security Projects, pare che si sia messa a realizzare e a vendere dei bunker anti-finedelmondo. Si tratta infatti di costruzioni che possono agevolmente resistere ad inondazioni, attacchi chimici e batteriologici. La direzione marketing della Matex ha già reso noto che in vista del 2010 già un migliaio di persone hanno ordinato versioni personalizzate dei costosissimi bunker.

a cura di Carla Liberatore

Fonte: MondoRaro

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“Gli angeli di Lucifero” di Fabrizio Carcano, Ugo Mursia Editore

Gli angeli di Lucifero
Fabrizio Carcano

Pagine: 730
Codice: 23789
EAN 978-88-425-4689-4
Collana: Romanzi

«Il diavolo, nudo e trionfante, con le ali e gli artigli neri, campeggiava in posizione dominante sui tre arcangeli sconfitti. Tre, come le vite che in altrettante settimane si erano portati via gli angeli di Lucifero.»

Giugno 2009. Una cappa d’afa soffoca Milano. Nel periferico cimitero di Chiaravalle mani ignote profanano una tomba seicentesca e trafugano le spoglie del marchese Ludovico Acerbi, passato alla storia come il «Diavolo di Porta Romana». Sembra un banale episodio di teppismo ma nei giorni successivi, sotto la Madonnina, si verificano in rapida successione tre misteriosi omicidi, compiuti e rivendicati dalla stessa mano. Le vittime portano tutte cognomi di casate che, nella Milano del Seicento, ebbero rivalità con quella del marchese Acerbi.
A far luce su questa misteriosa vicenda sono impegnati il commissario Bruno Ardigò, freddo e taciturno, e l’amico giornalista Federico Malerba, solare ed espansivo. Diversi come il giorno e la notte, ma uniti dalla stessa voglia di arrivare alla verità, si addentrano nei meandri oscuri e inquietanti della Milano esoterica, dove nulla è come sembra.

L’autore
Fabrizio Carcano è nato a Milano nel 1973. Giornalista professionista, ha iniziato a scrivere nel 1992 sulle colonne del «Giorno». In seguito ha collaborato con le testate «La Notte», «La Prealpina», TgCom, «Affari Italiani» e «la Padania», dove attualmente lavora come redattore politico.

Fonte: Ugo Mursia Editore

La calligrafia araba

May 23, 2011 Leave a comment

Lo sviluppo della scrittura tra gli arabi fu tardiva a causa del loro stato di nomadismo che favoriva in primis la cultura orale. Dalla nascita dell’Islam, all’inizio del VII° secolo, il Corano si diffuse con la tradizione orale. L’arabo appartiene al gruppo di scritture semitiche consonantiche perchè di fatto solo le consonanti sono rappresentate. La maggioranza degli specialisti si accordano oggi sul fatto che la scrittura araba deriva dalla scrittura nabatea, essa stessa d’origine aramaica. I Nabatei, installatisi sulle terre bibliche del reame di Edom in Arabia del nord (l’attuale Giordania) verso il IV° secolo a.c., la cui capitale era Petra, parlavano l’ aramaico e scrivevano in aramaico.  Progressivamente si sviluppo una scrittura corsiva formale specificatamente nabatea che si distinse dall’aramaico per la presenza di legature. Questo sviluppo si doppio’ con una evoluzione nella lingua parlata dai nabatei che vide l’introduzione progressiva dei termini e della costruzione grammaticale araba. Verso il II° secolo d.c., i nabatei parlavano in maggioranza l’arabo come attesta l’orgine araba dei loro nomi e conservarono l’aramaico, in una versione arabizzata, come lingua ufficiale. La scrittura araba nacque dunque intorno al VI° secolo dalla scrittura corsiva nabatea. Progressivamente si espanse, all’epoca di Maometto, alla Mecca poi alla Medina. Si sviluppo’ cosi’ la prima scrittura specificatamente araba, il Jazm, di cui l’angolosità e la proporzione uguale delle sue lettere ricorda la grafia cufica. La scrittura Jazm divenne ben presto quella di tutti gli arabi e assunse lo statuto di scrittura sacra che Dio aveva scelto per trasmettere all’umanità il suo messaggio divino (Safadi). Da sottolineare il ruolo centrale che il Corano gioco’ nella formazione della scrittura araba. Il bisogno di consegnare il Corano tramite lo scritto obbligo’ gli arabi a riformare la loro scrittura e ad abbellirla, per renderla degna della rivelazione divina. Omar, amico del Profeta e futuro califfo, spinse il primo califfo Abu Bakr perchè si scrivesse il Corano, e questo lavoro venne realizzato dal segretario del profeta, Zayd Ibn Bakr. Questa edizione, codificata sotto il terzo califfo Othman, venne copiata in cinque esemplari che furono spediti nelle principali contrade dell’impero. Le ulteriori copie del Corano derivarono da questi primi esemplari, realizzati all’epoca della scrittura Jazm.

In quell’epoca apparvero delle varianti medinesi e mecchesi del Jazm, il Mail (scrittura dormiente), la Mashq (scrittura allineata) e il Naskh (iscrizionale) ma solo le ultime due perdurano. Il successore di Othman, il cugino di Maometto e suo nipote, Ali Ibn Talib, sono considerati come i primi maestri della calligrafia, sviluppando uno stile particolare detto “cufico”. La scrittura cufica nacque a Kufah, nel secondo decennio dell’era islamica. Ispirata alla scrittura dlla città vicina di Hirah, al-Khatt al-Kufi (scrittura cufica in arabo), è caratterizzata da una grafia originale fondata sulle sue angolosità e sulle sue forme quadrate molto pronunciate, fatte di tratti molto brevi e da linee orizzontali prolungate.  Contrastando con queste verticalità basse, le linee orizzontali si allungano. Parallelamente, la scrittura Mashq, sviluppo’ delle caratteristiche individuali e divenne leggermente più corsiva, con un profilo verticale basso e dai tratti orizzontali allungati. La scrittura cofica attesto’ la sua perfezione nella seconda metà del VIII° secolo e acquisi’ di fatto una preponderanza che duro’ più di tre secoli diventando l’unica scrittura impiegata per trascrivere il Corano. L’austerità delle sue origini spari’ con lo sviluppo della scrittura cufica ornamentale. La sua semplice eleganza ne fece una scrittura molto usata per gli epigrafi. Il suo sviluppo prosegui’ sio al XII° secolo, data che defini’ questa scrittura essenzialmente decorativa. Il Cufico orientale è una variante sviluppatasi in Persia alla fine del X° secolo  che si distinse dal cufico tradizionale per le sue slegature che restarono verticali, con dei barbigli alla sommità, e i suoi tratti corti inclinati o arcuati verso la sinistra, donando alla scrittura un movimento dinamico in avanti. La più famosa di queste scritture è la scrittura Qarmate, nella quale i caratteri del Cofico orientale sono integrati ad un fondo riccamente illuminato, fatto da motivi arabescati e floreali. La calligrafia araba è l’arte della bella scrittura. L’arte calligrafica si caratterizza con i simbolismi delle lettere e lo sviluppo dell’espressività del testo illustrato. Il posizionamento delle lettere ha un alto significato perchè esprime in termini intelleggibili la realtà nascosta. Attraverso i secoli e attraverso la civilizzazione islamica raggiunse un grado di raffinatezza e di armonia senza eguali. In alcune opere islamiche la scrittura stilizzata è stata esasperata a tal punto che l’eleganza travalica la leggibilità creando delle vere opere d’arte uniche al mondo.

Fonte: My Amazighen

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Omicidio Pier Paolo Pasolini, caso riaperto e dimenticato?

In aprile del 2009 fu riaperto il caso sulla morte dello scrittore e regista bolognese Pier Paolo Pasolini, ma è stato un caso riaperto e subito ri-dimenticato. Tutto ha avuto inizio grazie ad un libro – ‘Petrolio’ – di cui era scomparso da anni un capitolo e dopo varie interpellanze, lettere al Ministro di Giustizia, nuove testimonianze ed audizioni, finalmente furono fatte ulteriori analisi su dei reperti che erano rimasti abbandonati nel Museo Criminologico di Roma. In marzo dello scorso anno il Senatore Marcello Dell’Utri dichiarò di aver letto casualmente il capitolo scomparso di ‘Petrolio’ scritto di Pier Paolo Pasolini, asserendo che tale capitolo gli passò di mano solo per una pura coincidenza. Il libro in questione è lo scritto che Pasolini non riuscì a portare a termine ed è l’ultima indagine che stava conducendo sui misteri dell’ENI e sulla scomparsa di Enrico Mattei che morì in un incidente aereo nell’ottobre del 1962 e di cui le cause non sono mai state chiarite. Secondo molte persone, ‘Petrolio’ pare che sia la vera ragione dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini ed il capitolo mancante s’intitolava ‘Lampi sull’ENI’. Marcello Dell’Utri dichiarò inoltre che alla mostra del libro del 2010 gli sarebbe stata promessa la copia della parte da lui stesso precedentemente letta, ma il Senatore asserì che la persona che gli aveva fatto tale promessa è letteralmente scomparsa e con lei anche il fatidico capitolo mancante. Così il mistero si è ulteriormente infittito. Nel marzo del 2010, Walter Veltroni fece un’interpellanza parlamentare indirizzata al Ministro Angelino Alfano chiedendo di fare luce sulla morte di Pasolini visto che le nuove teconologie al giorno d’oggi pare riescano a fare miracoli anche su casi irrisolti da decenni. Il Ministro rispose alla richiesta di Veltroni e dopo circa un mese ripartirono le indagini sulla tragica morte dello scrittore, avvenuta all’Idroscalo di Ostia nel 1975. Veltroni nella sua interpellanza fece presente ad Alfano che con le sofisticate teconologie odierne si potrebbe effettivamente risalire al vero autore del delitto e che si dovrebbero approfondire quelle indagini che secondo lui non furono appropriate nemmeno all’epoca. Così su delega della Procura di Roma, il nucleo RIS del Carabinieri ha iniziato una sequenza di accertamenti tecnici irripetibili su alcuni reperti che erano per l’appunto conservati in un vecchio ed impolverato scatolone che fu posto negli archivi del museo Criminologico. Fra questi reperti sono stati analizzati una camicia ‘Missoni’ impregnata di sangue, un paio di jeans strappati, un pullover verde, un anello e un paio di stivaletti misura 41. A distanza di più di un anno però di queste analisi non se n’è saputo più nulla e ciò indicherebbe sia che nemmeno questa ulteriore analisi ha portato a niente e sia che potrebbe continuare a sussistere una precisa volontà da parte di ignoti a non voler far sì che la verità sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini venga mai a galla.

Carla Liberatore